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Emissioni nette zero / non zero

Il concetto di emissioni “nette zero” è spesso criticato perché potrebbe facilitare il posticipare le azioni di riduzione delle emissioni di gas serra. In realtà, come spiegato nel post di Gavin Schmidt su Realclimate, di cui pubblichiamo la traduzione, si tratta di un concetto utile, e solido dal punto di vista scientifico soprattutto se riferito a emissioni nette zero di CO2 e non al totale dei gas serra.

 

 

Alla Conferenza COP26 di Glasgow, gran parte della discussione ha riguardato gli obiettivi noti come “emissioni nette zero”. Questo concetto deriva da importanti risultati della fisica già evidenziati nel Rapporto Speciale su 1,5 ºC di riscaldamento globale, e approfonditi nell’ultimo rapporto IPCC: mostrano che il riscaldamento futuro è legato alle emissioni future e che cesserà effettivamente solo dopo che le emissioni antropogeniche di CO2 saranno bilanciate dalle rimozioni antropogeniche di CO2. Ma alcuni attivisti hanno (giustamente) sottolineato che le rimozioni di CO2 a grande scala non sono ancora state testate, e quindi fare affidamento su di esse in misura significativa per bilanciare le emissioni è come non impegnarsi affatto ad arrivare a emissioni nette zero. Il loro punto è che “emissioni nette zero” non equivale a “emissioni zero” e quindi potrebbero avere l’effetto di una cortina fumogena per un’azione climatica insufficiente. Per aiutare a risolvere questo problema potrebbero essere utili un po’ di basi scientifiche.

 

 

“Emissioni nette zero di CO2” ha un reale significato geofisico

 

Con dati empirici e modelli migliori e più numerosi è diventato chiaro che, in prima approssimazione, l’eventuale riscaldamento antropico da biossido di carbonio è legato alle sue emissioni cumulative. Questa figura è tratta dal Sommario per i decisori politici del Sesto Rapporto IPCC (AR6-SPM, traduzione italiana a cura di Climalteranti, ndt):

Rapporto tra emissioni cumulative di CO2 e temperatura (SPM AR6).

La base di questa relazione è l’equilibrio approssimativo tra l’assorbimento netto di carbonio nei “pozzi” profondi (principalmente l’oceano profondo) e la velocità con cui gli oceani si riscaldano in risposta a uno squilibrio energetico. Abbiamo già discusso in precedenza il problema dell’impegno in termini di riscaldamento globale di un dato livello di emissioni, e, in prima approssimazione, si può dire che la temperatura globale risulta sostanzialmente stabile una volta cessate le emissioni di CO2. Quindi il riscaldamento futuro dipende totalmente dalle emissioni future.  Questo rapporto implica che, una volta cessate le emissioni cumulative (cioè raggiunto lo zero netto), è definito quale sarà il riscaldamento futuro.

 

Questo è un risultato molto rilevante, ed è alla base delle recenti promesse di raggiungere emissioni nette zero entro il 2030/2040/2050 ecc., nell’ambito dell’aggiornamento ai contributi determinati a livello nazionale (NDC).

 

“Emissione netta zero di gas serra” non ha un significato geofisico

 

Nell’articolo 4 paragrafo 1 dell’Accordo di Parigi si è scritto:

Al fine di raggiungere l’obiettivo di temperatura a lungo termine di cui all’articolo 2, le parti mirano a raggiungere il picco globale delle emissioni di gas serra il prima possibile, riconoscendo che il picco richiederà più tempo per le nazioni-parti in via di sviluppo, e ad intraprendere in seguito rapide riduzioni in accordo con la migliore scienza disponibile, in modo da raggiungere un equilibrio tra le fonti di emissioni antropiche e gli assorbimenti dai pozzi di gas serra nella seconda metà di questo secolo, sulla base dell’equità, e nel contesto dello sviluppo sostenibile e degli sforzi per sradicare la povertà”.

 

Il paragrafo può essere interpretato in modi diversi. Alcune persone l’hanno collegato a quanto previsto dalle regole per il reporting delle emissioni, che utilizzano il potenziale di riscaldamento globale a 100 anni (GWP-100) per convertire diversi gas serra in CO2 equivalente (CO2-e) e per suggerire che dovremmo mirare a emissioni nette zero di CO2-e calcolate usando questi GWP. [ndt: la decisione 18/CMA.1 della COP24 di Katowice ha definito che per conteggiare le emissioni e le rimozioni in termini di CO2 equivalente devono essere usati i GWP-100 del Quinto Rapporto IPCC o dei rapporti successivi].

