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Riprodurre l’effetto serra in un laboratorio di Fisica

Per inaugurare la nuova sezione “didattica” di Climalteranti, pubblichiamo un esperimento che permette di riprodurre in laboratorio i principali meccanismi dell’effetto serra planetario

 

Materiale usato per l’esperimento:
Un contenitore cubico (o cilindrico) in materiale plastico (Nalgene) di dimensioni circa (20x20x20) cm.- una lampada 150 W (Osram®) a incandescenza con concentratore – numerosi termistori   (Pasco Scientific®) (i termistori sono termometri che hanno bassa capacità termica e accuratezza e risoluzione elevate)- anemometro a filo caldo Delta Ohm® “HD 2103.2” – argon, biossido di carbonio e protossido di azoto in bombola (99.5%) con i corrispondenti regolatori di pressione ed adattatori per i collegamenti- autorespiratore per l’ultilizzo del protossido di azoto (CEA Estintori S.p.A.)- fibre di seta private della parte solubile gentilmente fornite dal laboratorio “BIOthech” Mattarello (Trento)- bottiglioni di plastica per termalizzare il gas (ossia aspettare che dopo essersi espanso (e quindi raffreddato) dalla bombola o dall’impianto torni a temperatura ambiente), connessioni varie di acciaio, fogli di alluminio da cucina, nastro adesivo a due facce- una termocoppia ultraveloce di tipo K autocostruita- termometro infrarosso (“optris®”)- • telecamera a infrarossi (T9 Fluke)

Negli ultimi 2 secoli il sistema climatico terrestre ha mostrato notevoli cambiamenti dovuti sia a cause naturali che umane; l’aumento della temperatura media terrestre è una delle questioni meglio documentate e la comunità scientifica è sostanzialmente concorde nel ritenere che il meccanismo fisico alla base del riscaldamento climatico sia l’effetto serra atmosferico e che l’uomo attraverso la continua immissione in atmosfera di gas serra abbia rinforzato tale fenomeno.
È quindi di grande interesse per la didattica scolastica una simulazione sperimentale dell’effetto serra planetario che sia semplice e “robusta”, in cui fossero evidenziati i fenomeni chiave ed i limiti della simulazione stessa.
Nella letteratura scientifica dedicata all’insegnamento della fisica, si trovano alcune indicazioni su come riprodurre tale fenomeno. L’apparato sperimentale generalmente proposto è costituito da pochi e semplici elementi. Molte delle simulazioni che si trovano in letteratura [vedi 2a, 2b, 2c, 2d, 2e] risultano tuttavia povere di dettagli sperimentali o perfino concettualmente imprecise. Per questo abbiamo deciso di analizzare con maggiore precisione il “classico esperimento” atto a simulare l’effetto serra.
Questo fenomeno consiste in prima approssimazione nell’assorbimento della radiazione infrarossa emessa dalla terra (lo spettro di corpo nero a 15°Cha il picco di emissione a circa 10 μm) da parte di alcuni gas atmosferici detti gas serra che conseguentemente si riscaldano e riemettono nell’infrarosso in tutte le direzioni; una parte di questa radiazione tornerà verso la superficie terrestre che allora, per mantenere l’equilibrio radiativo al TOA, (Top Of Atmosphere[3]) incrementa la sua temperatura media superficiale.
Al fine di riprodurre al meglio ciò che accade in atmosfera è necessario chiarire l’ambiguità del termine usato per indicare l’effetto serra. Infatti ci sono delle notevoli differenze nel funzionamento dell’effetto serra atmosferico e delle comuni serre: in particolare sono molto diversi i trasferimenti di energia tramite irraggiamento e convezione. Le serre impiegate comunemente in agricoltura sono chiuse impedendo all’aria di uscire e quando il sole le irraggia il blocco del ricambio d’aria con l’esterno fa si che aumenti la temperatura media interna. Al contrario nell’atmosfera libera i moti convettivi sono alla base della circolazione atmosferica. L’energia irradiata dal sole e intercettata dalla Terra in modo non uniforme al variare della latitudine è tale da innescare moti convettivi su scala planetaria.

