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26 Aprile 2025

Il clima come bene comune

Categorie: Religione  -  Postato da: 

Nel dibattito sul pontificato di Papa Francesco, recentemente scomparso, poco spazio ha ricevuto l’attivismo del Pontefice sulla questione climatica, che si è manifestato in numerosi atti. Innanzitutto la lettera enciclica Laudato Si’- sulla cura della casa comune pubblicata nel 2015, cui ha fatto seguito nel 2023 l’esortazione apostolica Laudate Deum – a tutte le persone di buona volontà sulla crisi climatica. Inoltre, col pontificato di Bergoglio, la Santa Sede è diventata parte dell’UNFCCC, ha ratificato l’Accordo di Parigi (presentando il primo Biennal Transparency Report), e ha spinto ordini religiosi e secolari (Francescani per primi), istituzioni caritatevoli tradizionali (tipo Caritas), e le Ong di base ad attivarsi sul contrasto al riscaldamento globale antropogenico.

Manifestazione pro LaudatoSìSicuramente l’enciclica Laudato ha avuto risonanza mondiale, ha richiamato l’attenzione pubblica sulla crisi climatica, e ha avuto molta importanza nel mondo cattolico, portando alla nascita di numerose associazioni e movimenti che si sono richiamati a questa enciclica, come “Laudato Si’ – Un’alleanza per il clima, la Terra e la giustizia sociale”, il Laudato Si’ Movement e il Laudato Si’ Generation in Australia.

 

Con la Laudato Si’ la chiesa cattolica ha riconosciuto interamente i risultati della comunità scientifica e la rilevanza della questione climatica, spazzando via le correnti negazioniste sul clima presenti anche nella chiesa cattolica (si veda il capitolo “Clima Teo Con” di A qualcuno piace caldo”).  

Come mostrato dai passaggi in seguito riportati, l’Enciclica è entrata nel dettaglio della scienza del clima, del ciclo del carbonio, degli impatti attesi e delle conseguenze sociali degli stessi, collegando la crisi climatica alla giustizia sociale e alla solidarietà intergenerazionale.

 

  1. Il clima è un bene comune, di tutti e per tutti. Esso, a livello globale, è un sistema complesso in relazione con molte condizioni essenziali per la vita umana. Esiste un consenso scientifico molto consistente che indica che siamo in presenza di un preoccupante riscaldamento del sistema climatico. Negli ultimi decenni, tale riscaldamento è stato accompagnato dal costante innalzamento del livello del mare, e inoltre è difficile non metterlo in relazione con l’aumento degli eventi meteorologici estremi, a prescindere dal fatto che non si possa attribuire una causa scientificamente determinabile ad ogni fenomeno particolare. L’umanità è chiamata a prendere coscienza della necessità di cambiamenti di stili di vita, di produzione e di consumo, per combattere questo riscaldamento o, almeno, le cause umane che lo producono o lo accentuano. È vero che ci sono altri fattori (quali il vulcanismo, le variazioni dell’orbita e dell’asse terrestre, il ciclo solare), ma numerosi studi scientifici indicano che la maggior parte del riscaldamento globale degli ultimi decenni è dovuta alla grande concentrazione di gas serra (biossido di carbonio, metano, ossido di azoto ed altri) emessi soprattutto a causa dell’attività umana. La loro concentrazione nell’atmosfera ostacola la dispersione del calore che la luce del sole produce sulla superficie della terra. Ciò viene potenziato specialmente dal modello di sviluppo basato sull’uso intensivo di combustibili fossili, che sta al centro del sistema energetico mondiale. Ha inciso anche l’aumento della pratica del cambiamento d’uso del suolo, principalmente la deforestazione per finalità agricola.
  2. A sua volta, il riscaldamento ha effetti sul ciclo del carbonio. Crea un circolo vizioso che aggrava ancora di più la situazione e che inciderà sulla disponibilità di risorse essenziali come l’acqua potabile, l’energia e la produzione agricola delle zone più calde, e provocherà l’estinzione di parte della biodiversità del pianeta. Lo scioglimento dei ghiacci polari e di quelli d’alta quota minaccia la fuoriuscita ad alto rischio di gas metano, e la decomposizione della materia organica congelata potrebbe accentuare ancora di più l’emissione di biossido di carbonio. A sua volta, la perdita di foreste tropicali peggiora le cose, giacché esse aiutano a mitigare il cambiamento climatico. L’inquinamento prodotto dal biossido di carbonio aumenta l’acidità degli oceani e compromette la catena alimentare marina. Laudato si' - Papa Francesco Se la tendenza attuale continua, questo secolo potrebbe essere testimone di cambiamenti climatici inauditi e di una distruzione senza precedenti degli ecosistemi, con gravi conseguenze per tutti noi. L’innalzamento del livello del mare, ad esempio, può creare situazioni di estrema gravità se si tiene conto che un quarto della popolazione mondiale vive in riva al mare o molto vicino ad esso, e la maggior parte delle megalopoli sono situate in zone costiere.
  3. I cambiamenti climatici sono un problema globale con gravi implicazioni ambientali, sociali, economiche, distributive e politiche, e costituiscono una delle principali sfide attuali per l’umanità. Gli impatti più pesanti probabilmente ricadranno nei prossimi decenni sui Paesi in via di sviluppo. Molti poveri vivono in luoghi particolarmente colpiti da fenomeni connessi al riscaldamento, e i loro mezzi di sostentamento dipendono fortemente dalle riserve naturali e dai cosiddetti servizi dell’ecosistema, come l’agricoltura, la pesca e le risorse forestali. Non hanno altre disponibilità economiche e altre risorse che permettano loro di adattarsi agli impatti climatici o di far fronte a situazioni catastrofiche, e hanno poco accesso a servizi sociali e di tutela. Per esempio, i cambiamenti climatici danno origine a migrazioni di animali e vegetali che non sempre possono adattarsi, e questo a sua volta intacca le risorse produttive dei più poveri, i quali pure si vedono obbligati a migrare con grande incertezza sul futuro della loro vita e dei loro figli. È tragico l’aumento dei migranti che fuggono la miseria aggravata dal degrado ambientale, i quali non sono riconosciuti come rifugiati nelle convenzioni internazionali e portano il peso della propria vita abbandonata senza alcuna tutela normativa. Purtroppo c’è una generale indifferenza di fronte a queste tragedie, che accadono tuttora in diverse parti del mondo. La mancanza di reazioni di fronte a questi drammi dei nostri fratelli e sorelle è un segno della perdita di quel senso di responsabilità per i nostri simili su cui si fonda ogni società civile.
  4. Molti di coloro che detengono più risorse e potere economico o politico sembrano concentrarsi soprattutto nel mascherare i problemi o nasconderne i sintomi, cercando solo di ridurre alcuni impatti negativi di cambiamenti climatici. Ma molti sintomi indicano che questi effetti potranno essere sempre peggiori se continuiamo con gli attuali modelli di produzione e di consumo. Perciò è diventato urgente e impellente lo sviluppo di politiche affinché nei prossimi anni l’emissione di biossido di carbonio e di altri gas altamente inquinanti si riduca drasticamente, ad esempio, sostituendo i combustibili fossili e sviluppando fonti di energia rinnovabile. Nel mondo c’è un livello esiguo di accesso alle energie pulite e rinnovabili. C’è ancora bisogno di sviluppare tecnologie adeguate di accumulazione. Tuttavia, in alcuni Paesi ci sono stati progressi che cominciano ad essere significativi, benché siano lontani dal raggiungere una proporzione importante. Ci sono stati anche alcuni investimenti in modalità di produzione e di trasporto che consumano meno energia e richiedono minore quantità di materie prime, come pure in modalità di costruzione o ristrutturazione di edifici che ne migliorino l’efficienza energetica. Ma queste buone pratiche sono lontane dal diventare generali.

