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Archive for the 'Tipping point' Category

Perché conviene prendere in considerazione gli scenari catastrofici sul clima

È stato pubblicato su Ingegneria dell’Ambiente Finale di partita sul clima: esplorare gli scenari catastrofici dei cambiamenti climatici” traduzione in italiano dell’articolo “Climate endgame: exploring catastrophic climate change scenarios” pubblicato recentemente su PNAS da Luke Kemp, Timothy Lenton e altri 9 autori.

L’articolo ha una grande importanza per il dibattito sul cambiamento climatico, per diverse ragioni.

Innanzitutto, perché mostra in modo chiaro come fino ad oggi la ricerca scientifica sul clima non si sia occupata abbastanza degli scenari peggiori, che potrebbero portare ad un collasso della società su scala globale o un’eventuale estinzione dell’umanità. Il negazionismo e l’inattivismo climatico ha cercato in tutti i modi di descrivere gli scienziati del clima come pessimisti, catastrofisti, desiderosi di spaventare. Invece, gli scienziati sono stati poco allarmisti, anche perché strutturalmente un processo come quello dell’IPCC, basato sul consenso, tende a favorire la cautela nelle proiezioni. Questo articolo mostra come ci sia ancora tanto da studiare su come i rischi portati dai cambiamenti climatici possano diffondersi, amplificarsi e venire aggravati dall’interazione con altri rischi e fattori di stress a cui sono sottoposti gli ecosistemi e le società umane.

Secondo gli autori, ci sono buoni motivi per sospettare che i cambiamenti climatici possano provocare una catastrofe globale, e questi buoni motivi sono analizzati nel dettaglio, in modo spietato verrebbe da dire, a partire da quattro domande:

1) che possibilità hanno i cambiamenti climatici di innescare eventi di estinzione di massa?
2) quali sono i meccanismi che possono causare nell’umanità morbidità (malattie) e mortalità di massa?
3) quali sono i punti deboli delle società umane rispetto ai rischi a cascata innescati dai cambiamenti climatici, come quelli derivanti da conflitti, instabilità politica e rischi finanziari sistemici?
4) come sintetizzare utilmente queste molteplici evidenze – insieme ad altri pericoli globali – in una “valutazione integrata della catastrofe”?

Combinando i risultati delle proiezioni climatiche con i dati demografici, gli autori spiegano Continue Reading »

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Comunicare il futuro climatico: lenta evoluzione o bruschi cambiamenti?

La concreta possibilità di un cambiamento climatico causato dall’uomo fu già ipotizzata oltre un secolo fa (vedere qui). Da allora, la mole delle nostre conoscenze sul sistema climatico è aumentata esponenzialmente, ed ha confermato oltre ogni ragionevole dubbio che il nostro pianeta si sta riscaldando e che questo riscaldamento è causato in massima parte dalle attività umane. Contestualmente alla dimostrazione scientifica di questo fatto, ha assunto sempre maggiore importanza la comunicazione del cambiamento climatico al di fuori dei circoli scientifici, per far sì che sia gli attori politici che l’elettorato che li sceglie abbiano un quadro preciso dei possibili futuri climatici e delle loro conseguenze per il nostro pianeta.

La comunicazione del cambiamento climatico è stata analizzata in dettaglio in innumerevoli articoli scientifici e libri. Questi hanno analizzato sia i possibili approcci per una comunicazione efficace che le ragioni che portano una fetta della popolazione – ed una minima parte della comunità scientifica, spesso comprendente scienziati con esperienze in campi non legati al clima – a negare l’esistenza del riscaldamento globale, o la sua origine antropica (vedere per esempio qui, qui e qui). Continue Reading »

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Il punto di non ritorno del clima

Nei cartoni animati, il Vilcoyote passa spesso un “punto di non ritorno”, ovvero si trova a oltrepassare l’orlo di un precipizio. Poi, continua a camminare per un po’ sul nulla finché non se ne accorge e solo allora precipita nel vuoto. Potrebbe darsi che qualcosa di simile stia capitando anche a noi con il clima terrestre. Ovvero potremmo essere vicini – o addirittura aver passato senza accorgercene– una soglia climatica che ci potrebbe portare a un rapido e incontrollabile riscaldamento globale.

