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Una clausola che non esiste (repetita iuvant)

In Senato è stata presentata una mozione che chiede all’Italia di “dichiarare decaduto l’Accordo del 20-20-20” sulla base di una clausola che, però, non esiste.

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Nove Senatori della Repubblica Italiana hanno depositata una mozione sul tema delle politiche sui cambiamenti climatici.
Come per la precedente mozione presentata e poi approvata nel marzo-aprile del 2009, anche questa mozione contiene una quantità record di errori e incongruenze, e costituisce un altro impressionante indicatore del ritardo di una parte del mondo politico italiano sulle questioni del clima e dell’energia.
Tralasciando tutte le infondate affermazione iniziali sulla criticità dei contenuti scientifici dell’IPCC, della “moralità” dei suoi membri (!), nonché la richiesta di avvicendamento del “Presidente dell’IPCC dott. Pachauri e del commissario De Boer” (quest’ultimo aveva già annunciato le sue dimissioni una settimana prima della presentazione della mozione), si vuole in questo post richiamare l’attenzione sulla richiesta principale della mozione, quella di impegnare il Governo a “richiedere l’attivazione in sede di Unione europea” di una “clausola Berlusconi”, che permetterebbe “di dichiarare decaduto, in quanto non più utile, l’Accordo del 20-20-20”. Continue Reading »

60 responses so far

Esiste una “clausola di revisione” del Pacchetto 20-20-20 ?

Al di là delle vistose carenze nella comprensione del problema dei cambiamenti climatici, la mozione approvata dall’aula del Senato contiene alcuni errori basilari nel ricostruire gli impegni assunti dall’Italia e dall’Europa in materia di cambiamenti climatici.
La mozione (1) cita l’esistenza di una “clausola di revisione” che sarebbe stata approvata a Dicembre e che permetterebbe la ridiscussione dell’intera strategia europea sul clima, ad esempio con l’approvazione di obiettivi meno cogenti. Nonostante di questa clausola abbiano parlato a lungo i media italiani (vedi ad esempio qui e qui), e la sua approvazione sia stata fatta passare per una “vittoria” del Governo Italiano, è facile verificare che questa clausola di revisione degli impegni europei sul clima, di fatto, non esiste.


***
Ma andiamo con ordine e riassumiamo quanto è successo.
Una delle richieste del governo italiano in occasione della riunione del Consiglio europeo dell’11-12 dicembre 2008, dove è stato discusso il pacchetto clima-energia (cosiddetto pacchetto 20-20-20), riguardava l’inserimento di una clausola di revisione dell’intero pacchetto di misure in funzione dei risultati che sarebbero stati conseguiti dalla Conferenza di Copenhagen nel dicembre 2009. L’obiettivo era quello di rivedere al ribasso il target di riduzione delle emissioni al 2020 in caso di mancato o insoddisfacente accordo a livello internazionale.
Un’altra richiesta del nostro governo riguardava la trasformazione dell’obbiettivo vincolante per la promozione delle fonti rinnovabili in un accordo di massima soggetto a revisione nel 2014.
Sulla stampa e anche in occasione di convegni nazionali sul tema della lotta ai cambiamenti climatici, si è parlato spesso di una non meglio definita clausola di revisione proposta dal governo italiano e accolta in sede di approvazione del pacchetto clima-energia da parte del Consiglio europeo (12 dicembre 2008) e del Parlamento europeo (17 dicembre 2008) in base alla procedura di co-decisione. Ciò è stato presentato come uno dei maggiori successi conseguiti dalla delegazione italiana.
Ma di che clausola si tratta?
Il pacchetto clima-energia è stato adottato, anche formalmente, dal Consiglio europeo del 6 aprile 2009 per cui conviene riferirsi ai testi ufficiali approvati in tale sede.

 

La Direttiva per la promozione delle fonti rinnovabili nell’articolo 23 (comma 8c) prevede che la Commissione, entro il 31 dicembre 2014, predisponga una relazione sull’implementazione della direttiva, in particolare con riferimento ai meccanismi di cooperazione al fine di agevolare il raggiungimento degli obiettivi nazionali di promozione delle fonti rinnovabili, e tragga le opportune conclusioni ai fini del raggiungimento dell’obiettivo comunitario. Sulla base di questa relazione la Commissione potrà presentare al Consiglio e al Parlamento europeo modifiche ai meccanismi di cooperazione per migliorarne l’efficacia ai fini del raggiungimento del target comunitario del 20% (L’articolo citato al comma 8a prevede la possibilità di aggiustare il valore del tasso di emissioni evitate legato all’utilizzo dei biocombustibili). Quindi la clausola di revisione in questo caso riguarda la possibilità di modificare i meccanismi di cooperazione tra i paesi UE e tra questi e paesi terzi (ovvero i meccanismi di flessibilità previsti dalla direttiva) e non la possibilità di modificare gli obiettivi nazionali che restano pertanto vincolanti.