 

Ma va detto che non sono mancate le critiche all’enciclica Laudato Si’. Oltre a proporre una visione sospettosa della tecnologia, in cui la denuncia del “paradigma tecnocratico dominante” è sembrata coinvolgere in generale il progresso tecnologico, la critica principale è l’aver impostato la questione ambientale e climatica come legata ad una crisi morale e spirituale, riducendo la complessità strutturale tecnica e politica del cambiamento climatico a una questione di volontà personale o collettiva.

Questo limite dell’enciclica è stato per esempio ben riassunto nell’articolo “Sociological limitations of the climate change encyclical” da Erik Olin Wright (University of Wisconsin-Madison), in un articolo pubblicato su Nature cimate Change di cui proponiamo alcuni passaggi.

In primo luogo, sebbene l’enciclica riconosca certamente i modi in cui mercati, pratiche commerciali e politiche statali hanno contribuito al degrado ambientale, questi vengono trattati principalmente come espressione dell’incessante azione della “ragione strumentale”, e delle sue forme culturali connesse. Queste forme culturali sono le cause sociali sottostanti i processi che danneggiano l’ambiente e perpetuano l’ingiustizia sociale. Una visione alternativa tratterebbe la struttura capitalista dell’economia e la struttura debolmente democratica dello Stato non semplicemente come espressione di un paradigma culturale sottostante, ma come processi causali di per sé, relativamente autonomi.

Il fatto che le imprese capitaliste perseguano profitti a breve termine ignorando le esternalità ambientali non è semplicemente dovuto a una mentalità particolare dei dirigenti di tali imprese; è dovuto alle dinamiche della concorrenza e alla natura dei rapporti di potere all’interno di un’economia capitalista. Analogamente, l’assenza di azioni statali efficaci è dovuta principalmente al profondo intreccio tra potere economico e potere statale. La mentalità di capitalisti, manager e funzionari politici è in larga misura una conseguenza della struttura e del funzionamento di un’economia e di un sistema politico capitalisti, piuttosto che una spiegazione autonoma di tale funzionamento. L’implicazione è che, affinché le aspirazioni dell’enciclica si realizzino, il compito fondamentale è trasformare questi sistemi.

In secondo luogo, una volta riconosciuto che per risolvere la crisi ambientale è necessario trasformare le strutture di potere all’interno dell’economia e dello Stato capitalisti, diventa improbabile che ciò possa essere realizzato attraverso una rivoluzione culturale della mentalità delle élite. I potenti interessi che si oppongono a un autentico ripristino dell’equilibrio ecologico e a una seria lotta contro la povertà globale devono essere sconfitti attraverso il confronto politico, piuttosto che semplicemente convertiti a una mentalità più compassionevole ed eticamente fondata. Anche se alcuni individui ricchi e potenti rifiutano la cultura dominante, la speranza di una tale conversione su larga scala all’interno dell’élite non è una strategia credibile. La mobilitazione politica deve essere parte della strategia, e come parte di tale mobilitazione ci si può aspettare che si verifichino conflitti piuttosto aspri, con vincitori e vinti. A parte qualche fugace riferimento alla pressione dei cittadini (§179, 206) e agli sforzi del movimento ecologista (§166), l’enciclica tace sulla necessità di un confronto basato sulla mobilitazione delle masse.

Infine, se gli obiettivi morali dell’enciclica richiedono di sfidare le strutture di potere del capitalismo e dello Stato, allora devono essere sviluppate forme efficaci di capacità collettiva per affrontare tali sfide. L’enciclica non dice nulla su questo tema. La teoria implicita nell’enciclica è che il cambiamento culturale, se diffuso, si traduce più o meno automaticamente nella necessaria azione collettiva per il cambiamento istituzionale. L’enciclica afferma che “è necessario un modo diverso di guardare le cose … che insieme generino resistenza all’assalto del paradigma tecnocratico” (§107). Non vi è, tuttavia, alcuna discussione sui veicoli politici necessari per tradurre i nuovi modi di pensare in un’azione collettiva efficace. Non viene presentata alcuna teoria sulla capacità di lottare, solo il desiderio di alternative.

