Notizie e approfondimenti sul clima che cambiaPosts RSS Comments RSS

Le vere risposte alla crisi climatica arriveranno dal basso

Iniziamo un dibattito sul futuro delle politiche climatiche e delle negoziazioni sul clima, ospitando un parere fortemente critico sull’esito della COP17 di Durban, che pubblichiamo, pur non condividendone numerosi passaggi, per mostrare la diversità delle posizioni e degli argomenti in gioco.

.

Il vertice di Durban, la 17° “Conference of Parties” (COP 17), è finita con un compromesso che – in vista delle dimensioni del problema – equivale a un fallimento. Le spinte alla politica del clima verranno nei prossimi anni dalle attività locali e nazionali con un ruolo importante di coordinamento ed incentivazione dell’Unione europea e verranno purtroppo dagli eventi meteorologici estremi e dai loro impatti sull’economia e sulle vite umane. Opportunità e catastrofi saranno le forze propulsive al posto di una politica climatica guidata da risultati scientifici e discorsi razionali.
Fra i risultati più importanti di Durban, il protocollo di Kyoto, di cui la prima fase termina nel 2012, rimane in vigore, però senza Canada, Russia, Giappone e Nuova Zelanda. Forse fino al 2017, forse fino al 2020. Si vedrà. I paesi che anche dopo il 2012 prenderanno impegni vincolanti per la riduzione di gas serra saranno l’Unione Europea, la Svizzera e la Norvegia, cioè il 15% delle emissioni globali, il resto del mondo farà come meglio crede.
Un nuovo accordo globale di cui dovrebbero far parte anche gli Stati Uniti, l’India e la Cina verrebbe applicato a partire dal 2020. Prenderà forse la forma di un accordo, forse di uno “strumento giuridico” o di una “soluzione concertata”, il che non sono sottigliezze linguistiche ma profonde differenze tra un documento vincolante – i primi due – o uno del tutto impotente e insignificante.
L’IPCC, il gruppo di migliaia di studiosi che negli ultimi due decenni hanno fornito la base scientifica per la politica climatica viene dequalificato. Per le decisioni future i risultati dell’Intergovernmental Panel on Climate Change non saranno più, appunto, la “base”, ma il processo sarà “informato” dal lavoro e dai risultati di questo eminente gruppo di studiosi.
Il risultato era prevedibile e fanno male anche le associazioni ambientaliste a nutrire prima di ogni conferenza mondiale speranze come se da questo processo internazionale dovesse venire la salvezza. Dopo la COP 14 nel 2008 a Poznan in Polonia si diceva che pur non avendo raggiunto un nuovo accordo post-2012, erano state poste le basi per metterlo nero su bianco l’anno successivo a Copenaghen. E infatti il Comune di Copenaghen, il governo danese e anche la Commissione europea lanciavano una smisurata campagna di pubblicità e relazioni pubbliche. A “Hopenhagen”, il porto della speranza, sarebbe avvenuto il miracolo di un nuovo trattato. Il mini-accordo non vincolante uscito COP 15 era invece un passo indietro.
L’anno scorso, a Cancùn i risultati sono stati all’altezza delle sfide. Visto i miseri risultati di Durban vedremo come la carovana dei circa 10.000 globetrotter delle trattative climatiche cercheranno di vendere la prossima conferenza nel petrolifero Qatar.
Le risposte ai cambiamenti climatici devono arrivare da altri luoghi, non da conferenze organizzate dalle Nazioni Unite, come la Convenzione quadro sul clima nel 1992 a Rio. Il che non significa che sia inutile, anzi è di grande importanza, lavorare per un nuovo accordo internazionale nei prossimi anni, ma l’accordo e la forma che prenderà saranno il risultato di processi che si svolgono a livello nazionale e più ancora a livello locale.

