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Introdurre un prezzo minimo sulle emissioni climalteranti: una Iniziativa dei Cittadini Europei

Climalteranti invita ad aderire a un’iniziativa a scala europea per assegnare un costo maggiore alla CO2 scaricata in atmosfera

 

L’Iniziativa dei Cittadini Europei “A price for carbon to fight climate change” è stata recentemente dichiarata ammissibile dalla Commissione Europea. A breve prenderà avvio la raccolta delle firme necessarie a sottoporre la proposta al Parlamento Europeo. Le firme devono raggiungere la quota di un milione in sette diversi Paesi europei. A quel punto, la proposta contenuta nell’Iniziativa dei Cittadini Europei (ICE) potrà essere valutata dalla Commissione Europea al fine di essere ammessa all’iter parlamentare. Un’impresa difficile; ma, considerata la crescente attenzione dei cittadini europei per i cambiamenti climatici e le loro conseguenze, non impossibile.

Fra le cause di tali cambiamenti, che già gravano pesantemente sulle condizioni di vita di gran parte della popolazione mondiale, un ruolo rilevante – confermato dagli scienziati di tutto il mondo riuniti nell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) – si deve attribuire alle emissioni nell’atmosfera di CO2 legate all’uso di combustibili fossili. Per ridurre queste emissioni climalteranti, l’idea di utilizzare lo strumento che sul mercato regola l’andamento dei consumi, ossia il prezzo di vendita di un bene, ha trovato largo consenso tra gli economisti di tutto il mondo. La ICE appena approvata dalla Commissione Europea propone quindi di associare un prezzo minimo alle emissioni di CO2 (il cosiddetto “carbon floor”) in modo tale che il conseguente aumento del prezzo dei precursori delle emissioni, come i combustibili fossili, costituisca un disincentivo al loro consumo; contribuendo, quindi, a ridurre le emissioni. Il prezzo minimo dovrebbe salire nel corso degli anni in modo da incentivare la transizione tecnologica ed infrastrutturale necessaria per orientare abitudini e consumi di cittadini, settore pubblico ed imprese europee verso fonti di energia rinnovabile.

L’introduzione di questa misura di “carbon pricing” è in discussione da molti anni in Unione Europea sia a livello dei singoli Stati che dell’Unione stessa. Recentemente, un summit su Carbon Pricing tenutosi all’Aja, nei Paesi Bassi, ha visto la partecipazione di esponenti della comunità scientifica e politica internazionale. La misura gode di ampio consenso scientifico: di fatto, permette di internalizzare il costo delle emissioni climalteranti nelle scelte di consumo di tutti gli attori economici, e quindi di valorizzare il bene comune dell’ambiente di vita. La necessità di introdurre la misura a livello europeo è motivata, oltre che dalla scontata maggiore incisività di una misura sovranazionale, dalla specificità dei “beni” in considerazione: le molecole di CO2 producono il medesimo danno ambientale a prescindere da chi sia il soggetto emettente, da dove si trovi, o dal tipo di attività; parimenti, lo stato di salute dell’ambiente di vita ed i relativi impatti sulla salute umana sono questioni di pari rilievo a prescindere dalla collocazione geografica dei singoli cittadini. Il prezzo da associarsi alle emissioni climalteranti non può quindi che essere il medesimo in tutti gli Stati Membri.

La sovranazionalità e “orizzontalità” della misura di carbon pricing, che si applicherebbe a tutte le fonti di emissioni climalteranti, è inoltre necessaria per completare l’attuale meccanismo di controllo delle emissioni di CO2 dell’Unione Europea, il cosiddetto Emission Trading System (ETS). Ad oggi, il 45% delle emissioni nell’Unione sono gestite attraverso questo meccanismo. Molti settori chiave – trasporti, settore domestico, piccola-media impresa e agricoltura – ne sono però esenti; sono, questi, i settori da cui origina il 55% delle emissioni totali. Una misura di carbon pricing all’interno dell’Unione è quindi tanto necessaria quanto l’imposizione di un diritto compensativo alla frontiera sulle importazioni provenienti dai Paesi che non la adottano (il cosiddetto “border tax adjustment”). L’imposizione del medesimo prezzo imposto sulle emissioni europee eviterebbe un’incompatibilità con le regole del WTO.

L’adozione della misura di carbon pricing da parte dell’Unione Europea è quindi una prospettiva concretamente perseguibile. In assenza di supporto politico, il consenso scientifico è però insufficiente; la ICE si propone quindi come piattaforma di raccolta del consenso dei cittadini europei.