La nuova Direttiva inclusa nel pacchetto clima-energia (il numero non è ancora stato assegnato) che modifica la direttiva attualmente in vigore (ovvero la direttiva 2003/87/EC che ha istituito il sistema europeo dei permessi negoziabili per la riduzione delle emissioni), disciplina gli aggiustamenti che saranno necessari in caso di sottoscrizione di un accordo internazionale per la riduzione delle emissioni nel periodo post-Kyoto.

L’articolo 1 della citata Direttiva (1), in particolare, chiarisce che la Direttiva intende disciplinare anche il possibile aumento dell’impegno di riduzione dal 20% al 30% (2).

Inoltre, in base all’articolo 28, entro tre mesi dalla firma di un accordo internazionale che assegni obbiettivi vincolanti di riduzione delle emissioni più stringenti del 20% già previsto con riferimento all’anno 1990, e come già stabilito dall’impegno sottoscritto dal Consiglio europeo della primavera 2007 per l’innalzamento del target europeo dal 20% al 30%, la Commissione europea produrrà una relazione focalizzata sui seguenti punti principali:
*   gli impegni sottoscritti dagli altri paesi industrializzati e dai paesi in via di sviluppo economicamente più avanzati;
*    le opzioni per l’Unione europea per innalzare l’obiettivo di riduzione delle emissioni al 30%, anche in funzione di quanto conseguito durante il periodo di adempimento del Protocollo di Kyoto;
*    la competitività delle industrie manifatturiere esposte a carbon leakage;
*    l’impatto dell’accordo internazionale sugli altri settori produttivi (inclusa l’agricoltura);
*    i problemi legati alla silvicoltura e destinazione d’uso del suolo nei paesi terzi;
*    la necessità di misure ulteriori per il raggiungimento degli obiettivi comunitari e nazionali.
Sulla base di questa relazione la Commissione presenterà eventualmente al Parlamento e al Consiglio europeo una proposta di revisione della direttiva EU ETS per renderla coerente con gli obiettivi previsti dall’accordo internazionale.

Quindi, in questo caso, la clausola di revisione è finalizzata esplicitamente a rendere più stringente l’impegno già sottoscritto dall’Unione europea.
Nel testo della direttiva non c’è alcuna menzione alla possibilità di rivedere verso il basso l’obiettivo vincolante del 20% al 2020 in caso di mancato accordo a livello internazionale per la riduzione delle emissioni.

Per completezza di informazione si riporta anche una frase inclusa nel documento delle conclusioni della Presidenza del Consiglio europeo del 12 dicembre 2008. Al punto 23 di tale documento si legge che saranno valutati gli effetti sulla competitività dell’industria e di altri settori economici (3).
Ma questo “assessment” è proprio quello indicato nell’elenco degli elementi riportati nell’art. 28 della nuova Direttiva ETS che la Commissione europea dovrà prendere in considerazione per rendere coerente gli impegni europei con quelli previsti dall’eventuale accordo internazionale.

La “raccomandazione” della mozione non ha quindi, di fatto, alcuno spazio in Europa.

Testo di: N.D.

(1)  Estratto  dal testo della mozione approvata (1-00107, testo 3, 1 aprile 2009)

apprezzata la posizione espressa dal Governo italiano nel vertice del dicembre 2008 a Bruxelles, che ha condotto il Consiglio dei Capi di Governo dell’Unione europea ad approvare una clausola di eventuale revisione da trattarsi nel marzo 2010 a seguito degli esiti del vertice mondiale di Copenhagen,

si raccomanda…
– di mantenere la linea espressa a Bruxelles di revisione dell’Accordo cosiddetto 20-20-20;
– di ottenere in sede di revisione dell’Accordo cosiddetto 20-20-20, alla luce delle considerazioni di cui in premessa:
a) una minor cogenza degli obiettivi quantitativi e temporali, escludendo, quindi a maggior ragione, ogni possibilità di loro inasprimento;
b) una complessiva nuova scrittura dell’Accordo 20-20-20 stesso anche in funzione del coinvolgimento dei Paesi in via di sviluppo, senza l’intervento dei quali il richiamato Accordo, quand’anche teoricamente efficace, diverrebbe sostanzialmente inutile e penalizzante per i pochi sottoscrittori;
….

(2) ” This Directive also provides for the reductions of greenhouse gas emissions to be increased so as to contribute to the levels of reductions that are considered scientifically necessary to avoid dangerous climate change.
This Directive also lays down provisions for assessing and implementing a stricter Community reduction commitment exceeding 20 %, to be applied upon the approval by the Community of an international agreement on climate change leading to greenhouse gas emission reductions exceeding those required in Article 9, as reflected in the 30 % commitment endorsed by the European Council of March 2007.”

(3) “The Commission will present to the European Council in March 2010 a detailed analysis of
the results of the Copenhagen Conference, including the move from 20 % to 30 % reduction.
On this basis the European Council will make an assessment of the situation, including its
effects on the competitiveness of European industry and the other economic sectors”.

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Meraviglia, sconcerto, o qualche allegra risata?