Tuttavia, la scelta del GWP-100 non ha alcun significato geofisico particolare: emissioni nette zero di CO2-e potrebbero essere associate a una temperatura in aumento, in diminuzione o stabile, a seconda dell’andamento di CH4, N2O e CFC.

 

Supponiamo per esempio che le emissioni antropogeniche di CH4 siano dimezzabili. Si tratterebbe di circa 170 TgCH4/anno. Se l’obiettivo fosse di arrivare a emissioni nette zero di CO2-equivalente, potremmo continuare a emettere circa 5 GtCO2/anno. È molto meno delle circa 36 GtCO2/anno attuali, ma basterebbe a mantenere una tendenza di circa +0,02 ºC/decennio. In alternativa, se dopo le emissioni nette zero di CO2 passassimo a emissioni nette di CO2 negative, potremmo anche arrivare a emissioni nette zero di CO2-equivalente, con temperature in diminuzione (un giorno o l’altro converrà guardare in dettaglio cosa potrebbe succedere con tagli dell’80 o 90% delle emissioni di CO2, perché entrerebbero in gioco la rilevabilità delle tendenze della temperatura globale e il ruolo finora trascurato di piccoli sorgenti e assorbitori di CO2).

 

 

L’IPCC AR6 e il testo di Glasgow sono più chiari

 

Durante la sessione che doveva approvare il Sommario per i decisori politici del Sesto rapporto IPCC, questo è stato uno dei problemi più spinosi. Ovunque gli autori avessero fatto riferimento a emissioni nette zero di CO2, l’Arabia saudita (e talvolta la Cina) ha cercato di sostituirlo con emissioni nette zero di gas serra. Gli autori e molti altri paesi si sono presi la briga di spiegare che riferirsi a CO2-e zero non era un’affermazione solida, e il sommario ha finito per chiarire che il concetto di emissioni nette zero si applicava solo alla CO2.

 

Successivamente, il testo di Glasgow lo ha chiarito anche per il processo UNFCCC in cui si inseriscono le COP:

 

[La Conferenza delle Parti] riconosce inoltre che limitare il riscaldamento globale a 1,5 °C richiede riduzioni rapide, profonde e sostenute delle emissioni globali di gas serra, compresa la riduzione delle emissioni globali di anidride carbonica del 45% entro il 2030 rispetto al livello del 2010 e a un valore netto zero verso la metà del secolo, così come profonde riduzioni degli altri gas serra”. (Testo finale del Patto di Glasgow, sezione 17).

 

Ciò significa che emissioni nette zero per la CO2 sono ora un obiettivo chiave (almeno per quanto riguarda l’aspirazione a limitare il riscaldamento globale a +1,5 ºC). Tuttavia, sono gli andamenti e le emissioni cumulative che ci saranno fino a quando si arriverà allo ‘zero netto’ che determineranno il livello di aumento delle temperature globali (con qualche influenza aggiuntiva dovuta ai tagli ad altri gas serra e a forzanti di breve durata). Quindi, anche se il concetto di emissioni ‘nette zero’ è solo collegato in questo testo all’aspirazione di 1,5ºC, si tratta di un concetto molto più ampio.

 

Emissioni nette zero come concetto scientifico è diverso da emissioni nette zero come slogan?

 

Parte della comunità climatica è contraria all’uso del termine “nette zero” perché, ai suoi occhi, l’aggettivo “nette” consente agli attori in malafede di mantenere le emissioni attuali promettendo quantità irrealistiche di emissioni negative future per compensarle. È chiaramente un problema. Occorre verificare la credibilità di ogni impegno “netto zero” e i proponenti devono essere ritenuti responsabili delle proprie affermazioni. Penso che sia inevitabile che alcuni impegni (forse anche tutti) saranno ottimistici sull’entità delle plausibili emissioni negative. Ma sostenere gli impegni a emissioni “nette zero” equivale al negazionismo climatico, come sostenuto nel tweet dalla Prof.ssa Doreen Stabinsky ?

