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Trump, l’ENI, il budget di carbonio e l’Accordo di Parigi

Se si vuole rispettare l’accordo di Parigi, più di quattro quinti dei combustibili fossili non devono essere utilizzati: che senso ha allora estrarre petrolio nell’Artico, una delle zone più fragili del pianeta?

 

Nei giorni scorsi si è saputo che Donald Trump ha autorizzato nuove trivellazioni nell’Artico per la ricerca di nuovi pozzi petroliferi. La prima compagnia che è stata autorizzata è l’Italiana ENI (vedi qui, qui e qui).

L’Artico è una delle zone più delicate del pianeta, operazioni petrolifere in queste zone sono molto rischiose sia per i gravi danni che un incidente a un pozzo potrebbe causare in acque così fredde, sia perché le emissioni di sostanze inquinanti come il black carbon (emesso in rilevanti quantità dai motori diesel di navi e fiaccole) in quelle zone sono molto efficaci nel ridurre l’albedo del ghiaccio, già in drammatica riduzione.

Ma se si considera il contesto globale delle politiche sul clima, questa operazione ha poco senso anche da altri punti di vista.

 

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Una delle novità del Quinto rapporto sul clima, pubblicato dall’IPCC nel 2013, era stata di aver mostrato in modo chiaro come sul lungo periodo il riscaldamento globale è legato al totale delle emissioni cumulate di CO2, ed è indipendente dallo scenario, ossia dal percorso con cui le emissioni aumentano. In altre parole, esiste una relazione lineare fra l’aumento delle temperature medie globali e le emissioni cumulate globali di CO2, relazione espressa dall’ultima figura inserita nel Sommario per i decisori politici del Primo Gruppo di Lavoro (qui a fianco). Di conseguenza, l’obiettivo delle politiche sul clima può essere espresso efficacemente in termini di “budget” di emissioni globali di CO2. Per avere una probabilità di 2 su 3 (66%) di contenere il riscaldamento globale a meno di 2°C, le emissioni cumulate di CO2 devono essere inferiore a 3670 gigatonnellate (Gt), che diventano 2900 se si “lascia spazio” per il riscaldamento provocato dagli altri gas serra.

Sulla base dei dati storici dei consumi di carbone, petrolio e gas, si è stimato che dall’inizio della rivoluzione industriale al 2016 sono state emesse circa 2100 GtCO2. Di conseguenza, se si vuole limitare il riscaldamento globale al di sotto dei 2°C, rimangono da emettere circa 800 gigatonnellate di CO2.

Le emissioni annue di CO2 sono state negli ultimi anni circa pari a 36 Gt, quindi ai livelli attuali in soli 22 anni avremmo esaurito lo “spazio di carbonio” disponibile per limitare il riscaldamento globale a +2°C.

Se si utilizzassero tutte le riserve di combustibili fossili accertate (ossia quelli che sono estraibili alle attuali condizioni economiche e con le attuali tecnologie) le emissioni di CO2 aggiunte nell’atmosfera sarebbero circa 3500 Gt, quindi se si vuole rimanere sotto i 2°C, tre quarti dei combustibili fossili che sono già estraibili andrebbero lasciati sotto terra.

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Uno studio pubblicato nel 2015 sulla rivista Nature ha indicato anche dove si trovano le riserve che dovrebbero rimanere inutilizzate, tenendo conto dei costi di estrazione e della distanza dei luoghi di approvvigionamento: più del 90% del carbone degli Stati Uniti e della Russia, il 66% del carbone della Cina, il 50% del gas e il 20% del petrolio della Russia, il 60% del gas e il 40% del petrolio del Medio Oriente, e così via. Nel complesso, non sarebbero da bruciare quattro quinti delle riserve di carbone conosciute e estraibili, metà di quelle del gas e un terzo di quelle del petrolio.

