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UNFCCC a Bonn: negoziato debole e noioso

I negoziati UNFCCC svolti a Bonn, ignorati dai mezzi di informazione nazionali, non hanno portato a risultati significativi, mentre le emissioni di CO2 continuano ad aumentare.

 

Sul tema dei cambiamenti climatico, cresce ancora il divario tra ciò che dovrebbe essere fatto e le azioni intraprese in diversi paesi e a livello internazionale.
Ciò è emerso in modo palese ai lavori del round negoziale dell’UNFCCC, a Bonn, in Germania, dal 14 al 25 maggio.

Il livello di consapevolezza sulla crisi climatica  continua a crescere in tutto il mondo, così come la percezione del legame esistente con l’incremento in numero e magnitudo di eventi meteo estremi.
Queste percezioni sono concretamente supportate da un crescente numero di evidenze scientifiche, a partire dalla conferma dell’innalzamento del livello di CO2 in atmosfera. Solo pochi giorni fa l’IEA, l’Agenzia Internazionale dell’Energia, ha pubblicato i propri dati ufficiali relativi alle emissioni di CO2 del 2011 legate all’utilizzo di combustibili fossili relativi. Si riscontra un nuovo record, che incrementa del 3,2% quello che aveva già contraddistinto il 2010. Nel 2011 le emissioni globali di CO2 da combustibili fossili sono state pari a 31,6 Gt (miliardi di tonellate),1 in più del 2010.
Per avere una probabilità del 50% di limitare l’incremento delle temperature medie mondiali a 2°C, lo “450 Scenario” dell’ IEA’s World Energy Outlook 2011 richiede che le emissioni raggiungano il picco di 32,6 Gt prima del 2017. Considerando la crescita delle emissioni registrata tra il 2010 e il 2011 è probabile che questa ipotetica soglia venga già raggiunta il prossimo anno e quindi superata negli anni a venire.

Nonostante questi dati preoccupanti esiste comunque un margine di speranza: con azioni appropriate il mondo può ancora raggiungere i livelli di emissione raccomandati dagli scienziati.
Lo scorso febbraio all’Assemblea generale dell’ONU a New York Felix Finkbeiner, un ragazzo di 13 anni, ha condiviso i suoi dubbi personali sul cambiamento climatico con la platea internazionale: “Gli adulti conoscono esattamente la sfida che stiamo affrontando, così come le soluzioni che debbono essere intraprese, ma noi bambini non capiamo perché ci siano così poche azioni.” Tutti hanno applaudito il discorso del ragazzo, ma nessuno gli ha fornito una risposta soddisfacente.
Solo recentemente un nuovo rapporto pubblicato dall’UNEP, “Bridging the Emission Gap” ha indicato che l’obiettivo di riduzione delle emissioni a breve termine, necessario a mantenere l’incremento di temperatura globale sotto ai 2°C, è ancora raggiungibile. Achim Steiner, il Direttore Esecutivo dell’UNEP, ha dichiarato che la necessaria riduzione delle emissioni è “possibile entro il 2020, anche senza alcuna significativa modifica tecnica o finanziaria.” Ma questo richiederebbe un’azione forte e rapida, supportata da una compatta volontà politica internazionale.

E quali sono state quindi le conclusioni dell’ultimo UNFCCC Climate talks appena concluso a Bonn?
Dopo due settimane di negoziati tra i delegati giunti da tutte le parti del mondo sul nuovo ADP (il gruppo ad hoc per un’azione potenziata attraverso la Piattaforma di Durban), si è riuscito a fatica a trovare l’accordo sull’agenda dei lavori e solo all’ultimo giorno, dopo accesi dibattiti su aspetti che le persone all’esterno della conferenza farebbero fatica a comprendere.
Ovviamente l’argomento non è banale, in quanto coinvolge gli interessi e i ruoli dei paesi sviluppati e delle principali economie emergenti nel percorso di riduzione della CO2.
Resta comunque difficile spiegare a Felix l’applauso dei delegati alla Conferenza di Bonn quando si è riusciti a raggiungere la decisione sull’agenda ADP visto che, invece di risolvere questioni sostanziali, i delegati si sono limitati a discutere di terminologia e protocollo.

