Il cigno nero del clima
La storia è piena di eventi unici ed estremamente impattanti ritenuti imprevedibili a priori. Sono quelli che Nassim Nicholas Taleb, noto filosofo empirista ed operatore di borsa, definisce “cigni neri”. In questa categoria possono ricadere non solo gli eventi climatici estremi ma anche i drivers socio-economici del riscaldamento globale.
Quando per la prima volta vediamo un cigno nero, la nostra certezza che tutti i cigni siano bianchi crolla all’improvviso e così, inaspettatamente, può cambiare anche la nostra visione del mondo. Per dirla con Nassim Nicholas Taleb, ideatore della teoria del cigno nero e autore di “Il cigno nero, come l’improbabile governa la nostra vita” (2007, New York, 3 milioni di copie vendute) un cigno nero è “un evento raro/inaspettato, con un impatto enorme, prevedibile solo retrospettivamente”, ovvero a fatto avvenuto. Di cigni neri è costellata la storia umana: dall’11 settembre al successo di Google, dalla scalata di Hitler al potere fino alla scoperta della penicillina. Insomma, un cigno nero è un fatto né positivo né negativo, è solo un evento inaspettato che si verifica, cambiando il mondo intero, la nostra città o anche “solo” la nostra vita.
Secondo Taleb, nonostante i cigni neri avrebbero sempre guidato la storia, questi ci sorprendono ogni volta. La nostra sorpresa di fronte ad un cigno nero è spiegabile attraverso meccanismi di natura psicologica insiti nella natura umana per i quali tendiamo a focalizzarci solo su una minima parte (nota) della realtà mentre non consideriamo la parte preponderante (ignota). Dal punto di vista tecnico si tratta di una stima errata delle probabilità, basata quasi sempre sulla distribuzione gaussiana, la classica curva a campana. Secondo questo semplice modello, gli eventi più probabili risiedono nei pressi della media mentre le possibilità di verificarsi di tutti gli altri casi diminuiscono molto rapidamente. Tanto che nel giro di poche deviazioni standard cadiamo nel campo di quello che, da un punto di vista pratico, è…. “praticamente impossibile”. Il punto fondamentale di Taleb è che, in realtà, abbiamo una conoscenza limitatissima o nulla della reale curva di distribuzione di probabilità di molti eventi (magari non-gaussiana) e, in particolar modo, di quelli dipendenti da processi socio-economici. Taleb suggerisce che questo tipo di fenomeni non siano prevedibili, con buona pace di quegli economisti i cui modelli (basati sulla distribuzione gaussiana) non avevano previsto inezie come…. la crisi economica mondiale.
Ma la “teoria del cigno nero”, oltre che in campo socio-economico, può essere applicata anche in ambito strettamente scientifico? Probabilmente meno. La possibilità di escludere con certezza molti eventi fisici, chimici e biologici è infatti decisamente più elevata perché molti fenomeni naturali si distribuiscono effettivamente secondo curve a campana ben conosciute. Così, ad esempio, l’esistenza di una persona del peso di 800 kgpuò essere esclusa a priori senza alcuna ombra di dubbio. Tuttavia Taleb scrive che alcuni eventi meteorologici estremi possono essere riconducibili alla categoria dei cigni neri. In questo caso, siccome la loro distribuzione di probabilità è influenzata dai cambiamenti climatici, anche questi ultimi sarebbero sensibili alla teoria del cigno nero.
L’uragano Katrina, che ha devastato le coste della Louisiana nel 2005, è stato dunque un cigno nero? E l’ondata di calore che nel 2003 ha investito l’Europa? Credo che Taleb farebbe rientrare questi eventi tra i cigni neri per tre motivi: 1) l’apparente rarità di questi eventi, 2) il loro grande impatto 3) la nostra bassa conoscenza della loro distribuzione di probabilità e quindi la nostra scarsa capacità di prevederli apriori. E l’ondata di calore che ha investito la Russia nel 2010? Secondo Taleb questo evento potrebbe invece essere stato un cosiddetto “cigno grigio”, in quanto l’ondata di calore del2003 in Europa ha reso non del tutto inaspettato l’evento del2010 in Russia.
