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Riscaldamento globale: quale impatto su El Niño e La Niña?

El Niño e La Niña sono due dei fenomeni climatici naturali in grado di influenzare la temperatura media globale del nostro pianeta. Ma come cambieranno con il riscaldamento globale e che impatti avranno?

 

Il termine El Niño è stato per molti secoli utilizzato dai pescatori del Sud America per descrivere una corrente oceanica calda che scorre periodicamente lungo la costa dell’Ecuador e del Perù e che riduce drasticamente la pesca locale ogni qual volta si ripresenta. I climatologi hanno in seguito identificato tale fenomeno con un particolare periodico riscaldamento delle acque superficiali tropicali dell’Oceano Pacifico centrale e orientale. El Niño non influenza solamente le temperature superficiali del mare e quindi le correnti oceaniche, ma causa anche fluttuazioni su scala globale della pressione atmosferica nelle zone equatoriali del Pacifico (da cui il nome El Niño-Southern Oscillation o, in breve, ENSO), nonché una significativa riduzione dei venti prevalenti in quelle regioni, gli alisei. El Niño ha anche un grande impatto sulla distribuzione delle precipitazioni nel Pacifico tropicale e subtropicale.

Esiste anche una fase fredda di ENSO, chiamata La Niña. Al contrario di El Niño, questa si presenta quando la superficie del Pacifico tropicale orientale subisce un significativo raffreddamento rispetto alle condizioni medie e contemporaneamente le temperature del mare nell’Australia settentrionale diventano particolarmente calde.

El Niño e La Niña sono fenomeni naturali che sembra siano esistiti per almeno gli ultimi 10 mila anni e si ripresentano con una periodicità variabile tra circa due e sette anni. Hanno importanti effetti climatici nell’intera regione del Pacifico e in molte altre parti del mondo. Gli impatti locali di El Niño e La Niña sono, tuttavia, opposti. El Niño porta siccità e ondate di calore sul Pacifico occidentale, in particolare sull’Australia orientale, come è avvenuto nelle estati del 1982-83 e 1997-98 in occasione degli episodi più intensi, mentre rende la costa occidentale del Sud America più umida. La Niña, invece, incrementa le precipitazioni e causa inondazioni più frequenti sull’Australia orientale, come le alluvioni che hanno investito il Queensland tra il dicembre 2010 e il gennaio del 2011, e contemporaneamente accentua le condizioni secche del Sud America occidentale.

Il recente nuovo rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change dimostra che la temperatura media globale della Terra è aumentata di quasi un grado nel corso dell’ultimo secolo, principalmente a causa dalle emissioni di gas serra dovute alle attività umane, e che la velocità di questo riscaldamento continua a crescere. Data l’importanza di ENSO a livello globale, sorge spontaneo chiedersi se e come il riscaldamento globale abbia influenzato in passato El Niño e La Niña e quali impatti sul clima possa aver avuto questa interazione. Inoltre, dato che gli attuali modelli climatici indicano che la temperatura media globale del pianeta continuerà a salire ulteriormente in futuro, con valori che saranno compresi tra 1 e 4 gradi entro la fine del secolo a seconda di come evolveranno le future emissioni globali di gas serra, come risponderanno in futuro El Niño e La Niña a un ulteriore riscaldamento e quali ripercussioni climatiche avranno?

Diversi studi, tra cui un recente lavoro del Centro di Ricerca sul Cambiamento Climatico dell’Università del Nuovo Galles del Sud a Sydney in Australia, sembrano indicare che il riscaldamento globale abbia intensificato i due fenomeni. Attraverso l’analisi di indicatori paleoclimatici, come ad esempio i fossili di coralli rinvenuti sul fondo dell’Oceano Pacifico equatoriale, gli scienziati australiani hanno ricostruito il comportamento di El Niño e La Niña negli ultimi 600 anni. Gli autori della ricerca hanno così scoperto che questi due fenomeni sono stati più intensi fra il 1979 e il 2009 di quanto non lo siano mai stati nel corso dei 6 secoli precedenti. Uno studio analogo a cura di un team di ricercatori statunitensi è andato ancora più indietro nel tempo, fino a 7 mila anni fa, e ha confermato che l’ampiezza degli episodi El Niño e La Niña è stata molto più alta nel XX secolo rispetto al passato.

Inoltre sembra che la variabilità di ENSO sia aumentata fino al 60% negli ultimi 50 anni e che nel corso degli ultimi decenni il numero di eventi di El Niño sia aumentato, mentre il numero di episodi La Niña è diminuito. Questa tendenza potrebbe essere un segnale del cambiamento climatico globale verso il riscaldamento.

