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Notizie dall’Alpine Glaciology Meeting 2015

I ghiacciai continentali alpini ed extra-alpini sono sentinelle del clima che cambia. Glaciologi da tutta Europa si sono riuniti a Milano per l’Alpine Glaciology Meeting, per fare il punto sull’evoluzione e sul futuro del glacialismo. In questo post, un sunto di quanto emerso nel corso del meeting e della situazione della ricerca glaciale, con particolare attenzione agli effetti dei cambiamenti climatici.

 

Si è tenuto all’Università Statale di Milano, il 7 e 8 Maggio, l’Alpine Glaciology Meeting 2015, (AGM) riunione biennale che riunisce i glaciologi Europei e mondiali per discutere le ultime ricerche in campo glaciologico. Organizzatori, il gruppo del Dipartimento Scienze della Terra Ardito Desio. Il programma del meeting ha incluso diversi temi, dal monitoraggio dei ghiacciai alpini, alla morfologia e glaciologia alpina, dall’idrologia alle moderne tecnologie di monitoraggio (satelliti, droni, etc.), fino allo studio della vita sui ghiacciai, in grado di ospitare vegetazione, fauna microbica ed insetti, con effetti rilevanti sull’albedo glaciale e sui bilanci energetici. E’ stato inoltre presentato il Nuovo Catasto dei Ghiacciai Italiani, di cui abbiamo dato notizia in un precedente post su Climalteranti. Oltre agli interventi orali, per lo più presentati da dottorandi e giovani ricercatori come consuetudine all’AGM, è stata presentata un’ampia galleria di poster.

Nella serata di giovedì 7, Claudio Smiraglia e Luca Mercalli hanno animato un grazioso dibattito, ripercorrendo le tappe del glacialismo italiano dagli anni ’50 fino ai giorni nostri, e discutendo dei cambiamenti climatici e globali e del loro effetto sulle coperture glaciali. Intervento concluso da Luca Mercalli con la lapidaria sentenza: “Contro la termodinamica non ha mai vinto nessuno !

Grande attenzione è stata dedicata allo stato presente e futuro dei ghiacciai, in particolare in relazione ai potenziali cambiamenti climatici attesi per il futuro. Riportiamo qui alcuni dei risultati proposti nell’ambito del meeting, insieme ad un punto della situazione attuale degli studi sul glacialismo alpino e non.

I ghiacciai alpini ed europei

I ghiacciai alpini sono in forte ritiro nelle ultime decadi (p.es.Diolaiuti et al., 2012). Il nuovo Catasto dei ghiacciai italiani mostra come la superficie dei ghiacciai italiani è passata dai 519 km2 del 1962 (Catasto CGI-CNR), ai 609 km2 del 1989 (catasto prodotto nell’ambito del World Glacier Inventory WGI, con dati raccolti negli anni ’70-80), agli attuali 368 km2, pari al 40% in meno rispetto all’ultimo catasto. Contemporaneamente, il numero dei ghiacciai è passato oggi a 900, contro 824 nel 1962 e 1381 nel 1989, ove l’aumento è dovuto all’intensa frammentazione che ha ridotto sistemi glaciali complessi a singoli ghiacciai più piccoli. Studi condotti su singoli gruppi glaciali e presentati all’AGM e nella letteratura recente mostrano le evoluzioni recenti dei ghiacciai italiani, ne modellano il comportamento e ne ipotizzano le evoluzioni future.
Per esempio, Garavaglia et al. (2014) hanno valutato la potenziale evoluzione futura (fino al 2100) del ghiacciaio dei Forni in Valtellina, il più grande ghiacciaio vallivo italiano, utilizzando modelli di dinamica glaciale e scenari climatici forniti dall’IPCC (AR5). I risultati mostrano per il ghiacciaio, in forte ritiro negli ultimi trent’anni, il potenziale per una fortissima riduzione delle coperture glaciali, in particolare nello scenario più pessimistico, RCP8.5.

Confortola et al. (AGM 2015), basandosi su studi di campo hanno proposto un modello idrologico ben funzionante per lo studio del ghiacciaio del Belvedere, uno dei più grandi ghiacciai himalayani di tipo debris cover (coperti di detriti). Benché i ghiacciai debris covered presentino spunti di grandissimo interesse, in particolare riguardo all’effetto del detrito sulla fusione glaciale, tale tipologia di ghiacciai è a tutt’oggi poco studiata ed i risultati preliminari qui compiuti rappresentano una buona base di partenza e confermano precedenti studi, condotti p.es. nell’area dell’Adamello (Soncini et al. 2011), ove la presenza di detrito su apparati glaciali di piccole dimensioni sembra rallentare la fusione in presenza di variazioni climatiche.
Interessante a tale proposito la presentazione di Azzoni et al. (AGM 2015), che investiga gli effetti del detrito fine sull’albedo del ghiacciaio dei Forni. Benché tale ghiacciaio venga in sostanza classificato (e modellato) come bianco, lo studio locale della copertura glaciale mostra come il miscuglio di fine detrito alluvionale, polveri atmosferiche e materiale biotico che ricopre il ghiaccio bianco abbia in effetti un impatto sulla riflettività dello stesso ed in definitiva sulla fusione glaciale.