Artur Runge Metzer, il Direttore delle strategie climatiche a livello internazionale della Commissione europea, ha ammesso che “abbiamo speso troppo tempo in procedure” e ha indicato l’esistenza di un piccolo gruppo di paesi che stavano ostacolando il processo.
Non ha fatto riferimento ad alcun paese specifico in tal senso, ma un delegato esperto ha indicato gli USA come parte di questo gruppo, in particolare il tentativo di Washington di costantemente bloccare la discussione più approfondita di temi riguardanti la ricerca scientifica sui cambiamenti climatici ed ad esempio la richiesta proposta dal CfRN (Coalition for Rainforest Nations, coalizione di paesi che possiedono foreste pluviali) di organizzare un workshop sugli aspetti tecnico-scientifici riguardanti il Blue Carbon. Ma durante la conferenza stampa conclusiva Jonathan Pershing, l’inviato speciale per il cambiamento climatico degli USA, ha deviato le ipotetiche responsabilità, dichiarando di essere lui stesso “deluso e frustrato perché la discussione in questo incontro è stata largamente focalizzata su aspetti procedurali”
Anche la Segretaria Esecutiva dell’UNFCCC, Christiana Figueres, ha ammesso che la settimana di negoziazione è stata “noiosa”. Planetnext le ha indicato la mancanza di progresso nell’attuale fase negoziale a soli 6 mesi dalla conclusione del presente periodo di adempimento del Protocollo di Kyoto (KP) e dalla conclusione del lavori dell’LCA (il gruppo ad hoc che include i paesi non facenti parte del KP).
Dopo 6 anni di negoziato sul KP, non è ancora stato deciso se il secondo periodo di adempimento sarà di 5 o 8 anni. Il KP non è mai stato ratificato dagli USA e il Canada l’ha abbandonato lo scorso anno. Adesso è quasi certo che altri importanti paesi qual Russia e Giappone decideranno di abbandonare, con la conseguenza che dopo il 2012 il KP raccoglierà paesi responsabili complessivamente di solo circa il 15% delle emissioni globali di CO2. Gli impegni volontari espressi fino a questo momento dai paesi a partire dal Copenhagen Accord coprono circa il 50% della richiesta di riduzione delle emissioni di CO2 che gli scienziati chiedono di intraprendere entro il 2020. Dopo 20 anni di negoziazione i paesi ricchi si sono impegnati ad aiutare economicamente i paesi in via di sviluppo, ma i soldi non sono ancora stati messi sul tavolo.
Considerando il fiasco di Bonn, è ancora ragionevole aspettarsi che nella prossima Conferenza delle parti (COP) della convenzione UNFCCC si riescano a raggiungere dei risultati positivi o a risvegliare la necessaria volontà politica? Figueres non è sembrata turbata dalla mancanza di ambizione del processo sopra descritta e ha dichiarato semplicemente che “Doha sarà una COP importante”.

Ma anche Bali è stata “una COP importante”, così come Copenhagen, Cancun e Durban. Il problema però non è se una COP è atteso possa essere importante o meno, ma piuttosto se il processo negoziale è attualmente in grado di produrre risultati al livello delle richieste della scienza oppure arrivare ad ammettere che ha fallito.
Al momento non è ancora dato a sapere se vi sarà la possibilità di tenere a settembre un’ulteriore conferenza a Bangkok, per meglio preparare Doha, vista la mancanza di fondi necessari, quantificati da Christiana Figueres in circa 4,8 milioni di euro. Voci hanno evidenziato che alcuni paesi sviluppati (tra cui la Ue) avrebbero vincolato il necessario supporto finanziario alla condizione che i paesi in via di sviluppo fossero stati in grado di raggiungere un accordo per consenso sull’elezione della guida dell’ADP, così come si è poi verificato, evitando così di andare ad un voto per maggioranza che sarebbe stato una novità assoluta per questo processo
Ma il problema reale è se il prossimo meeting di settembre resterà ancora bloccato su temi di valore secondario, non riuscendo così a indirizzare e risolvere gli aspetti più critici e importanti.

Wael Hmaidan, Direttore di CAN, il raggruppamento internazionale delle ONG che si occupano di cambiamento climatico, identifica la responsabilità dei problemi internazionali a una classe politica che non possiede la volontà di operare nei reali interessi dei propri cittadini, nonostante questi siano direttamente colpiti dal cambiamento climatico. Secondo Hmaidan i politici hanno una visione a breve termine capace di proteggere solo i loro propri interessi e mantenere il consenso politico capace di garantire la loro ri-elezione.
Osservando quanto il negoziato internazionale sul clima è stato capace di produrre fino a questo momento è difficile smentire la tesi di Hmaidan. Il processo UNFCCC ha urgentemente bisogno di cambiare marcia e di mostrare che è in grado di produrre dei risultati concreti. Solo così le istituzioni politiche internazionali saranno in grado di dimostrare a Hmaidan che ha torto.
Nel frattempo la concentrazione di CO2 in atmosfera continua a crescere, mentre il tempo per un’azione efficace si riduce sempre più.
Christiana Figueres ha completamente ragione quando afferma che Doha sarà un’importante COP. Soprattutto se sarà in grado di dimostrare un cambio dell’atteggiamento dei partecipanti.

