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Tanto rumore per il metano

Pubblichiamo la traduzione di un importante post di Realclimate che riguarda il metano, un potente gas serra che rispetto ad altri spaventosi elementi della storia del clima ha anche l’impressionante potere di terrorizzare la gente.

Di quale metano stiamo parlando?

Le principali riserve di metano si trovano nei sedimenti oceanici, congelate in depositi di idrato o clatrato (Archer, 2007). La quantità totale di metano contenuto negli idrati oceanici è piuttosto limitata ma potrebbe competere con quella di tutti gli altri combustibili fossili messi insieme. La maggior parte di questo metano è difficile da estrarre per produrre carburante, e soprattutto si trova così in profondità  nella colonna di sedimenti che ci vorrebbero migliaia di anni di riscaldamento antropogenico per raggiungerlo. L’Artico è un caso particolare perché  la colonna d’acqua è più fredda rispetto alla media globale, perciò l’ idrato può essere trovato ad una profondità marina di circa 200 metri.

Sulla terraferma, il metano si trova in abbondanza nelle zone artiche soggette al decongelamento, sotto forma di laghi che erompono Questo metano è probabilmente prodotto dalla decomposizione della materia organica dopo il decongelamento. Il metano può congelare e trasformarsi in idrato solo a profondità superiori a qualche centinaio di metri nel terreno, e inoltre solo se soggetto a “pressione litostatica”, non  “idrostatica”, nel senso che l’idrato deve essere separato dall’atmosfera da qualche strato impermeabile. Si ipotizza che i grandi giacimenti di gas in Siberia siano in parte congelati, ma le prove per dimostrare che l’idrato si possa formare anche attraverso lo strato di permafrost sono piuttosto deboli (Dallimore e Collett, 1995)

 

Il metano fuoriesce a causa del riscaldamento globale?

Ci sono state osservazioni di bolle provenienti dal fondale marino nell’Artico (Shakhova, 2010; Shakhova et al., 2005) e al largo della Norvegia (Westbrook, 2009). Il “pennacchio” di queste bolle in Norvegia coincide con il limite della zona di stabilità dell’idrato, laddove un piccolo aumento della temperatura può rendere instabili i sedimenti superficiali. Un modello di idrati (Reagan, 2009) produce una scia di bolle simile a ciò che è stato osservato in risposta al tasso di riscaldamento degli oceani rilevato negli ultimi 30 anni, quando si estrapola lo stesso tasso a ritroso negli ultimi 100 anni. Nel modello, il tempo di risposta è di diversi secoli, quindi considerare anche il riscaldamento più antico, come hanno fatto, rende difficile anche solo ipotizzare quanto del loro risultato possa essere attribuito al riscaldamento causato dall’uomo, anche se sapessimo in quale misura il riscaldamento degli oceani negli ultimi 30 anni in quella zona sia dovuto all’attività umana.


I laghi  creano una via di fuga per il metano attraverso dei “bulbi di disgelo” nel terreno sottostante, e appaiono e scompaiono un po’ ovunque nella regione artica quando il permafrost si scioglie. (L’emissione di CO2 o di una miscela di CO2 e metano dipende fondamentalmente dall’acqua, perciò i laghi sono importanti anche per questo motivo.)

Bolle di metano bloccate all’interno del ghiaccio di un lago congelato in Alaska

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ancora non ci sono robuste prove che i flussi di metano siano aumentati a causa del riscaldamento antropogenico. Ma è sicuramente un’ipotesi credibile, almeno entro il prossimo secolo, il che ci porta alla prossima domanda:

 

Quale effetto avrebbe un rilascio di metano nell’atmosfera sul clima?

L’impatto sul clima varia se il metano viene rilasciato tutto in una volta, più velocemente rispetto al suo ciclo di vita nell’atmosfera (circa un decennio), oppure attraverso un rilascio graduale e prolungato.

