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Un bel libro con una Prefazione poco aggiornata

Fra i libri più belli pubblicati negli ultimi anni sui cambiamenti climatici va senza dubbio citato “Piccola lezione sul clima” di Kerry Emanuel, professore di Scienze dell’Atmosfera al MIT di Cambridge.
immagine copertina libro KerryIl libro è la traduzione di un saggio di rara chiarezza e sintesi “Phaeton’s Reins. The human hand in climate change “, pubblicato su Boston Review all’inizio del 2007 (disponibile anche sul web qui o qui).
Il testo di Kerry è seguito da una Postfazione di Judith Layzer e William Moomaw, docenti di politiche ambientali al MIT e alla Tuft University, che in poche pagine forniscono una egualmente agevole e precisa rappresentazione del recente dibattito sulle politiche climatiche nel 2008.

Nella versione italiana la Prefazione è curata dal Prof. Franco Prodi, ex-direttore dell’istituto di scienza dell’atmosfera e del clima del Consiglio Nazionale delle ricerche (ISAC-CNR), contiene a mio parere diversi errori, descritti in seguito, con l’auspicio che, se condivisi dal Prof. Prodi stesso, possano essere corretti nelle future edizioni (si spera numerose) del libro.

1) (pag. 11) I range delle “previsioni”
“Quanto carente sia la conoscenza del sistema clima è quindi dimostrato dall’ampia forbice degli scenari prospettati alla fine di questo secolo, per la temperatura dell’aria (da uno a otto gradi), per l’innalzamento del livello dei mari (da pochi centimetri a metri), per parlare solo dei parametri più discussi”.

E’ un argomento già citato da Prodi (ad esempio qui), ma le cose non stanno proprio così: l’ampiezza della forbice non è dovuta solo alla carenza nell’incertezza del sistema clima, ma all’incertezza su quali saranno le emissioni di gas serra. Se infatti si guarda la famosa figura del Quarto Rapporto IPCC sulla proiezione delle temperature, si nota come una larga parte della variazione delle temperature è dovuta ai diversi scenari emissivi, alle emissioni di gas serra che avverranno nei prossimi decenni. link grafici IPCCL’incertezza dovuta alla conoscenza del sistema clima è grande per ogni scenario, ma è molto inferiore (vedasi figura sopra): la forbice data dalla prima deviazione standard intorno alla media è circa un grado, l’intervallo più probabile (linee grigie sulla sinistra) varia da 2 gradi dello scenario B1ai 4 gradi dello scenario A2.

2) (Pag. 14) “I modelli sono nella loro infanzia”
È una frase usata spesso nel passato per descrivere lo stato dei modelli climatici. Se ne trova traccia in famosi articoli di taglio negazionista (ad esempio Robinson et al., 1998: “Predictions of global warming are based on computer climate modeling, a branch of science still in its infancy”) o comunque sullo stato dei modelli di parecchi anni or sono. La storia della modellistica climatica è ormai trentennale, sono coinvolti decine di centri di ricerca di tutto il mondo. I modelli hanno da anni incluso parametrizzazioni per gli aerosol e le nubi; in modo insoddisfacente, migliorabile, ma se ne parla da anni e si potrebbe almeno dire che oggi sono nella loro adolescenza. Le incertezze sono ancora tante e quindi c’è ancora tanto da fare per i modellisti; ma se il termine “infanzia” significa la fase iniziale e primordiale dello sviluppo, già a fine anni ’90 i modelli climatici vi erano usciti.

3) (Pag. 15) Le temperature nella piccola era glaciale e nel periodo caldo medioevale
“Se consideriamo l’ultimo millennio, variazioni di poco superiori (probabilmente da 1 a 1,3 °C) hanno prodotto la piccola era glaciale (dal 1400 al 1850) ed il pericolo di riscaldamento conosciuto come “Optimum medioevale” (1000-1300)…”
La frase non è molto chiara perché non chiarisce rispetto a quale periodo sarebbero state le temperature superiori di 1-1,3°C. Probabilmente ci si riferisce alle temperature di inizio secolo, rispetto alle quali nelle pagine prime (Pag. 13 e 14) si cita un aumento di 1,3 per l’Italia e di 0,7 °C per il l’intero pianeta. Le ricostruzioni più accreditate forniscono range molto più limitati nelle variazioni delle temperature della piccola era glaciale e del periodo caldo medioevale, variazioni che hanno riguardato per lo più l’emisfero nord, e mostrano come l’attuale riscaldamento sia del tutto anomalo se confrontato con quello dei precedenti 1300 anni. L’ultima sintesi dell’IPCC recita “Le temperature medie nell’emisfero Nord durante la seconda metà del XX secolo sono state molto probabilmente più alte di qualsiasi altro periodo di 50 anni negli ultimi 500 anni e probabilmente le più alte almeno negli ultimi 1300 anni”.