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Nelle tante discussioni sul ruolo umano nel cambiamento climatico, un’obiezione abbastanza comune è che “il clima è sempre cambiato, quindi l’uomo non c’entra niente”. C’è chi va oltre. facendo notare che , nel remoto passato, ci sono stati dei periodi in cui la concentrazione di biossido di carbonio (CO2) era molto più alta dell’attuale. Già in un post precedente abbiamo visto un esempio di questo ragionamento in un’intervista a Nicola Scafetta pubblicata su “Il Giornale” del 25 ottobre 2009 dove si trova, fra le altre cose l’affermazione che “La Terra in passato, nel periodo cosiddetto Cambriano, 500 milioni d’anni fa, ha avuto già occasione di raggiungere questo presunto punto di non ritorno, quando la concentrazione di CO2 fu non 1,2 volte superiore ai livelli pre-industriali, com’è oggi, bensì 20 volte, diconsi 20, più elevata”. Ma il Cambriano era molto più caldo di oggi, circa 8 gradi in più in media, e la concentrazione di CO2 è proprio quello che ci aspetteremmo per queste temperature, tenendo presente che il sole, a quell’epoca, era un buon 6% meno intenso di oggi. Continue Reading »

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2 – Come non contestare quello che l’IPCC non scrive

Dopo il precedente post in cui è stata esaminata la tesi (sbagliata) del Prof. Nicola Scafetta di un presunto significativo contributo del sole all’aumento di CO2 negli ultimi 250 anni (anche fino al 10 % dell’incremento registrato), in questa seconda parte sono esaminate alcune argomentazioni presenti nell’articolo–intervista al Prof. Scafetta pubblicato su Il Giornale del 25 ottobre 2009, intitolato “Se la Terra si surriscalda è tutta colpa del Sole: l’uomo non c’entra nulla” a firma Stefano Lorenzetto.

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Secondo questo articolo l’IPCC “non avrebbe capito nulla”, i rapporti IPCC e il Protocollo di Kyoto, “sarebbero carta straccia”, le conclusioni dell’IPCC sarebbero “avventate per non dire totalmente sballate”.

Come già detto, sarebbe bello se tutto fosse vero, si potrebbe davvero “vivere tutti felici e contenti”, come tutti noi vorremmo.
Purtroppo, come sarà mostrato in questo e in altri post, l’articolo contiene una quantità da record di errori e fraintendimenti. Continue Reading »

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99 Mesi ?!?

A volte capita di sentire qualcuno che sostiene la necessità di azioni urgenti contro i cambiamenti climatici, usando però argomenti poco fondati. È il caso del Principe Carlo d’Inghilterra, che nella sua recente visita in Italia ha tenuto un discorso di 30 minuti nella Sala della Lupa della Camera dei Deputati, in cui ha sostenuto in modo deciso la necessità della lotta ai cambiamenti climatici e di un futuro accordo nella prossima Conferenza sul clima di Copenaghen a dicembre.

