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L’intreccio fra l’aria e il clima

I cambiamenti climatici sono un problema globale, che già riguarda noi, qui e ora, ma che lasceremo in gran parte ai posteri. L’inquinamento dell’aria ha una scala regionale o locale, ci riguarda più da vicino, danneggia il nostro apparato respiratorio e cardiovascolare. Potrebbero sembrare due problemi distinti, ma se si va in profondità si scopre che hanno tanti punti in comune, per certi aspetti sono intrecciati.
Innanzitutto dal lato fenomenologico: il clima che cambia può influire sulla qualità dell’aria; viceversa, alcuni inquinanti atmosferici sono in grado di influenzare fortemente il bilancio radiativo del pianeta e quindi hanno un effetto climalterante. Dal punto di vista delle azioni per contrastare i due problemi, anche qui l’intreccio è forte: ci sono sia politiche sinergiche, che affrontano assieme le due sfide, sia punti di contrasto.
Richiede un po’ di impegno, ma capire i perché di queste connessioni è importante ed è il punto centrale di un mio libro appena pubblicato, Aria Pulita (Bruno Mondadori), che sarà presentato al Politecnico di Milano mercoledì 11 dicembre 2013, alle ore 11 (in Aula Beltrami, Edificio 5, locandina qui). Tutti i lettori di Climalteranti sono invitati.
Da ricordare che il Quinto Rapporto IPCC-WG1, recentemente publicato, ha riconosciuto l’importanza del trema, includendo per la prima volta anche nel Sommario per i decisori politici un paragrafo (E3) in cui sono riassunte le proiezioni sulla qualità dell’aria a scala globale (i dettagli sono nel Cap. 11, par. 3.5).

Qui sotto due estratti di uno dei capitoli del libro.

Il modo principale con cui le variazioni climatiche possono incidere sui livelli di inquinanti nell’aria che respireremo è modificando le caratteristiche di diffusività dell’atmosfera. Abbiamo visto come gli eventi critici di inquinamento atmosferico sono legati sia alla quantità delle emissioni e alle reazioni secondarie in atmosfera, ma soprattutto alle condizioni di stagnazione dell’atmosfera stessa: alla sua struttura termica, che impedisce agli inquinanti di disperdersi verso l’alto, e alla mancanza di vento. Alcuni studi, anche italiani [1], hanno mostrato come il riscaldamento globale abbia già portato ad una variazione nei parametri diffusionali dell’atmosfera. Il periodo di valutazione è limitato per potere definire una chiara tendenza, ma la spiegazione proposta è che l’aumento della temperatura e del soleggiamento favoriscono l’aumento di pressione e i fenomeni di “subsidenza”, cioè i moti verticali delle masse d’aria verso il basso, che determinano la stagnazione dell’aria e quindi maggiore stabilità. Un recente studio [2] ha utilizzato i modelli matematici per cercare di capire se in futuro, col procedere del riscaldamento globale, le situazioni critiche di aria stagnante saranno favorite o no. I risultati per diverse aree del pianeta sono preoccupanti: ad esempio per l’area mediterranea ci si attende un aumento medio dei periodi di stagnazione del 12-25% per fine secolo, accompagnato da una diminuzione dei giorni di pioggia. Si tratta di valutazioni molto complesse e ancora soggette a inevitabili incertezze, perché tanti sono i fattori che concorrono, nelle diverse stagioni dell’anno, a variare la forza dei venti o l’occorrenza delle precipitazioni; ma i primi risultati sono congruenti fra diversi tipi di modelli e saranno sicuramente irrobustiti nei prossimi anni.
Infine, la variazioni delle temperature e dell’umidità dell’atmosfera legate ai cambiamenti climatici influenzano le reazioni chimiche che determinano la formazione degli inquinanti secondari, come l’ozono.