Le ondate di calore del 2003 e 2010 in Europa suggeriscono che la distribuzione delle temperature del secolo scorso sia ormai superata e che i cambiamenti climatici hanno ormai modificato pesantemente la curva di frequenza delle temperature (tratto da Barriopedro et al. 2011)
L’unico modo per “smascherare i cigni neri” che accadono in natura, è perciò quello di affidarci allo studio dei cambiamenti ambientali del passato (inclusi, ma non solo, quelli climatici), il cui fine più nobile è proprio quello di fare luce sulla loro distribuzione di probabilità. E così potremmo scoprire che alcuni fenomeni naturali potenzialmente identificabili come cigni neri, potrebbero essere invece comuni anche su scale temporali inaspettatamente corte come ad esempio i maremoti (lo tsunami che ha devastato il Pacifico nel 2004), collisioni con asteroidi/comete (l’impatto con un corpo celeste nel 1908 a Tunguska, Siberia) o ancora le eruzioni dei super-vulcani (l’eruzione di Toba, Sumatra, 75,000 anni fa).
Quali sono invece le implicazioni della teoria del cigno nero relativamente agli sviluppi futuri del riscaldamento globale antropogenico? In questo caso sembra che la teoria di Taleb trovi il terreno di applicazione più fertile. L’evoluzione del riscaldamento globale di natura antropogenica è infatti controllata da fattori socio-economici, guidati a loro volta dall’oggetto più imprevedibile del pianeta (e forse dell’universo) ovvero la mente umana. L’IPCC si sarebbe parzialmente cautelata di fronte a tali incertezze evitando una previsione climatica da qui al 2100, ma descrivendo invece vari scenari controllati dalla maggior o minor decarbonizzazione della nostra economia.
Tuttavia la teoria del cigno nero non sembra dare alcuna speranza di poter azzeccare neanche uno dei possibili scenari di riscaldamento antropogenico. Questo a causa della presunta imprevedibilità dei processi socio-economici che lascerebbero alla modellizzazione del riscaldamento antropogenico il solo ruolo di strumento utile per poter prevedere solo come i cigni neri (una grande variazione del prezzo dei combustibili fossili, una scoperta fondamentale nell’ambito delle energie rinnovabili, l’esplosione della green economy ecc.) influenzeranno il clima del pianeta, ma… solo una volta che questi si saranno manifestati.
In conclusione Taleb pone dubbi enormi sullo stato reale della conoscenza umana, dandoci contemporaneamente un’importante prospettiva filosofica della nostra storia, del nostro futuro ma anche della nostra stessa vita individuale. Una prospettiva che ancor più che innovativa (Socrate diceva… io so di non sapere) è soprattutto sorprendentemente utile. Taleb infatti non ci lascia impotenti e rassegnati di fronte alla nostra manifesta ignoranza ma suggerisce l’inimmaginabile, ovvero di sfruttare quello che non sappiamo in maniera perfino più utile rispetto a quello che conosciamo. Come? Mettendo la statistica dalla nostra parte ed esponendo le nostre vite e la nostra società a quante più occasioni abbiano il potenziale di farci incontrare il nostro “cigno d’oro” (dico io). Insomma, innalzeremo le nostre possibilità di vivere meglio, o perfino di salvarci, quanto più saremo intelligentemente dinamici. Chi si ferma, è perduto.
Testo di Paolo Gabrielli con contributi di Elisabetta Mutto Accordi, Stefano Caserini, Sylvie Coyaud e Daniele Pernigotti.
10 responses so far
Complimenti per il post davvero interessante. Concordo pienamente con la tesi di fondo e le conclusioni. Ulteriori spunti interessanti si possono trovare, ad es., nei lavori di Doyne Farmer al Santa Fe Institute o di Didier Sornette (ETH). Vedi per es. in questo speech di Sornette (Lorenz Lecture al meeting dell’AGU 2010):
http://www.agu.org/meetings/fm10/lectures/lecture_videos/NG43J.shtml
Bel libro quello di Taleb, il suo approccio dovrebbe insegnare che la scienza deterministica stile ottocento può essere consolante ma lontana dalla realtà che solitamente è governata da eventi improbabili non da eventi probabili. Solo un appunto, la metafora del cigno nero è di Popper.
@ Insomma, innalzeremo le nostre possibilità di vivere meglio, o perfino di salvarci, quanto più saremo intelligentemente dinamici.
