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Cambiamenti climatici, una questione morale

Pubblichiamo la traduzione del testo di Ezra Markowitz e Azim Shariff apparso su Climate Science and Policy

 

In un periodo caratterizzato da un andamento del clima sempre meno prevedibile e più denso di  rischi a livello globale, la questione morale circa le azioni da intraprendere per farvi fronte sta diventando sempre più seria. Da un punto di vista normativo il mutamento del clima è una questione etica per almeno tre ragioni. Per cominciare, il tributo più alto da pagare sarà a carico di coloro che meno avranno contribuito a creare questo problema, cioè a dire le generazioni future, i poveri in generale e le specie viventi ad eccezione di quella umana. In secondo luogo i cambiamenti climatici sono il risultato dell’appropriazione indebita da parte di un ristretto numero di persone di una risorsa comune limitata, ossia della capacità di assorbimento dei gas serra da parte dell’atmosfera. Da ultimo, anche se potremmo affrontare efficacemente tale problema sia in termini di mitigazione delle sue conseguenze più nefaste che di adattamento ai mutamenti che già oggi appaiono inevitabili, al momento non stiamo facendo nulla in proposito (per una trattazione filosofica completa dell’etica del clima si veda il recente testo “Climate Ethics”) [1].

E nonostante un numero sempre più ampio di filosofi morali, teorici della politica, capi religiosi e altre personalità si sia già unito al coro di voci che chiede di elevare la lotta ai cambiamenti climatici ad imperativo morale (si veda qui e  qui per alcuni esempi recenti), sono ancora molte le persone che non hanno alcuna intenzione di accettare le implicazioni morali della nostra produzione di emissioni climalteranti, anche tra coloro che riconoscono l’esistenza di questo problema. Al pari di altri ricercatori abbiamo recentemente constatato che un gran numero di persone non si rendono conto delle implicazioni morali di tale problema, cioè a dire molti di noi sembrano privi della convinzione, radicata e tangibile, che la risposta ai mutamenti del clima sia fondamentalmente una questione di principio tra giusto e sbagliato, tra colpa e responsabilità.

Ci potremmo chiedere perché il nostro intuito morale non funzioni quando si affronta questa questione. Alcune risposte al riguardo potrebbero venire dalla ricerca sul sistema dei valori morali dell’uomo, quel gruppo di meccanismi di tipo cognitivo, affettivo, sociale e motivazionale che è responsabile della nostra percezione di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Tale sistema si è evoluto diventando particolarmente sensibile ad alcune specifiche tipologie di trasgressione morale. Per esempio, riusciamo a riconoscere facilmente come moralmente sbagliate le azioni intenzionali effettuate ad opera di persone note che causano un danno a vittime identificate (ad esempio, provate a pensare a come descriveste una persona che vi sta rubando la bicicletta). Ma, come ha osservato il filosofo Dale Jamieson assieme ad altri autori, il problema dei cambiamenti climatici non ha alcuna di queste caratteristiche: è un fenomeno complesso e multifattoriale che nessuno desidera, non c’è il cattivo di turno, magari con i baffoni arrotolati, da utilizzare come capro espiatorio e infine le vittime sono perlopiù straniere o non ancora nate. I cambiamenti climatici sono un effetto collaterale della vita moderna, non una cosa che qualcuno sta tentando di provocare intenzionalmente, e pertanto il nostro senso critico nell’attribuire la colpa e nell’assegnare la responsabilità di dare una risposta finisce per vacillare.

Oltre al fatto di non essere attrezzati al meglio per riconoscere il problema dei cambiamenti climatici come moralmente rilevante, anche il sistema di giudizio morale è soggetto ad alcune distorsioni che diminuiscono ulteriormente la nostra capacità e volontà di rapportarci a tale problema come ad una questione morale. Gli psicologi sociali, ad esempio, sanno da tempo che le persone sono molto portate a rappresentarsi come buone, razionali e di sani princìpi. Tuttavia una siffatta opinione risulterebbe difficile da sostenere se ci venisse detto che sono proprio i nostri stili di vita a causare sofferenze incalcolabili a causa degli sconvolgimenti del clima. Il risultato è che siamo fortemente indotti, coscientemente o meno, a considerare questo genere di informazioni con un certo scetticismo (“Quegli scienziati non sanno di cosa parlano”) o a scartarle del tutto, per rafforzare le convinzioni che abbiamo circa la nostra innocenza (“Ma io non uso mica la macchina quanto i miei vicini”) e per mantenere opinioni irrealisticamente ottimistiche in materia (“Le cose non stanno poi così male”). Il fatto di cadere in questa trappola è reso molto più facile quando le conseguenze specifiche del problema non sono ben definite, come appunto nel caso dei cambiamenti climatici.