 Questa è una lacuna classica nelle analisi sociali: una descrizione dei torti è considerata sufficiente a spiegare il conflitto. In tali resoconti, il problema di aggregare i torti dei singoli individui in una forma di lotta collettivamente efficace scompare. Ma, come sappiamo da innumerevoli studi, i torti spesso non riescono a generare azione per molte ragioni. In particolare, nel mondo odierno, i cambiamenti nell’opinione pubblica non si traducono agevolmente in politiche pubbliche a causa della mancata risoluzione dei problemi organizzativi dell’azione politica, anche in sistemi politici relativamente democratici. Ciò di cui abbiamo bisogno è una teoria dell’organizzazione collettiva – movimenti sociali, partiti politici, sindacati – e di come questi mobilitino (o non mobilitino) le persone per l’azione collettiva.

La sfida della nostra epoca include i temi articolati nell’enciclica: la trasformazione culturale per aumentare la consapevolezza delle questioni etiche nei nostri rapporti con la natura e la società, gli sforzi per indebolire il potere del consumismo e dell’individualismo dilagante per definire gli orizzonti dell’azione, e così via. Ma se vogliamo realizzare efficacemente i valori emancipatori di giustizia sociale, democrazia, comunità e sostenibilità, dobbiamo anche sfidare le strutture dominanti di potere e di privilegio della società capitalista. Per riuscirci, abbiamo bisogno di qualcosa di più della semplice conversione morale.

 

In conclusione, un’enciclica non è un trattato e non può certamente essere risolutiva dell’enorme problema del riscaldamento globale antropogenico. Tuttavia, è significativo che un’autorità religiosa di livello globale abbia finalmente compreso e messo al centro della sua attività la questione climatica, pur con tutti i limiti che derivano dalla preparazione e dall’impostazione ideologica e religiosa. E c’è da chiedersi se il successore che verrà manterrà la stessa spinta.

 

Testo di Simone Casadei, con contributi di Stefano Caserini, Marina Vitullo, Vittorio Marletto e Sylvie Coyaud.


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19 Aprile 2025

L’Italia si sta allontanando dai suoi obiettivi sul clima

Categorie: Emissioni  -  Postato da: 

I dati dell’inventario nazionale delle emissioni di gas serra, da poco pubblicati da ISPRA, mostrano come per il terzo anno consecutivo l’Italia registri emissioni maggiori di quelle previste dagli impegni assunti in ambito europeo. Pur se anche nel 2023 le emissioni italiane di gas serra sono diminuite, la riduzione è ben al di sotto di quanto previsto dagli obiettivi approvati dall’Italia. Aumenta dunque la quantità di emissioni che sarà da recuperare entro il 2030, rendendo il raggiungimento dell’obiettivo sempre più difficile.

 

 

L’inventario delle emissioni dei gas serra

Sono stati pubblicati i dati delle emissioni di gas serra italiane per l’anno 2023, come calcolati dall’Inventario Nazionale delle emissioni in atmosfera redatto da ISPRA secondo metodologie concordate a livello internazionale. I dati dell’inventario permettono di verificare il rispetto degli impegni che l’Italia ha assunto nell’ambito della Convenzione quadro sui cambiamenti climatici (UNFCCC) e dell’Accordo di Parigi, oltre che in altri accordi internazionali (ad esempio la Convenzione sull’inquinamento atmosferico transfrontaliero, UNECE-CLRTAP).

Tutti i dati, con tutti i dettagli, sono disponibili nelle 59 tabelle (per ogni anno dal 1990 al 2023!) del Common Reporting Table (CRT), mentre nel documento National Inventory Document (NID) sono illustrati gli aspetti metodologici della stima.Grafico produzione di energia ed Emissioni di CO2

 

Sul sito ISPRA è altresì disponibile Continua a leggere…


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6 Aprile 2025

Come comunicare la crisi climatica ai disimpegnati

Categorie: Comunicazione  -  Postato da: 

Una guida realizzata nell’ambito del progetto europeo NoPlanetB fornisce utili suggerimenti su come sensibilizzare sul cambiamento chi oggi lo considera un tema secondario.

 

Come comunicare la crisi climatica ai disimpegnatiDiversi segnali suggeriscono come negli ultimi anni la scienza in generale sia stata messa sempre più in discussione, sia da parte dell’opinione pubblica che da alcuni settori politici e mediatici, sulla scia di una generale messa in discussione di alcuni valori ai quali eravamo abituati, fra cui inclusione, democrazia, un ruolo super partes delle istituzioni pubbliche. Anche la scienza del clima è talvolta guardata con sospetto, specialmente tra coloro che attribuiscono il dibattito sulla crisi climatica a presunte strategie di controllo o manipolazione da parte di poteri e gruppi di interesse, e si richiamano alle “libertà” in modo astratto assoluto: liberi anche dalla scienza.

Accanto a questo atteggiamento “ostile” alla scienza, emerge una resistenza alle politiche di transizione ecologica che non si basa esclusivamente su un rifiuto dei dati scientifici, bensì su strategie retoriche che enfatizzano presunte incongruenze, sollevano dubbi metodologici o deviano l’attenzione su altre questioni; buttando, come si usa dire, la palla in tribuna. Questa forma di “sabotaggio discorsivo”, già definito “inattivismo”, non mira necessariamente a dimostrare l’inesistenza del problema climatico, ma a rallentarne il suo riconoscimento e, di conseguenza, l’azione politica.

La proposta NOPLANETB

Da queste riflessioni è nata dai membri della rete NOPLANETB attiva nelle attività di sensibilizzazione sui rischi connessi alla crisi ecologica e climatica in atto, l’idea che parlare (divulgare) e promuovere pratiche sostenibili non sia solo una questione di dimostrare di avere ragione, quanto di focalizzare meglio il pubblico a cui rivolgersi, e di interrogarsi in profondità sul come “usare” i dati, le evidenze, la letteratura sul tema, in parole povere Continua a leggere…


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25 Marzo 2025

100% di elettricità rinnovabile è possibile

Categorie: Energia, Mitigazione  -  Postato da: 

Un rapporto mostra in 40 punti come la decarbonizzazione del sistema elettrico solo con energia rinnovabile non solo sia possibile, ma può essere realizzata in diversi modi, caratterizzati da alcuni elementi comuni.