Perché sono proprio i cittadini europei i suoi primi beneficiari. L’introduzione della misura consentirebbe l’avvio di una profonda riforma della struttura della finanza pubblica nella direzione di un’economia “carbon free” e socialmente equa. Anzitutto, tutte le entrate generate dalla misura dovrebbero essere riciclate nel sistema economico, in primo luogo per evitare effetti recessivi sulla domanda (ossia la riduzione della capacità di spesa delle fasce a basso reddito a causa del possibile aumento del prezzo dei beni di consumo). A questo fine, parte delle entrate dovrebbero essere utilizzate per alleggerire la pressione fiscale sulle famiglie a basso reddito. Favorire le imprese non “energivore” attraverso la riduzione del costo del lavoro e l’aumento del salario netto dei lavoratori (a parità di reddito lordo) è un’altra delle destinazioni delle entrate volte a sostenere la transizione del sistema produttivo verso modelli più sostenibili. La spesa pubblica europea dovrebbe, parimenti, orientare l’allocazione delle entrate per sostenere gli investimenti necessari alla transizione ecologica.

Le dimensioni di questa potenziale riforma fiscale sono significative. Considerato che le emissioni di CO2 nei settori non inclusi nell’ETS hanno raggiunto, nel 2017, i 2.242 milioni di tonnellate (EU27, dato Eurostat), con un prezzo sul carbonio iniziale di €50 le entrate ammonterebbero a 112,5 miliardi di euro; arrivando a regime (entro 5 anni) a €100 per tCO2, le entrate salirebbero a  €225 miliardi di euro. Parallelamente, il prezzo delle quote di emissione nei settori inclusi nell’ETS tenderebbero a crescere, in quanto verrebbero emesse in numero sempre più limitato; generando così ulteriori entrate.

Uno dei nodi che dovrà essere affrontato nel caso di introduzione di un carbon pricing europeo è la diversa struttura fiscale dei vari Paesi e l’impatto che il prezzo imposto ad ogni tonnellata di CO2 emessa avrebbe nei singoli Stati. Ad esempio, in Svezia, dove l’aliquota della carbon tax attuale è fissata a €118, è possibile che non si debbano introdurre ulteriori variazioni nel livello del prelievo; diversamente, in Italia, potrebbe dover essere rivisto il livello delle accise, attualmente commisurate alla quantità di combustibile e non alla quantità di carbonio contenuta nell’energia tassata.

Il punto da sottolineare, in ogni caso, è che le entrate totali derivanti dall’imposizione di un prezzo sul carbonio nei settori non-ETS e quelle generate dalla vendita all’asta delle quote di emissione nei settori ETS rappresenterebbero un differenziale di prezzo fra l’utilizzo di combustibili fossili e quello di energie rinnovabili. Tra la prima fonte di entrate, vanno considerate anche le entrate derivanti dall’imposizione di un diritto compensativo alla frontiera. Eurostat stima che le emissioni di CO2 legate ai consumi e agli investimenti interni all’UE – la “carbon footprint” – per il 2017 erano pari a 7,2 tonnellate pro capite, di cui 1,2 originate al di fuori dell’Unione. Dato il livello della popolazione nell’EU27, le emissioni importate da tassare si possono quindi stimare in 525 milioni di tonnellate, con un gettito di 26,2 miliardi di euro (a regime 52,5 miliardi €) che affluirebbe direttamente al bilancio europeo; senza, aspetto importante, che siano necessarie modifiche dei Trattati, in quanto si tratterebbe dell’esercizio di un diritto doganale proprio dell’Unione Europea.

In termini quantitativi, il differenziale di prezzo tra l’utilizzo di fonti fossili e quelle rinnovabili rappresentato dalle entrate generate dall’introduzione del carbon pricing si tradurrebbe nel “carbon dividend” utilizzabile per finanziare la transizione ecologica, socialmente equa, dell’economia europea. Il carbon dividend consentirebbe la profonda rimodulazione del sistema fiscale europeo a cui si è accennato sopra, in quanto sposterebbe l’onere della tassazione dal lavoro e dai redditi d’impresa alla tassazione dell’uso di combustibili fossili. Le entrate verrebbero in parte attribuite al livello nazionale – in particolare per abbassare le imposte sui redditi più bassi e ridurre i contributi sociali che gravano sulle imprese, riducendo il costo del lavoro – mentre un’altra parte – in particolare, il gettito dei diritti riscossi alla frontiera – affluirebbe direttamente al bilancio dell’Unione. Ad essa spetterebbe promuovere quegli investimenti strutturali necessari per sostenere la transizione tecnologica ed infrastrutturale – non raramente, transnazionale – degli Stati Membri; e, al contempo, finanziare un Fondo Europeo per la Disoccupazione complementare ai fondi nazionali esistenti. Questo fondo avrebbe, oltre ad evidenti finalità sociali, effetti positivi dal punto di vista di una politica anticiclica, in quanto consentirebbe ai Paesi in difficoltà di ricevere aiuti direttamente dall’Unione Europea.