Se il metano verrà rilasciato costantemente, nel corso di decenni, la concentrazione nell’atmosfera salirà fino a raggiungere un nuovo valore di equilibrio. Non crescerà all’infinito, come potrebbe fare la CO2, poiché il metano si degrada mentre essenzialmente la  CO2 si accumula soltanto. Il metano si degrada in CO2 e alcune simulazioni che ho fatto (Archer e Buffett, 2005)  dimostrano infatti che il “forcing radiativo” dovuto ad una elevata concentrazione di metano in un processo di lungo rilascio è comparabile con quello dato dalla CO2  – che si crea in eccesso nell’atmosfera – dal metano come fonte di carbonio. Nella figura sottostante, le linee tratteggiate sono ottenute da una simulazione di rilascio di CO2 da combustibili fossili, mentre le linee continue sono dello stesso modello ma con aggiunto il feedback dall’idrato di metano. Il  “forcing radiativo” del metano si combina con lo stesso CH4 che persiste solo durante il periodo del rilascio del metano, più l’aggiunta di CO2 nell’atmosfera che persiste per tutta la simulazione lunga 100.000 anni.

L’ipotesi di un rilascio catastrofico è, naturalmente, ciò che dà al metano il suo potere di scatenare l’immaginazione ( in particolare dei giornalisti, a quanto pare). Una frana sottomarina potrebbe rilasciare una gigatonnellata di carbonio sotto forma di metano (Archer, 2007), ma l’effetto ”radiativo”  sarebbe scarso, simile, per magnitudine (ma di segno opposto) al ” forcing radiativo” di un’eruzione vulcanica. Percepibile forse, ma con ogni probabilità non determinerà la fine della specie umana.

 

Cosa potrebbe accadere al metano nell’Artico?

Le bolle di metano provenienti dalla piattaforma siberiana sono parte di un sistema che richiede secoli per rispondere ai cambiamenti di temperatura. Anche il metano proveniente dai laghi artici contribuisce potenzialmente ad un nuovo, accresciuto e cronico rilascio di metano in atmosfera. Nessuno dei due è in grado di rilasciare una catastrofica quantità di metano (centinaia di miliardi di tonnellate) in un breve intervallo di tempo (qualche anno o meno). Non ci sono gigantesche bolle di metano pronte ad uscire non appena il loro tetto di scioglie.

E finora le sorgenti di metano alle alte latitudini sono modeste rispetto ai grandi protagonisti che sono le zone umide nei climi più caldi. E’ difficile identificare se le bolle sono una nuova sorgente di metano causata dal riscaldamento globale, ovvero una risposta al riscaldamento avvenuto negli ultimi 100 anni, o se scie di bolle di questo tipo si producono continuamente. In ogni caso, non ha molta importanza a meno che non aumentino di 10 o 100 volte visto che le sorgenti alle alte latitudini sono modeste rispetto ai tropici.

 

Il metano come killer del passato?

Estinzioni di massa come quella della fine del Permiano e la PETM tipicamente lasciano degli affascinanti picchi negli isotopi del carbonio contenuti nei calcari e nel carbonio di origine organica. Il metano ha una firma isotopica, per cui ogni suo evento dirompente sarebbe registrato negli isotopi del carbonio, ma altrettanto farebbero i cambiamenti nell’ambito della biosfera, gli accumuli di carbonio del suolo come le torbiere, e il carbonio organico disciolto negli oceani. L’estinzione della fine del Permiano è ancora avvolta nel mistero e la mia impressione è che l’agente scatenante sia lungi dall’essere svelato.

Il metano è anche uno dei soliti sospetti per il PETM (il massimo termico tra Paleocene ed Eocene), caratterizzato da 100.000 anni di carbonio isotopicamente leggero che si pensa sia dovuto al rilascio di qualche sorgente di carbonio di origine biologica. Così come la CO2 dei combustibili fossili sta oggi alleggerendo gli isotopi del carbonio nell’atmosfera, in concomitanza con temperature realmente più elevate. Personalmente credo che la combinazione tra isotopi del carbonio e paleotemperature escluda quasi del tutto il metano quale sorgente originale di carbonio (Pagani et al., 2006), sebbene Gavin Schmidt arrivi a una conclusione opposta, che potremo approfondire in un prossimo post. In ogni caso, una durata del riscaldamento pari a 100.000 anni sta a indicare che nella maggior parte degli eventi l’agente serra fosse CO2, non metano.

 

Può verificarsi un feedback fuori controllo dovuto al metano?