Figura 1. In alto: Ghiacciaio dei Forni (SO), in alta Valtellina. In mezzo: Variazione degli spessori glaciali di questo ghiacciaio nel periodo 1981-2007, lungo una linea di flusso centrale. In basso: Potenziale evoluzioni degli spessori del ghiacciaio secondo proiezioni di scenario climatico. Modello EC-Earth, Scenario RCP 4.5. Da: Garavaglia et al. (2014).

 

Nel nord Europa, Marke et al. (AGM 2015) hanno simulato il comportamento futuro (fino al 2050) del ghiacciaio Freya in Groenlandia, trovando una diminuzione areale del 27% (da 6.58 a 4.8 km2, 2010-2050, scenario basato su trend AR5, RCP8.5) e volumetrica del 54% (da 0.46 a 0.21 km3, 2010-2050).

I ghiacciai continentali extra-europei

Un’ampia sessione è stata poi dedicata venerdì allo stato dei ghiacciai extra-europei, le Ande, l’Antartide (Traversi et al., AGM 2015) e soprattutto l’Asia centrale e l’Himalaya.

I ghiacciai delle Ande Centrali sono a forte rischio in questo secolo (si veda il post di Climalteranti Tutta l’acqua del mondo). Confortola et al. (AGM, 2015) hanno mostrato come la regione di Santiago del Cile, nel cuore delle Ande cilene, dipendente dai deflussi del Rio Maipo a forte contributo nivo-glaciale, vedrà i suoi ghiacciai a rischio di forte restringimento (fino a -63% di superficie glaciale, secondo lo scenario RCP8.5) entro la fine del secolo, con larga contrazione delle nevi stagionali (fino a -40% di area nivale e risalita della snow line di anche 250 m di livello) e con una rilevante diminuzione potenziale dei deflussi nei mesi estivi più caldi (Estate Boreale, fino a -50% in Gennaio).

 

 

 

 

Figura 2. Variazione potenziale (al 2100) delle aree glaciali nel Rio Maipo, situato nella regione Metropolitana di Santiago del Cile, secondo le proiezioni del modello ECHAM6 per gli scenari climatici RCP2.6 e RCP8.5.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ampio dibattito è stato dedicato all’Himalaya, con particolare attenzione al Nepal (regione dell’Everest) ed al Pakistan (Karakoram), agli estremi della catena Himalayana, caratterizzati da situazioni climatiche e glaciologiche differenti. Nella regione dell’Everest nepalese, i ghiacciai sono in forte ritiro nelle ultime decadi in risposta ai cambiamenti climatici (p.es. Thakuri et al, 2014; Kappenberger, AGM 2015). Uno studio di Tartari et al. (AGM 2015) ha mostrato altresì come il cambiamento climatico altera la dinamica dei laghi glaciali e proglaciali in Nepal, con sostanziale risalita in quota, in risposta alla risalita glaciale ed all’aumentato tasso evaporativo.
Il fiume Dudh Kosi (il “Fiume di latte”), alimentato dalle acque di fusione del ghiacciaio del Khumbu ai piedi dell’Everest è stato oggetto di intense campagne di studio a partire dal 2012, che hanno permesso di modellarne i fenomeni glacio-idrologici e di ipotizzarne la futura evoluzione.
Ho presentato i risultati di uno studio effettuato con alcuni colleghi (Bocchiola et al.AGM 2015) atto a modellare la dinamica del bacino in risposta ai cambiamenti climatici e la relativa situazione glaciale.

Figura 3. Variazione potenziale (per diversi periodi trentennali) dei deflussi fluviali mensili, espressi in metri cubi al secondo nel Rio Maipo, nella regione Metropolitana di Santiago del Cile. In alto: Modello ECHAM6, RCP2.6. In basso: RCP8.5. Da Confortola et al. (AGM 2015).

Simulazioni della risposta glacio-idrologica recente del ghiacciaio del Khumbu mostrano come tale ghiacciaio sia in forte recessione, come del resto mostrato nella letteratura recente relativa ai ghiacciai dell’Himalaya meridionale. Inoltre, simulazioni di scenario preliminari basate su modelli climatici dell’IPCC mostrano un potenziale rapido incremento della fusione del ghiacciaio del Khumbu verso metà secolo, con la scomparsa pressoché totale della Khumbu ice fall, la separazione della lingua di ablazione valliva dalla zona di alimentazione e la lenta scomparsa degli spessori glaciali sotto le spesse coltri di detrito. In risposta a tale contrazione glaciale, i deflussi fluviali nel Dudh Kosi diminuirebbero drasticamente. L’Himalaya del sud sembra quindi destinata a soffrire in maniera rilevante gli effetti dei cambiamenti climatici.