Pur se molti dei frammenti del discorso filtrati da stampa e televisione sembrano essere del tutto condivisibili (ad esempio “La storia ci giudicherà per come il mondo avrà affrontato questa sfida”), ci lascia perplessi una frase pronunciata da Carlo, secondo cui rimangono solo “99 mesi prima di raggiungere il punto di non ritorno”.
La frase ha avuto un grande successo ed è subito ribalzata sui media con titoli come “99 mesi per salvare la Terra”, “Restano 99 mesi per salvare la Terra”, “Tra 99 mesi la catastrofe mondiale“. Pur se non siamo riusciti a trovare il discorso originale, da frasi come “il tempo scorre inesorabilmente: 99 mesi passeranno in un lampo e allora sarà troppo tardi per salvare la situazione” e “Il mese scorso, in Brasile, ho avvertito che le prove scientifiche indicano che abbiamo meno di cento mesi prima che saremo davanti al nostro Rubicone, e non ci sarà ritorno. Ora abbiamo solo 99 mesi prima di raggiungere il punto di non ritorno, con decisioni che determineranno il nostro futuro. Le lancette avanzano inesorabilmente; 99 mesi passeranno in un lampo”  sembra che sia chiaro: il Principe ha parlato proprio di 99 mesi.
99 mesi sono una cifra strana, corrispondono a 8 anni e 3 mesi. Fra 99 mesi saremo all’inizio dell’agosto 2017. Cosa succederà in tale data? L’idea che il tempo a disposizione sia così breve nasce, in realtà, da un articolo di carattere divulgativo, non supportato da particolari attività di ricerca scientifica ma solo dall’applicazione di un semplice modello, verosimilmente troppo semplice per lo scopo che vuole raggiungere, e comunque mai pubblicato su riviste peer-reviewed. La associazione Green New Deal Group ha lanciato questa idea nel luglio 2008 mentre una brevissima spiegazione tecnica si trova su questo sito. Scorrendo quest’ultimo documento, si nota come il conteggio si riferisca ad un istante di partenza stimato al 1° agosto 2008: l’ipotetico potenziale giorno X è quindi facilmente identificabile nel 30 novembre –1° dicembre 2016, ed il tempo mancante da tale data è continuamente aggiornato sul sito http://onehundredmonths.org/; da questo conteggio si può anche capire che, ormai, i mesi sono scesi a 92 circa, per cui Carlo è in ritardo di 7 mesi.
Ma cosa succederà esattamente in tale data e, soprattutto, come ci si arriva? Nel documento ci sono diversi riferimenti generici alle stime dell’IPCC, ma in realtà il punto principale è il raggiungimento del livello di concentrazione di 400 ppm di biossido di carbonio equivalente, che viene fatto corrispondere ad un incremento di temperatura media del pianeta pari a 2°C rispetto ai valori preindustriali. Il modello, tramite una stima semplificata delle emissioni previste nei prossimi anni e della relativa crescita dei valori di concentrazione, esegue pertanto una semplice regressione che porta a quella data.
Sono diversi i fattori che lasciano perplessi in questo modello (tra le altre cose il fatto che il valore di CO2 equivalente sia appunto inferiore a quello di CO2 reale), ma il più importante è l’asserzione che il valore di 400 ppm di CO2 equivalente rappresenti un punto di non ritorno per il sistema climatico, affermazione non supportata da alcuno studio scientifico.

 

 