Il nocciolo della proposta contenuta nella ICE appena depositata è stato sostenuto dalla nuova Presidente della Commissione Europea von der Leyen nel suo discorso di investitura. Considerato che la dichiarazione di ammissibilità della ICE da parte della Commissione ha preceduto il suo discorso di diversi giorni, i cittadini promotori dell’iniziativa ed i nuovi vertici della Commissione sembrano trovarsi d’accordo: vi sono, quindi, tutte le premesse per un moderato ottimismo.

Il sito dell’iniziativa, in cui si può sottoscrivere la petizione, è questo. La pagina ufficiale dell’UE da cui si può partire per sostenere l’iniziativa è questa.
(Aggiunta del 18/9/2020: La raccolta firme terminerà il 22/7/2020.)

 

Testo di Alberto Majocchi (Università di Pavia), Carlo Maresca (Università Bocconi) e Claudia Basta (Istituto Nazionale per l’Ambiente di Vita, Paesi Bassi)

15 responses so far

15 Responses to “Introdurre un prezzo minimo sulle emissioni climalteranti: una Iniziativa dei Cittadini Europei”

  1. Gian Chion Set 17th 2019 at 17:34

    Il link dell’iniziativa e per sostenerla (https://www.stopglobalwarming.eu) alla fine del testo dell’iniziativa non funziona.

  2. Stefano Caserinion Set 18th 2019 at 13:15

    Ora funziona, si vede che c’è stato un problema momentaneo.

    Ora è partita la raccolta, quindi collegandosi a https://www.stopglobalwarming.eu/ è possibile sottoscrivere la petizione

  3. giovanni mazzitellion Set 25th 2019 at 09:17

    Vi piacerebbe avere l’amento dell’IVA? Probabilmente no, e probabilmente il no discenderebbe solo dall’idea che uno paga piu’ tasse. Ma magari sareste disposti a farlo per l’ambiente.
    In realta’ c’e’ un ragione piu’ profonda per cui l’aumento dell’iva e’ un problema: poiche’ differenzia poco e male (diciamo in modo antiquato) bisogni da consumi. Un aumento dell’iva aumenta le disuguaglianze economiche danneggiando i meno facoltosi aumentando la sogli di accesso ai servizi essenziali.
    Un tassa sulla CO2 che non differenzi la produzione di necessità da lussi, di bisogni da consumi, e’ la stessa cosa.
    In ralta’ questo tipo di tassa cosi’ come proposta e’ solo un modo di “socializzare il danno ambientale” di una catena produttiva che non vuole cambiare.

  4. Daniloon Set 25th 2019 at 11:04

    Bene. L’ennesima tassa che andrà a discapito delle fasce più deboli della popolazione e che andrà a pesare sul groppone delle già asfissiate piccole e medie aziende specie dei paesi dell’Europa mediterranea. Le multinazionali ringraziano.

  5. homoereticuson Set 25th 2019 at 12:17

    ” … al bilancio dell’Unione. Ad essa spetterebbe promuovere quegli investimenti strutturali necessari per sostenere la transizione tecnologica ed infrastrutturale …”

    a questo proposito, senza uscire troppo OT, segnalo l’intervista all’economista italo americana Mariana Mazzucato, apparsa sull’allegato “Buone Notizie” di martedì 24 del CdS.

    Ella sostiene (ottimisticamente e penso un po’ provocatoriamente) che il pianeta potrebbe risolvere il problema climatico in pochi anni se gli stati si cimentassero in investimenti colossali, come quello sostenuto dagli USA per andare sulla Luna, che mossero percentuali significative del PIL dell’epoca.