 

Immaginre sulla Neutralità climatica 100%È stato recentemente presentato Il Rapporto “Elementi per un’Italia 100% rinnovabile”, promosso dalla Rete 100% Rinnovabili, preparato e sottoscritto da 25 docenti e ricercatori italiani, che mostra come sia possibile e conveniente decarbonizzare la produzione di elettricità utilizzando unicamente fonti energetiche rinnovabili.

Il documento discute le leve per la decarbonizzazione del sistema energetico, sia sul lato della domanda che sul lato dell’offerta, senza però descrivere un unico scenario di decarbonizzazione. L’obiettivo, invece, è mappare le connessioni tra quaranta “punti”, intesi come elementi fondamentali per la decarbonizzazione nel senso più ampio, non solo tecnologico ma anche economico e culturale.

I 40 punti sono svolti ricercando la massima sintesi divulgativa, fornendo un’ampia bibliografia a supporto delle argomentazioni e come introduzione allo stato dell’arte scientifico sugli scenari 100% rinnovabili. L’enfasi è sul plurale, “scenari”, perché dalla letteratura scientifica emerge come più d’uno scenario sia plausibile, al variare delle preferenze socioculturali e traiettorie tecnologiche.

 

Sono presentati in seguito i principali punti del rapporto, alcune delle connessioni fra di essi e dei riferimenti bibliografici.

La decarbonizzazione richiede un cambiamento radicale nella struttura dei vettori energetici e degli usi finali. L’elettricità deve diventare il vettore prevalente, eliminando la dipendenza dai combustibili fossili e integrando i settori elettrico, termico e dei trasporti. Le pompe di calore, il teleriscaldamento e le biomasse dovranno contribuire agli usi termici, mentre il trasporto sarà elettrificato con veicoli a batteria e, dove necessario e dove possibile, con bio/elettro-combustibili.

Dal punto d vista tecnologico, energia eolica e solare fotovoltaica rappresentano le strategie più convenienti per una decarbonizzazione veloce. La loro complementarità stagionale permette di stabilizzare l’offerta senza necessità di nucleare. L’Italia ha un potenziale eolico sufficiente per equilibrare la stagionalità del solare, con turbine adatte ai regimi di vento medi. Questi fattori rendono l’eolico e il solare le fonti più efficaci per affrontare la crisi climatica diminuendo i costi energetici nazionali. Continua a leggere…


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11 Marzo 2025

Il manuale di psicologia climatica: una guida per affrontare l’impatto psicologico della crisi climatica ed ecologica

Categorie: Psicologia  -  Postato da: 

Copertina di "Manuale di psicologia"Negli ultimi anni, la crisi climatica ed ecologica è passata da questione scientifica e politica ad una vera e propria emergenza di salute pubblica. L’aumento degli eventi estremi e delle loro conseguenze disastrose ha effetti su scala globale, con gravi ripercussioni sulla salute fisica (Filippini et al., 2024) e mentale (IPCC, 2022; Charlson et al., 2021: Cianconi et al. 2023).

 

Il Manuale

Oltre all’aumento di disturbi psichiatrici come il disturbo post-traumatico da stress e la depressione maggiore dopo eventi climatici estremi, si osservano sempre più spesso intense reazioni psicologiche anche in chi non li ha vissuti direttamente, tra cui ansia, senso di lutto e impotenza. Comprenderle è essenziale per affrontare le sfide ambientali e sociali attuali. In questo contesto, il Manuale di Psicologia Climatica della Climate Psychology Alliance (CPA) rappresenta una risorsa chiave. La sua recente traduzione italiana, curata dalle psicologhe-psicoterapeute Lucia Tecuta, Camilla Gamba e Paola Sabatini, ne amplia la fruibilità, offrendo a professionisti, ricercatori e attivisti italiani uno strumento fondamentale per approfondire queste tematiche.

Il Manuale di Psicologia Climatica è un lavoro collettivo redatto da un gruppo internazionale di esperti e clinici del campo della psicologia climatica, una disciplina emergente che si occupa di studiare il modo in cui gli esseri umani percepiscono, elaborano e rispondono alla crisi climatica. Questo lavoro offre un materiale divulgativo e vuole essere una guida importante per chi desidera comprendere non solo le risposte psicologiche alla crisi in atto, ma anche le barriere psicologiche che ostacolano l’azione climatica. Inoltre, rappresenta una guida preziosa per chi è impegnato nell’offrire supporto psicologico alle persone che vivono crescente ansia e preoccupazione per il futuro del pianeta. Il contributo della CPA nel rendere disponibile questo materiale dimostra la sempre maggiore consapevolezza della necessità di un approccio psicologico alla crisi ambientale, un aspetto che fino a poco tempo fa era spesso trascurato nei dibattiti pubblici. Continua a leggere…


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28 Febbraio 2025

Scenari climatici tra decarbonizzazione spinta e punti di non ritorno

Categorie: Convegni  -  Postato da: 

Lo scorso 2 dicembre 2024 si è svolto presso il Politecnico di Milano l’evento “Scenari climatici tra decarbonizzazione spinta e punti di non ritorno”. L’evento è stato organizzato in collaborazione con climalteranti.it, dal cui comitato scientifico provengono numerosi dei relatori intervenuti.

Nel seguito è riportata una sintesi di alcuni interventi.

La registrazione dell’evento è disponibile qui, mentre le slide presentate dai relatori durante la conferenza sono scaricabili qui.