Allo scopo di riprodurre nel laboratorio didattico una versione più realistica della “serra terrestre”, sono state adottate delle semplici precauzioni, prima delle quali l’utilizzo di un contenitore per simulare l’ambiente terrestre aperto superiormente, ovvero tale da non inibire, in linea di principio, gli eventuali rimescolamenti convettivi di gas. L’apparato sperimentale (visibile in figura) è composto da elementi comunemente disponibili: un contenitore cubico in plastica (HDPE), una lampada a incandescenza da 150 W (posizionata a circa 70 cmdal fondo del contenitore) e fino a 14 sensori di temperatura, ciascuno in una diversa posizione.  Abbiamo confrontato gli effetti come gas serra di biossido di carbonio (CO2), argon (Ar) e protossido di azoto (N2O).
Inizialmente il sistema (contenitore riempito con aria) si trova all’equilibrio termico con l’ambiente ma quando viene accesa la lampada la temperatura misurata dai vari sensori in diversi punti del contenitore, aumenta rapidamente fino a raggiungere un valore relativo al nuovo stato di equilibrio energetico del sistema. Quando poi un nuovo gas fra quelli indicati, per esempio il biossido di carbonio, (precedentemente termalizzato a temperatura ambiente) viene immesso nel contenitore osserviamo un ulteriore aumento della temperatura. La classica interpretazione è che il gas presente all’interno del contenitore assorba parte della radiazione infrarossa riemessa dal fondo del contenitore provocando così l’aumento di temperatura.

Un articolo di Vagoner, Liu e Tobin pubblicato nel 2010 su “American Journal of Physics” [4] afferma che questo tipo di esperimento non è adatto a riprodurre l’effetto serra atmosferico e il suo titolo è piuttosto esplicito: “Climate change in a shoebox: right results, wrong physics” (Cambiamento climatico in una scatola di scarpe: risultati giusti, fisica sbagliata). In questo lavoro si attribuisce l’aumento di temperatura al blocco dei moti convettivi causato dalla maggiore densità dei gas immessi nel contenitore rispetto a quella dell’aria: avendo ridotto la modalità di trasmissione convettiva di energia il sistema tenderà ad aumentare la sua temperatura di equilibrio. Per avvalorare tale interpretazione nell’esperimento descritto (in verità la descrizione dell’esperimento è sommaria)  nell’articolo si utilizza argon: infatti questo gas assorbe trascurabilmente nell’infrarosso (e quindi non causa effetto serra radiativo) ed è caratterizzato da una densità maggiore rispetto a quella dell’aria. Il risultato sperimentale dell’articolo [4] mostra che tale gas produce un aumento di temperatura addirittura maggiore rispetto a quello provocato dalla CO2 malgrado abbia densità minore rispetto ad essa e non sia capace di assorbimento radiativo: il risultato appare dunque poco credibile.
La nostra idea è stata quella di utilizzare un terzo gas, il protossido di azoto (N2O). Tale gas ha la stessa densità della CO2 ma è un assorbitore infrarosso più efficiente e questo permette di valutare quantitativamente l’importanza dell’assorbimento infrarosso poiché il contributo dovuto al blocco della convezione è lo stesso per i due gas.
Abbiamo posizionato un sensore di temperatura sul fondo interno del contenitore al fine di valutare il contributo dell’effetto serra dovuto ai vari gas. Inoltre abbiamo posto altri sensori a varie altezze sulle pareti del contenitore per ottenere ulteriori informazioni sulle dinamiche convettive ed energetiche dei gas presenti nel contenitore stesso.
Nel lavoro abbiamo studiato e analizzato i seguenti punti: (i) descrivere esattamente la procedura sperimentale da seguire, (ii) confermare l’aumento di temperatura dovuto al gas argon, (iii) utilizzare il protossido di azoto e capire se sia possibile misurare una differenza di aumento di temperatura statisticamente significativa rispetto a quella ottenuta con il biossido di carbonio, (iv) valutare l’inibizione della convezione (v) modellizzare la termodinamica del sistema grazie a un’analisi approfondita delle temperature alle varie altezze, ed infine (vi)  si è esplicitato il numero di test effettuati ed effettuata una analisi statistica dei dati, aspetto del tutto trascurato nel da Wagoner e al [4].