Il processo internazionale riflette più che altro le dinamiche politiche ed economiche all’interno degli stati nazionali; gli spazi di manovra dei politici che partecipano alle trattative di alto livello sul clima sono definiti dalla costellazione politica interna, dalla stabilità economica e dalle aspettative della popolazione per un benessere futuro. Due anni fa a Copenaghen, il discorso deludente di Obama – quando ancora si aspettava molto dal nuovo presidente progressista – non si doveva alla sua insensibilità verso i cambiamenti climatici, ma al fatto che non aveva allora (né ora) una maggioranza del Senato e della Camera a favore di un trattato internazionale vincolante sul clima.
Nella situazione attuale, la disponibilità dei paesi emergenti a un accordo che metta in discussione i loro obiettivi di sviluppo economico a favore della protezione del clima tende a zero. A Durban sono stati la Cina e l’India a rifiutarsi categoricamente di firmare qualsiasi accordo internazionale vincolante. Il problema l’avete creato voi, esultava con rabbia il ministro indiano all’ambiente, Natarajan, non ci piegheremo alle “minacce dell’Unione europea”, si tratta di una questione di giustizia climatica. E il suo collega Xie con altrettanta veemenza ripeteva che la Cina è un paese in via di sviluppo e deve quindi far crescere la propria economia.
Un’adesione dell’India e della Cina a un trattato internazionale sarebbe pensabile solo se vedessero riduzioni quantificabili dei gas serra nei vecchi paesi industriali e la possibilità concreta di un trasferimento massiccio di tecnologie e di fondi per rendere attuabile uno sviluppo economico teso a un benessere low carbon.
Risiede lì la prospettiva più promettente di combattere i cambiamenti climatici: l’Europa deve continuare a spingere per un accordo internazionale, a far pressione sulla Cina, l’India e gli Stati Uniti, ma deve soprattutto dimostrare a grande scala che benessere, prosperità e innovazione possono accompagnarsi a un forte calo delle emissioni di gas serra.
L’uscita dall’era fossile non può scaturire da conferenze internazionali. Un trattato vincolante ha poche chance mentre tutti sono convinti che ogni ulteriore impegno metta a rischio l’uscita dalle crisi finanziarie ed economiche in atto.
Per la politica i cambiamenti climatici e più in generale la questione ecologica sono diventati marginali. Ma se non si trattasse di nuovi obblighi da subire, bensì di nuove opportunità da cogliere? è questa l’idea della svolta energetica che la Germania ha deciso nell’estate del 2011: abbandonare il carbone che distrugge il clima, uscire dal nucleare e dai suoi rischi di incidente, rinunciare alle materie prime, che comunque finiranno tra pochi decenni, a favore di fonti energetiche rinnovabili. Funzionerà? Se la svolta energetica dovesse fallire, la Germania non sarà più un leader dei paesi industrializzati. Se dovesse riuscire, forse gli accordi internazionali non saranno più tanto importanti.

 

Karl Ludwig Schibel, Alleanza per il clima

16 responses so far

16 Responses to “Le vere risposte alla crisi climatica arriveranno dal basso”

  1. […] dagli eventi meteorologici estremi e dai loro impatti sull’economia e sulle vite umane.  Leggi l’articolo su Climalteranti …. Share this:FacebookStampaEmailLike this:LikeBe the first to like this […]

  2. Mimmo Rossion Dic 19th 2011 at 23:50

    Analisi interessante e condivisibile nella prima parte. Debole il finale: non capisco quali siano le chance che la svolta dal basso tipo Germania possa essere sufficiente. La Germania farà anche la sua rivoluzione, ma il mondo non è la Germania. Cina, India, Brasile, Messico sono messi in modo molto diverso. Non è che alla fine è un bel wishful thinking?

  3. oca sapienson Dic 20th 2011 at 01:25

    @Mimmo Rossi
    Era scritto per la Germania, e un po’ si vede! Comunque si può dire wishful thinking anche di Bill McKibben e quelli di 350 org.
    Forse si illudono. Però pensi ai tetti delle città cinesi fra Shanghai e Guangzhou, con i loro boiler solari, i villaggi in India con 2 milioni di generatori solari*, il Brasile dove le macchine usano almeno un 20% di etanolo, il Messico primo produttore di energia solare d’America Latina e Agua Prieta che non è nemmeno terminata…
    Forse qualcosa sta già cambiando.

    *Nel piano del governo, dovrebbero essere 20 milioni tra dieci anni, non che ci sia da fidarsi troppo, ma il mese scorso ha deciso di investirci il gruppo Tata con International Finance Corp, chissà.

  4. Luci0on Dic 20th 2011 at 10:52

    Il trattato di Kyoto o adesso di Durban non serve a niente serve solo a prenderci in giro e a prendere in giro le popolazioni che vi hanno aderito …é solo pubblicità … Non serve a niente ridurre i gas serra perché questi ultimi causano effetti limitatissimi al clima terrestre insomma tanti denari spesi per niente. La soluzione dei problemi energetici comunque arriverà presto ed é il sistema finanziario che imploderà e la crisi del del denaro facile ci terrà occupati per decenni, non si consumerà più tanto petrolio perché non ci saranno più consumatori perché impoveriti e insolventi .