                                                     …

Non solo le variazione del clima influenzeranno la qualità dell’aria, ma alcune sostanze inquinanti alla scala locale, interagiscono con il bilancio energetico del pianeta e quindi con i cambiamenti climatici.
Le polveri hanno un effetto diverso a seconda della loro dimensione, e come nel dettaglio agiscono sul clima globale è ancora oggi una delle principali sfide scientifiche. La complicazione deriva dal fatto che le polveri hanno sia un effetto diretto, nell’alterare la radiazione solare entrante o uscente dall’atmosfera, sia un effetto indiretto, nel favorire la formazioni di nubi. Decine di modelli matematici cercano da anni di simulare il comportamento degli aerosol, nome utilizzato per descrivere la miscela di polveri e dei prodotti della loro interazione con l’umidità dell’atmosfera, ad esempio microscopiche goccioline; ogni rapporto dell’IPCC mostra gli avanzamenti progressivi, il lento e faticoso far luce sugli aspetti più incerti grazie a misure e modellizzazioni matematiche. Molto in sintesi, una parte del particolato ha un effetto raffreddante per il pianeta, perché riflette parte della radiazione solare che arriva sulla superficie terrestre: è generalmente il particolato inorganico di dimensioni maggiori, emesso assieme all’SO2 in ingenti quantità dalle centrali termoelettriche a carbone, in particolare in Cina.
Il black carbon è invece un agente con un fortissimo potere climalterante, perché la superficie nera delle particelle è in grado di assorbire la luce a tutte le lunghezza d’onda, radiazione infrarossa compresa. Il suo contributo medio riscaldante su 100 anni è circa 500 volte quello dalla CO2. Sul breve termine (20 anni) l’effetto riscaldante è pari a oltre 2000 volte quello della CO2 [3].
Ci sono poi polveri il cui effetto sul clima è ancora incerto e controverso [4], per cui non è sempre agevole valutare quale sia l’effetto climalterante complessivo del particolato emesso da una combustione. Ad esempio, mentre le emissioni di SO2 e polveri dalla combustione del carbone hanno un effetto raffreddante per l’atmosfera, per il particolato che si origina della combustione delle biomasse non è sempre detto. Complessivamente, a livello globale, la presenza di aerosol ha un effetto raffreddante per il pianeta, che quindi contrasta l’effetto riscaldante di CO2 e degli altri gas climalteranti. In altre parole, è come se le polveri stessero “mascherando” parte del riscaldamento globale causato dalla CO2.

[1] Pasini A., Cipolletti F. (2007) Evidence of changes in diffusive properties over Italy during the period November 2006-April 2007: a case study. Nuovo Cimento, Vol. 30, 4, 431-434
[2] Horton D.E., Harshvardhan S., Diffenbaugh N.S (2012) Response of air stagnation frequency to anthropogenically enhanced radiative forcing. Environmental Research Letters, 7, 044034
[3] US-EPA (2012) Report to Congress on Black Carbon. Il minor peso riscaldante del black carbon sul lungo periodo è dovuto alla sua minore permanenza in atmosfera, molto inferiore a quella della CO2.
[4]  Ad esempio il brown carbon, un aerosol organico che si origina da composti organici volatili e sostanze umiche. Non è facile la distinzione fra brown carbon, black carbon e le varie molecole di carbonio organico che possono essere presenti in un aerosol, anche perché la radiazione luminosa può alterare i rapporti fra le sostanze.

 

Testo di Stefano Caserini

4 responses so far

4 Responses to “L’intreccio fra l’aria e il clima”

  1. stefanoon Dic 9th 2013 at 23:45

    quando l’accennai una decina d’anni fa, il legame cioè tra inquinamento e GW, non ebbi molta fortuna (almeno a livello amatoriale sui forum meteo:) )..
    a te faccio i complimenti perché è un argomento tosto e non così facilmente assimilabile anche nell’ambito meteo-climatico..sai bene quanta gente separa tutt’oggi il GW dalla meteo, dalla climatologia, dallo sfruttamento delle risorse esauribili ecc..ecc..
    ‘In bocca al lupo’! e spero di leggerlo in versione digitale 🙂
    s.

  2. Stefano Caserinion Dic 10th 2013 at 11:35

    Grazie.
    Per la versione digitale, si vedrà più avanti
    Saluti
    SC

  3. Roberto Canzianion Dic 14th 2013 at 13:27

    Bravo Stefano Caserini! Consiglio a tutti la lettura. Un testo di agevole lettura, ma ben documentato. Una risposta scientificamente corretta a chi “spara” opinioni infondate, inclusi (soprattutto) quei demagoghi-populisti che oggi riscuotono alti gradimenti, del tutto immeritati e ingiustificati. Leggete, gente, leggete…
    Roberto Canziani – Politecnico di Milano

  4. […] Le scelte politico-economiche di indirizzo e/o incentivazione alla produzione di una tipologia di alimentazione autoveicolare (motorizzazione diesel, a benzina, bi-fuel GPL/benzina o gas naturale/benzina, autoveicoli ibridi, alimentazione esclusivamente elettrica) anziché un’altra possono avere nel medio-lungo termine un forte impatto in termini di tonnellate di CO2 equivalente risparmiate, ma anche sulle emissioni di inquinanti critici per la qualità dell’aria (del cui legame si è parlato in questo post). […]

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