Quello che i planetologi e i climatologi solitamente chiamano “effetto serra fuori controllo” (runaway greenhouse effect) coinvolge il vapore acqueo. Un effetto serra fuori controllo che coinvolga il rilascio di metano (come quello menzionato qui) è concettualmente possibile; tuttavia, per avere un picco della concentrazione di metano nell’aria, si dovrebbe avere un rilascio di metano più veloce del tempo di dimezzamento del metano stesso nell’atmosfera (dieci anni). Altrimenti stiamo solo parlando di elevate concentrazioni di metano, che riflettono l’aumento della fonte, più la forzante radiativa della CO2 che si sta accumulando. Non si avrebbe quindi un effetto serra da metano fuori controllo ,ma un fenomeno simile a un qualsiasi altro rilascio di carbonio sotto forma di CO2 nell’atmosfera. Sembra che stiamo facendo della semantica, ma in realtà questo ragionamento colloca il sistema metano nel contesto del sistema CO2, al quale il metano stesso appartiene e nel quale possiamo inquadrarlo.

Pertanto potrebbe accadere che entro la fine del nostro secolo, in uno scenario ragionevole, forse 2000 Gton di carbonio potrebbero essere rilasciate dalle attività umane in una sorta di scenario “business-as-usual”, e nel peggiore dei casi altre 1000 Gton di carbonio potrebbero venire dal suolo e dal rilascio di idrato di metano. Abbiamo costruito un modello dell’effetto serra fuori controllo dovuto al metano nel quale l’inventario dell’idrato di metano contenuto negli oceani risponde al cambiamento di temperatura dell’oceano su una certa scala temporale, e la temperatura risponde alle concentrazioni dei gas serra nell’aria su un’altra scala temporale (di circa un millennio) (Archer and Buffet, 2005). Se gli idrati rilasciassero troppo carbonio, diciamo due unità di carbonio dagli idrati per ogni unità di carbonio dai combustibili fossili, su una scala temporale troppo veloce (per esempio 1000 anni anziché 10.000) il sistema finirebbe fuori controllo nella modalità di effetto serra da CO2 descritta sopra. Non importerebbe più di tanto se il carbonio ha raggiunto l’atmosfera come metano o se si è semplicemente ossidato a CO2 nell’oceano e poi si è parzialmente degassato nell’atmosfera alcuni secoli più tardi.

Il fatto che i dati ottenuti dalle carote di ghiaccio non siano pieni di picchi di metano dovuti alle sorgenti delle alte latitudini fa ragionevolmente supporre che il mondo reale non sia poi così sensibile come lo è il modello che abbiamo costruito. Da qui proviene la mia ipotesi, descritta nel precedente paragrafo, sullo scenario peggiore di 1000 Gton di carbonio dagli idrati di metano dopo 2000 Gton di carbonio dai combustibili fossili.

D’altronde in uno scenario business-as-usual l’oceano profondo potrebbe alla fin fine (dopo un migliaio di anni o giù di lì) riscaldarsi di molti gradi e diventare più caldo di quanto lo sia stato in milioni di anni. Poiché sono necessari milioni di anni per la formazione degli idrati, questi devono aver avuto un tempo sufficientemente lungo per formarsi in risposta al relativo freddo della Terra degli ultimi 10 milioni di anni circa. Inoltre, la forzante climatica dovuta al rilascio di CO2 è più forte adesso di quanto lo fosse milioni di anni fa quando i livelli di CO2 erano più alti, a causa dell’effetto di saturazione di banda della CO2 come gas serra. In breve, se sia mai stato un buon momento per provocare lo scioglimento degli idrati di metano, questo momento sarebbe adesso. Ma “adesso” in un senso geologico, cioè sull’arco di migliaia di anni futuri, non “adesso” sulla scala dei tempi umani. Gli idrati di metano negli oceani, insieme alle torbiere permanentemente gelate (che non ricevono mai sufficiente riguardo), potrebbero essere un importante fattore moltiplicativo della lunga coda della CO2, ma probabilmente non un attore fondamentale del cambiamento climatico nel secolo a venire.

Potrebbe il metano rappresentare un punto di non ritorno?

In verità, ammesso ne esista uno, il punto di non ritorno è il rilascio di CO2. L’unico modo per tornare ad un clima naturale in un tempo comparabile a quello di una vita umana sarebbe quello di estrarre la CO2 dall’atmosfera tramite la geoingegneria. La CO2 che è stata assorbita negli oceani tornerà in parte in atmosfera sotto forma di gas, quindi dovremmo ripulire anche questa. E se gli idrati o le torbiere aggiungessero ulteriore carbonio in atmosfera, dovremmo includerlo nel conto, un po’ come pagare gli interessi su un prestito.