 

La mia risposta è no. “Emissioni nette zero” è un obiettivo fisico ben fondato nella scienza che i negazionisti del clima cercano di ignorare. Il dibattito sull’utilità del termine “zero-nette” assomiglia ad uno svolazzo retorico e trovo che non sia molto utile: alla fine finisce per confondere l’utilizzo del termine da parte di un certo ambientalismo di facciata (che persegue il greenwashing, un vero problema), con un concetto importante per la scienza del ciclo del carbonio, già ostica di suo per molta gente.

 

Non significa che gli impegni e gli obiettivi non vadano controllati e discussi: dovranno esserlo, ovviamente, e alcuni impegni saranno considerati meno credibili di altri. Ma anche se lo “zero netto” non equivale a zero, è un concetto comunque significativo dal punto di vista geofisico. Sarebbe bene che l’opinione pubblica lo capisse, perché è alla base dell’importante conclusione che il futuro riscaldamento causato dalla CO2 dipende dalle emissioni future di CO2.

 

Testo originale pubblicato da Gavin Schmidt su Realclimate

 

Traduzione di Claudio Cassardo, con contributi di Sylvie Coyaud e Stefano Caserini

8 responses so far

8 Responses to “Emissioni nette zero / non zero”

  1. Armandoon Dic 10th 2021 at 22:05

    Un articolo apparso sul Messaggero ci informa che la UE sta varando una regolamentazione che impone ai proprietari di case di raggiungere almeno la classe energetica C, in mancanza della quale non potranno né vendere né affittare l’abitazione in loro possesso.
    È un esempio di ciò che vado ripetendo da tempo, ovvero che la transizione energetica diventerà di fatto impraticabile per l’opposizione di fasce sempre più ampie della società.
    Questo caso è particolarmente grottesco ma di fatto porta semplicemente alla luce ciò che è noto da tempo. Ovvero che le leggi non vengono più fatte dai parlamenti nazionali (tantomeno dal Parlamento europeo, che non legifera nulla): essi si limitano a ratificare le leggi e i regolamenti decisi dai burocrati di Bruxelles.
    In questo modo, si è deciso di colpire quello che è l’asset, cioè la riserva di valore, più diffuso fra le famiglie italiane, che dalla sera alla mattina verrà svalutato di una percentuale consistente.
    Peserà non solo il danno economico, ma anche e soprattutto la scoperta di dover subire le decisioni di un organismo di fatto non eletto dai cittadini, e di cui fino a ieri si ignoravano gli effettivi poteri.

  2. Paolo C.on Dic 11th 2021 at 11:42

    Armando, sulle case aspetterei prima di giudicare (e lo dico da pessimista cronico):

    https://www.butac.it/niente-vendita-o-affitto-se-la-casa-spreca-energia/

    Molte notizie vengono travisate ad arte, occorre sempre verificare.

  3. Armandoon Dic 11th 2021 at 19:01

    Ho letto l’articolo.
    Non vedo dove sia la bufala.
    Se io faccio un documento di pagine e pagine dove dico che la popolazione diciamo della Papuasia dovrà sottoporsi a questa serie di esami medici, dovrà tenere una certa dieta e astenersi da certe bevande e poi, in un inciso, dico che sono esclusi tutti coloro che sono minorenni e in età da lavoro, beh, è evidente che lo scopo è estendere in futuro i provvedimenti in questione a tutta la popolazione. In caso contrario si sarebbe subito messo in chiaro che la cosa riguardava esclusivamente i pensionati.
    Si chiama metodo Juncker e troverete molti articoli che lo illustrano facendo anche degli esempi concreti. Eccone uno:

    https://cristianminerva.altervista.org/metodo-junker/?doing_wp_cron=1639245039.9175250530242919921875

    Riguardo poi a quel sito “antibufale”, il suo gestore sarà anche in buona fede e sicuramente svolgerà un lavoro utile quando si tratta di smontare notizie palesemente false, che solitamente attecchiscono presso persone prive di cultura generale.
    Quando purtroppo però l’argomento verte sulla politica o, peggio, sull’economia, fa letteralmente cadere le braccia.
    Non sapendo nulla di ciò di cui parla riporta pari pari quello che ha capito, o crede di aver capito, spigolando sui vari giornali. Finisce quindi con l’etichettare come bufale cose che non lo sono affatto.
    Per esempio, una volta riportò una storia raccontata dal grande economista Kalecki etichettandola come bufala solo perché l’aveva trovata citata in un sito non gradito (dove Kalecki non veniva menzionato.)

