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La gestione dei rischi in un clima mutato – parte III – le criticità

Una volta chiarita la catena di responsabilità nella gestione dei rischi posti dai cambiamenti climatici, quali sono gli anelli sui quali operare per tener conto dell’aggravamento dei rischi di eventi estremi?

 

A nostro avviso, gli anelli cruciali sono il primo, le conoscenze scientifiche, e l’ultimo, il trasferimento delle informazioni.

Servirà dare più impulso alla ricerca scientifica per comprendere quali siano i processi fisici che vengono mal simulati e colmare le lacune dei modelli di previsione. In tempo di crisi economica, in Italia gli investimenti per la ricerca sono i primi ad essere tagliati, ma speriamo  in un’inversione di tendenza, visti i rischi che si corrono a rimanere nell’ignoranza.

C’è tanto da lavorare sui sistemi della comunicazione, soprattutto per chiudere quell’ultimo miglio della catena che raggiunge i cittadini, i quali devono e dovranno diventare più consapevoli delle condizioni di rischio nel proprio territorio e quali sono i piani di messa in sicurezza e della Protezione civile. Sono informazioni che devono pretendere dai propri amministratori.

Oggi, il più delle volte, la gente ritiene poco probabili gli eventi estremi e la percezione di questo rischio è piuttosto debole. Quando diventeranno più frequenti, per effetto dei cambiamenti climatici, potrebbero provocare un senso di panico, di ansia sociale. E l’ansia non aiuta certo a compiere azioni razionali.

Però sottovalutare i rischi può avere conseguenze tragiche. Come trovare un giusto equilibrio tra l’ottimismo ingiustificato [nota 1] e uno stato d’ansia perenne?

La risposta è nella preparazione di un sistema che possa rendere i cittadini pronti e nello stesso tempo fiduciosi nelle proprie capacità di reagire agli eventi, perché aumenta la sensazione di controllo sugli stessi e riduce l’incertezza cognitiva. Non a caso in Nuova Zelanda, dove l’esposizione ai rischi si coniuga con una cultura del rischio diffusa, la campagna governativa si intitola Get ready get thru (Preparatevi e ve la caverete). “Se ci fosse ora un disastro, sareste pronti?… Questo sito vi mostrerà come essere pronti, quindi preparatevi”. In Italia non siamo a questi livelli di cultura del rischio né ci avviciniamo alla resilienza dei cubani nell’affrontare gli uragani, come ci mostra il video pubblicato dall’UNISDR: “Beating the hurricane”  (“Sconfiggere l’uragano”).

Se fenomeni estremi di breve durata e di grande intensità saranno più frequenti, ci serviranno sistemi di previsione migliori. Ma, per quanto potranno essere affidabili, resterà sempre un margine di incertezza non eliminabile: le previsioni saranno, intrinsecamente, di tipo probabilistico sia per quanto concerne la localizzazione spazio-temporale degli eventi  che per la loro intensità. (vedi Figura 1)

 

 


Figura 1. A sinistra, i principali motivi d’incertezza nella previsione meteo. A destra, esempi di previsione deterministica e probabilistica.

 

Il rischio di un mancato o di un falso allarme ci sarà sempre, ma si potrà superare realizzando e convididendo procedure di gestione delle allerte molto chiare, che tengano conto delle incertezze. Cosa fare o cosa non fare dovrà essere invece dedotto dal risultato di analisi costi/benefici. Non solo e sempre dal buon senso, necessario, ma non sufficiente, che porta anche a decisioni incoerenti. Altrimenti non si spiegherebbero le evidenti e macroscopiche difformità di comportamento da parte dei decisori nel fronteggiare gli stessi eventi nello stesso posto, come si è visto a Genova, nel 2011 (leggi qui).

È ormai inderogabile creare codici di linguaggio e di comportamento per uniformare finalmente le diverse realtà locali che, all’occorrenza di eventi estremi finora hanno improvvisato una risposta mentre un rischio potenziale si trasformava in un pericolo reale. Non si può certo attendere che tutte le regioni italiane facciano l’esperienza di un disastro perché si attrezzino ognuna per conto proprio. Occorre quindi predisporre e attivare i piani di protezione civile o di emergenza, nazionali e decentrati, considerato l’attuale rischio idrogeologico già elevato, e la minaccia di un suo ulteriore innalzamento a causa dei cambiamenti climatici.

Le procedure di allertamento, una volta stabilite, dovranno essere seguite scrupolosamente: nel concreto, quando una determinata soglia di occorrenza di un certo evento estremo meteo-idrologico sarà superata, allora le azioni di contrasto dovranno essere attivate senza indugio. La Figura 2 rappresenta, a puro titolo di esempio, il collegamento tra la previsione della  criticità meteo-idrologica e l’attivazione delle Fasi di allertamento di Protezione Civile, attuato all’interno del Sistema regionale di allertamento per il rischio idrogeologico-idraulico dell’Emilia-Romagna (vedi  qui e qui).