Sul sito del Senato della Repubblica italiana è comparso il testo di una mozione, presentato da numerosi Senatori, che intende impegnare il Governo ad una serie si azioni volte di fatto a contrastare la politica europea sul clima.

immagine Senato Repubblica Italiana

Non si tratta di un pesce d’Aprile. Chi ha seguito i resoconti del convegno del 3 marzo non rimarrà sorpreso nel leggere il testo e ritrovarvi molti degli errori, dei fraintendimenti e delle mistificazioni sullo stato delle conoscenze del problema climatico di cui su questo sito abbiamo già parlato.
Nei prossimi giorni Climalteranti illustrerà con precisione i gravi errori presenti nel testo della mozione.
Si riporta nel frattempo il link ad un articolo recentemente pubblicato su EOS in cui vengono presentati i risultati di un’indagine condotta su oltre 3100 scienziati impegnati nella ricerca sul clima. Da questa indagine fra addetti ai lavori, già presentata da un post di Antonello Pasini,  si evince un sostanziale e generalizzato consenso sull’esistenza e sulle cause del cambiamento climatico, consenso che raggiunge il 97.5% fra gli intervistati con specifiche e riconosciute competenze in materia climatica.
Purtroppo, nonostante i ripetuti tentativi di mistificazione che non riconoscono o tentano di screditare o di ridurre a semplice opinione il lavoro rigoroso e onesto di migliaia di ricercatori di tutto il mondo, i cambiamenti climatici generati con probabilità molto elevata dalle attività umane sono un dato di fatto, una realtà che siamo costretti ad affrontare al pari di quanto altre potenze economiche in Europa e in Nord America hanno cominciato a fare. Prima iniziamo, meno ci verrà a costare.

Suggeriamo ai tanti lettori che ci hanno segnalato il caso, inviandoci il link del sito di Repubblica che vi ha dato risalto, a non preoccuparsi troppo: è tale l’inconsistenza scientifica del documento che c’è da scommettere che gli effetti principali che produrrà a livello europeo saranno meraviglia, sconcerto o, nella migliore delle ipotesi, sarcasmo e qualche risata.

Testo di: Stefano Caserini, Giulio de Leo, Paolo Gabrielli.

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Pacchetto 20-20-20: gli errori nei numeri del Ministero dell’Ambiente

E’ passato ormai un mese dalla polemica del governo italiano sui costi del pacchetto clima energia dell’UE, ormai famoso con il nome “20-20-20”.
Dopo la tempesta, i riflettori si sono spenti. Nulla si è saputo dei risultati del Tavolo di confronto aperto a Bruxelles fra i tecnici del Ministero dell’Ambiente e della DGEnv – Commissione UE.

Non sono disponibili – ad oggi – documenti ufficiali a conclusione dei lavori del “Tavolo”. E’ poco probabile che il confronto sia ancora in corso.
In sintesi, le accuse lanciate dal governo erano chiare (i costi dell’Italia sono molto alti, sono i più alti di tutti). La Commissione aveva risposto che non era così e che i conti italiani erano sbagliati, che i costi erano al massimo la metà di quanto detto dall’Italia (risposta dell’Italia: ma sono i vostri conti!).
Molto famosa è una stima di 180 miliardi di euro data dal Governo Italiano in innumerevoli occasioni, e contestata dalla Commissione. Se si fa una ricerca su Google con parole chiavi “costi – Italia – 180 miliardi – emissioni” si trovano migliaia di riferimenti alle dichiarazioni italiane.
In particolare la cifra di 181,5 miliardi di euro è quella citata più frequentemente.

Titolo de “Il Sole 24 Ore”, 9 Ottobre 2008

Quindi chi aveva ragione e chi aveva torto? Da dove nasce questa cifra?
Dopo aver studiato le carte, Climalteranti.it propone una risposta.

La documentazione prodotta dalla Commissione europea e pubblicata il 23 gennaio 2008 con l’Impact Assessment relativo al cosiddetto “Climate package” e nel giugno 2008 con la “Model-based Analysis of the 2008 EU Policy Package on Climate Change and Renewables” ha fornito una base di dati per fare alcune valutazioni sui costi che l’intera Unione europea e i singoli paesi dovranno sostenere per raggiungere contemporaneamente l’obiettivo di ridurre le emissioni di gas ad effetto serra (20% in meno nel 2020 rispetto al 1990) e l’obiettivo di sviluppo delle fonti rinnovabili (20% sul totale dei consumi finali di energia nel 2020).
Gli analisti della Commissione hanno infatti sviluppato una serie di scenari alternativi che si basano su differenti ipotesi in termini di:

  • criterio di efficienza economica, ovvero minimizzazione dei costi per l’intera Unione europea;
  • criterio di equità, ovvero redistribuzione degli impegni tra i diversi paesi in funzione del livello di sviluppo economico di ciascuno;
  • possibilità di utilizzo dei crediti derivanti dai meccanismi flessibili del Protocollo di Kyoto per ottemperare all’obbligo di riduzione delle emissioni, ovvero la possibilità di includere anche iniziative svolte all’esterno dell’Unione europea (Progetti CDM);
  • possibilità di utilizzo delle cosiddette “Garanzie d’origine” associate alle fonti rinnovabili per raggiungere l’obbiettivo dello sviluppo di queste ultime, ovvero anche iniziative di produzione di energia rinnovabile in altri paesi dell’Unione europea possono essere riconosciute ai fini del raggiungimento dell’obiettivo nel proprio paese;
  • livello dei prezzi d’importazione del petrolio e del gas.