 

Conclusioni

Amici, è la CO2.

 

Referimenti

  1. D. Archer, “Methane hydrate stability and anthropogenic climate change”, Biogeosciences, vol. 4, 2007, pp. 521-544. DOI.
  2. N. Shakhova, I. Semiletov, I. Leifer, A. Salyuk, P. Rekant, and D. Kosmach, “Geochemical and geophysical evidence of methane release over the East Siberian Arctic Shelf”, Journal of Geophysical Research, vol. 115, 2010. DOI.
  3. N. Shakhova, “The distribution of methane on the Siberian Arctic shelves: Implications for the marine methane cycle”, Geophysical Research Letters, vol. 32, 2005. DOI.
  4. G.K. Westbrook, K.E. Thatcher, E.J. Rohling, A.M. Piotrowski, H. Pälike, A.H. Osborne, E.G. Nisbet, T.A. Minshull, M. Lanoisellé, R.H. James, V. Hühnerbach, D. Green, R.E. Fisher, A.J. Crocker, A. Chabert, C. Bolton, A. Beszczynska-Möller, C. Berndt, and A. Aquilina, “Escape of methane gas from the seabed along the West Spitsbergen continental margin”, Geophysical Research Letters, vol. 36, 2009. DOI.
  5. M.T. Reagan, and G.J. Moridis, “Large-scale simulation of methane hydrate dissociation along the West Spitsbergen Margin”, Geophysical Research Letters, vol. 36, 2009. DOI.
  6. D. Archer, “Time-dependent response of the global ocean clathrate reservoir to climatic and anthropogenic forcing”, Geochemistry Geophysics Geosystems, vol. 6, 2005. DOI.
  7. M. Pagani, K. Caldeira, D. Archer, and J.C. Zachos, “ATMOSPHERE: An Ancient Carbon Mystery”, Science, vol. 314, 2006, pp. 1556-1557. DOI.

 

 

Traduzione di: Luciana Carotenuto, Aurora D’Aprile

Revisione di: Riccardo Reitano, Simone Casadei, Sylvie Coyaud

Post originale di David Archer su Realclimate, qui

24 responses so far

24 Responses to “Tanto rumore per il metano”

  1. alex1on Mar 13th 2012 at 00:25

    su questo post leggevo:

    “La maggior parte di questo metano è difficile da estrarre per produrre carburante, e soprattutto si trova così in profondità nella colonna di sedimenti che ci vorrebbero migliaia di anni di riscaldamento antropogenico per raggiungerlo.”

    non ho capito il senso.. scavare molto in profondità fa fare piu fatica alle trivelle e queste emettono più co2 che a sua volta riscalda il pianeta e dopo 2000 anni di scavo raggiungiamo il metano? boh .. non è chiaro il concetto..

    poi un’altra cosa:” la co2 si accumula soltanto”

    ah si? nessuno su questa terra è in grado di farla regredire? quindi una volta prodotta ce la teniamo cosi com’è la percentuale? oppure ci sono sistemi di feedback che riescono a ridurla come il raffreddamento degli oceani e l’aumento della superficie verde?

    poi un altra domanda , vi siete mai posti come possibilità quella che lo scioglimento dei ghiacci artici possa essere accelerato da un aumento del vulcanismo sottomarino sottostante?

    la escludete a priori?

  2. Stefano Caserinion Mar 13th 2012 at 08:17

    @ Alex

    1) è difficile da estrarre perchè è in profondità; e per lo stesso motivo è difficile da raggiungere dal riscaldamento globale.

    2) gli assorbimenti di oceani e della biosfera sono ben noti, certamente a David Archer che ha scritto il post di RC, uno dei massimi esperti in materia. Archer sta parlando di un accumulo nell’intero sistema, e intende dire che i processi di rimozione definitiva della CO2 hanno tempi molto più lunghi. Le consiglio al riguardo il libro di Archer The Lonh Thaw, http://press.princeton.edu/titles/8719.html, uno dei più bei libri sulla scienza del clima. I capitoli 8 9 e 10 parlano di questo.