 

Segnali di ottimismo in tempi bui

L’intervento iniziale di Mario Grosso ha condotto una rassegna di “buone notizie” raccolte negli  ultimi mesi, particolarmente utili in questi tempi di rallentamento della spinta mondiale ad agire contro il cambiamento climatico. Ecco un breve elenco: la chiusura dell’ultima centrale a carbone nel Regno Unito, avvenuta a settembre; la prospettiva di una fuoriuscita anche da parte della Germania entro il 2030; la continua rivisitazione al rialzo delle stime di installazione di nuova potenza fotovoltaica nel mondo nel 2024, ormai proiettate verso i 600 GW; la diminuzione di oltre il 90% dei costi delle batterie di accumulo osservato dal 2010 al 2023; la prospettiva di una produzione globale di elettricità da energie rinnovabili che al 2030 si avvicinerà al 50%, con l’eolico e il solare fotovoltaico che insieme rappresenteranno il 30%, il tasso di occupazione nel settore delle energie pulite che nel 2023 ha superato quello dei combustibili fossili.

Insomma, segnali di Continua a leggere…


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8 Gennaio 2025

Il clamoroso e preoccupante record delle temperature medie globali nel 2024

Categorie: Accordo di Parigi, Acidificazione, Record, Ricordi, Statistiche, Temperature, Tipping point  -  Postato da: 

Le consuete analisi di inizio anno sui dati della NOAA/NCEP e, per confronto, su quelle relative ad altri tre database climatici, concordano sul fatto che, per il secondo anno consecutivo (ma come anche successo nel 2019 e nel 2020), l’anno appena trascorso è risultato il più caldo da quando si misurano le temperature. L’aumento di temperatura di +1,54 °C rispetto al periodo preindustriale è un dato molto preoccupante, ma ancora non implica il superamento del limite previsto dell’accordo di Parigi. Anche in Italia l’anomalia registrata è stata record, pari a quella del 2022, pari a +2,24°.

 

Eccoci giunti al consueto appuntamento di inizio anno, in cui si osservano gli andamenti relativi all’anno appena trascorso in termini di temperature medie globali. In realtà, guardando i post analoghi degli ultimi anni (2023, 2022, 2021, 2020, 2019, 2018, 2017, 2016, …), si vede come si potrebbero utilizzare molti dei commenti già fatti, cambiando (in aumento) soltanto i valori delle anomalie annuali. La nuova normalità della climatologia recente è questo susseguirsi di record, quello del 2024 è il terzo nell’ultimo decennio.

Ma veniamo al dunque. Nell’attesa dei comunicati ufficiali dei vari centri climatici, attesi per il 10 gennaio, uso come riferimento abituale le anomalie di temperatura estratte dal database NOAA/NCEP della NOAA, che fornisce i dati su punti griglia equispaziati di 2,5° in longitudine e latitudine, paragonandole con i valori di alcuni database storici (GISS, HadCRU, ERA5), a oggi ancora incompleti, in cui ho considerato gli ultimi dodici mesi disponibili. Per quanto riguarda i dati NOAA, oltre all’anomalia su tutto il globo terrestre, calcolerò anche – come d’abitudine – la media relativa ad un rettangolo che comprende l’Italia e i mari prospicienti.

I valori in tutte le tabelle sono le anomalie rispetto al periodo storico 1850-1900 (noto come periodo preindustriale), mentre le mappe mostrano le anomalie rispetto al trentennio più recente (1991-2020), semplicemente perché il database NOAA/NCEP non arriva indietro nel tempo fino al 1800. Nella tabella 1 sono riportati sono i principali risultati a scala mondiale relativi all’ultimo decennio (i valori degli anni precedenti possono essere reperiti sui post degli anni precedenti).

Tabella 1 – Anomalie di temperatura media globale negli anni 2015-2024 secondo NOAA/NCEP e altri quattro centri climatici. I valori sono espressi in °C, e sono riferiti al periodo preindustriale (anni prima del 1901), ovvero: per HadCRU, il periodo 1880-1900; per GISS, il periodo 1850-1900). Per i database NOAA/NCEP, ERA5 e JMA, che non si estendono così tanto a ritroso nel tempo, l’anomalia preindustriale è stata ricalcolata usando la differenza climatica dei dati GISS. Infine, il valore del 2024 per HadCRU, GISS, ERA5 e JMA è stato calcolato sul periodo dicembre 2023–novembre 2024. L’ultima colonna riporta il valore medio sui quattro database.

 

Come già accaduto l’anno scorso, il 2024 risulta l’anno più caldo secondo tutti i database, con distacco rispetto al 2023 che già era fortemente in rialzo rispetto agli anni precedenti. Continua a leggere…


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30 Dicembre 2024

L’auto termica green di Francesco Giavazzi non esiste

Categorie: Auto elettrica, Trasporti  -  Postato da: 

Fra gli autori delle panzane che inquinano il dibattito sulla transizione energetica, si è aggiunto lo storico editorialista del Corriere della Sera Francesco Giavazzi, che in un editoriale del 28 dicembre 2024 ha sostenuto una tesi facilmente confutabile, la presunta esistenza di auto a combustione interna in grado di emettere poche decine di grammi di CO2 per km, ossia l’80-90% in meno di quelle oggi circolanti.

Il contesto è un articolo intitolato “Le scelte (utili) sui conti” in cui lo storico proponente dei programmi di austerity economica ha sostenuto la necessità di aumentare le spese militari a “un po’ di più” del 2% del PIL, emettendo “debito europeo comune, come si è fatto ai tempi del Covid”, per compensare “i benefici che abbiamo ricevuto in passato” con l’appartenenza alla Nato e per evitare i rimproveri di Donal Trump.

Nella parte finale Giavazzi affronta un problema molto presente nel dibattito pubblico, quello della transizione del settore automobilistico. Dopo aver spiegato che la sfida sarebbe legata al fatto che tale settore rischierebbe di non avere il tempo per adeguarsi ai ritmi imposti dal Green Deal, Giavazzi ribadisce in modo netto che “all’obiettivo Ue di azzerare entro tempi certi le emissioni di CO2, non si deve rinunciare”.