I risultati ottenuti tramite questi scenari sono stati utilizzati dalla Commissione per proporre una serie di misure concrete finalizzate al raggiungimento degli obiettivi per lo sviluppo delle fonti rinnovabili e la riduzione delle emissioni: il “Climate package”, per l’appunto.
Quest’ultimo comprende:

  1. una proposta di revisione della direttiva 2003/87/EC sull’Emission Trading (sistema di scambio europeo dei permessi di emissione) – EU ETS
  2. una proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio per la riduzione delle emissioni per i settori non soggetti all’EU ETS
  3. una proposta di direttiva per la promozione dell’utilizzo dell’energia prodotta da fonti rinnovabili
  4. una proposta di direttiva sullo stoccaggio geologico del biossido di carbonio.

Il pacchetto non comprende misure per l’efficienza energetica. Si ricorda che l’obiettivo del 20% di riduzione dei consumi energetici al 2020, rispetto all’evoluzione tendenziale, non è un obiettivo vincolante.

La prima cosa da sottolineare è che nessuno degli scenari analizzati nel rapporto UE corrisponde esattamente alle proposte della Commissione. Queste ultime infatti stanno seguendo la procedura di adozione prevista dalla normativa europea e basata sulla codecisione in sede di Consiglio e Parlamento europeo. L’iter ha già prodotto una serie di emendamenti significativi, soprattutto con riferimento alla proposta di direttiva per le fonti rinnovabili.

Alla luce di queste considerazioni, per valutare l’impatto del “Climate package” sui costi del sistema energetico italiano utilizzando i risultati prodotti dalla Commissione europea, la cosa migliore è selezionare gli scenari che maggiormente riflettono le proposte attualmente in discussione.
In particolari gli scenari più interessanti sono due (chiamati RSAT-CDM e NSAT-CDM) e prevedono entrambi un contesto europeo per le grandi sorgenti, ma incorporano il principio di equità prevedendo impegni differenziati per i singoli paesi, ossia prevedono:

  • la definizione a livello UE dell’obiettivo di riduzione delle emissioni da parte dei settori soggetti al sistema europeo di scambio dei permessi di emissione – ETS (ovvero il settore energetico e i settori energivori);
  • la definizione a livello dei singoli paesi dell’obiettivo di riduzione delle emissioni da parte dei settori industriali non soggetti alla direttiva ETS;
  • la definizione a livello dei singoli paesi dell’obiettivo di sviluppo delle fonti rinnovabili.

I due scenari divergono invece riguardo alle ipotesi sull’utilizzo dei crediti CDM e sulla possibilità di scambio delle Garanzie d’Origine associate alle fonti rinnovabili. In altre parole la differenza fra i due scenari sta nell’aggiungere o meno al criterio di equità uno o due strumenti di flessibilità, allo scopo di rendere più efficiente lo sforzo complessivo.
Infatti, lo scenario RSAT-CDM prevede la possibilità di utilizzare i crediti CDM in linea con quanto approvato in sede di Commissione europarlamentare, mentre esclude il commercio delle Garanzie d’Origine, discostandosi in tal senso dalla proposta originaria della Commissione europea ma avvicinandosi in parte a quanto deciso in sede di Commissione europarlamentare.
Lo scenario NSAT-CDM, invece, comprende sia la possibilità di utilizzo dei crediti CDM sia lo scambio delle Garanzie d’Origine delle fonti rinnovabili al fine di garantire a livello europeo uno sviluppo efficiente di tali fonti. In questo caso non tutti i paesi sarebbero in grado di rispettare i target nazionali facendo affidamento solo agli sforzi locali.

Lo scenario selezionato dal Ministero dell’Ambiente e presentato alla Commissione europea al fine di valutare i costi aggiuntivi per il nostro paese non è uno di questi due. Questo terzo scenario, denominato RSAT, non prevede l’utilizzo di alcuno strumento di flessibilità e quindi non rispecchia né la proposta originale della Commissione né le successive modifiche.

Il grafico seguente rappresenta l’andamento dei costi del sistema energetico italiano nei tre scenari sopra descritti, e li confronta con l’andamento dello scenario base, ovvero “business as usual”, che non prevede cioè l’adozione del “Climate package”. Le differenze tra le curve corrispondenti agli scenari “Climate Package” (RSAT, RSAT-CDM e NSAT-CDM) e la curva baseline (BL) misurano i costi aggiuntivi che il sistema deve sostenere per raggiungere gli obiettivi prefissati.

Fonte: elaborazione Climalteranti.it su dati della Commissione Europea

Fonte: elaborazione Climalteranti.it su dati Commissione Europea

Come si vede, il Ministero ha selezionato lo scenario più costoso e meno probabile.
Ma le differenze non sono piccole come potrebbe sembrare a prima vista. È vero che complessivamente sono pochi punti percentuali di differenza, ma sono sempre miliardi di euro.
Se si calcolano le differenze fra i costi dei tre scenari e lo scenario “Baseline” (che rappresenta i costi di uno scenario energetico senza il pacchetto 20-20-20), si vede che si parla di miliardi di euro l’anno di maggior costo.