    3) niente viene escluso a priori, ma sulla base di dati e della valutazione delle diverse spiegazioni. Non è certo una tesi nuova, ne abbiamo parlato qui https://www.climalteranti.it/2010/02/20/una-storia-semplice/

  3. Claudio Cassardoon Mar 13th 2012 at 10:26

    @ Alex
    2) nel passato, la CO2 è stata rimossa da oceani ed atmosfera grazie alla trasformazione in carbonati di calcio, o comunque in carbonati; parte della biosfera marina (anche il plancton) costruisce scheletri fatti da carbonati che poi, dopo la morte, sedimentano sui fondali marini lasciando uno spesso strato di carbonati (le bianche scogliere di Dover che si vedono dall’aereo si sono formate così); come si può immaginare, date le dimensioni del plancton, un processo simile richiede parecchio tempo, ma alla fin fine è uno dei pochi modi (forse l’unico) che ha l’ecosistema terrestre per rimuovere la CO2 in eccesso.

  4. Riccardo Reitanoon Mar 13th 2012 at 13:25

    Il problema della CO2 rispetto al metano coincide in parte con il problema della CO2 stessa: per quanto tempo permane l’anomalia di concentrazione? La risposta è nota e ben visibile nell’ultimo grafico. Non c’è quindi dubbio che il problema su tempi lunghi è la CO2.

    Nel post precedente si è parlato della mitigazione a breve. Qui il metano gioca invece un ruolo importante. Credo quindi che quando si trattano questi problemi la scala temporale a cui ci si riferisce deve essere chiara.

  5. alex1on Mar 13th 2012 at 15:30

    @stefano, grazie delle risposte..

    in chiave di corsa ai ripari per le riduzioni delle emissioni a breve, a lungo, a medio, propongo la lettura di questo articolo che ritengo aberrante, surreale, pazzesco..

    se queste sono le soluzioni alla riduzione dei gas serra, siamo alla fine.. spero sia uno scherzo..

    http://wattsupwiththat.com/2012/03/13/climate-craziness-of-the-week-eugenics-is-making-a-comeback-with-climate-optimized-human-engineering/

    “avere la vista di un gatto, può far ridurre la quantità di luce necessaria all’illuminazione….”

    spero che il nostro sole si sbrighi a dare una risposta certa, inequivocabile, a tutti gli interrogativi che ancora non sono risolti, quale la sensibilità climatica dei gas serra e la loro non influenza sulle temp medie globali , così mettiamo fine a tutto il dibattito che crea solo nuove forme ideologie e fondamentalismi pericolosi..

  6. Riccardo Reitanoon Mar 13th 2012 at 19:18

    alex1
    non vedo perché tu debba ascoltare di più un professore di filosofia e bioetica piuttosto che climatologi ed esperti di problemi ambientali ed energetici. Comunque, bisogna sempre leggere bene e dalla fonte originale. Infatti la tua fonte si conferma tanto per cambiare del tutto inattendibile. Omette guardacaso di dire che “Liao is keen to point out that the paper is not meant to advocate for any particular human modifications, or even human engineering generally”. Cioé non è una proposta, è una discussione, appunto, di filosofia e bioetica. La tua fonte distorce i fatti per adattarli al propio schema mentale. Sorprende davvero che ci sia ancora qualcuno che ci faccia affidamento.

    Sul sole, chissà che non sia la volta buona, ci ha appena regalato uno splendido quanto misterioso triangolo. 🙂

  7. alex1on Mar 13th 2012 at 23:55

    @riccardo:

    il sole fino a maggio farà fuoco e fiamme.. poi.. purtroppo, ritornerà a dormire per molti anni..

    regalandoci un lento ma inesorabile raffreddamento nonostante tutti i nostri sforzi climalteranti…

  8. claudio della volpeon Mar 14th 2012 at 08:15

    alex1 dato che non porti nessun riscontro alle tue affermazioni apodittiche si tratta solo di fede; bene, se malauguratamente le tue credenze risultassero false ti consiglierei un pellegrinaggio a piedi fino al laboratorio di hansen (attraversare l’atlantico a nuoto, che per voi è niente) in mancanza fino allo studio di stefano caserini? stefano preparerà un santino, l’immagine di hansen arrestato davanti alla quale il neghsta alex1 reciterà mille volte la preghiera del neghista pentito: accidenti che caldo! accidenti che caldo!……

