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Archive for Gennaio, 2022

Note sul pessimismo climatico

Prendo spunto da due testi pubblicati recentemente su climalteranti.it. Il primo è una recensione del nuovo libro di Michael Mann, La nuova guerra del clima, in cui il climatologo americano, oltre a mettere in guardia contro le nuove forme di negazionismo camuffato, pone in risalto la pericolosità di visioni “eccessivamente cupe del nostro futuro”. Il secondo articolo verte sulla COP 26 di Glasgow e sui risultati che essa potrà produrre. Anche in questo caso vi è una sorta di messa in guardia: contro “una visione semplicistica del negoziato sul clima”. Secondo questo post, la contrapposizione “successo vs. fallimento” è fuorviante, perché ignora sia la complessità delle trattative sia i risultati intermedi che, come in occasione di passate edizioni, possono essere ottenuti e che comunque, ai fini di una efficace lotta contro i cambiamenti climatici, sono molto importanti.

            Qui di seguito intendo, se non proprio mettere in guardia contro queste e altre simili messe in guardia, presentare alcune riflessioni critiche al loro riguardo. Per cominciare una nota sul titolo del saggio di Mann: considero l’impiego della metafora della guerra in riferimento al riscaldamento globale come problematico e opinabile, e comunque contradditorio rispetto al dichiarato intento di denunciare i facili allarmismi e pessimismi. Data la natura dell’oggetto in questione, il clima mondiale, se di guerra si tratta, quella contro il Climate change deve o dovrà necessariamente assumer l’aspetto di una guerra totale, contro un nemico assai potente e da tempo conosciuto, e in cui nessuno potrà risparmiarsi. Sennonché il nemico non risiede dall’altra parte della frontiera o del mare, bensì è in mezzo a noi, nelle nostre distese metropolitane, nei gangli del potere politico ed economico e pure nelle nostre menti e abitudini, talché se proprio si vuol ricorrere alla metaforica bellica, meglio sarebbe parlare di “nuova guerra civile del clima”.

            Le visioni eccessivamente cupe del nostro futuro, l’emergente “pornografia climatica”, sostiene Mann, sono pericolose perché possono condurre alla paralisi e alla disperazione. È qui attivo un assunto indimostrato: “pessimismo = disfattismo” oppure “ansia = incapacità di agire”. Anche a prescindere dalla funzione euristica, ossia di incitamento all’impegno per il cambiamento, di opere (letterarie, artistiche e filosofiche) segnate da un profondo pessimismo, numerosi eventi mondiali prodottisi nel secolo scorso ci ricordano che anche le più cupe premonizioni o visioni di quel che sarebbe potuto accadere risultarono alla prova dei fatti ampiamente al di sotto della realtà, per così dire ampiamente “ottimistiche” rispetto alla portata dei crimini e delle distruzioni che effettivamente si produssero.

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Il 2021: sesto o settimo anno più caldo dal 1850

Le temperature medie globali dell’anno appena terminato, secondo quanto risulta dalle analisi preliminari sui dati della NOAA e di altri database climatici, collocano il 2021 al sesto-settimo posto nella speciale classifica degli anni più caldi, in cui il 2016 rimane al primo posto. L’anomalia registrata si assesta intorno ai quattro decimi di grado al di sopra della media del trentennio 1981-2010, pari circa a 1,0-1,1 °C in più rispetto al periodo 1880-1910. Anche per quanto riguarda l’Italia, la posizione in classifica è la stessa, ma l’anomalia è quasi doppia. I dati appaiono notevoli, se si considera che il 2021 è catalogabile come un anno caratterizzato da una fase La Niña del ciclo ENSO, notoriamente associata ad anomalie fresche.

 

Come ormai è tradizione, all’inizio del nuovo anno andiamo ad analizzare l’andamento dell’annata appena conclusasi dal punto di vista delle temperature medie globali, o meglio delle loro anomalie. Ricordiamo, in questa sede, che generalmente si preferisce visualizzare l’andamento delle anomalie di temperatura rispetto a un periodo prefissato, piuttosto che i valori assoluti delle temperature stesse, perché le anomalie risultano meno influenzate da altitudine e latitudine delle varie stazioni, e risultano così più facilmente mediabili tra loro.

Per analizzare i dati ci avvaliamo, oltre che del solito database NCEP della NOAA, da cui abbiamo estratto un rettangolo che comprende l’Italia, anche dei database GISST, HADCRU, JMA e Copernicus, in maniera da avere una visione più globale e non condizionata dal singolo database. Dal momento che non tutti i centri hanno già fornito i dati completi relativi al 2021, l’analisi per alcuni centri è stata limitata ai primi undici mesi del 2021 o è stato considerato il periodo tra dicembre 2020 e novembre 2021 (da valutazioni fatte negli anni scorsi, le differenze si sono rivelate dell’ordine di qualche centesimo di grado). Abbiamo inoltre deciso di riferire tutte le anomalie ancora al trentennio 1981-2010, usato ancora fino all’anno scorso, al fine di mantenere l’uniformità con i post degli anni passati.

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La comoda distrazione dell’energia nucleare

Negli ultimi mesi si è tornato a discutere in Italia di un possibile sviluppo dell’energia nucleare. Se ne era già parlato in seguito ad alcune dichiarazioni del Ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani in aprile, in settembre e in dicembre, ma è dopo il dibattito in sede europea sull’inclusione di questa fonte energetica nella “tassonomia green” che l’argomento è ritornato alla ribalta.

Senza poter certo affrontare tutti gli aspetti tecnologici, economici ed ambientali legati all’energia nucleare, è utile vedere alcuni punti fermi, alcuni dati di fatto su cui c’è una solida evidenza scientifica.

 

I tempi della transizione energetica

I tempi di una transizione energetica in linea con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi sono estremamente rapidi: consistono nel raggiungere “emissioni nette zero” intorno al 2050, come recentemente ribadito dalle conclusioni del G20 di Roma e della COP26 di Glasgow.

Per l’Unione Europea l’obiettivo “emissioni nette zero nel 2050” è già stato incardinato nella Legge europea sul clima, e riguarda tutti i gas climalteranti (neutralità climatica), affiancato da un obiettivo al 2030 di riduzione delle emissioni del 55% rispetto al 1990 (nel trentennio 1990-2020 le emissioni europee si sono ridotte di circa il 30%, quindi si dovranno ulteriormente ridurre di una quantità simile, ma in soli 10 anni).

Se si guardano gli scenari già pubblicati dalla Commissione europea, si nota come il settore della produzione di energia elettrica è quello in cui la decarbonizzazione è più rapida: già al 2040 è prevista la quasi completa eliminazione delle emissioni climalteranti. Continue Reading »

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