  6. albertoon Set 25th 2019 at 12:48

    In realtà, caso mai venisse introdotta in Europa (ricordiamo che è dal 1992 che la CE ci prova senza successo) la carbon tax non può che spalmarsi su tutta la popolazione, dato che in pratica la stragrande maggioranza dei cittadini europei per vivere emette direttamente (ad es. riscaldando la propria abitazione o spostandosi, non importa se per andare al lavoro o a divertirsi) o indirettamente (attraverso il consumo di beni e servizi prodotti nel Paese di residenza o all’ estero) CO2.
    D’ altronde per provare a diminuire il consumo di fonti fossili, inquinanti a vario livello, e iniziare a sostituirle con fonti più pulite, l’ aumentarne il costo con la tassazione è un’ opzione con pochissime alternative.
    Ad ogni modo non sarà facile, non ultimo perchè quello che nell’ articolo eufemisticamente viene citato come “Uno dei nodi che dovrà essere affrontato nel caso di introduzione di un carbon pricing europeo è la diversa struttura fiscale dei vari Paesi” è un nodo assai ostico da sbrogliare. Infatti, per riprendere l’ esempio del testo considerando come carburante la benzina “verde”, qualcuno dovrà spiegare all’ opinione pubblica italiana come mai si dovrebbero aggiungere al livello delle tasse 0,12-0,25 euro/l (corrispondenti a 50/100 euro/t CO2) quando le accise già pagate oggi (>0,7 euro al litro) equivalgono ad oltre 300 euro/tCO2. E ciò considerando il fatto che in Svezia, dove secondo gli articolisti “è possibile che non si debbano introdurre ulteriori variazioni nel livello del prelievo”, con una carbon tax già esistente di 118 euro/t CO2 il prezzo della benzina alla pompa è oggi inferiore a quello medio italiano.

  7. Alberto Suppaon Set 25th 2019 at 12:50

    L’analisi economica ci insegna che in linea generale le imposte (sui redditi, sui consumi, ecc.) sono distorsive. Le imposte ambientali invece non lo sono proprio perché sono già dirette a compensare le distorsioni generate dalle esternalità negative (inquinamento, mortalità, ecc.). Ben venga quindi una società in cui venisse tassato l’inquinamento invece dei redditi da lavoro, dei consumi, dei profitti di un’attività virtuosa. Anche i poveri del mondo ringrazierebbero.

  8. albertoon Set 25th 2019 at 19:14

    Curioso il tuo modo di ragionare. Come se le emissioni di CO2 venissero originate da inquinatori senza volto. Invece questo caso gli inquinatori siamo tutti noi, proprio in quanti consumatori di beni e servizi basati a schiacciante maggioranza sull’ uso dei combustibili fossili.
    Altro discorso ovviamente è l’ utilizzo che sì può fare dei denari raccolti con questa o quella tassa. Per la carbon tax dato che incide in maniera sproporzionata sulle uscite dei ceti bassi e medio-bassi è evidente che si cercherà di riverserla in gran parte su di essi (come è a chi nel dettaglio è un altro nodo da affrontare).
    Riguardo alle masse di poveri dei Paesi extraeuropei non vedo come potranno risentire di qualche effetto nel caso la carbon tax europea venisse davvero introdotta.

  9. Giovanni Mazzitellion Set 26th 2019 at 08:06

    Già è vero: sono io che decido di vendere la frutta con imballi di plastica o di traspprtarla dal sudamerica; sono io che decido che ci siano le domeniche verdi per farmi “rinnovare” l’automobile ogni 3 anni piutrosto che tenermela per 20 (unica scelta sostenibile); sono io che incentivo le auto elettriche, e che qualche anno fa incentivavo i diesel; sono io che faccio diventare il gas naturale una fonte rinnovabile; sono io che pago in bolletta le scelte disastrose di incentivi sul fotovoltaico senza che questo abbia modificato di una virgola il nostro consumo di idrocarburi. Sono io che devo spegnere la ciabatta mentre teniamo e paghiamo centrali elettriche in standby per una rete di distribuzione inadeguata. ecc, ecc. Le emissioni hanno un volto, non il mio.
    Poveri: se oggi ti puoi permettere un panino che costa 1 euro, e un domani con una carbon tax costa 1.1 euro, tu non mangi. Più chiaro!

  10. Giovanni mazzitellion Set 26th 2019 at 08:32

    Non capisco il ragionamento: ogni cosa che usiamo è prodotta usando energia e materie prime che richiedono a loro volta energia per essere estratte (Alberto qui sottiene addirittura che siamo noi in prima persona i responsabili del consumo). Quindi per proprietà transitiva, ogni cosa che consumiano sarebbe affetta da carbon tax (se ti fa piacere a questo conto puoi togliere un misero qualche % della produzione di energia a livello mondiale da rinnovabili). Quindi oggi la carbon tax è una imposta sui consumi.