 

[aggiunta – Va chiarito che non sono qui conteggiati i costi aggiuntivi indiretti relativi all’acquisto dei permessi CDM e delle GOs. Questi costi porterebbero ad esempio il costo totale dello scenario NSAT-CDM nel 2020 a circa 12.4 miliardi di euro. Non sono disponibili i costi al 2015.]

Fonte: elaborazione Climalteranti.it su dati Commissione Europea

Ma questi numeri non sono ancora quelli della contesa raccontata dai giornali, c’è dell’altro.

La Commissione europea ha fornito i dati di costo in corrispondenza degli anni 2005, 2010, 2015 e 2020. Per calcolare i costi aggiuntivi totali nel periodo 2013-2020, o nel periodo 2011-2020 come proposto dal Ministero dell’Ambiente, sarebbe necessario disporre dei dati puntuali relativi ad ogni anno. In alternativa, come è stato fatto nelle figure sopra, si possono interpolare i dati mancanti nel periodo 2010-2015 e nel periodo 2015-2020. Con questa semplice elaborazione matematica, effettuata con un’interpolazione lineare negli intervalli, si ottengono i seguenti risultati.

Costi aggiuntivi per l’Italia

(mld euro)

Scenario RSAT

Scenario RSAT-CDM

Scenario NSAT-CDM

2011-2020

145.70

93.20

47.80

media annua 2011-2020

14.57

9.32

4.78

 

 

 

RSAT: senza meccanismi di flessibilità
RSAT-CDM: possibilità di utilizzo dei crediti CDM
NSAT-CDM: possibilità di utilizzo dei crediti CDM e scambio delle Garanzie d’Origine

Fonte: elaborazione Climalteranti.it su dati Commissione Europea

Come detto, lo scenario RSAT è quello selezionato dal Ministero dell’Ambiente.
I numeri, tuttavia, sono molto diversi da quelli presentati nel documento del Ministero in quanto quest’ultimo ha calcolato i costi aggiuntivi complessivi facendo la media tra i costi relativi all’anno 2015 (15,1 mld) e i costi relativi all’anno 2020 (21,2 mld) si ottiene 18,15 mld euro e poi moltiplicando per 10, ovvero per gli anni compresi tra il 2011 e il 2020 si ottiene 181,5 mld euro!
Oltre ai costi stimati in più per la scelta di uno scenario improbabile, ci sono i costi indicati dal triangolo rosso, che sono semplicemente dovuti ad un errore.

Un errore grave, clamoroso. Uno di quegli errori che conviene dire di aver fatto apposta.

Come detto in precedenza gli scenari più rappresentativi sono lo scenario RSAT-CDM e lo scenario NSAT-CDM. Ne consegue che una stima più corretta dei costi aggiuntivi per il nostro paese di quella presentata dal Ministero dell’Ambiente, sulla base dei dati forniti dalla Commissione europea, sarebbe compresa tra i 48 e i 93 miliardi di euro per il periodo 2011-2020. Rispettivamente un quarto o la metà di quelli detti dal Ministero. [aggiunta: se si considerano i costi degli scambi di CDM e Garanzie d’origine, i costi totali per l’Italia aumentano, ma rimangono nettamente inferiori a quelli proposti dal Ministero].

E questi sono solo i costi: i benefici, in termini di danni evitati per le minori emissioni di gas serra, non stati conteggiati.
Testo di N.D. e S.C.

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Politica climatica italiana: c’è tempo fino a dicembre per cambiare posizione

La situazione economica mondiale non favorisce gli investimenti finalizzati alla riduzione delle emissioni di gas serra (GHG) ma la dichiarazione del Presidente della Commissione europea Barroso alle richieste rilasciate settimane fa da alcuni esponenti del Governo italiano non lascia dubbi: “Nessuna flessibilità per gli obiettivi di riduzione delle emissioni”.

Del resto non potrebbe essere altrimenti su un tema in cui da diversi anni l’Unione europea ha assunto una netta leadership, riuscendo anche per la sua fermezza a divenire un importante riferimento nel panorama internazionale.
Molteplici sono gli esempi in tal senso, a partire dal memorabile discorso di insediamento del Presidente francese Sarkozy che nel ribadire l’amicizia storica con gli alleati americani li richiamava con forza ad assumere un ruolo di guida e riferimento nella lotta ai cambiamenti climatici.
Non è stata da meno Angela Merkel che ha posto questo tema tra le priorità assolute del suo Governo e del semestre di presidenza europeo e che nello storico G8 di Heiligendamm è riuscita a modificare la posizione di G.W. Bush, facendogli riconoscere pubblicamente per la prima volta la principale responsabilità dell’uomo sul riscaldamento del pianeta. Germania che non era nuova a posizioni forti e responsabili sul clima, visto che aveva già rivendicato con forza la necessità di agire, indipendentemente dalle posizioni dei paesi che ancora non aderivano a Kyoto, attraverso il suo Ministro dell’Ambiente, Sigmar Gabriel, alla Conferenza di Nairobi del 2006.
Ancora più in là è arrivato Tony Blair in Gran Bretagna, con il bravissimo Ministro dell’Ambiente e già politico di rango David Milliband, con il suo impegno formale nel 2007 a tagliare le proprie emissioni del 60% entro il 2050. A lui si è aggiunto il fratello Ed, Segretario per le nuove energie e i cambiamenti climatici, incrementando tale impegno fino al 80% proprio negli scorsi giorni, quasi a dare una indiretta ma forte risposta al Governo italiano sulle perplessità di natura economica al taglio delle emissioni.