Giavazzi rilancia quindi una strategia sostenuta dall’attuale governo, quella della neutralità tecnologica, spiegandola con una domanda al lettore: “…che automobile è meglio produrre? Un’auto a combustione interna moderna, che emette poche decine di grammi di CO2 per chilometro. Oppure un’auto completamente elettrica che però usa una batteria la cui costruzione, a parità di prestazioni, emette dieci volte tanto CO2, secondo Giavazzi “Una scelta che spetta all’industria”.

Ora, se la scelta fosse fra un’auto che emette 20-30 g di CO2/km, e un’altra che – solo per la costruzione della batteria – emette 200-300 gCO2/km, la scelta non sarebbe da lasciare all’industria: sarebbe una scelta ovvia, e chiunque proponesse di usare le auto 10 volte più emissive (solo per la costruzione della batteria, quindi trascurando le emissioni per ricaricarla batteria) andrebbe fatto ricoverare.

Il problema della tesi Continua a leggere…


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9 Dicembre 2024

Il fuoco amico, una forma di inattivismo climatico: 2/ l’opposizione alle auto elettriche

Categorie: Auto elettrica, Trasporti  -  Postato da: 

Auto elettrica al caricamento

Le emissioni di CO2 dai trasporti sono le uniche ad essere sostanzialmente aumentate in Europa nel periodo 1990-2022 (+26%). Il contributo del trasporto su strada è oggi pari al 70% delle emissioni da trasporto, e all’interno di quest’ultimo il peso delle automobili è pari al 60% (dettagli e infografiche disponibili qua). In Italia un quarto delle emissioni è dovuto ai trasporti, e le automobili italiane emettono circa 60 milioni di tonnellate di CO2 ogni anno, una cifra pari alle emissioni dell’intera Romania.

Vi è un accordo pressoché unanime da parte di chi studia le strategie di mitigazione (IPCC, IEA, EEA, tanto per citare alcuni tra i soggetti internazionali più autorevoli) circa il ruolo centrale dell’elettrificazione della mobilità, in parallelo alla decarbonizzazione della produzione di energia elettrica. Nel Sommario per i decisori politici del sesto Rapporto sul clima – WG3 (punto c.8), l’IPCC attribuisce una elevata confidenza al fatto che “I veicoli elettrici alimentati da elettricità a basse emissioni offrono il più grande potenziale di decarbonizzazione del trasporto terrestre, considerando l’intero ciclo di vita”.

Il passaggio alle auto elettriche è quindi un tassello fondamentale del percorso verso la decarbonizzazione dell’intero sistema energetico prevista dalla Legge europea sul clima, che ha definito a livello legislativo l’obiettivo della neutralità climatica al 2050 introdotto dallo European Green Deal. Il divieto di vendita di nuove auto endotermiche dal 2035, e la simultanea decarbonizzazione del settore elettrico, sono quindi inevitabili conseguenze degli obiettivi climatici europei, sottoscritti e comunicati in ambito UNFCCC con l’ultimo NDC europeo.

È quindi dal 2017 che è stata definita la road-map per la riduzione delle emissioni dei trasporti, che ha fissato una progressiva riduzione delle emissioni medie del parco circolante delle diverse case automobilistiche, e in cui l’obiettivo fissato al 2035 è solo il punto di arrivo. Un obiettivo che per essere raggiunto richiede la pianificazione di politiche industriali e sociali in grado di ottimizzare la sostituzione efficace degli attuali veicoli endotermici circolanti con quelli elettrici.

Diverse sono tuttavia le posizioni inattiviste contrarie a questa strategia, ampiamente diffuse dai mezzi informazione e dai social (si veda ad esempio qua e qua).

 

L’auto elettrica si affianca alla mobilità sostenibile

La prima opposizione, partendo dalla sacrosanta necessità Continua a leggere…


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1 Dicembre 2024

Finanziamenti e meccanismi di supporto all’azione climatica: alcuni risultati della COP29

Categorie: COP, finanza, Negoziazioni  -  Postato da: 

Moltiplicati per tre gli impegni finanziari dei paesi sviluppati per favorire l’azione sul clima, menzionati le migliaia di miliardi a cui si dovrà arrivare, approvate le basi dei meccanismi di mercato e di trasferimento internazionali dei crediti, lanciato il miglioramento della nuova piattaforma per i meccanismi non di mercato: avanzamenti utili ed importanti. In attesa del rilancio degli impegni nazionali previsto nel 2025.

 


La COP29 che si è svolta a Baku dall’11 al 24 novembre è stata una COP inconsueta, che ha dedicato molta energia ai temi finanziari, con un compromesso giudicato in modo molto differente dai vari protagonisti, e varie decisioni utili sia sui meccanismi di mercato che quelli non di mercato.

Rimandando ad altre analisi e cronache dei risultati della COP29, quale quelle   dell’Italian Climate Network, di Ferdinando Cotugno su Areale (Il Domani), del CMCC, di e3gdel Guardian, o le sintesi dettagliate dell’IISD (il sommario delle ultime due pagine in particolare) e di Carbon Brief, riportiamo in 6 sezioni le decisioni prese, con un capitolo finale di commento delle condizioni geo-politiche in cui si è trovata la COP29 (e dove rischiamo di trovarci l’anno prossimo).

 

  1. Finanza

Nel 2009 l’Accordo di Copenaghen aveva previsto un impegno dei Paesi sviluppati a finanziare mitigazione e adattamento dei Paesi in via di sviluppo per 100 miliardi di dollari all’anno entro il 2020. In tale anno (e in quello successivo), nonostante Continua a leggere…


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8 Novembre 2024

Cerchiamo di metterci in tempo le mani

Categorie: Eventi estremi, Impatti  -  Postato da: 

La catastrofica alluvione che ha colpito la zona di Valencia ha costretto molti mezzi di informazione ad occuparsi del legame fra riscaldamento globale e l’aumento dell’intensità degli eventi estremi di precipitazione. Come noto, si tratta di un legame da tempo messo in luce dai climatologi (si veda ad esempio il libro Tempeste di James Hansen, pubblicato nel 2008), evidenziato chiaramente nella letteratura scientifica, e ben riassunto dall’ultimo rapporto IPCC, come già discusso qui.