I cambiamenti nel comportamento di El Niño e La Niña previsti per il XXI secolo sono piuttosto incerti, in quanto diversi modelli climatici forniscono proiezioni piuttosto differenti tra loro. È probabile che la tendenza osservata negli ultimi decenni verso il verificarsi principalmente di fenomeni El Niño continui man mano che il riscaldamento globale si intensifica e che tali episodi diventino sempre più frequenti e forti. Oppure, come suggerito dalla ricerca australiana citata precedentemente, che vi sia la probabilità di ritorni più intensi di entrambi El Niño e La Niña in un mondo che si riscalda. Se così fosse, i recenti eventi estremi che hanno caratterizzato l’area del Pacifico, come le alluvioni estreme, le siccità persistenti e le pericolose stagioni degli incendi che si sono susseguite nell’ultimo decennio in Australia, diventerebbero più frequenti e intense nel corso dei prossimi decenni. Perciò le conseguenze economiche, ambientali e sociali di questi eventi climatici estremi potrebbero essere molto peggiori rispetto al passato. Tuttavia, date le incertezze insite nei modelli climatici, ulteriore ricerca è necessaria per stimare con maggiore precisione come questa attività climatica cambierà in futuro.

 

Testo di Luca Chiari e Antonio Zecca

2 responses so far

2 Responses to “Riscaldamento globale: quale impatto su El Niño e La Niña?”

  1. Luigion Dic 9th 2013 at 09:03

    Bello! mi sfugge pero’ il motivo per cui debba esistere l’oscillazione del NINO/NINA. C’è un motivo fisico? perchè non esiste una cosa analoga nell’atlantico? scusate se puo’ sembrare una domanda fessa, ciao

  2. Riccardo Reitanoon Dic 9th 2013 at 19:59

    Luigi
    la domanda non è affatto banale e la risposta lo è ancor meno in quanto coinvolge la complessa dinamica dell’oceano e dell’atmosfera.

    In condizioni “normali”, gli alisei del pacifico soffiano da est verso ovest, riscaldandosi progressivamente e creando una regione di bassa pressione e risalita in quota dell’aria calda nella parte occidentale del bacino. La circolazione, detta di Walker, si chiude con venti equatoriali in quota diretti verso est che discendono nella zona di alta pressione sul lato orientale dell’oceano.
    Questo movimento dei venti causa anche un accumulo di acqua più calda sullo stesso versante che a sua volta tende a rinforzare la circolazione di Walker. La differenza di livello del mare fra ovest ed est pacifico è poco meno di un metro. A causa (in parte) di questo movimento verso ovest dell’acqua, sul lato est si ha un upwelling di acque profonde e fredde.
    Occasionalmente gli alisei nel pacifico centrale perdono intensità o addirittura cambiano direzione. Da lì partono due tipi di onde (perturbazioni), una verso est e l’altra verso ovest che tendono a riportare il livello del mare in equilibrio nella mutata condizione. L’onda che si propaga verso est, arrivando sulla costa (qualche mese dopo) tende a bloccare la risalita di acque fredde, producendo così un’anomalia calda (El Nino). Dall’altro lato dell’oceano succede l’opposto, riducendo la temperatura e causando un’anomalia fredda (o una minore anomalia calda).
    Entrambe queste “onde”, però, vengono riflesse dalla costa e tornano indietro tendendo a causare l’effetto opposto. Contemporaneamente, i diminuiti alisei fanno si che la regione in cui si ha il sollevamento dell’aria si sposta verso il pacifico centrale, tendendo così a “ripristinare” gli alisei e la situazione iniziale, o addirittura a generare la fase opposta.

    La circolazione di Walker ed un fenomeno equivalente all’ENSO esistono anche in Atlantico, dove però è molto ridotto e meno regolare. La ragione sta nella diversa geografia dei due bacini, con l’Atlantico molto più stretto che viene maggiormente influenzato dalla vicinanza dei continenti. Inoltre, in Atlantico esiste una asimmetria in direzione sud-nord con correnti e venti (e relativi gradienti di temperatura) trans-equatoriali che tendono a smorzare il fenomeno.

    Questa descrizione è molto approssimativa ed un oceanografo mi condannerebbe ai lavori forzati in aula studio. In cambio della pena che dovrò scontare, spero di aver almeno dato una vaga idea del fenomeno 🙂

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