  11. Giivanni Mazzitellion Set 26th 2019 at 08:39

    Ps questa era la risposta ad alberto suppa e il riferimento all’alberto del post successivo.

  12. Alberto Majocchion Set 26th 2019 at 10:37

    @danilo
    L’introduzione della carbon tax dovrà essere accompagnata da misure che garantiscano l’equità sociale per evitare quello che è avvenuto in Francia con la rivolta dei Gilets Jaunes. Ma queste misure devono rientrare nel quadro di una più generale riforma dei sistemi fiscali, che investirà in modo diverso i diversi paesi, ma sarà in ogni caso finalizzata a ridurre il prelievo sui redditi più bassi, che saranno maggiormente gravati dall’aumento dei prezzi dell’energia.

  13. albertoon Set 26th 2019 at 12:10

    Si e no Alberto. La carbon tax di per sé non ha nulla a che vedere con una riforma generale dei sistemi fiscali. E’ una semplice tassa che, a parità di altre condizioni, aumenterà il prelievo.
    Certo, dato appunto che proporzionalmente questa tassa incide di più sui ceti bassi e medio-bassi l’ orientamento è quello di redistribuire almeno una parte del gettito ottenuto a questi ultimi. Il caso dei Gilet Jaunes è emblematico di come una parte della popolazione considera questa tassa.
    E questo è un ulteriore nodo da affrontare in maniera differente per ogni Paese europeo, per varie ragioni.

  14. Daniloon Ott 2nd 2019 at 10:29

    @Alberto Majocchi
    In un sistema capitalistico come quello che governa le sorti del pianeta da più di un secolo, la lotta al cambiamento climatico (sia chiaro, per me sacrosanta) sarà l’ennesima scusa per dragare soldi dall’economia reale, colpendo naturalmente i meno abbienti, verso i sistemi finanziari sovranazionali e sempre più immateriali. Sono stati così i salvataggi che dovevano salvare la Grecia ma che l’hanno massacrata (lo ha ammesso persino Fubini…) ma che in compenso (sic!) hanno salvato le banche francesi e tedesche in crisi dopo il 2008. E così del resto il problema “della fame del mondo”. E’ un secolo che si dice volerla combattere e risolvere ma è sempre lì e lo sarà sempre finché l’1% possederà il 99% delle ricchezze mondiali.

  15. iltransalpinoon Ott 30th 2019 at 23:16

    Io avrei un’altra idea: si potrebbe stabilire un “Carbon pricing” in base al consumo di carbone necessitato per fare viaggiare le merci. Potremmo così rimodulare totalmente l’IVA su questo principio. Essa diventerebbe una “Iva Carbone” in basata sul parametro obbiettivo della distanza, penalizzando al massimo il trasporto intercontinentale di merce. Questo sì che sarebbe una rivoluzione che ampio impatto, anche utile alle economie nazionali.
    Ma… Ma… ed è qui che capite la frase inserita nell’articolo ” L’imposizione del medesimo prezzo imposto sulle emissioni europee eviterebbe un’incompatibilità con le regole del WTO.” Non bisogna quindi differenziare i prodotti in base all’origine.
    Perché va bene salvare il mondo, se a pagare il prezzo il cittadino qualunque, brutto consumatore di merce inquinanti. Ma non le multinazionali. Salviamo il mondo ma senza rimettere in gioco le regole della globalizzazione: la concorrenza sfrenata – e sleale – tra le economie nazionali, non si può certo ostacolare attraverso il Carbon Pricing!
    E perché i WTO non si può cambiare ? E’ perché in nome dell’imperativo del riscaldamento globale, sul quale i nostri governanti europei sono perfettamente d’accordo, un tale meccanismo non possa essere introdotto all’interno dell’Unione europea ? Se è così importante, i Trattati si possono modificare, no? O mitigare, come su altri temi.
    Nessuno ne parla. E quando qualcuno chiede a Greta se ritiene la firma da parte del’UE dei trattati Mercosur e Ceta che intensificano gli scambi sul pianeta, stranamente lei tace, dice che non ne vuole parlare, che non ne sa nulla…
    Insomma abbiamo capito. Questi “Cittadini Europei”, ma anche Greta, sono portatori di un’ulteriore politica pronta criminalizzare i cittadini in nome della Santa Gaia, i quali, per forza, hanno perso la fiducia nell’Europa e in quelli che ne difendono ancora il progetto, avendo capito che quest’ultimi difendono soprattutto ben altri interessi in relazione ai quali la difesa così urgente dell’ambiente è solo uno stratagemma per raggirali ancora.

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