Nel frattempo è mutato radicalmente anche il panorama extraeuropeo, a partire dall’adesione dell’Australia al Protocollo di Kyoto nel dicembre dello scorso anno.
L’annunciata mossa politica del neo premier Kevin Rudd ha isolato ulteriormente gli USA al di fuori di Kyoto e portato l’Australia a fianco dell’Unione europea in termine di impegni concreti.
Non a caso Penny Wong, Ministro con delega ai cambiamenti climatici, ha dichiarato di ufficializzare entro la fine dell’anno i propri obiettivi di riduzione dei GHG, impegno che sembra raggiungerà il valore del 25%, in piena sintonia con i livelli europei.
Anche negli USA il vento è cambiato e considerata chiusa la Presidenza USA, contestata anche per le posizioni troppo influenzate dall’industria petrolifera su questi temi, si guarda già al nuovo Presidente.
Che sia Obama o McCain sembra essere poco rilevante sul fronte dei cambiamenti climatici, visto che entrambi hanno dichiarato di voler adottare una linea politica completamente diversa dalla precedente, allineandosi invece alle tante esperienze volontarie che si stanno espandendo a macchia d’olio tra i Sindaci ed i Governatori americani e che spesso riprendono quantitativamente gli impegni di riduzione che erano previsti per gli USA dal Protocollo di Kyoto .
È già pronta anche un progetto di legge, promesso già a fine 2006 dopo le elezioni di medio termine da un trio di Senatori capitanato da Barbara Boxer, che replica lo schema dell’Emission Trading già in essere in Europa.
Addirittura Cina ed India, che vengono spesso additati come scusante per giustificare l’inattività di qualche paese industrializzato, riconoscono con la Bali Road Map un proprio ruolo attivo e ricevono per questo i complimenti di Yvo de Boer, Segretario dell’UNFCCC.
Del resto molti sembrano dimenticare che entrambi hanno fin dall’inizio ratificato il Protocollo di Kyoto, documento che non prevedeva però per loro nella fase iniziale alcun obiettivo di riduzione delle emissioni.

Ciò era riconosciuto anche all’interno della Convenzione di Rio dell’ONU del ’92, vista la difficile posizione dei paesi in via di sviluppo di offrire ai propri abitanti delle migliori condizioni di vita. Il documento in questione, che ha ricevuto l’adesione e la ratifica dei Paesi di tutto il mondo, richiedeva a tutti i Paesi industrializzati di fare il primo passo nella riduzione delle proprie emissioni di GHG.
In un panorama internazionale così orientato a muoversi, pur con velocità diverse, in un’unica direzione stupisce le posizioni manifestate in questo periodo da parte di alcuni esponenti del Governo italiano, a volte accompagnate anche da un’informazione che, in modo anacronistico, cerca ancora di mettere in dubbio i cambiamenti climatici e le relative responsabilità del genere umano. Sarebbe forse più apprezzabile ed un segno di importante statura politica assumersi pubblicamente le responsabilità, anche a nome dei diversi Governi precedenti, per quanto non è stato fatto fino ad oggi e per il tempo che si è sprecato.
L’unica speranza che ci resta a questo punto è che il Governo Italiano  esprima un cambio di posizione, portando l’Italia a fianco dei principali Paesi del panorama europeo ed internazionale.

Il vertice di Poznan è vicino e gli occhi di tutto il mondo, compresi quelli del nuovo Presidente degli USA saranno puntati anche su di noi.

Testo di Daniele Pernigotti

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Una tempesta solo italiana?

E’ passata la tempesta dello scontro Governo Italiano – Commissione europea sul tema dei costi del pacchetto 20-20-20. Se ne sono sentite delle belle, c’è materiale per una dozzina di nomination per il “Premio a qualcuno piace caldo 2008” (qualcuna è già arrivata e con calma in futuro appariranno nella pagina dedicata al Premio.

Cerchiamo di fare un po’ di ordine.

I vari documenti del pacchetto clima si trovano alla pagina “Climate Action” della Commissione europea:

L’analisi della Commissione europea “Model based Analysis of the 2008 EU Policy Package on Climate Change and Renewables“, alla base della suddivisione degli impegni fra gli stati, si trova dal febbraio 2008 qui, con tanto di allegati

I documenti prodotti dal Ministero dell’Ambiente del Territorio e del Mare sono disponibili qui e qui.