Grande attenzione è stata quindi dedicata alla Karakoram Anomaly, con la presentazione di diversi studi relativi ai maestosi ghiacciai del Pakistan, che mostrano attualmente condizioni di sostanziale stabilità, seguita da una tavola rotonda sul tema. La sostanziale stabilità dei ghiacciai dell’area è stata confermata dagli scienziati e deriva dalla particolare situazione climatica locale, dove si evidenziano un incremento degli eventi nivali, una maggiore durata delle coperture nivali, e una lieve diminuzione delle temperature estive, nonché una diminuita fusione per i ghiacciai maggiormente coperti di detrito (p.es.Minora et al 2013).

Gettando uno sguardo al futuro, Soncini et al. (AGM 2015) hanno presentato risultati recenti (Soncini et al., 2015), che mostrano la potenziale evoluzione di un’area glaciale nel cuore del Karakoram, ai piedi del K2. Il bacino dello Shigar, affluente dell’Indo e ricoperto per un terzo di ghiaccio (ca. 2000 km2 su ca. 7000 km2), ivi inclusi i maestosi ghiacciai Baltoro, Biafo-Ispar e Liligo, è stato oggetto di intense campagne di studio a partire dal 2011, nell’ambito di progetti finanziati dal comitato EVK2CNR, che hanno incrementato la conoscenza dei processi glacio-idrologici locali e permesso di ipotizzare la futura evoluzione del manto glaciale, nonché le conseguenze sulle dinamiche idrologiche di quelle aree.

Utilizzando proiezioni di scenario climatico da modelli dell’IPCC, Soncini et al. (AGM 2015) hanno evidenziato come le coperture glaciali di quest’area potranno mantenere una sostanziale stabilità per la prima metà del prossimo secolo. Tuttavia, in seguito tali ghiacciai potrebbero cominciare a restringersi in maniera sostanziale, perdendo gran parte del loro volume. La Karakoram anomaly potrebbe quindi scomparire verso a metà secolo.

I regimi fluviali dell’alto bacino dell’Indo (Upper Indus Basin UIB), mostreranno più intensi fenomeni di piena estiva, con fusione nivale anticipata, più intensa fusione glaciale e maggiore violenza delle piene estive monsoniche, già osservata di recente in Pakistan, fino a metà secolo. Tuttavia, verso fine secolo, le coperture glaciali diminuirebbero largamente e le portate inizieranno a diminuire, verosimilmente portandosi a valori inferiori agli attuali all’inizio del prossimo secolo. Minora et al. (AGM 2015) hanno poi presentato uno studio sul catasto dei ghiacciai Afghani condotto tramite immagini satellitari. Tale regione poco studiata è tuttavia importante per il recapito di acqua nei fiumi a valle (p.es. fiume Kabul, Amu Daria) e risulta necessario investigarne lo stato attuale, con particolare attenzione alla copertura detritica, finora di fatto non nota.

In conclusione, gli scienziati confermano che i ghiacciai continentali europei ed extra-europei soffrono, benché in diversa misura, degli effetti dei cambiamenti climatici presenti. Altresì, è possibile proiettare il comportamento potenziale di gruppi glaciali in continenti diversi, in risposta alle variazioni climatiche proposte dagli scenari del quinto rapporto IPCC.

Tali simulazioni, ovviamente da considerare come potenziali e da validare con ulteriori studi, sembrano puntare ad una forte contrazione futura delle superfici glaciali, in particolare dopo la metà del secolo. Un potenziale meccanismo naturale di protezione, ossia la copertura di detrito, potrebbe portare ad una migliore capacità dei corpi glaciali di resistere alla fusione, tuttavia non è chiaro se tale meccanismo potrà rallentare il processo di estinzione glaciale significativamente.

Riuscirà l’uomo a evitare la fusione delle grandi masse glaciali continentali? Sulla base delle attuali conoscenze scientifiche sembra probabile nei prossimi decenni un’ulteriore consistente riduzione dei ghiacci in tutto il mondo: i paesaggi montani continentali sembrano destinati a ospitare coltri glaciali a quote sempre più alte, oppure sepolte sotto spesse coltri di detrito.

2 responses so far

2 Responses to “Notizie dall’Alpine Glaciology Meeting 2015”

  1. Valentinoon Lug 17th 2015 at 10:47

    Ottimo articolo! Per ulteriori elementi riguardo a vulnerabilità e possibili azioni di adattamento nella regione alpina, si veda:

    http://www.minambiente.it/sites/default/files/archivio/allegati/clima/documento_SNAC.pdf

    che contiene la Strategia Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici ormai definitivamente approvato col decreto:
    http://www.minambiente.it/sites/default/files/archivio/normativa/dd_16_06_2015_86_snac.pdf

  2. Johnb5on Apr 2nd 2017 at 22:57

    I truly appreciate this article.Really thank you! Fantastic. efeddffkebee

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