Molti studi negli scorsi anni hanno evidenziato che il valore contabile delle compagnie di produzione di combustibili fossili private o statali considera già le aspettative dei ricavi economici di una buona parte di questo carbone, petrolio e gas che andrebbe lasciato sottoterra. Per questo si parla di “bolla del carbonio”: se si contrasterà seriamente il riscaldamento globale qualcuno dovrà rinunciare a un po’ di profitti, e quelle riserve di combustibili fossili conteggiate come futuri ricavi nei bilanci perderanno valore: diventeranno degli “stranded assets”, ossia degli attivi non recuperabili.

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Come già raccontato, gli ambiziosi obiettivi di aumento massimo delle temperature globali approvati dall’Accordo di Parigi hanno ulteriormente ridotto il budget rispetto ai calcoli sopra riportati: se si vuole limitare il riscaldamento globale “ben al di sotto di 2°C e se possibile 1,5°C” il budget di emissioni rimanenti di CO2 da qui a fine secolo si dimezza. Di conseguenza la quantità di combustibili fossili da lasciare sottoterra aumenta ulteriormente (a meno di non ricorrere, in futuro, a tecnologie in grado di fornire emissioni “negative”): i combustibili fossili da lasciare sotto terra sarebbero l’85-90% di quelli che già saremmo in grado di estrarre. Visto che già lo scenario 2°C ipotizzava che quasi il 90% del carbone rimarrà sottoterra, allora è probabile che l’Accordo di Parigi metterà una limitazione ulteriore al petrolio e al gas.

Da questo scenario emergono quindi due semplici domande:

1) qual è il senso di cercare nuovo petrolio nell’Artico?

2) se il Parlamento italiano ha ratificato l’Accordo di Parigi alla quasi unanimità, perché la compagnia petrolifera di cui lo Stato italiano (tramite il Ministero del Tesoro) detiene il controllo si fa coinvolgere in questa operazione?

 

 

Testo di Stefano Caserini, con contributi di Mario Grosso

 

8 responses so far

8 Responses to “Trump, l’ENI, il budget di carbonio e l’Accordo di Parigi”

  1. homoereticuson Dic 4th 2017 at 17:37

    “1) qual è il senso di cercare nuovo petrolio nell’Artico?”

    la semplice risposta la conosciamo tutti ed è la stessa alla domanda 2.
    Il senso è che l’accordo di Parigi, come del resto tutti i tentativi precedenti, non è niente più che un’elenco di buoni propositi. Per la serie: da domani mi metto a dieta, da domani smetto di bere/fumare ecc. Nessuno ha il potere, (e nemmeno la volontà, evidentemente) di farlo veramente rispettare. Raccontiamocela chiara, almeno tra noi: Trump, per brutto e cattivo che sia, riguardo al clima ha il pregio di essere meno ipocrita degli altri leader.
    L’obiettivo di tutti i governi (e del 99 per cento dei loro cittadini) che siano democratici o dispotici, del resto è solo e soltanto la crescita economica, cioè crescita degli scambi e dei consumi, (in molte aree del mondo associata anche a crescita della popolazione).
    Non si riesce pertanto a capire per quale miracolosa sospensione delle leggi fisiche dovremmo emettere meno GHG (almeno a breve).

    ” quindi ai livelli attuali in soli 22 anni avremmo esaurito lo “spazio di carbonio” disponibile per limitare il riscaldamento globale a +2°C.”
    E’ ovvio che con il ritmo attuale (emissioni globali stazionarie o forse perfino in lieve aumento) non esiste la minima probabilità di rientrare nel budget (a meno di eventi imprevedibili, tipo guerra nucleare totale, pandemie, asteroidi, invasione aliena …).
    Di anni potrebbero volercene 25, se si rallenta un po’, magari 30, ma per il clima e per lo stato generale ambientale del pianeta cambierebbe poco.