In diverse trasmissioni televisive (ad esempio qui e qui) i climatologi hanno avuto la possibilità di spiegare come l’aumento delle temperature dell’atmosfera e del mare siano state un fattore che ha intensificato la distruttività dell’evento meteorologico (qui un approfondimento sull’evento meteorologico e lo studio di attribuzione del World Weather Attribution).

È interessante notare come la trasmissione “Porta a Porta” ha trattato il tema nella puntata del 31 ottobre 2024. L’impostazione del conduttore, Bruno Vespa, è stata tutta orientata a tranquillizzare che da noi un evento così disastroso non potrebbe accadere, perché siamo meglio organizzati. “Con la protezione civile che abbiano noi una cosa del genere non potrebbe accadere” ha affermato Continua a leggere…


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8 Ottobre 2024

Il fuoco amico, una forma di inattivismo climatico: 1/ l’opposizione alle energie rinnovabili

Categorie: inattivismo  -  Postato da: 

Climalteranti ha sempre contrastato il negazionismo climatico, sia confutando le argomentazioni più fallaci sulle cause del riscaldamento globale in corso, sia contrastando chi vuole ritardare l’azione di mitigazione dei cambiamenti climatici. Negli ultimi tempi però sta emergendo, anche tra persone attivamente schierate a favore della tutela dell’ambiente, una tendenza verso sforzi inadeguati, in grado di indebolire la già insufficiente lotta alla crisi climatica; il che costituisce una minaccia probabilmente ancora più subdola, una forma di vero e proprio “inattivismo climatico”.

In più occasioni il comitato scientifico di Climalteranti ha avviato delle riflessioni interne circa la reale consistenza delle voci che negano il ruolo antropico dei cambiamenti climatici, anche per comprendere se fosse venuto meno il proprio ruolo o se fosse arrivato il momento di aggiustare la linea editoriale, ad esempio focalizzandosi maggiormente sulle azioni di mitigazione e adattamento. Ci sono stati effettivamente dei momenti in cui il negazionismo pareva sconfitto di fronte alla montagna di evidenze scientifiche, egregiamente sintetizzate (si fa per dire…) dai periodici Assessment reports dell’IPCC. E non vi è dubbio che, vista la conclamata urgenza di agire, la prospettiva di poter finalmente smettere di dedicare tempo e risorse intellettuali all’attività di debunking, di per sé improduttiva di contenuti scientifici innovativi o originali, pareva decisamente allettante.

La realtà dei fatti ci sta mostrando che il negazionismo che chiameremo “tradizionale” non è del tutto sparito; forse non lo potrà mai essere, ma rappresenta ormai una sorta di rumore di fondo, sempre più flebile, con il quale toccherà comunque convivere.

Ma venendo all’oggetto di questo post, vorremmo portare la riflessione verso le posizioni di alcuni esponenti del mondo ambientalista (o presunti tali) che si schierano apertamente contro buona parte di ciò che è la transizione energetica, con particolare riferimento agli impianti ad energia rinnovabile (fotovoltaica ed eolica) e ai veicoli elettrici. Con argomenti superficiali, semplicistici, se non a volte proprio sbagliati. Non si tratta di negazionismo climatico, ma della sua evoluzione ben definita da Michael Mann con “inattivismo climatico” (si veda qui e qui).

Senza la pretesa di voler essere esaustivi, ma nell’ottica di alimentare un dibattito auspicabilmente costruttivo, proviamo a sintetizzare di seguito i principali argomenti utilizzati contro uno dei pilastri della transizione energetica, lo sviluppo dell’energia solare ed eolica

L’energia fotovoltaica ed eolica sono Continua a leggere…


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26 Settembre 2024

L’emergenza lenta del cambiamento climatico nel discorso pubblico e politico italiano

Categorie: Libri, Politica, Recensione  -  Postato da: 

Nonostante le sue conseguenze siano diventate via via più visibili, il cambiamento climatico è rimasto a lungo sottotraccia nel discorso pubblico e politico italiano. Tuttavia, negli ultimi tempi, sembra che l’emergenza climatica stia emergendo, sebbene lentamente, nei discorsi della classe politica, nel dibattito sui media e anche nelle conversazioni quotidiane. A questo si riferisce il titolo del recente volume “Emergenza lenta: La questione climatica in Italia tra politica, media e società” (Fondazione Giangiacomo Feltrinelli) di Cecilia Biancalana, ricercatrice in Scienza politica presso l’Università di Torino, e Riccardo Ladini, ricercatore in Sociologia dei fenomeni politici presso l’Università Statale di Milano.

Il volume ha l’obiettivo di colmare una lacuna nelle scienze sociali e politiche italiane, che si sono fino a oggi occupate poco della questione climatica, e quindi di analizzare i tre principali attori del sistema politico – partiti, media e opinione pubblica – rispetto a tale questione. Come sottolineato dagli autori nel capitolo introduttivo, il libro intende anzitutto fornire alcune analisi – “stabilire i fatti”,  per utilizzare l’espressione del sociologo americano Robert Merton – rispetto a tre aspetti tra loro connessi: la posizioni dei partiti italiani sull’ambiente e il cambiamento climatico, la copertura mediatica del tema sui quotidiani, e gli atteggiamenti dei cittadini. Attraverso originali analisi di diversi tipi di dati (ad esempio, programmi dei partiti politici, articoli dei quotidiani, interviste campionarie) provenienti da diverse fonti, Biancalana e Ladini intendono poi rispondere alla seguente domanda: dal momento che la questione climatica è stata a lungo trascurata, possiamo parlare di politicizzazione del cambiamento climatico in Italia? In altre parole, il tema del cambiamento climatico è saliente – ovvero, riceve attenzione – ed è polarizzato – ovvero, emergono posizioni sostanzialmente differenti a riguardo? E lo è sempre di più?