  9. alex1on Mar 14th 2012 at 09:35

    perchè il riscontro alle affermazioni invece apocalittiche, di innalzamenti (non avvenuti) del mare, sparizione atolli, scioglimento dei ghiacci ,conferme sulla mazza da Hockey , orsi alla deriva, desertificazione del sud italia, ecc ecc ecc ..ci sono stati? ( se non quelli dovuti ad aventi naturali e ciclici che hanno sempre fatto parte della nostra storia)

    allora cosa facciamo se le mie affermazioni dovessero risultare reali? mi sa che la posizione peggiore sia la vostra, perchè io almeno non ho “titoli” per parlare, quindi posso essere un semplice osservatore opinionista, che basa le sue ipotesi solo sulla propria esperienza personale e da l’intuito, ma chi fa il climatologo di mestiere cosa farà se avrò ragione io?

    il santino lo deve portare all’ufficio di collocamento mi sa 🙂

  10. Paolo C.on Mar 14th 2012 at 10:35

    @alex1

    Dovrebbe solo vergognarsi.
    Vada a studiare, invece di scrivere castronerie.

  11. Stefano Caserinion Mar 14th 2012 at 10:37

    @ Alex1

    noto che continua senza motivo a proporre argomenti fuori tema, anche quando non c’entrano nulla.
    Questo è un post che riguarda un tema chiaro e importante, se non ha voglia di leggerlo o se non le interessa non è obbligato a scrivere commenti.
    Non è la prima volta che questo accade, per questo motivo alla prossima violazione sarà escluso dalle discussioni di questo blog come previsto dalla regola 7 della netiquette.
    https://www.climalteranti.it/netiquette/

  12. Cristinaon Mar 15th 2012 at 08:18

    Mi par di capire che il problema vero è che la CO2 una volta messa nell’aria fa fatica ad andarsene. é una cosa che non avevo mai visto spiegata con questa chiarezza, forse si dovrebbe insistere più su questo

  13. Cristinaon Mar 15th 2012 at 08:20

    Aggiungo: se è cosi’ allora non è che gli assorbimenti temporanei, come quelli delle foreste, non valgono molto, perchè non sequestrano per sempre la CO2?

  14. Giorgio Verdeon Mar 15th 2012 at 10:58

    Ringrazio per aver tradotto questo articolo, che penso sia molto interessante. Riassumo inoltre quanto ho capito (e condivido) delle posizioni che invece ritengono che il metano sia un problema grave e potenzialmente urgente:

    Stranamente, il dott Archer conclude che il Ch4 non desta preoccupazioni dopo aver elencato degli eventi possibili ed aver mostrato una serie di grafici che si ritengono preoccupanti. In dettaglio:

    1) il dott. Archer dice che se gli idrati di metano si stanno sciogliendo è ancora a causa della fine dell’ultima glaciazione e non a causa della lenta propagazione delle temperature piu’ alte verso il fondo marino.

    Questo posizione è ragionevole, ma dovrebbe destare allarme: finora il mare artico è stato sempre coperto dai ghiacci e è stato un mare “fermo”, dove per millenni le temperature sono rimaste stratificate più alte in superficie e più basse verso il fondo. Con lo scioglimento dei ghiacci i potentissimi venti artici hanno la possibilità di rimescolare le acque, accelerando tantissimo la propagazione del calore verso il fondo. Inoltre (aggiungo io, ma non vorrei sbagliarmi) le acque della corrente del Golfo, con il rallentamento dell’affondamento vicino alla Groenlandia, hanno recentemente la tendenza a spingersi piu a nord-est, e a contribuire ulteriormente al riscaldamento e rimescolamento.

    Che gli idruri siano molto vicini al punto di scioglimento lo confermano misure prese sul fondo marino. Cio’ è coerente con la teoria che dalla fine della glaciazione tutti gli idruri che potevano sciogliersi si sono già sciolti. Ma allora, se gli idruri sono nelle quantità che si pensa e superficiali una grande quantità di essi è molto vicina al punto di scongelamento e un piccolo segnale termico puo’ provocare grandi fuoriuscite di metano. Quest’anno inoltre è stata misurata nel mare artico un’anomalia (superficiale, credo) di +4 gradi.