    Piccolo OT: intanto in Italia archiviamo l’anno meteorologico più secco di sempre ed il quarto più caldo.
    https://www.cnr.it/it/nota-stampa/n-7807/isac-cnr-2017-anno-piu-secco-degli-ultimi-due-secoli

  2. alsarago58on Dic 5th 2017 at 12:01

    E’ un tema molto spinoso, e molto triste, per quello che ci dice dell’ipocrisia delle classi dirigenti (e della nostra) e della natura umana in generale.
    I dirigenti dell’Eni che dichiarano la loro adesione alle iniziative climatiche (per loro destinate a “un futuro low carbon” non certo “no carbon”, che li renderebbe disoccupati…), poi non vedono contraddizione nel continuare a cercare e mettere in produzione nuovi giacimenti di idrocarburi.
    Così come i politici che vanno nei consessi internazionali a dare tutto il loro sostegno agli accordi per la limitazione delle emissioni, poi gioiscono di qualunque aumento del Pil, comunque sia ottenuto.
    E noi stessi “ambientalisti-climatisti” siamo ben felici di godere di beni e servizi come i voli low cost. gli smartphone a prezzi stracciati o la benzina economica, per ritagliarci vite un po’ migliori, qui e ora.
    Come tante volte detto, la mente umana non è progettata per pensare al lontano futuro e alle future generazioni: in assenza di un pericolo evidente e imminente, preferiamo goderci, e far godere alla prole, il tempo presente, senza preoccuparci troppo di cosa stia facendo al futuro il nostro comportamento.
    Tempo fa in Francia fu trovato un enorme ammasso di ossa di cavalli: gli uomini di Cro Magnon avevano spinto giù da un dirupo un intero branco, per poi usare la carne di solo un paio di esemplari. E come noto, in Nord America questi comportamenti furono tanto efficaci da portare i cavalli all’estinzione, così che quei popoli si trovarono in grave svantaggio quando i cavalli tornarono, con i conquistadores sopra.
    Con una specie come la nostra, una minaccia globale ed esiziale, come il cambiamento climatico, che richiede interventi immediati, ma è proiettata in un vago futuro, è veramente “l’arma fine di mondo”.
    Trovare una soluzione socio-politica a questo dilemma neuropsicologico, è molto più arduo che trovare rimedi tecnologici ai problemi energetici.

  3. alsarago58on Dic 5th 2017 at 12:06

    Forse ci dobbiamo rassegnare: a noi piace afrontare i problemi sono quando sono chiari e manifesti.

    Per cui cercheremo di rimediare ai danni climatici, non tanto limitandoci seriamente adesso, ma aggiungendo in futuro nuovi sforzi e nuove tecnologie quando il clima diventerà veramente minaccioso: prepariamoci quindi al trionfo del geoengineering, cioè progetti alla Dr. Stranamore, per limitare il riscaldamento globale ed estrazione artificiale di CO2 dall’atmosfera.

    Il massimo che possiamo fare adesso è guadagnare un po’ di tempo e far si che quando il momento dell’accettazione generale del pericolo (e relativa seria mobilitazione) arriverà, la situazione sia ancora rimediabile con quelle tecnologie.

  4. Vincenzoon Dic 5th 2017 at 14:03

    Buongiorno, grazie per l’articolo che ho trovato molto chiaro e sintetico.
    Sarebbe auspicabile che gli stati signatari dell’Accordo di Parigi si dotino di strumenti efficienti per bloccare lo sviluppo di nuove estrazioni di combustibili fossili.
    Non mi sembra che se ne sia parlato a Bonn.
    Qualche sforzo in questo senso e’ in corso?

    Sarebbe molto interessante capire, da un punto di vista istituzionale, in base a quale meccanismo l’Accordo di Parigi dovrebbe regolare l’attivita’ degli attori istituzionali come il Ministero del Tesoro. In altre parole: chi deve controllare che il Ministero del Tesoro operi in maniera coerente con l’accordo ratificato dal parlamento ?
    Una domanda simile si pone per la SEN approvata qualche settimana fa e che non sembra completamente in linea con gli obiettivi della COP 21 (anche se degli adeguamenti successivi sono previsti).
    Grazie per il vostro lavoro, cordialmente

    Vincenzo

  5. Stefano Caserinion Dic 10th 2017 at 22:36

    Homoereticus
    @ Il senso è che l’accordo di Parigi, come del resto tutti i tentativi precedenti, non è niente più che un elenco di buoni propositi.