4) (Pag. 18) Le concentrazioni di CO2
“È noto, poiché lo si misura con precisione, che il valore dell’anidride carbonica, ora intorno a 360 parti per milione, è aumentato del 31% dal 1750 ad oggi”.
Le concentrazioni di CO2 attuali non sono intorno a 360 ppm, ma intorno a 380 ppm, come del resto scrive Kerry nello stesso libro a pag. 42 e a pag. 77. Non si tratta di un refuso perché l’aumento del 31% porta proprio a 360 ppm; per arrivare a 380 ppm l’aumento è almeno del 35 %. Tralasciando il fatto che Kerry ha scritto il saggio nel 2006, e nel 2008 le concentrazioni di CO2 erano già di circa 384-385 ppm.
La concentrazione di 360 ppm di CO2 nell’atmosfera si è avuta intorno al 1995.

5) (Pag. 23) “Il protocollo di Kyoto, ora messo di nuovo in discussione…”
Come in un intervento dell’Ottobre 2008 il prof. Prodi descrive scenari di messa in discussione del Protocollo di Kyoto, oggi di fatto superati dal fatto che il Protocollo è entrato in vigore da quattro anni e lascerà fra pochi anni il posto ad un nuovo accordo internazionale, approvato probabilmente già tra pochi mesi nella COP15 a Copenhagen.

6) (Pag. 23-24) La somma incerta
Verso la fine della prefazione le incertezze presenti nella scienza del clima sono ancora sottolineate, laddove si legge di “…grave incertezza di scenario che caratterizza lo stato attuale della conoscenza”,  “…non si può ancora parlare di previsione climatica affidabile”, oppure “…non stupisce che vi siano scienziati che sostengono questo principio di precauzione e scienziati che vi si oppongono sulla base della considerazione che la scarsa conoscenza di alcuni addendi rende la somma incerta”.

Nella prefazione si trova anche in altri punti (es. pag. 11) una confusione fra previsione e proiezione (ossia fra previsioni di primo e di secondo tipo, si veda il precedente post). Come ben scrive anche Kerry (pag. 53-54) i modelli predittivi non riescono a garantire  affidabilità oltre le due settimane; ma altra cosa sono le proiezioni sul lungo periodo (es. 50 o 100 anni) del valore medio di alcuni parametri climatici.
Tali cautele sembrano eccessive se confrontate a quanto scrive Kerry nel successivo saggio, ad esempio “e dato che i rischi di conseguenze pesantemente sfavorevoli sono molto alti e che possiamo prevenirli, la prudenza ci dovrebbe indurre ad agire immediatamente”.

In conclusione, pur se l’analisi di Franco Prodi appare in alcuni aspetti poco aggiornata, si concorda pienamente con le prime e le ultime tre righe della Prefazione: quelle che la aprono (pag. 9) “Non capita spesso di imbattersi in uno scritto che si condivide a tal punto da desiderare di averlo scritto noi stessi”, e quelle che la chiudono (pag. 25), invitando alla lettura del libro di Kerry Emanuel, “alla sua prosa scientificamente impeccabile, ma anche piana ed accattivante”. Cosa non facile quando si parla di clima.

Testo di Stefano Caserini, con il contributo di Aldo Pozzoli

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L’inevitabilità delle azioni di adattamento

Con questo post inizia una nuova sezione di Climalteranti.it, che si occupa delle recensioni di libri sui cambiamenti climatici.

Mettiamoci l’anima in pace: alcuni cambiamenti climatici sono inevitabili. Come mostrato da alcuni importanti lavori scientifici, alcuni cambiamenti climatici futuri sono già “decisi” dagli attuali livelli di CO2 nell’atmosfera, si manifesteranno e dureranno per secoli. Pur se è ancora possibile limitare la dimensione dei cambiamenti climatici futuri, per quante politiche e azioni saremo in grado di mettere in pratica per ridurre le emissioni, queste non basteranno a tenere i cambiamenti climatici sotto una certa soglia. In questo panorama appare necessario, oltre che utile, sviluppare strategie di adattamento al clima che avremo davanti nei prossimi decenni. In assenza di simili strategie, ci troveremo a fronteggiare una perdita di Pil compresa tra 0,12 e lo 0,20%, pari a una riduzione del reddito nazionale di circa 20/30 miliardi di euro, l’equivalente di un’importante manovra finanziaria.
Questi numeri si leggono nel libro Cambiamenti climatici e strategie di adattamento in Italia. Una valutazione economica  (Il Mulino editore, 2009), in cui Carlo Carraro raccoglie gli esiti di un progetto di ricerca a cui hanno collaborato l’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente e del Territorio (attuale ISPRA), il Centro Euromediterraneo per i Cambiamenti Climatici e la Fondazione Eni Enrico Mattei.