    2) Il Dott. Archer sembra condividere la possibilità di queste grandi fuoriuscite di metano, ma non se ne preoccupa perchè su scale di tempo lunghe il metano praticamente non ha effetto. A supporto porta delle simulazioni con una base dei tempi di migliaia di anni dove effettivamente su tempi lunghi il metano non ha un effetto significativo rispetto alla Co2. A scale di tempi di 50 anni invece un rilascio catastrofico di metano avrebbe un effetto molto significativo, presumo. Una simulazione climatica su queste scale temporali sarebbe piu’ significativa

    Il problema è proprio la scala dei tempi. Se tra 30000 anni possiamo pensare che una gassificazione catastrofica degli idruri non avrà piu’ questi grandi effetti, per l’economia e la situazione sociale e politica dell’umanità questi tempi potrebbero essere un po’ lunghetti. E’ la velocità di un eventuale rilascio (cronico o catastrofico) il punto del contendere.

    3) Il dott. Archer condivide la possibilità di rilascio catastrofico, ma dice che l’effetto sarebbe simile ma di segno opposto ad una eruzione vulcanica e quindi un effetto passeggero. In un sistema dove potremmo essere vicini a una serie di “tipping point”, punti di transizione, un picco di temperatura e di forcing come quelli mostrati nei grafici dello stesso dott. Archer potrebbe innescarli. Il problema non è l’effetto finale su un sistema dinamico lineare, come sembra essere il modello del Dott. Archer ma l’effetto di un picco transiente su un sistema fortemente non lineare.

    4) (non ricordo la fonte, non ho visto modelli e simulazioni ma credo che sia corretto) I rilasci di metano correnti vengono rapidamente riassorbiti perchè, se non sbaglio, reagiscono con l’ozono atmosferico. Un rilascio catastrofico saturerebbe questo meccanismo facendo si che il metano permanga molto piu’ al lungo prima di venire degradato a Co2. Inoltre il conseguente buco nell’ozono favorirebbe danni a vegetazione e plankton, rallentando quindi anche il riassorbimento di Co2 e la produzione vegetale globale. Non vorrei sbilanciarmi siccome non sono un’esperto, ma credo che questo favorierebbe anche zone morte nell’oceano e vari fenomeni associati al PETM.

    Purtroppo quindi l’articolo del dott. Archer non è sufficiente a tranquillizzarmi.

  15. claudio della volpeon Mar 15th 2012 at 12:02

    idrati di metano non idruri, gli idruri sono sali in cui lo ione negativo è l’idrogeno H-, mentre gli idrati di metano sono composti in cui il metano occupa i vuoti le gabbie dell’acqua “tipo-ghiaccio”

  16. stephon Mar 15th 2012 at 12:03

    @alex1
    “io almeno non ho “titoli” per parlare, quindi posso essere un semplice osservatore opinionista, che basa le sue ipotesi solo sulla propria esperienza personale e da l’intuito, ma chi fa il climatologo di mestiere cosa farà se avrò ragione io?”
    Un po’ come il semplice osservatore opinionista senza “titoli” che va dal medico pretendendo di spiegargli diagnosi e prognosi sulla sua malattia. Forse è meglio recarsi dallo psicologo, a ‘sto punto.
    Sono abbondantemente OT, ma ci tenevo a segnalare come non sia difficile disfarsi di certe fuffe scritte da certi “osservatore opinionisti senza titoli” che adorano osservare la piattezza della terra dal loro oblò del Titanic. Basta impostare su [Mode “Ignora” = ON].
    Balli pure, sir alex1, continui pure a ballare. Per me lei non esiste più.
    Ad un’altra occasione.
    Bye.

  17. stephon Mar 15th 2012 at 12:49

    @Cristina
    su foreste e CO2, se le interessa, ho scritto un post sul mio blog:
    http://climafluttuante.blogspot.com/2010/03/foreste-di-cristallo_22.html

    @Giorgio
    osservazioni molto interessanti. Concordo soprattutto quando dice che ” Il problema non è l’effetto finale su un sistema dinamico lineare, come sembra essere il modello del Dott. Archer ma l’effetto di un picco transiente su un sistema fortemente non lineare.”
    Ma penso anche che Archer ne tenga cmq conto (per quel che ho letto), forse in un sintetico post per RC è difficile spiegare bene il tutto.
    Un’interessante intervista radio:
    http://www.youtube.com/watch?v=dqZHNFB3wIM
    e, collateralmente, le sue 23 lezioni online dal canale dell’UChicago:
    http://www.youtube.com/user/UChicago/videos?query=David+Archer