    No, non sono d’accordo; l’Accordo di Parigi è molto di più. Ne abbiamo parlato e abbiamo anche indicato molti testi in cui si discutono le conseguenze concrete dell’Accordo. È una critica facile, troppo facile.

    @ Vincenzo
    Sarebbe auspicabile che gli stati signatari dell’Accordo di Parigi si dotino di strumenti efficienti per bloccare lo sviluppo di nuove estrazioni di combustibili fossili. Non mi sembra che se ne sia parlato a Bonn.

    Nei side event se ne parla eccome; certo non è un argomento direttamente presente nel testo dell’Accordo, e non me ne stupisco certo.

    @ chi deve controllare che il Ministero del Tesoro operi in maniera coerente con l’accordo ratificato dal parlamento ?

    Il Governo, ossia Il Ministro del Tesoro, dell’Ambiente, o il Primo Ministro. Notare che prima della ratifica del Parlamento, più o meno lo stesso Governo aveva sottoscritto l’Accordo di Parigi.

  6. homoereticuson Dic 11th 2017 at 12:17

    @ stefano caserini
    “È una critica facile, troppo facile.”

    No, non era una critica, era un piccolo sfogo personale. Nella speranza che qualcuno più esperto mi smentisse, come ha fatto lei (grazie). Psicologia spicciola. Come quando una donna dice: “guarda come sono grassa, sembro una balena” contando che l’amica o l’amico vicino le replichi: ma no stai benissimo, sei in gran forma.

    Mi scuso per l’intervento poco costruttivo, ma la frase: “quindi ai livelli attuali in soli 22 anni avremmo esaurito lo “spazio di carbonio” disponibile per limitare il riscaldamento globale a +2°C.” è vostra e lascia poco spazio a interpretazioni. Così come il fatto che l’ENI andrà a perforare l’Artico e che nessuna comunità locale, nazionale o accordo internazionale ha strumenti e volontà per impedirglielo, fino a prova contraria.

    Scusandomi ancora, ringrazio tutti: in particolare il team di questo blog per le loro preziose informazioni, e tutti quelli che, diversamente dal soprascritto, hanno ancora la forza e la voglia di lottare e sperare, preferendo l’azione allo sterile e improduttivo mugugno.

  7. Stefano Caserinion Dic 12th 2017 at 15:26

    @ Vincenzo
    @ Sarebbe auspicabile che gli stati signatari dell’Accordo di Parigi si dotino di strumenti efficienti per bloccare lo sviluppo di nuove estrazioni di combustibili fossili.
    @ Non mi sembra che se ne sia parlato a Bonn. Qualche sforzo in questo senso e’ in corso?

    Aggiungo questa notizia recente
    https://www.reuters.com/article/us-climatechange-summit-worldbank/world-bank-says-will-cease-financing-upstream-oil-and-gas-after-2019-idUSKBN1E61LE

    PARIS (Reuters) – The World Bank said on Tuesday it will no longer finance upstream oil and gas projects after 2019, apart from certain gas projects in the poorest countries in exceptional circumstances.

    “As a global multilateral development institution, the World Bank Group is continuing to transform its own operations in recognition of a rapidly changing world,” the bank said in a statement.

    “The World Bank Group will no longer finance upstream oil and gas, after 2019,” it added.

  8. Valentino Pianaon Dic 12th 2017 at 16:29

    Qui a Parigi al One Planet Summit il presidente di Banca Mondiale ha annunciato la fine del supporto all’esplorazione e estrazione di gas&oil

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