 

Figura 2: Processo operativo in Emilia-Romagna che collega la previsione e la valutazione della criticità meteorologica e idrologica (suddivisa in quattro fasce di rischio: assente, ordinaria, moderata ed elevata) con l’attivazione delle Fasi di Allertamento di Protezione Civile (fase di attenzione, preallarme ed allarme). Ogni Fase viene attivata quando i bacini fluviali raggiungono e superano (o si prevede che possano raggiungere e superare) delle “soglie idrometriche”(H1,33 piena ordinaria,H10 piena straordinaria ecc…) prestabilite, che separano le diverse fasce di criticità. A ciascuna Fase corrisponde l’attivazione di un prestabilito spettro di “azioni” di contrasto, che costituiscono il “cuore” del  piano di emergenza. Queste azioni sono assicurate da molti Enti che concorrono alla gestione dell’emergenza (Centri Funzionali regionali e nazionale,  Protezione Civile, Stato, Province, Prefetture, Comuni, Autorità fluviali, ecc…) al fine di minimizzare il rischio per i cittadini.

 

La società deve e dovrà anche essere in grado di assorbire le conseguenze dei mancati o falsi allarmi dovuti all’incertezza intrinseca delle previsioni e qui vorremmo sperare che migliori il senso di responsabilità dei media, ma non ci facciamo molte illusioni. Ormai i previsori meteo, gli idrologi, i tecnici di protezione civile, gli amministratori  vengono messi alla gogna mediatica o addirittura sotto processo (vedi ad esempio qui  oppure qui) per presunte previsioni sbagliate. La ricerca dei “colpevoli” dei mancati o falsi allarmi fa parte della spettacolarizzazione crescente della meteorologia (vedi Figura 3 e nota 2).

 

Figura 3. Titoli sensazionalistici dei giornali per il maltempo previsto su Roma e sul Lazio nell’ottobre del 2012. Nel Bollettino meteo per il Comune di Roma, emesso dal Dipartimento di Protezione civile, si legge: “Si prevedono precipitazioni inizialmente isolate, poi tendenti a sparse, anche sottoforma di rovesci o temporali, localmente di forte intensità nel corso del pomeriggio/sera”. Ed è esattamente quello che si è verificato a Roma e dintorni.

 

In un simile contesto, diventa difficile applicare i processi di allertamento descritti. Per renderli efficaci, servirebbe che nei media la narrazione pacata dei fatti prevalga sull’annuncio ad effetto. Solo così i media potranno concorrere a quel lento ma necessario processo di crescita della consapevolezza del rischio da parte dei cittadini che sarà sempre più indispensabile nel contesto del climate change. Ma le logiche di “notiziabilità” dei media non cambieranno in funzione della domanda di cultura del rischio. I media danno agli utenti quello che chiedono, la spettacolarizzazione, e intanto creano e alimentano l’aspettativa di una comunicazione sensazionalistica, che superi la soglia di indifferenza di una società iperinformata.

Però le istituzioni possono formare e utilizzare nuove professionalità nel campo della comunicazione del rischio per offrire ai media prodotti meno suscettibili di manipolazione. Queste professionalità sapranno gestire  strumenti di comunicazione come internet, e soprattutto i social network, che avvicinano le persone alle istituzioni. Per ora questi strumenti non sono sempre ben visti dagli enti pubblici, anche tecnici, dove i meccanismi di trasferimento delle informazioni sono ancora caratterizzati da una burocrazia (la carta, il fax, il protocollo) troppo lenta quando un’informazione veloce significa magari salvare qualche vita umana.

In situazione d’emergenza, l’informazione non deve essere né eccedente né scarsa, ma deve rispondere ai bisogni reali di chi la riceve, a tutti i livelli del sistema; essere utile per la decisione e tradursi in azioni. Quanto più chiara sarà la relazione tra messaggio e azione tanto più tempestiva potrà essere l’attivazione di tutto il sistema. Anche in un quadro di incertezza, come sarà sempre per una situazione di rischio, occorre ridurre il più possibile il margine di soggettività e di aleatorietà con procedure chiare e definite anche nel processo di comunicazione, che è assolutamente complementare a tutta la gestione operativa, come confermato più volte dalle recenti esperienze di eventi estremi in Italia.

C’è ancora molto da fare per stabilire come gestire al meglio gli eventi estremi affinché producano il minor danno possibile. Il dibattito è appena iniziato. Sicuramente i cambiamenti climatici obbligheranno ad accelerare la crescita della consapevolezza, soprattutto da parte degli amministratori che in molti casi non hanno alcuna idea concreta di come affrontare questi rischi. Dovranno impararlo e presto, il cambiamento climatico è una realtà, non una fantasia, e accade altrettanto rapidamente, forse anche più rapidamente, di quanto si pensava sino a ieri.

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Nota 1. Il bias dell’ottimismo ingiustificato, vedi l’articolo di Paolo Parciasepe, è un meccanismo psicologico che induce a sottostimare la vulnerabilità personale e a non adottare precauzioni. Ci sembra aver caratterizzato sia l’atteggiamento individuale sia quello socio-politico in Italia.

Nota 2. Una interessante analisi sul fenomeno della meteorologia-spettacolo è disponibile qui; ulteriori approfondimenti sulle previsioni meteorologiche e le allerte  si possono leggere qui, qui, qui ed in maniera molto più completa anche qui e infine qui.

 

Testo di Carlo Cacciamani e Alessandra de Savino, con il contributo di Sylvie Coyaud

Prima parte del post qui, seconda parte qui.

One response so far

One Response to “La gestione dei rischi in un clima mutato – parte III – le criticità”

  1. Vincenzoon Mar 27th 2013 at 23:15

    Ma non si puo’ fare niente contro quella gente che fa quell’allarmismo da quattro soldi sugli allarmi meteo? I titoli che avete messo sono demenziali … dovremmo sempre stare a casa.. ma perchè non se ne vanno a casa loro? Più che meteo-spettacolo mi sembra meteo-deficienza

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