  4. Paolo C.on Dic 12th 2021 at 01:21

    Certo bisognerebbe intendersi su chi paga la “transizione”:

    https://www.theguardian.com/commentisfree/2021/dec/07/we-cant-address-the-climate-crisis-unless-we-also-take-on-global-inequality

  5. Armandoon Dic 12th 2021 at 10:41

    Eccellente articolo. Ne pubblico un estratto tradotto con Google:

    “Consideriamo gli Stati Uniti, per esempio. Ogni anno, il 50% più povero della popolazione statunitense emette circa 10 tonnellate di CO2 a persona, mentre il 10% più ricco emette 75 tonnellate a persona. Questo è un divario di più di sette a uno. Allo stesso modo, in Europa, la metà più povera emette circa cinque tonnellate a persona, mentre il 10% più ricco emette circa 30 tonnellate, un divario di sei a uno. (Ora puoi visualizzare questi dati sul World Inequality Database.)
    Da dove vengono queste grandi disuguaglianze? I ricchi emettono più carbonio attraverso i beni e i servizi che acquistano, nonché dagli investimenti che fanno. I gruppi a basso reddito emettono carbonio quando usano le loro auto o riscaldano le loro case, ma le loro emissioni indirette, ovvero le emissioni delle cose che acquistano e degli investimenti che fanno, sono significativamente inferiori a quelle dei ricchi. La metà più povera della popolazione possiede a malapena qualsiasi ricchezza, il che significa che ha poca o nessuna responsabilità per le emissioni associate alle decisioni di investimento.
    Perché queste disuguaglianze sono importanti? Dopotutto, non dovremmo tutti ridurre le nostre emissioni? Sì, dovremmo, ma ovviamente alcuni gruppi dovranno fare uno sforzo maggiore di altri. Intuitivamente, potremmo pensare qui ai grandi emettitori, ai ricchi, giusto? Vero, e anche le persone più povere hanno meno capacità di decarbonizzare i propri consumi. Ne consegue che i ricchi dovrebbero contribuire maggiormente alla riduzione delle emissioni e ai poveri dovrebbe essere data la capacità di far fronte alla transizione a 1,5°C o 2°C. Sfortunatamente, questo non è ciò che sta accadendo – semmai, ciò che sta accadendo è più vicino all’opposto.
    È stato evidente in Francia nel 2018, quando il governo ha aumentato le tasse sul carbonio in un modo che ha colpito particolarmente duramente le famiglie rurali a basso reddito, senza influenzare molto le abitudini di consumo e i portafogli di investimento dei benestanti. Molte famiglie non avevano modo di ridurre il consumo di energia. Non avevano altra scelta che guidare le loro auto per andare al lavoro e pagare la carbon tax più alta. Allo stesso tempo, il carburante per aviazione utilizzato dai ricchi per volare da Parigi alla Costa Azzurra è stato esentato dalla modifica delle tasse. Le reazioni a questa disparità di trattamento alla fine hanno portato all’abbandono della riforma. Queste politiche di azione per il clima, che non richiedono sforzi significativi dai ricchi ma danneggiano i poveri, non sono specifiche di nessun paese. I timori di perdita di posti di lavoro in alcuni settori sono regolarmente utilizzati dai gruppi imprenditoriali come argomento per rallentare le politiche climatiche.”

    Queste le conclusioni dell’autore:

    “Per accelerare la transizione energetica, dobbiamo anche pensare fuori dagli schemi. Si pensi, ad esempio, a una tassa progressiva sul patrimonio, con una ricarica di inquinamento. Ciò accelererebbe l’abbandono dei combustibili fossili rendendo più costoso l’accesso al capitale per le industrie dei combustibili fossili. Genererebbe anche entrate potenzialmente grandi per i governi che potrebbero investire nelle industrie verdi e nell’innovazione. Tali tasse sarebbero politicamente più facili da approvare rispetto a una normale tassa sul carbonio, poiché colpiscono una frazione della popolazione, non la maggioranza. A livello mondiale, una modesta tassa patrimoniale sui multimilionari con una ricarica di inquinamento potrebbe generare l’1,7% del reddito globale. Ciò potrebbe finanziare la maggior parte degli investimenti aggiuntivi necessari ogni anno per soddisfare gli sforzi di mitigazione del clima.
    Qualunque sia il percorso scelto dalle società per accelerare la transizione – e ci sono molti percorsi potenziali – è tempo per noi di riconoscere che non può esserci una profonda decarbonizzazione senza una profonda ridistribuzione del reddito e della ricchezza.”