Poiché è dimostrato che le nostre intuizioni a livello morale sono dei potenti fattori motivazionali, la separazione concettuale esistente tra il problema climatico ed il nostro sistema di giudizi morali costituisce un notevole ostacolo all’azione (anche se non è certamente il solo). La nostra diffusa incapacità a riconoscere ed a trattare tale problema come una questione morale, piuttosto che semplicemente tecnico-scientifica o politica, indebolisce la nostra determinazione sia personale che collettiva verso una risposta forte e convinta. Tuttavia questa attuale difficoltà è allo stesso tempo  uno strumento per diffondere la consapevolezza che i cambiamenti climatici vadano considerati come un imperativo morale; infatti ci sarebbero tutte le potenzialità per liberare risorse notevoli, al momento sottoutilizzate, e per motivarci concretamente all’azione.

Ma com’è che potremmo raggiungere questo risultato? Come già discusso in dettaglio nel nostro articolo Climate Change and Moral Judgement”, [2] [Cambiamenti climatici e giudizi morali], una fra le strategie più promettenti consiste nell’ideare messaggi più coinvolgenti su questo tema. Per esempio, molti degli attuali messaggi trattano la questione sulla base di due valori fondamentali, cioè a dire la prevenzione del danno e la promozione dell’equità. È vero che danno ed equità sono  concetti fondamentali del sistema di giudizio morale ma non sono i soli che interessano alle persone, (in particolare quelle ideologicamente più conservatrici [3]). Una discussione sui cambiamenti climatici che abbracciasse altri valori morali comuni, tra i quali il rispetto per l’autorità e considerazioni circa il senso di purezza o i sentimenti di avversione, potrebbe sollevare nuovi interrogativi di ordine morale, specialmente nei settori dell’opinione pubblica che sono stati meno toccati da questa questione. Pertanto, la ricerca di un metodo per arrivare ad una politicizzazione (e quindi a una polarizzazione) riguardo ai temi relativi ai cambiamenti climatici dovrebbe essere uno degli obiettivi generali degli attivisti impegnati nel settore.

Gli esperti di comunicazione dovrebbero anche preoccuparsi di non provocare reazioni psicologiche di tipo difensivo a questi nuovi messaggi e definire  piuttosto la questione in modo da sfruttare i punti di forza del sistema di giudizio morale. Ad esempio, per quanto vi sia una certa attrattiva nell’utilizzo di messaggi che fanno leva sulla paura e sui sensi di colpa, queste tipologie di messaggi [4]  spesso finiscono per diventare controproducenti [5]; per contro, l’associazione degli sforzi per l’adattamento e la mitigazione ambientale a sentimenti positivi quali la speranza, l’orgoglio e la gratitudine eviterebbe alle persone la necessità di una difesa psicologica, rendendole così più capaci e determinate all’azione. Allo stesso tempo, alcune studiate modifiche del linguaggio che utilizziamo per discutere i cambiamenti climatici, tanto sui modi per ridurre l’impatto sulle generazioni future (ad esempio la siccità e l’insorgenza di epidemie) che per produrre dei benefici (ad esempio un sistema sicuro per garantire la sicurezza alimentare), potrebbero accrescere in modo notevole la rilevanza morale della questione.

Benché siano numerosi gli individui, le comunità, le aziende e le organizzazioni che lavorano alacremente per creare un sostegno condiviso ad un’azione di contrasto ai mutamenti del clima, è evidente che vi sia la necessità di sviluppare nuovi approcci per coinvolgere attivamente le persone al riguardo. Per ottenere tale obiettivo occorrerà trovare nuovi modi, basati sull’evidenza dei fatti, per far emergere le preoccupazioni morali di ognuno di noi su questo tema.

 

Traduzione di Roberto Cecotti

 

Per approfondire:

– Climate Change and Moral Judgement articolo pubblicato su “Nature Climate Change”.

– Le pagine web degli Autori: Ezra Markowitz e Azim Shariff del Department of Psychology, Oregon University.

– La homepage del Culture and Morality Lab (CaML), il sito web di Azim Shariff e del suo laboratorio di ricerca alla University of Oregon.

– La pagine web ufficiale del National Climate Ethics Campaign.