Altre informazioni sugli esiti dei Bonn Talks del maggio 2012 sono disponibili sul sito UNFCCC, sul sito dell’IISD, del RTCC, dell’ICTSD e sul blog di Carlo Carraro.

 

Testo di Daniele Pernigotti, tradotto da Planetnext.

 

10 responses so far

10 Responses to “UNFCCC a Bonn: negoziato debole e noioso”

  1. oca sapienson Giu 5th 2012 at 20:01

    Grazie del resoconto, Daniele, un po’ deprimente però.

    “dimostrare a Hmaidan che ha torto”

    Sarebbe bello, ma anche Rio+20 si annuncia così così.
    Non per le Ong, che dovrebbero riuscire a coordinarsi meglio, almeno dalle idee nuove che vedo arrivare.

  2. Vincenzoon Giu 8th 2012 at 06:18

    Il problema non è che è un negoziato noioso, ma che rischia di non portare a niente. Gli interessi materiali sono troppo forti e i governi sono dipendenti da questi interessi, al di la delle belle parole sulle generazioni future per far contenta l’opinione pubblica. Magari mi sbaglio, ma quando leggo questi resoconti, mi sembra più probabile.

  3. homoereticuson Giu 8th 2012 at 10:06

    “Il livello di consapevolezza sulla crisi climatica continua a crescere in tutto il mondo”?

    Non so se sia vero questo. O forse cresce, sì, ma dal 2 al 2,2 per cento, come la percentuale di chi vota i verdi in Italia… Se fosse vero esisterebbe una spinta dal basso che costringerebbe la politica, “loro”, a muoversi. Ma “loro” sanno che non è così. Almeno tra di noi sarebbe il caso di raccontarcela giusta e ammettere che del cambiamento climatico non importa un fico secco a nessuno. Nel minuscolo campione sociale che frequento, che pure non è costituito nè da banditi petrolieri, nè da analfabeti, non conosco nessuno che sia autenticamente preoccupato per il clima. Perfino tra gli attivisti del mondo ambientalista, mi spiace dirlo. Tante ciance, ma poi, vivono come gli altri, e quest’estate per le loro vacanze, senza alcun pudore, saliranno su un volo intercontinetale che brucerà in poche ore 200 tonnellate di gasolio, solo per l’andata.

  4. alex1on Giu 9th 2012 at 13:39

    # homoereticus

    “Nel minuscolo campione sociale che frequento, che pure non è costituito nè da banditi petrolieri, nè da analfabeti, non conosco nessuno che sia autenticamente preoccupato per il clima. ”

    forse perchè frequenti persone molto intelligenti e con buon senso, ma questo è un bene, non un male..

  5. Daniele Pernigottion Giu 10th 2012 at 16:15

    @ alex1
    non mi permetto di giudicare l’intelligenza e il buon senso degli altri, ma credo che Vincenzo abbia ben descritto i problemi che bloccano il salto politico necessario per affrontare seriamente un problema enorme che solo “pochi ostinati scettici… fuori dal tempo si ostinano a negare” (K. Annan)

    @homoereticus
    L’Italia non è il mondo. Forse hai ragione quando sostieni che da noi il livello di consapevolezza è ancora basso, soprattutto quando confrontato con altri paesi europei (questo lo aggiungo io). Ma a livello culturale le cose stanno realmente cambiando tanto all’estero come da noi.
    Credo, ad esempio, che oggi sia difficile immaginare un quotidiano nazionale che per il succedersi di qualche giornata di freddo dimostri tutta la sua ignoranza e superficialità affermando che è in arrivo il global cooling, come è successo solo un paio di anni fa.
    Il tema della spinta dal basso è strettamente legato a quello della coerenza dei comportamenti che citavi e la sfida passerà necessariamente dal comportamento di tutti noi in prima persona. Come diceva l’ex ministro dell’ambiente tedesco a Bali nel 2007 “You first? Me too!”

  6. homoereticuson Giu 11th 2012 at 08:56

    @Daniele P.
    grazie per la risposta. Mi auguro vivamente che tu abbia ragione, dato che disponi sicuramente di un osservatorio meno microscomico del mio.

  7. Riccardo Reitanoon Giu 11th 2012 at 15:46

    La consapevolezza sarà anche scarsa, ma solo se si parla della gravità del problema. In generale, tutti ne sono a conoscenza e solo una sparuta minoranza lo nega. Ciò che non si percepisce, a mio avviso, è invece l’urgenza e il livello di intervento necessario, molto più onicomprensivo di quanto molti immaginano.