Di seguito la procedura adottata: Inizialmente viene accesa la lampada e il sistema raggiunge una nuova temperatura di equilibrio. Raggiunto l’equilibrio si inserisce il gas termalizzato e si osserva un rapido aumento della temperatura. Dopo un certo tempo la temperatura diminuisce bruscamente (verosimilmente poiché il gas esce dal contenitore a causa dei forti moti convettivi instauratisi). Quando il sistema torna alla temperatura di partenza ripetiamo la procedura per gli altri gas. Un esempio di andamento relativo ai risultati sperimentali ottenuti è visibile nella figura a fianco. I tre picchi di temperatura sono dovuti rispettivamente all’Ar, alla CO2, e all’N2O. La differenza di temperatura riportata nel grafico è stata calcolata sottraendo ai valori misurati la temperatura ambiente; tale procedura si è resa necessaria a causa di un piccola ma significativa variazione sistematica della temperatura ambiente dovuto alle variazioni giornaliere non ostacolate dall’impianto di condizionamento  i cui flussi avrebbero alterato ogni risultato. La curva rossa rappresenta i valori misurati dal sensore posizionato sul fondo del contenitore mentre le altre curve sono relative a sensori posizionati a 9 e15.5 cm dal fondo su due facce opposte (blu= h15.5 verde =h9, rosso scuro= h15.5 marrone=h9). Un importante accorgimento sperimentale risiede nel fatto che abbiamo rivestito i sensori con sottili film in alluminio: questo evita l’irraggiamento diretto da parte della lampada ma allo stesso tempo garantisce l’elevata conducibilità termica necessaria per misurare la temperatura del gas in quella posizione.
Le medie delle differenze di temperatura per i tre gas sono le seguenti (basandosi su un campione di 20 ripetizioni): ΔT(Ar)=(2.64 ± 0.19)°C, ΔT(CO2)=(3.30 ± 0.21)°C e ΔT(N2O)=(3.55 ± 0.20)°C. Come notiamo l’Ar comporta un aumento di temperature minore rispetto a quelli della CO2 e del N2O.
La differenza fra le medie relative alla CO2 e all’N2O è piccola ma è statisticamente significativa: il test di Shapiro-Wilk attribuisce ai dati una distribuizione normale e il test t di Student conferma che la differenza fra le due medie è statisticamente significativa (p<0.05). La conclusione è che questo tipo di esperimento permette di distinguere il contributo dell’effetto serra radiativo all’aumento di temperatura.
Abbiamo verificato l’inibizione dei moti convettivi, sufficientemente intensi da provocare la fuoriuscita il gas, posizionando un anemometro all’estremità superiore del contenitore. L’analisi dei risultati sperimentali mostra inequivocabilmente che a seguito dell’aggiunta dei tre gas il flusso in uscita è praticamente nullo per tutta la durata dell’aumento di temperatura. In concomitanza con il calo della temperatura si misura invece una velocità media di 0.03 m/s e questo indica che il gas sta fuoriuscendo dal contenitore. I movimenti convettivi e la loro inibizione sono stati verificati posizionando alcuni fili di seta all’interno del contenitore liberi di muoversi a una loro estremità. Durante ogni istante dell’esperimento sono presenti piccoli movimenti convettivi che aumentano al crescere della temperatura e diminuiscono in intensità (fino al limite della sensibilità dei fili di seta) immediatamente dopo l’aggiunta dei gas più densi dell’aria (link filmato…), riprendendo vigore solo in corrispondenza del crollo della temperatura. Piccoli movimenti gassosi sono sempre presenti principalmente in vicinanza del fondo del contenitore: la loro intensità è stata misurata tramite una termocoppia di tipo K con tempo di risposta molto basso (<2 ms), non schermata e posizionata a qualche centimetro dal fondo. Quando il fondo si riscalda interviene un meccanismo di distacco di bolle di gas caldo che si raffreddano poi salendo. Possiamo quindi affermare che anche in presenza di un gas più denso dell’aria sono presenti dei deboli moti convettivi e che questi, solo quando si raggiunge un certo livello di intensità, provocano la fuoriuscita del gas.