  5. marina vitulloon Dic 20th 2011 at 11:20

    @Luci0
    condensare in 6 righe tante piccole saggezze non e’ cosa comune.
    1. il trattato (protocollo, ndr) di Kyoto è solo pubblicità (per chi o per cosa?)
    2. non serve a niente ridurre i gas serra perché questi ultimi causano effetti limitatissimi al clima terrestre insomma tanti denari spesi per niente (non stiamoci a chiedere quali sono i riferimenti scientifici di tali affermazioni. mi fermerei piuttosto a capire il perche’ di tale atteggiamento culturale)
    3. La soluzione dei problemi energetici comunque arriverà presto (e questa potrebbe essere una buona notizia, se ci fosse dato sapere come e quando)
    4. il sistema finanziario che imploderà (quindi? conseguenze?)
    ecc. ecc.
    la domanda a Luci0 potrebbe essere:
    qual è lo scopo del suo commento al post?
    – di informarci sugli accadimenti prossimi futuri?
    – di comunicare un personale senso di frustazione?

  6. Paolo C.on Dic 20th 2011 at 12:00

    Quello che continuo a chiedermi è quando e quanto l’inevitabile calo nella disponibilità di combustibili fossili farà sentire i suoi effetti positivi sul clima. Ma forse tale calo giungerebbe troppo tardi, come ipotizzato da alcuni.

    Dovremo quindi auspicare l’eventuale collasso economico globale paventato da Lucio? Siamo messi bene…

  7. Giovanni Dittaon Dic 20th 2011 at 12:04

    non mi aspetto molto da un mondo “globalizzato” che si preoccupa tanto del presente (crisi economica) e poco del futuro (crisi ecologica), mostrando di non capire l’estrema gravità della seconda rispetto alla prima. Mi spiace per gli “amici” di Durban che hanno comunque tentato di portare a casa un risultato.

  8. oca sapienson Dic 20th 2011 at 15:26

    @Giovanni Ditta
    mai aspettarsi molto, ma le crisi eco-climatiche hanno costi economici che cominciano a pesare, rif il rapporto Munich Re. E per la prima metà del 2011, non so se la seconda sia andata meglio.

  9. Mimmo Rossion Dic 20th 2011 at 22:27

    @ Oca sapiens

    si, in Germania ci sono stato il mese scorso per lavoro e anche solo gli alberghi ti fanno capire che all’energia ci pensano; pero’ alla fine viene anche da dire che se la tirano tanto, mi sembra che già l’Italia con il fotovoltaico li ha superati in 3 -4 anni, e loro di carbone ne bruciano parecchio. Una volta avevo guardato il dato delle emissioni pro capite e non erano messi mica cosi’ bene, molto più dell’italia di sicuro. Cioè a me mi pare che fanno anche tanto marketing questi tedeschi. Voglio vedere se dal basso si riesce a toglierci da sotto il sedere i bei mercedesoni, magari li fanno elettrici, ma prima che le auto elettriche le fanno i cinesi e gli indiani, un bel paio di gradi non ce li leva nessuno, no? ciao

  10. Luci0on Dic 20th 2011 at 23:33

    @marina vitullo

    1) Pubblicità tipo uno spot della coca cola … lo scopo é vendere qualcosa ad esempio Emission Trading http://en.wikipedia.org/wiki/Emissions_trading.

    2) Dagli anni 50 la CO2 é sempre aumentata mentre la temperatura del nostro pianeta non ha seguito i trend di crescita delle emissioni. Negli ultimi tre anni sembra che il riscaldamento globale si sia rallentato … quindi i cosìdetti “gas serra” non provocano tutte le catastrofi di cu sono accusati. La teoria dell’ effetto serra é molto difettosa … o totalmente errata.
    Da questo grafico si può notare la scarsa correlazione tra temeratura globale ed concentrazione della CO2 atmosferica .
    http://www.climate4you.com/images/AllCompared%20GlobalMonthlyTempSince1958%20AndCO2.gif

    3) La soluzione che non é una soluzione ma un dato di fatto le economie mondiali sono in crisi é previsto una frenata e quindi una stasi dei consumi. Non metto un link perché mi sembra sia scontato…

    4) Stiamo vivendo un periodo molto critico in Italia … basterebbe una settimana di sciopero generale per annichilire gli sforzi del governo Monti per salvare le banche e i patrimoni finanziari ( non l’ Italia quindi ) .. in una settimana i sindacati potrebbero provocare una crollo dei titoli di stato spread alle stelle euro massacrato ed Europa distrutta ecomomia globale a pezzi … manca una settimana al disastro tanto per capirsi … e continueremo a vivere con questa spada di damoche fino a che esisterà questo euro.