I numeri appena citati non annunciano catastrofi, non ci parlano di danni enormemente ingenti che il sistema economico italiano potrebbe trovarsi ad affrontare; il libro mette l’accento sull’esigenza di intraprendere politiche che richiedono strategie di lungo periodo. E lo fa a partire dalla metodologia utilizzata. La ricerca prende in considerazione i danni attesi dai cambiamenti climatici dopo che l’intero sistema economico avrà compiuto un adattamento autonomo, avrà cioè reagito agli effetti negativi dando luogo a un nuovo equilibrio. È a questo punto, che la ricerca calcola il danno atteso dai cambiamenti climatici.
Un altro elemento di originalità del lavoro di Carraro, sta nell’aver considerato il sistema economico italiano all’interno del contesto mondiale; in altre parole, lo studio analizza le reazioni che gli impatti dei cambiamenti climatici potranno indurre nei flussi di commercio e di capitali a livello internazionale tra l’Italia e gli altri Paesi e poi, anche qui, si procede ad analizzare i nuovi equilibri realizzati.
In sintesi, quindi, il libro è il frutto di un metodo di ricerca e di analisi che dà forma ai risultati attraverso un percorso molto delineato. Il primo passo consiste nell’analisi degli impatti fisici che i cambiamenti climatici avranno sul nostro territorio; il secondo passo riguarda la valutazione economica di questi impatti; infine, attraverso un modello dell’economia mondiale, gli impatti si traducono in cambiamenti che richiedono aggiustamenti, riadattamenti del sistema che vengono considerati fino a calcolare il danno complessivo per l’economia italiana.
Ecco qualche numero. In Italia, 16.500 km quadrati di terreno sono considerati vulnerabili al rischio di desertificazione, il che vuol dire che per questi terreni è prevista una diminuzione di resa agricola che, in completa assenza di politiche e strategie di adattamento, potrebbe essere calcolata in una cifra che oscilla tra gli 11,5 (nel caso di terreni adibiti a pascolo) e i 412,5 milioni di dollari l’anno (nel caso di terreni irrigati). Un altro esempio:  l’innalzamento della temperatura potrebbe costare nel 2030 una diminuzione del turismo straniero sulle nostre Alpi del 21,2%, mentre nel 2080 i danni del climate change sulle aree costiere della penisola sarebbero pari a 108 milioni di dollari in assenza di politiche e strategie di adattamento, costo che invece scenderebbe a circa 17 milioni se si adottassero azioni di protezioni delle coste. Dati significativi si possono trarre anche dall’osservazione di eventi passati, come ad esempio l’ondata di calore del 2003: se in quell’occasione avessimo adottato misure di adattamento, si sarebbero potuti risparmiare 134 milioni di euro.
Niente catastrofi, si diceva, anche perché il sistema economico ridistribuisce costi e benefici, danni e vantaggi: l’impatto dei cambiamenti climatici è di natura essenzialmente distributiva. E così, ad esempio, a fronte di una diminuzione di turismo internazionale possiamo attenderci un incremento di turismo interno e alcune aree saranno più esposte ai rischi della desertificazione, altre ne potranno beneficiare con la possibilità di coltivare nuovi prodotti.
Il libro segnala inoltre la difficoltà nello stimare costi “non di mercato”, ovvero quelli che vanno a insistere su realtà non soggette a scambio, e quindi senza prezzo (ad esempio la biodiversità e il patrimonio artistico e architettonico), nonché le incertezze nel ridurre gli impatti ad una dimensione unica, quella monetaria.
Ma la cosa certa è che se non saremo pronti ai cambiamenti, se non sapremo adattare il nostro sistema economico ad un clima che sicuramente sarà diverso, il prezzo sarà sicuramente più alto. E questo nel libro di Carraro è scritto a chiare lettere. Qualcuno, all’estero, ci sta già pensando e sta progettando strategie di adattamento di lungo periodo. Quando i cambiamenti climatici mostreranno in maniera più evidente i loro impatti, chi si sarà mosso prima si farà trovare pronto. E in Italia?

Testo di Mauro Buonocore, Centro Euromediterraneo per i Cambiamenti Climatici

Carlo Carraro
Cambiamenti climatici e strategie di adattamento in Italia
Una valutazione economica
Il Mulino, 2009
pp. 528, € 39,00

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