Un altro elemento interessante è che all’interno del contenitore si instaura una certo profilo termico a causa della stratificazione dei gas e della loro risposta al flusso di calore e di radiazione in arrivo: abbiamo ricostruito tale profilo tramite l’uso di 14 sensori di temperatura. Le massime temperature si misurano sempre sul fondo e all’estremità superiore mentre si osserva, attorno ai10 cmdi altezza, uno strato di forte instabilità caratterizzato da una temperatura inferiore. Dopo l’aggiunta di un gas il profilo termico varia e osserviamo che a circa10 cmsi instaura uno strato in cui i moti convettivi non possono avvenire a causa del nuovo profilo della temperatura, il cui valore tende a crescere proprio in questo medesimo strato, invertendo il precedente gradiente di temperatura.
Abbiamo poi costruito un modello degli scambi energetici del sistema. Per calcolare il contributo dell’effetto serra abbiamo acquisito gli spettri di assorbimento infrarosso (FT-IR) a pressione atmosferica per la CO2 e per l’N2O. Grazie a questi spettri abbiamo potuto calcolare le percentuali di assorbimento rispetto alle sorgenti infrarosse (fondo recipiente o vetro lampada) alle loro temperature (nell’immagine sono riportati gli spettri di (1-Trasmittanza) per la CO2 e per l’N2O e lo spettro di emissione di corpo nero normalizzato emesso dal fondo del contenitore).
A partire da questo tipo di analisi, vengono presi in considerazione i principali meccanismi fisici che agiscono in atmosfera ma come ci si aspetta molti altri aspetti differiscono rispetto a quelli da tenere presenti in una situazione realistica. Un primo punto è che i gas serra (utilizzati nell’esperimento) in atmosfera hanno concentrazioni CO2~397 ppm e N2O~326 ppb, mentre nella simulazione la loro concentrazione è molto maggiore: hanno pressione pari a quella atmosferica. Questo si ripercuote sullo spettro di assorbimento provocando un assorbimento molto maggiore rispetto a quello esercitato in atmosfera.

Un’altra importante differenza è che la porzione infrarossa della radiazione solare in arrivo al TOA  e che viene in parte assorbita dall’atmosfera è molto minore rispetto all’intensità di quella emessa dalla Terra alle stesse lunghezze d’onda, mentre nella simulazione la lampada (vetro a temperatura pari a circa 430 K) è una sorgente di infrarossi non trascurabile. Questo implica che i gas serra assorbono radiazione infrarossa non solo dal fondo del contenitore e dall’ambiente ma anche direttamente dalla lampada.
Il processo fisico modellato dell’apparato sperimentale usato nella simulazione può trovare un’interessante analogia con un fenomeno naturale legato a una forma secondaria di attività vulcanica: alcuni territori presentano delle fessurazioni nel terreno dalle quali fuoriesce continuamente anidride carbonica la quale, essendo più densa dell’aria, tende a ristagnare nelle zone del terreno a minore altitudine fino a saturarle. È questo il caso, ad esempio, della Mofeta del Bossoleto (visibile nell’immagine) situata in Toscana alle Terme San Giovanni nel comune di Rapolano Terme. Questa zona deve il suo termalismo a fenomeni vulcanici risalenti al Quaternario e alla presenza nel sottosuolo di un substrato carbonatico. Durante la notte questa depressione del suolo si riempie principalmente di CO2 e quindi, quando i primi raggi solari la illuminano (il momento sul grafico è illustrato dalle linee verticali), si trova in condizioni simili a quelle descritte dalla simulazione sperimentale che abbiamo analizzato. Alcune misurazioni in situ, [5] rappresentate in figura (parte a) dove possiamo notare l’andamento della temperatura nel tempo , mostrano la presenza di un rapido aumento della temperatura (fino a circa 5-6°C) dovuto principalmente all’effetto serra provocato dalla presenza della CO2 nella depressione; nella parte b) per confronto l’aumento di temperatura nei medesimi istanti ma su territorio pianeggiante e non invaso dal biossido di carbonio. Anche in questo caso supponiamo che l’inibizione dei moti convettivi dovuto alla densità della CO2 sia fondamentale durante la fase di aumento della temperatura: infatti ci aspettiamo che essendo inibita, questa modalità di trasmissione del calore, il sistema si surriscaldi fino a che la temperatura sia sufficiente ad innescare moti convettivi che fanno poi fuoriuscire il gas serra. L’intensità dell’aumento della temperatura è in gran parte determinato dai rapporti dimensionali della depressione (e nella nostra simulazione da quelle del contenitore) perché più essa sarà profonda più i moti convettivi dovranno essere intensi per portare il gas oltre la sommità e quindi maggiore dovrà essere la differenza di temperatura fra il fondo e l’ambiente esterno (infatti l’intensità degli scambi convettivi dipende linearmente dalla differenza di temperatura).
Per concludere possiamo dire che l’esperimento proposto permette di simulare in prima approssimazione il fenomeno dell’effetto serra atmosferico e che il ruolo della convezione risulta di primaria importanza poiché è proprio il blocco dei movimenti convettivi che, nelle condizioni date, è il principale responsabile dell’aumento di temperatura, mentre la rivelazione della componente radiativa è più complessa da ottenere.