  8. Federicoon Giu 12th 2012 at 07:54

    La consapevolezza forse non è cosi bassa, ma è inconscia. Sento sempre più amici dire “non avremo più “il tempo” di una volta, tutto sta cambiando, dobbiamo abituarci” e sintomatico è come ci si lamenti del freddo in inverno.
    Forse inconsciamente sappiamo che dobbiamo adattarci, perché è insito in noi lo spirito di adattamento. Ma quello che occorre sono delle policy di adattamento e mitigazione strutturate, che guardino alla complessità del problema. Ma le difficoltà son state ben descritte da chi commenta sopra e da chi ha scritto il post.
    Forse, è anche un problema di classe dirigente… in paesi come l’Italia soprattutto, se dobbiamo guardare il piccolo.

  9. Elisabetta Corràon Giu 13th 2012 at 08:31

    Mi pare che le negoziazioni e in generale il mondo delle trattative – sintetizziamo in COP – non cavi un ragno dal buco. Però il problema secondo me è duplice: da un lato ci sono sicuramente gli interessi di nazioni come gli Usa ( che non hanno nessuna intenzione non solo di sottoscrivere un accordo vincolate sul GW, ma neppure di inserire fra le priorità economiche del sistema commerciale, finanziario, produttivo mondiale l’importanza delle foreste pluviali, della biodiversità, osservazioni di Pavan Sukhdev su green, blu, brown footprint), ma dall’altra c’è la reticenza delle opinioni pubbliche occidentali a capire che bisogna ridurre i consumi. Non possiamo continuare a delegare la responsabilità dei cambiamenti climatici alle decisioni dei governi, all’industria (lontana e astratta), alle corporation: sono i nostri comportamenti quotidiani, lo stile di vita consumistico, una certa Weltanschauung OCSE che implica l’abnorme uso di combustibili fossili alla base della civiltà. Io credo che sia tempo di ammettere le nostre responsabilità riportando il dibattito ad una dimensione cognitiva davvero comprensibile (come mi ha fatto notare acutamente Matteo Reale di Italian Climate Network): siamo disposti a spegnere i condizionatori, ad abbassare i riscaldamenti, a mangiare meno carne, a comprare meno vestiti, ad andare meno in vacanza con l’aereo, a usare meno la macchina? Perchè è questo stile di vita occidentale che sta ammazzando il Pianeta e nessun Kyoto2 ci salverà da un aumento delle temperature superiore a 2°C se non ci decidiamo ad ammettere che il GW non è una imposizione del Grande Fratello Mondiale, ma una via intrapresa 200 anni fa dalla civiltà occidentale, una vita non più sostenibile. Si tratta di un cambiamento epocale e radicale nel modo in cui immaginiamo noi stessi, la nostra capacità di partecipare alla vita civile e politica delle comunità, ma anche il nostro ruolo nel mondo. La globalizzazione ci ha portato internet, gamberi dell’Ecuador e ananas all’Esselunga, un senso di appartenenza collettivo stimolato e nutrito dai social network ma non basta: questa è schiuma, questo è epifenomeno culturale se non andiamo fino in fondo del significato ontologico della globalizzazione. Ed esso, a mio parere è: siamo sulla stessa barca, se si estingue il leone, se scompare l’orango dal Borneo per produrre olio di palma per creme e biscotti, se arrivamo a oltre 350 ppm in atmosfera, be’ è una faccenda collettiva che riguarda l’Homo Sapiens, e non solo i poveri disgraziati che queste apocalissi le vedono sotto casa. Perciò io dico: va bene i negoziati, va bene adesso parlare di Rio, ma se i condizionatori nelle città andranno a palla tra due settimane, non siamo nella posizione nè di lamentarci delle ritrosie degli Usa nè di chiedere al Ghana o alla Tanzania di rinunciare alla carta igienica.

  10. Paolo Gabriellion Giu 23rd 2012 at 12:27

    Penso che alla fine gli eventi legati agli impatti climatici ed ambientali surclasseranno iniziative come queste che, seppur motivate dai piu’ alti principi democratici, si sono ormai impantanate in una burocrazia cavillosa che non e’ in grado di rispondere in maniera adeguata alle emergenze planetarie. Come e’ sempre avvenuto, saranno i fatti (ambientali, economici e politici) a farci cambiare direzione. Chi sapra’ anticipare questi cambiamenti epocali (singoli individui, amministrazioni locali, stati) ne trarra’ il massimo vantaggio e ridurra’ il potenziale di sofferenza indotta.

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