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Dalla ricerca alla politica e ritorno

Nella seconda parte dell’intervista con Climalteranti, Gavin Schmidt parla dei vari interlocutori nella “conversazione pubblica” sul clima ed esprime un desiderio proprio mentre il suo governo sta per esaudirlo.

I negazionisti dei cambiamenti climatici non trovano più argomenti nuovi, che siano in difficoltà?

Non trovano argomenti nuovi da decenni! Ma il negazionismo (denial) è un atteggiamento pubblico molto legato al contesto politico. Se un partito politico pensa di guadagnarci qualcosa incitandolo, ritornerà. Non se ne va perché la razionalità prevale e la gente cambia opinione. C’è sempre, e l’attenzione che riceve da parte del pubblico dipende soprattutto dai protagonisti della conversazione pubblica, se si concentrano o meno su  questo tema. In Europa, in generale non lo fanno, quindi il problema si pone meno. Negli Stati Uniti abbiamo un partito di cui una metà ha deciso che il tema dei cambiamenti climatici va usato contro le élite liberali, contro Obama, adesso contro le tasse, contro qualunque cosa. Non perché abbia preso in considerazione la scienza e ne abbia tratto le proprie conclusioni. No, fa parte di un discorso preconfezionato.

La maggioranza nei sondaggi la pensa diversamente. Forse perché nota variazioni alle proprie latitudini?

Credo che il tempo meteorologico influenzi l’opinione pubblica sui cambiamenti climatici più di quanto dovrebbe. Se fa freddo, pensa che non ci sono, se fa caldo  che è il riscaldamento globale. Non è molto sensata né una reazione né l’altra, eppure ha un impatto sull’atteggiamento del pubblico.

Qui nel nord Italia, vediamo recedere i ghiacciai delle Alpi, siccità che ricorrono più spesso…

E il livello del mare che qui a Venezia è un problema particolare, anzi un doppio problema visto che la città sprofonda e il livello del mare si alza. La gente lo vede, certo. Si accorge che un lieve cambiamento può fare una grande differenza, che i danni aumentano, e di molto, in funzione di piccole variazioni nel clima di base. Non è una cosa difficile da far capire. Ma se arriva un altro inverno freddo…

L’abbiamo appena avuto, ma diversamente da tre anni fa, è prevalso lo “stiamo a vedere”.

Sì, ma la conversazione pubblica cambia soprattutto in funzione della leadership politica. Se i responsabili politici ne parlano – anche senza ripeterlo di continuo – il tema percola nella conversazione generale. Se si spaventano e decidono di evitarlo, lasciano le voci degli estremisti da entrambe le parti, da tutte le parti, dominare la conversazione. E quest’ultima non è univoca, come una freccia che colpisce un bersaglio, è ben più complicata di così.

Nel  suo ultimo libro Jim Hansen scrive che se consumiamo tutti i combustibili fossili del pianeta rischiamo un effetto serra inarrestabile (“runaway”). Lei cosa ne pensa?

Bruciare tutti i combustibili fossili della Terra produrrebbe una quantità di carbonio enorme! Molto, molto maggiore di qualsiasi proiezione sia mai stata fatta per il 2100. Per alcuni motivi teorici, il pianeta non arriverà a un effetto serra simile a quello di Venere fino a quando il Sole non diventerà una gigante rossa, all’incirca tra quattro miliardi di anni. L’argomento di Jim mi sembra più metaforico che concreto. Concretamente, la probabilità che nei prossimi secoli diventiamo come Venere è zero.

Nei prossimi millenni?

Chissà cosa succede nei prossimi millenni! In termini geologici, saranno pochi ma per me è un tempo lontanissimo. Dobbiamo preoccuparci per un effetto serra inarrestabile? No. Perché stiamo spingendo il clima in uno stato che il pianeta non ha conosciuto per centinaia di migliaia e forse per milioni di anni? Quello sì, ci sto. Direi di non aggiungere altro, quel fatto basta e avanza.

Forse viene in mente a Jim Hansen perché si è formato studiando l’atmosfera di altri pianeti come Venere.

Deve chiederlo a lui…

Giusto, a lei invece chiedo che cosa cambierebbe al Goddard Institute, se avesse una bacchetta magica. Comprerebbe il calcolatore più potente del mondo? Raccoglierebbe altri dati?

Se avessi una bacchetta magica, quello che proprio mi piacerebbe è un accesso migliore ai dati. Adesso come adesso, analizzare i dati, confrontarli con le osservazioni, cercare determinati eventi è veramente difficile. Non dovrebbe esserlo. Abbiamo petabyte e petabyte che arrivano dai tele-rilevamenti, eppure non li sfruttiamo bene. Non facciamo il massimo possibile per vedere come i modelli riproducono certi eventi e come questi eventi sono interconnessi. Non siamo in grado di farlo efficacemente perché i dati stanno in un posto, le osservazioni in un altro, e solo riunirle e scaricarle richiede anni di lavoro, per la quantità di dati che abbiamo.

Servirebbe una strategia per l’analisi delle informazioni?

Sì, un modo diverso di gestire le informazioni.

I ricercatori dicono tutti così, in neuroscienze, in genetica…

Allora è un problema comune e la mia bacchetta magica potrebbe aiutare anche loro. Dobbiamo toglierci dalla testa che gli archivi sono statici, che servono solo per prenderci dati, e passare a un concetto più dinamico. All’idea che, ovunque siano i dati, si possono fare calcoli e analisi, e poi scaricare soltanto i risultati che servono. A calcoli e analisi da fare nel Cloud perché in questo momento il peggior collo di bottiglia è lo scarico dei dati. Lei va su YouTube,  ci mette tanto a scaricare un video e si spazientisce. Adesso moltiplichi quel video per un milione e si chieda come mai non facciamo queste analisi sul computer di casa.

Chi potrebbe fornire lo spazio adatto?

Potrebbe farlo Google, potrebbe farlo Amazon o la NOAA o la NASA. Comunque va creato. Sto partecipando a varie iniziative della NASA, della NOAA e del Dipartimento dell’energia per riuscirci, ma è difficile. Bisogna costruirlo, progettarlo bene, ci stiamo lavorando.

Meno male. Saranno contenti quelli che fanno modelli di diffusione dei virus aviari, sapesse come si lamentano!

Il problema è che la nostra capacità di raccogliere dati e di fare simulazioni sta crescendo esponenzialmente, mentre la nostra capacità di scaricare i dati cresce molto lentamente. Già adesso i dati sono più di quelli che riusciremmo a scaricare. Già adesso è chiaro che ci serve un nuovo paradigma per affrontare l’analisi e la sintesi dei dati.

Coincidenza o bacchetta magica? Durante l’intervista con Gavin Schmidt a Venezia, a Washington l’Ufficio della presidenza per la scienza e la tecnologia annunciava un finanziamento di 200 milioni di dollari per una “Big Data Research and Development Initiative”.

 

 

Traduzione di Sylvie Coyaud

Prima parte dell’intervista: video e post

 

One response so far

One Response to “Dalla ricerca alla politica e ritorno”

  1. Vincenzoon Mag 19th 2012 at 16:34

    @ Non trovano argomenti nuovi da decenni!

    Pero’ qualcuno che trova argomenti nuovi c’è. Lo Scafetta ne ha uno all’anno http://www.duke.edu/~ns2002/pdf/ATP3610.pdf
    Ogni volta diverso e non dice mai perchè quello pecedente l’ha abbandonato.
    Chissà chi glielo stronca questa volta.

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