Il tema della presenza di non linearità nel sistema climatico è una cosa seria e molto complessa: sono usciti alcuni lavori molto importanti (si veda ad esempio qui e qui, ma in nessuno di questi sono presenti delle quantificazioni di cifre così precise. Ci sono diverse parti del sistema climatico (i ghiacci artici, la calotta di ghiaccio della Groenlandia, la foresta amazzonica, la foresta boreale, la circolazione oceanica ecc) che possono raggiungere soglie critiche, ma probabilmente abbiamo a disposizione più di 99 (o, meglio, 92) mesi. Pur se ad esempio per quanto riguarda il Mar Glaciale Artico ci sia chi sostiene che sia già stato raggiunto un “tipping point”, e che quindi sia inevitabile che il mare artico possa liberarsi completamente dai ghiacci d’estate nei prossimi decenni, le proiezioni non sono semplici e non sono concordi.
Non esistono pertanto motivi per credere a questo particolare modello ed alle sue specifiche conclusioni. Anzi, la quantificazione dell’ urgenza con un numero che assomiglia alle cifre dei supermercati che terminano per 9, peraltro probabilmente mossa anche da “buone intenzioni”, potrebbe riverlarsi non solo inefficace ma addirittura controproducente, generando un allarmismo inutile che poi, al momento opportuno, ovvero nel dicembre 2016, potrebbe facilmente essere smentito. Infatti, perfino i modelli più sofisticati e complessi non consentono di fare previsioni così accurate. Intendiamoci: l’urgenza esiste, sia chiaro, ma non è possibile quantificarla così semplicemente e precisamente (per fortuna, perché se davvero fosse così saremmo messi male: 99 mesi sono davvero pochi!). Insomma, la tesi che nel dicembre 2016 scatterà il punto di non ritorno per il sistema climatico non ha nessun fondamento scientifico: fra 99 mesi NON ci sarà la fine del mondo, e non ci sarà un repentino peggioramento della situazione, anche se alcuni cambiamenti – quelli si – diventeranno irreversibili, almeno sulle scale temporali di interesse per l’uomo.
Il riferimento di Carlo d’Inghilterra ai 99 mesi va quindi interpretato come un messaggio che ha un significato simbolico e politico, lanciato al fine di catturare l’attenzione del grande pubblico e dei giornalisti, altrimenti insensibili alle preoccupazioni meno ad effetto del mondo scientifico: quello di non rimandare ad oltranza quei cambiamenti di cui c’è tanto bisogno e come tali dovrebbero essere iniziati subito. In effetti, da questo punto di vista c’è ampiamente riuscito, perché la frase “99 mesi per salvare il pianeta” fornisce su Google più di 50.000 risultati.
Del resto, nell’ambito della discussione del “dopo Kyoto” c’è stato un cambiamento decisivo della strategia per combattere i cambaimenti climatici. L’obiettivo non è infatti più quello originario di Kyoto (di limitare le emissioni di una certa percentuale fissata a priori) ma è quello, nuovo, di assicurarsi che la concentrazione di CO2 non superi una soglia al di sopra della quale si ritiene che i cambiamenti (ed i relativi danni a società e ambiente) non siano più sostenibili. Fissata questa soglia di anidride carbonica (peraltro ancora non nota), si può calcolare di quanto si debbano limitare le emissioni. Tenuto conto del tasso di crescita della concentrazione di CO2, in effetti non rimangono molti anni prima di raggiungere la soglia di 400 ppm menzionata dal rapporto di Green New Deal Group, o quella di 500 ppm menzionata da altri studi, e probabilmente questo è il modo in cui dovrebbe essere interpretato il messaggio del principe Carlo d’Inghilterra.

Testo di Stefano Caserini, Claudio Cassardo, Claudio Della Volpe, Giulio del Leo, Paolo Gabrielli

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Il riscaldamento globale si è fermato nel 1998?

E due. Oggi è arrivata la seconda mail di un amico che mi dice: ma che succede a Beppe Caravita ?
Ecco un pezzo della mail: “Beppe Caravita… ha sviluppato un certo scetticismo sul global warming (vedi ad esempio qui e anche qui). Come sappiamo, non è il solo, ma lo scetticismo ideologico alla Battaglia lo capisco facilmente, mentre quello che vedo emergere in persone dallo spirito libero (come Beppe o altri), vorrei capirlo meglio”.

Beppe Caravita, giornalista del Sole 24 ore e autore del blog Network Games, l’ho conosciuto ad un seminario sul clima rivolto ai giornalisti, organizzato dal “Kyoto Desk” della Regione Lombardia.