Dopo aver inquadrato il cambiamento climatico all’interno dell’Antropocene – come è  stata denominata (seppur non ufficialmente) la nuova era geologica caratterizzata dal profondo e diffuso impatto dell’attività umana sull’ambiente terrestre – e nel contesto di “policrisi” – una situazione, come quella attuale, in cui diverse crisi interagiscono tra loro in modo che l’insieme delle loro conseguenze sia maggiore della somma delle conseguenze delle singole crisi (Morin e Kern 1999) – nel capitolo introduttivo gli autori presentano i diversi interrogativi a cui viene data risposta nei quattro capitoli successivi, dedicati rispettivamente ai partiti, ai media, e agli atteggiamenti dei cittadini.

Il secondo capitolo si concentra su un attore chiave nella lotta al cambiamento climatico: i partiti politici. Analizzando la tematica ambientale nei programmi elettorali tra il 2008 e il 2022, i dati mostrano un tendenziale incremento dell’attenzione dei partiti sul tema. In particolare, si nota un primo aumento della rilevanza tra il 2008 e il 2013, che si può attribuire in parte alla presenza di un nuovo attore sulla scena politica nelle elezioni politiche del 2013, il Movimento 5 Stelle, che alle origini dedicava ampia attenzione ai temi ambientali. A seguito di un calo nel 2018, la salienza dei temi ambientali ha fatto registrare un picco nel 2022, dopo un periodo caratterizzato da un incremento degli eventi atmosferici estremi, dall’ondata di protesta dei movimenti per la giustizia ambientale, oltre che dall’approvazione dell’European Green Deal in ambito comunitario. Rispetto alle differenze tra partiti, emerge che il tema ambientale è prevalentemente “il tema di una parte” (p. 58), ovvero viene trattato tendenzialmente dei partiti di sinistra – i partiti che stanno alla sinistra del Partito Democratico, per intenderci – che hanno tuttavia un successo e una rappresentanza politica decisamente minoritaria.

Il terzo capitolo si concentra sui media, e in particolare sui quotidiani. Da una prima analisi dei dati provenienti dal Media and Climate Change Observatory, si nota come

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12 Settembre 2024

Come rendere utile un dibattito con chi nega la scienza del clima

Categorie: Dibattito, Negazionismo  -  Postato da: 

Quanto avvenuto nel dibattito fra Daniele Visioni e Franco Battaglia (si veda il precedente post) fornisce alcune indicazioni utili per chi si trova a doversi confrontare con chi nega la scienza del clima.

 

Capita spesso che gli organizzatori di convegni o i giornalisti chiedano un confronto fra un esperto del settore e chi nega l’influenza umana sul clima, o ne ridimensiona fortemente l’importanza. C’è purtroppo chi ritiene che, in nome di una presunta par condicio, si debba dare eguale spazio a voci contrapposte, indipendentemente dalla competenza sul tema. Si debba far sentire l’“altra campana”, in nome di una presunta equidistanza e imparzialità. È capitato non solo nei talk show di prima serata, ma anche su inserti culturali autorevoli (si veda questo post sull’infortunio capitato anni fa a La lettura).

Molti climatologi rifiutano di prestarsi a questi confronti, che rischiano di mettere sullo stesso piano persone competenti, che magari hanno dedicato la loro vita a studiare la scienza del clima, e persone senza vere competenze sulla materia, magari esperti in altri campi settori scientifici, oppure opinionisti tuttologi o ciarlatani improvvisati.

Un primo problema di questo tipo di confronti è infatti che un confronto 1:1 potrebbe dare l’impressione che ci siano due scuole di pensiero, con tesi diverse ugualmente fondate. In realtà, il consenso scientifico sull’origine antropica del cambiamento climatico è quasi unanime fra gli esperti del settore (come ben spiegato da tante indagini statistiche e anche dall’apposita voce di Wikipedia). Quindi se si volesse un confronto democraticamente rappresentativo del peso delle diverse posizioni si dovrebbe al limite fare un dibattito fra 99 esperti del settore e 1 negazionista, più o meno come nel divertente video di Last Week Tonight with John Oliver.

Il secondo problema è che dare spazio ad argomenti infondati, anche se vengono poi confutati, può essere controproducente: gli studi sulla comunicazione mostrano che ci sono alcuni meccanismi psicologico-cognitivi che fanno comunque ricordare come “veri” anche argomenti che vengono falsificati subito dopo, se la confutazione non è inserita in un adeguato contesto (si veda il Manuale di demistificazione scritto da John Cook e Spephan Lewandowsky e tradotto dell’Italian Climate Network). Continua a leggere…


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2 Settembre 2024

Quando il negazionista climatico incontra il climatologo

Categorie: Dibattito, Negazionisti  -  Postato da: 

In un confronto con il climatologo Daniele Visioni, Franco Battaglia ha rimediato una clamorosa figuraccia, che mostra ancora una volta come se si entra nel dettaglio degli argomenti scientifici, le tesi negazioniste sono inconsistenti.

 

Per chi analizza come i “diversamente competenti” inquinano il dibattito sulla crisi climatica, è sicuramente di interesse valutare quanto è successo nel confronto fra Daniele Visioni, climatologo della Cornell University, Department of Earth and Atmospheric Sciences, e Franco Battaglia ex docente di chimica-fisica (qui alcuni post con cui su climalteranti abbiamo confutato i suoi argomenti).

Il dibattito online, organizzato dall’economista Michele Boldrin, disponibile qui, per una buona parte si è svolto in modo standard: il negazionista climatico ha esposto i suoi argomenti inconsistenti, basati su grafici vecchi e screditati, il climatologo ha cercato di spiegare un po’ degli errori presenti negli stessi grafici e di spiegare la realtà della scienza del clima. Niente di nuovo.

La parte che merita di essere vista inizia dopo 1h 17’, quando Battaglia si è avventurato a illustrare un grafico (vedi figura seguente) sull’assorbimento delle radiazioni da parte delle diverse sostanze presenti nell’atmosfera, per diverse concentrazioni delle stesse.

Battaglia ha sostenuto Continua a leggere…


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