– La pagina web ufficiale del Moral Ground

– La pagina web di Dale Jamieson presso la New York University

5 responses so far

5 Responses to “Cambiamenti climatici, una questione morale”

  1. Guido Dalla Casaon Feb 12th 2013 at 08:22

    Economic growth is a terrible pathology of the Earth!

  2. Vincenzoon Feb 13th 2013 at 08:14

    Sono d’accordo che i messaggi fanno leva sulla paura e sui sensi di colpa non funzionano; o magari funzionano nel breve, ma poi non producono veri cambiamenti. Gli ambientalisti dovrebbero tenerne conto, può darsi che questo sia uno dei motivi che spiegano perchè la gente ha paura di tutti i tipi di inquinamenti ma poi non c’è da noi un partito verde

  3. homoereticuson Feb 13th 2013 at 09:48

    dal discorso di Obama ieri:
    “L’investimento nella ricerca deve mobilitare risorse equivalenti a quelle che furono dispiegate nella corsa verso lo spazio, perché un dollaro investito nella ricerca sul genoma umano mette in movimento più di cento dollari di attività”.

    Il cambiamento climatico è una delle frontiere di questa ricerca: “Abbiamo avuto 12 anni più caldi della storia nel corso degli ultimi 15, bisogna agire prima che sia troppo tardi, nell’interesse dei nostri figli”. Un avvertimento alla lobby petrolifera che ha ostacolato le sue proposte nel primo quadriennio: “Se il Congresso non agisce, lo farò io, usando i poteri dell’esecutivo per tagliare le emissioni carboniche e sviluppare le energie rinnovabili, dimezzare i consumi energetici delle nostre case”.

    che sia la volta buona?

  4. alex1on Feb 13th 2013 at 18:57

    si sarà la volta buona(me lo auguro), ma non sortirà nessun effetto a livello climatico…

  5. Elisabetta Corràon Apr 2nd 2013 at 10:16

    Secondo me non si può affermare che “non c’è il cattivo di turno, magari con i baffoni arrotolati, da utilizzare come capro espiatorio e infine le vittime sono perlopiù straniere o non ancora nate.” e poi poco più sotto “I cambiamenti climatici sono un effetto collaterale della vita moderna, non una cosa che qualcuno sta tentando di provocare intenzionalmente”, ma al contempo argomentare sulla responsabilità e dire, a ragione, che sono invece i nostri stili di vita a distoglierci dalla realtà. Ecco, direi che la questione è proprio quella della responsabilità, che più che la morale chiama in tribunale il funzionamento pulsionale e libidinale della psiche umana. Perché non ci prendiamo la responsabilità del GW? Perchè più in generale siamo cresciuti in una cultura-società che ha demonizzato la responsabilità, escludendola dalle esperienze emotive e cognitive che formano l’individuo. Oggi inneggiamo alla libertà, attribuendole un valore assoluto che non implica più l’autorità. Di conseguenza non siamo attrezzati a porre la realizzazione di noi stessi e dei nostri desideri in una scaletta di cause/effetti e conseguenze sugli altri. Mi spiego con un esempio: se so che prendere l’aereo aumenta la mia carbon footprint, ma lo prendo 10 volte all’anno perché ritengo che il mio diritto di viaggiare sia indiscutibile (ne è della mia identità, del mio essere nel mondo), come diavolo faccio a vedere criticamente e moralmente il gw? Io credo davvero che sia un misunderstanding di fondo: non possiamo limitare il consumo del mondo ( e il suo esaurimento, in atmosfera e biosfera) senza ridimensionare il modo in cui viviamo. Ma farlo implica una messa in discussione vastissima di tutti gli assunti della modernità, a partire dall’onnipotenza della scienza/tecnologia. Abbiamo demandato alla scienza tutte le nostre ansie, tutte le nostre domande e tutte le nostre speranze: ma anche aerei, pozzi petroliferi, sale operatorie illuminate coi fossili sono miracoli per cui stiamo pagando un prezzo. LA scienza non può aiutarci a vedere tutta la vita sul Pianeta: è uno strumento, e s’è trasformato in un alibi buono per tutte le occasioni. Ci sono beni intangibili, non riconducibili a calcolo che devono tornare in superficie. Il mondo ci interroga anche con i suoi misteri, e se non siamo disposti ad ascoltare questa domanda non potremo mai affrontare la crisi del clima o la crisi ecologica con responsabilità. Grazie di aver pubblicato un contributo così ricco di spunti.

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