Un seminario riuscito, anche se non molto partecipato, ma che ricordo per tre fatti che mi stupirono.
Il primo fu che a Sergio Castellari, con me fra i relatori, qualcuno rubò il libro “Verdi fuori, rossi dentro” di Franco Battaglia e Renato Angelo Ricci. Libro che a Sergio avevano regalato e che aveva portato per mostrarmelo… lasciato sul tavolo dei relatori durante la pausa pranzo.. al ritorno.. sparito ! Incredibile.
Il secondo fatto strano fu che i giornalisti intervenuti avevano mostrato un’opinione per la loro categoria molto peggiore di quella che io avevo, e che non era granchè (vedi qui)
Il terzo fatto è che contrariamente alle mie aspettative, Caravita si era mostrato più preoccupato di me per il global warming. Se non ricordo male (nel caso, chiedo scusa) Caravita si diceva molto molto preoccupato per i possibili “tipping point” del sistema climatico… diceva che non ci aveva dormito la notte… e aveva scritto di questo sul suo blog.
Andai a leggere sul suo blog (qui e qui): i toni erano in effetti preoccupati. D’altronde, i motivi ci sono: il tema dei tipping point è molto serio: alcuni articoli scientifici (come questo di Rahmstorf et al.) che hanno inquadrato il tema hanno aggiunto preoccupazione per la crisi climatica, pur se è chiaro che l’unico tipping point che sarà superato nei prossimi decenni sarà quello del ghiaccio marino artico.

È possibile, dunque, che Beppe Caravita abbia cambiato idea ?
Non solo per i toni usati verso uno dei più importanti istituti di ricerca sul tema climatico, il NASA Goddard Institute for Spaces Studies, di James Hansen e Gavin Smidth
(qui “…un’altra pessima figura per il Goddard Institute for Spaces Studies, di cui è direttore James Hansen, il grande sostenitore del global warming antropogenico, e consigliere scientifico di Al Gore. Francamente comincio ad essere un po’ stufo di questo gioco delle tre tavolette…. “).
Si tratta di uno dei soliti piccoli (anzi, molto piccoli) aggiustamenti delle temperature del pianeta, di cui si possono leggere le opposte posizioni su ClimateAudit.org e Realclimate.org. Un tema che mi è apparso piuttosto insignificante, tanto che il post di Realclimate non è stato tradotto in italiano.

Caravita ha dubbi sul fatto che il riscaldamento globale sia in corso (nell’ultimo post sul tema pone la domanda “ha ragione o torto chi sostiene che il global warming si è fermato dal 1998?”)
Si tratta di una domanda che ha ripetuto tante volte, anche in post precedenti mostrando anche grafici in cui si vede la CO2 che aumenta e la temperatura che non aumenta in modo simile.
È un argomento che circola in modo ossessivo fra i negazionisti, ma che è poco fondato.
Ne avevo già parlato nel mio libro (pag. 60) in cui avevo mostrato come in realtà per la serie dati del GISS, il 1998 non è più l’anno più caldo ma viene superato dal 2005. E che se si allarga lo sguardo all’andamento delle temperature negli ultimi 30 anni o degli ultimi 130 anni, la tendenza è chiara: il 1998 è solo un anno con temperature un po’ più alte di quanto avrebbero dovuto essere per assicurare una crescita regolare ed evitare fraintendimenti.

Andamento delle temperature globali dal 1977 al 2007: variazioni rispetto alla temperatura del 1998. (da Caserini, 2008)

In una delle prime traduzione di realclimate, disponibile qui, è raccontato come il fatto che la temperatura non salga in modo costante, come la CO2, è assolutamente in linea con la comprensione fisica del sistema climatico. C’è anche una figura che mostra la probabilità di un record di temperature: per avere un nuovo record di temperature c’è più del 25 % di probabilità di aspettare più di 10 anni.

Posso solo aggiungere il ricordo di quest’estate, a Bonassola. La spiaggia è stata svuotata dalle barche, i primi ombrelloni sono stati tolti: sta arrivando la mareggiata di ferragosto, dicono quelli del posto. Eppure il mare è lontano. Mi siedo sulla spiaggia a leggere, guardo le onde avanzare. Eppure non avanzano, ossia le onde sembrano non risalire la spiaggia. Ogni tanto c’è un onda più lunga, ma subito dopo molte sono piccole, inferiori alle precedenti.
E’ passato tanto tempo prima di veder da vicino la spuma della prima onda. Ma come tanti altri sono rimasto ancora al mio posto, le onde successive stavano lontane.
Dopo un po’ è arrivata l’onda che ha bagnato l’asciugamano.

Testo di: Stefano Caserini

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