    Spero di aver chiarito i tuoi dubbi.

  11. Stefano Caserinion Dic 21st 2011 at 16:21

    @ Mimmo
    Concordo che la Germania è troppo piccola e il suo esempio non ha per forza valenza globale; anche io sono scettico su quanto le azioni dal basso possono davvero riuscire a contrastare un problema che origina dalla richieste di accesso all’energia anche per servizi primari da centinaia di milioni di persone, molte di queste povere: a mio parere per avviare una rivoluzione energetica che riguarda anche i paesi più poveri o quelli da lei elencati, sono fondamentali politiche industriali e di ricerca e sviluppo su vasta scala

    @ Lucio
    Non capisco perché si ostina a inserire nei commenti argomenti fuori tema.
    Il legame fra CO2 e temperatura non è oggetto di questo post; in ogni caso è una delle tante tesi a cui la scienza ha dato risposta da tempo, l’argomento da lei usato lo trova già nelle nostre FAQ, è la T20 qui https://www.climalteranti.it/faq/temperature/

  12. oca sapienson Dic 21st 2011 at 18:52

    @Mimmo Rossi
    Qualsiasi cosa facciano i tedeschi, visto l’aumento di mezzo grado in trent’anni temo anch’io che 2 gradi non ci li tolga nessuno!

    @Luci0
    Che catastrofismo. Per fortuna, una crisi finanziaria locale non equivale a “una crisi delle economie mondiali” e la loro moneta di riferimento non è l’euro.

  13. marina vitulloon Dic 22nd 2011 at 09:35

    @ Lucio
    Sinceramente un commento cosi’ e’ disarmante. Nel senso che gli argomenti sono, a dir poco, fuori tema. La invito a leggere qualche approfondimento sui temi che lei cita, a cominciare dal link che le segnalava Caserini. Mi permetto di suggerire inoltre una lettura generale delle nostre FAQ (https://www.climalteranti.it/faq/), da cui potra’ trarre interessanti spunti di riflessione.

  14. Luci0on Dic 23rd 2011 at 18:38

    Colgo l’ occasione di fare gli Auguri di Buon Natale a tutti !!
    Visto che cancellate tutti post … cancellare anche questo …

  15. Karl-Ludwigon Dic 23rd 2011 at 19:35

    L’altro giorno “l’esempio della Germania” era sulla copertina di Qual Energia. Non mi entusiasma citare questo paese come esempio, però in questo momento non esiste altro che persegua con tale coerenza l’uscita da un’economia e una società fossile. È vero, quantitativamente non fa una grande differenza a livello globale, come sottolineano giustamente Mimmo e Stefano e non è questo il punto. Se l’uscita della Germania dal fossile entro la metà del secolo dovesse riuscire, sarà una dimostrazione di poter mantenere un alto livello di servizi energetici con le energie rinnovabili e l’efficienza energetica. Nella misura in cui gli altri paesi europei condivideranno queste scelte diventeranno un modello da seguire. Funzionerà? Tutto da vedere, però l’argomento vuole spostare l’attenzione dalla fissazione sul processo internazionale e un modello di trasformazione impostata sugli oneri (burden sharing), sugli obblighi, sulle sanzioni che finora non ha dato segni di funzionare e con buona probabilità non funzionerà neanche in futuro alle opportunità di un nuovo modello di sviluppo post fossile.

  16. Paolo Gabriellion Dic 27th 2011 at 02:33

    Anch’io sono convinto che per funzionare, il processo di decarbonizzazione del pianeta debba necessariamente partire dal basso e poi, al limite, essere guidato.

    In un mondo che sta cambiando cosi’ velocemente, penso che sia probabile che la lentezza del processo negoziale verra’ surclassata da eventi socio-economici e/o eventi naturali al momento imprevidibili ma ad altissimo impatto a livello mondiale e che stimoleranno un’azione bottom-up. Questo non vuol dire che i negoziati non debbano continuare, anzi, ma solo che alla fine, e’ probabile che ben altri saranno i drivers di una delle piu’ grandi svolte nella storia umana ovvero la decarbonizzazione del pianeta.

    Se penso ad esempio alla piu’ grande rivoluzione nell’ambito della comunicazione, ovvero internet, questa e’ stata un tipico processo partito dal basso e che non ha avuto bisogno di alcun accordo iniziale per partire. Ha funzionato e basta. L’introduzione di internet e’ stato un processo democratico? Ma, direi proprio di no… ma che importa se alla fine funziona e tutti possiamo trarne benefici?

Translate