Una posizione intermedia è stata portata dagli Amici della Terra, che in un intervento disponibile qui, hanno rivolte dure accuse alla Commissione: “la ripartizione degli impegni del pacchetto energia è avvenuta in base a criteri non trasparenti, non discussi e diversi da quelli ambientali“.

Un po’ di chiarezza su quanto accaduto l’hanno fatto due pregevoli scritti di Marzio Galeotti, pubblicati sul Lavoce.info (Testo 1 e Testo 2).

Riassumendo: nei documenti prodotti dal Ministero ci sono alcune affermazioni non vere (la non disponibilità dei dati…), alcune scelte metodologiche molto discutibili (sommare i singoli costi di ognuno dei “20”, senza tener conto delle sinergie), e soprattutto non sono stati considerati i benefici delle politiche climatiche. Sarà arduo per il Ministero con quegli argomenti fare breccia a Bruxelles.

Si vedrà in futuro. Sembra che l’Italia presenterà venerdi’ 31 ottobre in una riunione con la Commissione un documento di 6 pagine con 18 domande, che per ora solo Libero Mercato ha potuto leggere.

Per ora sembra che i rilievi italiani non abbiano fatto molta impressione. Nelle conclusioni del Consiglio dei ministri dell’ambiente (conclusioni-del-consiglio-eu-del-20102008) che si è svolto in Lussemburgo il 20 ottobre non c’è traccia delle mozioni avanzate dall’Italia.

Anche la rivista Nature, che ha discusso le traversie europee sulle politiche climatiche, non ha neppure considerato i rilevi italiani; come ha notato Antonello Pasini, forse perché le considerazioni del Governo italiano sono state ritenute strumentali (“il solito Pierino che non ha fatto i compiti e cerca una scappatoia all’ultimo momento…“).

Un’ipotesi è che la tempesta sul 20-20-20 sia stata solo italiana, ad uso e consumo interno.

A margine dei dibattito sui costi, va segnalata la presenza nel dibattito di alcuni classici del negazionismo climatico, che non hanno mancato di ottenere titoli e spazio sulla stampa.


La riduzione delle emissioni dell’Italia è troppo piccola

Indicare come troppo piccole le riduzioni delle emissioni di gas serra dell’Italia (e dell’Europa !), sottintendendo che quindi non ne vale la pena: “l’incidenza di riduzione delle emissioni per il nostro paese sarà dello 0,3% e per tutta l’Ue del 2-3 per cento“, hanno dichiarato su vari giornali il Ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo e il Presidente di Confindustria Emma Mercegaglia. Se ne trova traccia persino nel documenti del Ministero.

Con la stessa logica, ognuno potrebbe dire che non c’è motivo di pagare le tasse, visto che le proprie tasse sono certo molto meno dello 0.3 % del gettito fiscale italiano…


La riduzione delle emissioni dell’Italia è troppo impegnativa

Il Protocollo di Kyoto andrebbe riscritto (e perché non riscrivere il trattato di Yalta?): i costi del Protocollo di Kyoto o del pacchetto 20-20-20 sono troppo alti: non possiamo permetterceli.. Troppo alti rispetto a cosa?

Eppure ci siamo permessi altri costi, ad esempio “l’iniezione di liquidità” per le banche o per Alitalia. Ci possiamo permettere i costi del pacchetto 20-20-20, per poi raccoglierne i benefici; possiamo decidere di non farlo, ma è una delle scelte possibili.


Riduciamo solo se gli altri …

Sempre dal nostro Ministro per l’ambiente: prendiamo impegni solo se altri, Cina e India, prendono impegni analoghi (vedi).

Come convincere gli Indiani, che emettono pro-capite un quarto delle nostre emissioni di gas serra, a ridurre le emissioni?


Offese gratuite

L’offesa per gli argomenti altrui non manca. In questo si è segnalato il ministro Brunetta, che ha dichiarato che il pacchetto 20-20-20 è nientemeno che “una follia”

Gli argomenti a sostegno di questa tesi non ci sono; tranquillizza il fatto che il ministro, che si è vantato di essere un premio Nobel mancato sull’economia, ha all’attivo due pubblicazioni scientifiche nel catalogo dell’ ISI Web of Science (Vedi il Documento).

A proposito di Nobel mancati, per gli affezionati va segnalato l’intervento sul tema del Prof. Antonino Zichichi : “Di Kyoto si può fare a meno, del rigore scientifico no”.

Testo di Stefano Caserini, con contributi di Claudio Cassardo e Marina Vitullo

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Di cosa si parla nell’attuale dibattito sul 20-20-20?

La confusione fra la politica energetica e climatica al 2020 e il Protocollo di Kyoto

Infuria la polemica sui costi delle politiche dell’energia e del clima, sullo scontro fra Governo Italiano e Commissione Europea. È su tutti i giornali e telegiornali, anche come prima notizia; è dai tempi della presentazione del IV rapporto IPCC, febbraio 2007, che non accadeva.

Per ora la divisione sembra politica: per il centro-destra ha ragione il governo, per il centro-sinistra ha ragione la Commissione Europea, per il centro hanno ragione entrambi al 50 %.