    L’approccio è micro, ovvero si vuole risolvere il problema spostando risorse date da un settore a un altro via tassazione ai più ricchi.
    E’ sufficiente?
    Non lo so.
    E’ politicamente fattibile?
    Negli Stati Uniti una cosa del genere non è neanche immaginabile.
    Può anche darsi che in Europa sia la stessa cosa.
    Nei prossimi mesi potremmo fare l’amara scoperta che anche in Europa l’1% dei più ricchi ha il pieno controllo delle decisioni politiche ed economiche.

    Io sono invece per un approccio macro. Ovvero le risorse inutilizzate possono essere messe al lavoro e indirizzare il nuovo output verso la transizione energetica. In sostanza, non si parte da una torta già data ma si può ampliarla e utilizzare il surplus per la transizione.
    Anche questa idea però non rientra nell’orizzonte politico prevalente. Forse sarebbe ancora più osteggiata dai detentori del potere.

    L’articolo però mi sembra che non approfondisca la questione dal punto di vista dei paesi in via di sviluppo o, come la Cina, mediamente sviluppati.
    Non mi è chiaro se le tesi dell’autore possano valere anche nel loro caso.

  6. Armandoon Dic 23rd 2021 at 12:29

    Intento in Italia riaprono le centrali a carbone di La Spezia e Monfalcone.
    Com’era facile prevedere.

  7. stefano carnevalion Gen 3rd 2022 at 19:29

    @Armando
    sono d’accordo ma quali decisioni dovrebbe allora prendere la politica? Quanto valgono, realmente, le nostre case? valore catastale? di mercato? una via di mezzo?
    Il sottoscritto, in una delle case che descrivi tu, rigorosamente in classe G, ci ha vissuto 4 anni..con spese oscene di riscaldamento e problemi di infiltrazioni, problemi seri all’impianto elettrico e addirittura, dopo due anni, con una fuga di gas attiva..il tutto condito dalla nascita di mio figlio.
    Per il proprietario è stato sicuramente un affare da 700euro al mese più allucinanti spese di condominio..
    A me l’appartamento costava praticamente 1100 euro utenze incluse..e non ero a Palm Beach, ma nella prima periferia fiorentina.
    Cosa fare allora? aspettare? Non lo so ma la politica ad un certo punto dovrà comunque prendere provvedimenti nell’interesse di tutti e, giocoforza, i singoli, o la comunità di singoli o meglio la somma dei singoli interessi verrà, probabilmente, sacrificata.

  8. Armandoon Gen 9th 2022 at 15:35

    @ Stefano Carnevali

    La politica non esiste più, dovrebbe ormai essere più che evidente.

    I partiti non sono più in grado di esprimere figure in grado di governare un paese. Non solo in Italia.

    Ormai viene considerato normale che destra e sinistra non solo abbiano gli stessi programmi e siano di fatto i distinguibili e Intercambiabili, ma addirittura governino insieme per sbarrare la strada al male rappresentato dai populisti.

    Ovviamente i capi di governo non sono più il frutto di un processo politico ma vengono insediati su indicazione dei mercati finanziari.

    Il problema, tornando al tema che ci interessa, è la stagnazione economica creata dall’aumento delle disuguaglianze. Se non c’è più crescita economica, non si possono generare le risorse per la transizione.

    E per generare la crescita economica bisogna spendere. Cioè bisogna fare esattamente quello che nessuna forza politica vuole fare.

    Ovviamente, qualcosa bisognerà fare, per evitare che le pesanti ricadute economiche della pandemia portino i movimenti di estrema destra a trionfare come già è successo in passato.

    Dunque, un po’ si spenderà. Ma non bisogna farsi illusioni. Da quando è stata istituita, il PIL dell’area euro cresce a un tasso dell’1,23% all’anno.

    Ma va bene così. L’importante è che i ricchi diventino sempre più ricchi. E così è stato. l’Europa ha assolto al suo compito.

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