 

 

Riferimenti

[1] LR Kump, JF Kasting, RG Crane “The Earth System” 3rd ed. Pearson ed. 2011 Cap. 8 e 15
[2] a) S. B. Lueddecke, N. Pinter, and S. A. McManus, “Greenhouse effect in the classroom: A project- and laboratory-based curriculum”, J. Geosci. Educ. 49, 274-279 (2001).
b) T. Lister, Classic Chemistry Demonstrations (Royal Chemical Society, London, 1996), pp. 171-173.
c) Royal Meteorological Society, “Demonstrate the greenhouse effect,”
d) R. M. Fuller, “Greenhouse effect study apparatus”, Am. J. Phys. 41, 443-443 (1973)
e) C. F. Keating, “A simple experiment to demonstrate the effects of greenhouse gases,” Physics Teacher 45, 376-378 (2010).
[3] TOA è l’altezza alla quale il flusso radiativo entrante dovuto all’effetto serra atmosferico è trascurabile rispetto a quello solare; a quell’altezza quindi si può considerare come solo input radiativo l’energia radiante proveniente dal Sole e non anche quella che l’atmosfera rimanda verso il suolo
[4] P. Wagoner, C. Liu e R.G. Tobin “Climate change in a shoebox: Right results, wrong physics”  Am. J. Phys. 78

[5] P. R. van Gardingen, J. Grace, D. D. Harknessb, F. Miglietta, A. Raschi “Carbon dioxide emissions at an Italian mineral spring: measurements of average CO2 concentration and air temperature” Agricultural and Forest Meteorology 73 (1995) 17-27

Testo di Michele Bertò1, Claudio Della Volpe2, Luigi Gratton1
Dipartimento di Fisica1 e Dip. di Ingegneria Civile Ambientale e Meccanica2, Università di Trento.
(Questo post è basato sulla tesi di Laurea Magistrale in Fisica di Michele Bertò, relatori: C. Della Volpe e L. Gratton).

 

P.S. del 2/2/2014

Il lavoro sperimentale commentato in questo post è stato pubblicato sull’articolo

‘Climate change in a shoebox’: a critical review su European Journal of Physics

3 responses so far

3 Responses to “Riprodurre l’effetto serra in un laboratorio di Fisica”

  1. Fausto5on Set 18th 2013 at 13:22

    guarda caso qui nessuno commenta.. 🙂
    dove sono i negazionisti davanti a prove cosi’ certe??

  2. Mr.Hydeon Ott 19th 2013 at 17:21

    ciao Fausto, non è una novita’!! 🙂 molti negazionisti (cioè persone che negano la scienza ufficiale ed hanno sempre in bocca l’esempio della terra piatta ..) non sono scienziati, ma semplici articolisti oppure tutt’altro, ed è probabile che in un laboratorio di chimica-fisica non abbiano mai lavorato(probabilmente ne hanno VISTO 1 di sfuggita nel decorso scolastico) …quindi è pure probabile che non sappiano eseguire nemmeno una semplice analisi spettrofotometrica nel campo dell’ IR. Nonostante questa carenza scientifica di base ,sono i primi a dire che una volta c’era maggiore professionalita’ , e che oggi 2000 scienziati facciano il lavoro di uno solo.
    Il loro maggior appiglio non è la dimostrazione scientifica dei fenomeni, ma tutt’altro, la negazione!! non possono sopportare l’evidenza delle loro azioni sul sistema terra ed autodistruzione. Per altro esistono anche scienziati negazionisti con cui il confronto puo’ essere prolifico ed educativo , ma sono veramente pochi 🙁
    cordiali saluti
    Francy

  3. adminon Feb 2nd 2014 at 17:44

    Segnalo l’aggiunta al post di questo post scriptum:
    Il lavoro sperimentale commentato in questo post è stato pubblicato sull’articolo
    ‘Climate change in a shoebox’: a critical review
    sull’European Journal of Physics
    http://iopscience.iop.org/0143-0807/35/2/025016/pdf/0143-0807_35_2_025016..pdf

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