I conti si possono fare più o meno bene, con metodologie più o meno raffinate, ma è inevitabile che essendo previsioni di costi futuri, si tratti di stime con margini di incertezza, con valori medi, minimi e massimi. D’altronde è sempre così: anche per i costi e i benefici del Ponte sullo Stretto di Messina o della TAV ci sono dati molto diversi, con range di incertezza anche maggiori.

Nell’attesa di mettere ordine e fare chiarezza cercando di capire chi sta sbagliando i conti, cosa che per ora non è facile visto che non sono disponibili molti documenti ufficiali sui numeri portati dal Governo (l’unica cosa che siamo riusciti a trovare è un documento linkato dal sito di Qualenergia, è il caso di chiarire i termini del problema.

 

Innanzitutto l’errore più frequente è non chiarire di che costi si stia parlando, perchè ci sono diverse possibilità:

1.i costi, per la partecipazione al sistema di Emission Trading Europeo link, nel periodo 2008-2012

2.i costi, per l’Italia, per rispettare gli obiettivi del protocollo di Kyoto nel periodo 2008-2012.

3.i costi, per le industrie più grandi, per la partecipazione al sistema di Emission Trading Europeo nel periodo 2012-2020 (obiettivo 2020 per l’EU: -21 % rispetto al 2005).

4.i costi, per l’Italia, della riduzione dei gas serra prevista dal pacchetto 20-20-20, ossia il primo 20 del pacchetto 20-20-20 (obiettivo 2020 per l’Italia: – 13 % rispetto al 2005)

5.i costi, per l’Italia, per la riduzione dei gas serra e l’aumento della produzione di energia rinnovabile, ossia i primi due 20 di tutto il pacchetto 20-20-20 (obiettivo 2020 sulle rinnovabili per l’Italia: +17% rispetto al 2005)

6.i costi di tutto il pacchetto 20-20-20, ossia compreso anche il costo per gli investimenti in efficienza energetica

Questi 6 tipi di costi possono essere calcolati all’anno o come valore cumulato nel rispettivo periodo (2008-2012 oppure 2005-2020, oppure anche 2012-2020): si hanno quindi 12 possibilità.

 

Ogni costo, per il sistema industriale o per l’Italia, ha ovviamente anche dei benefici, per il sistema industriale o per l’intera collettività. Sono benefici diretti (ad esempio: più energia da fonti rinnovabili = meno petrolio importato) e indiretti (= meno inquinamento dell’aria, più occupazione, minore spesa per la sanità, malattie favorite dall’inquinamento, ecc.). Si possono considerare nei benefici anche i “danni evitati” al sistema climatico del pianeta: si tratta di danni molto rilevanti, in parte difficili ancora da valutare per la complessità di alcuni fenomeni che portano ad impatti rilevanti (es. la fusione delle calotte glaciali che innalzano il livello del mare). Il punto più critico è che i danni al sistema climatico sono in gran parte spostati in avanti nel tempo: il sistema climatico ha una sua inerzia, la CO2 se ne sta per tanto tempo in atmosfera (una parte ci starà anche un millennio), quindi farà danni per tanti secoli, e non è semplice quantificare i danni nel futuro.

Oltre ai 12 costi lordi ci sono quindi anche 12 costi netti, ottenuti sottraendo ai costi lordi i benefici.

Costi e benefici potranno essere distribuiti in modo diverso fra il le casse pubbliche, il sistema industriale e la collettività.

Quindi può benissimo succedere che, mentre il pacchetto 20-20-20 può dare dei costi lordi rilevanti per un certo settore industriale, lo stesso pacchetto possa essere un affare per la collettività, perché porta a risparmi, nell’immediato o sul medio e lungo periodo.

Chi deve decidere?

La politica può e deve decidere di ripartire i costi e i benefici fra le tre parti; scaricando i costi sui cittadini (ad esempio facendo pagare più l’energia), o su altri settori produttivi o sulle casse pubbliche. Proprio come ha fatto nel caso di Alitalia o in quello delle banche.

Ad esempio, un settore industriale strategico e con alti livelli di occupazione potrebbe essere aiutato più di uno che si ritiene comunque senza futuro e con scarse ricadute occupazionali o territoriali.

Ed è una decisione eminentemente politica, non scientifica, decidere se alcuni costi sono “troppo” alti, oppure se sono necessari e sopportabili.

Vedendo titoli come “Alle famiglie costerebbe 60 euro l’anno” (La Stampa, pag. 3 del 19/10) oppure “la Ue uccide l’industria” (Corriere 15/10) oppure “La UE da sola non puo’ risolvere il problema“ (La Repubblica 17/10) oppure “così il governo italiano mette in discussione Kyoto” (Repubblica 17/10 ) oppure dichiarazioni come “chiederemo di rinegoziare Kyoto” (On. Matteoli, 19/10), sembra invece che la confusione regni sovrana.


Perché è evidente che non si sta parlando del Protocollo di Kyoto e neppure solo di clima

 



 

Testo di: Stefano Caserini

Revisione di: Claudio Cassardo

 

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