    La sua osservazione numero 4 andrebbe approfondita. Non credo che il metano abbia un grande effetto sulla concentrazione di ozono stratosferico, molto di più possono i gas clorurati. In ogni caso, il metano tende ad ossidarsi e a reagire in bassa stratosfera producendo vapore, un gas serra reattivo in troposfera che però, in traccia, in bassa stratosfera produce un non indifferente forcing radiativo positivo.
    http://www.skepticalscience.com/role-of-stratospheric-water-vapor-in-global-warming.html
    http://www.realclimate.org/index.php/archives/2012/01/an-arctic-methane-worst-case-scenario/

  18. Riccardo Reitanoon Mar 15th 2012 at 13:28

    Giuseppe Verde
    io non credo che Archer volesse tranquillizzare riguardo ad un rilascio catastrofico di metano. A me sembra che il suo obiettivo sia stato quello di ridimensionare l’idea che un eventuale rilascio causerebbe un riscaldamento fuori controllo.
    Da notare che non è una frangia marginale a lanciare l’allarme. Un gruppo di scienziati, fra cui nomi noti come Ken Caldeira, Peter Wadhams e Natalia Shakhova, ha fondato l’Arctic Methane Emergency Group propio su questo.

  19. alex1on Mar 15th 2012 at 20:14

    @steph

    lei fà dei passaggi veramente particolari..

    sto spiegando al medico che non sono malato, anche se lui sostiene di si, e quindi quello che cerco di spiegargli che tutte le sue diagnosi-prognosi ,CURE, non servono a nulla..

    e che gli acciacchi che ogni tanto mi vengono è normale che sia così..

    avete inventato un problema per vendere la cura..

    non ci riuscirete..si fidi..

  20. oca sapienson Mar 15th 2012 at 22:18

    @Riccardo
    Giorgio Verde aveva già segnalato l’Emergency Arctic ecc. Quelli spingono per la geo-ingegneria, ma ci sono montagne di obiezioni. Timeo Caldeira et solfati…

  21. Giorgio Verdeon Mar 18th 2012 at 09:50

    @oca sapiens
    resto anche io convinto che il miglior geo-engineering sia una gestione dei territorio mirante alla cattura co2/aumento albedo (verde dappertutto dove si puo’, tetti bianchi (o giardini pensili o pannelli solari… viali alberati invece di strade (nere) nude).
    Purtroppo sono interventi lenti che richiedono volontà politica e investimenti pubblici, mentre ridurrebbero la disoccupazione. Invece (come specie Homo insapiens-insapiens) ci stiamo muovendo nella direzione esattamente opposta.

    La mia preoccupazione è che la politica dello denial-struzzo (ora) e la imprevista velocità dei cambiamenti una volta superate certe soglie (temo presto) portino la situazione ad essere del tutto ingestibile. Tenendo anche conto che le società moderne sono potenti solo fino a quando i sistemi che le rendono tali restano integri (vedi Giappone immediatamente dopo lo tsunami.. un esempio di impotenza di una delle piu’ progredite civiltà industriali)

    Quando e se le catastrofi climatiche si renderanno manifeste si agirà allora per disperazione improvvisando delle soluzioni geo-engineering dagli effetti secondari ignoti e con tutta probabilità scatenando una serie di effetti fortemente negativi. Un po’ come mettere un bambino al volante di un’auto senza neanche spiegargli a che servono le leve e i bottoni.

  22. oca sapienson Mar 18th 2012 at 15:47

    @Giorgio Verde

    Ci sono già studi sugli effetti di vari tipi di geo-engineering, quelli degli enti di ricerca pubblici escono sulle riviste. Quelli delle multinazionali dell’energia sono presentati in conferenze a invito – come questa.

    “Quando e se le catastrofi climatiche si renderanno manifeste”
    L’Asian Development Bank ha appena detto che nel sud-est asiatico lo sono già.

  23. […] Tanto rumore per il metano […]

  24. Giorgio Verdeon Mar 19th 2012 at 21:58

    segnalo anche questo paper…
    http://www.agu.org/pubs/crossref/2010/2010GL045184.shtml

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