Infatti il grande Charles Darwin scrisse che non è la specie più forte che sopravvive, ma quella più reattiva ai cambiamenti
Concordo che è dalle attività umane che potrebbe derivare qualche sorpresa, più che dalla fenomenologia del clima, su cui le incertezze si vanno via via riducendo.
Riprendo una citazione di Edgar Morin che mi è arrivata da un amico
“Se fossi guidato solo dal lume della ragione, dovrei dire che il mondo va verso la catastrofe, che siamo sull’orlo dell’abisso. Ma nella storia dell’umanità esiste l’imprevisto, quel fatto inatteso che cambia il corso delle cose. Ecco perché, in fondo, sono ottimista”.
@ Steph
Grazie mille. Molto interessante la teoria del “dragon king” di Sornette anche se la sua contrapposizione col “cigno nero” mi sembra un po’ forzata. Questa teoria mi sembra piuttosto un’estensione del cigno nero in quanto include gli outliers della power distribution (“gli outliers degli outliers”). Con una conclusione radicalmente diversa: che questi eventi estremi siano prevedibili statisticamente. Su questo pero’ Sornette e’ meno convincente, anche perche’ probabilmente e’…work in progress.
@ Antonio
E’ vero, la metafora del cigno nero e’ di Popper. Grazie per la precisazione. Taleb estende il senso della metafora (utilizzata da Popper per spiegare il concetto di falsificazione di un’affermazione) per indicare un rovesciamento dell’intera prospettiva della conoscenza.
@Stefano
Esattamente. Taleb indica un modo per rimanere comunque ottimisti senza negare il problema climatico. Mi sembra che il segreto sia dunque rimanere dinamici, senza aspettarsi scelte salvifiche calate dall’alto, cercando invece di rimanere aperti e magari stimolare il maggior numero di molteplici opportunita’, offerte da singoli paesi, istituzioni e perfino singoli individui, per contribuire a mitigare (risolvere?) il problema climatico .
@Antonio e Paolo G.
un po’ di sciovinismo, diamine, la metafora è di Giovenale!
@Stefano C.
“sono ottimista”: al bar oggi mi hanno detto che la soluzione c’è, alla tivù hanno fatto vedere “i satelliti che tolgono l’effetto serra”.
L’articolo sottolinea, tra l’altro, la necessità di tener conto di distribuzioni non-gaussiane degli eventi e che è fondamentale non soltanto la media ma anche il massimo di ciascuna distribuzione.
A questo proposito sottolineo che esiste tutto un filone della statistica che si occupa dei valori estremi, che sta diventando sempre più importante nell’ambito climatico.
Per una introduzione abbastanza semplice segnalo il seguente seminario (con le relative presentazioni Powerpoint)
http://www.eurandom.tue.nl/events/workshops/2009/Climate/index.htm
nonché
http://www.isse.ucar.edu/extremevalues/back.html
http://www.cces.ethz.ch/projects/hazri/EXTREMES/talks/colesDavisonDavosJan08.pdf
http://repub.eur.nl/res/pub/14290/ThesisDef.pdf
Hai ragione, Valentino. Come dire che cigni neri ne abbiamo già visti passare diversi.
Purtroppo le teorie dei valori estremi hanno intrinsecamente bisogno di serie temporali lunghe e affidabili per poter arrivare a conclusioni statisticamente significative. Al momento credo che solo le serie di temperatura superficiale soddisfano i criteri.
Teorie statistiche a parte, Hansen, Sato e Ruedy hanno messo assieme i dati empirici di anomalia di temperatura stagionali. Se ci accontentiamo di definire nero un “cigno” oltre i 3 o 4 sigma, ne abbiamo già un discreto numero.
@Valentino
Interessante. Segnalo anche questi recenti workshop sul tema della statistica dei cigni neri:
http://www.asp.ucar.edu/colloquium/2011/index.php
http://stat.epfl.ch/ascona2011
@Paolo
concordo su Sornette. Di interessante, fra le altre cose, c’è anche il fatto che le possibili diagnosi e prognosi dei dragon kings si basino su una ristrutturazione percettiva improntata sul vecchio auspicio della metrica “a grana grossa” che dovrebbe impedire di perdere la visione d’insieme a fronte di un’esasperata attenzione per i dettagli (se ti concentri troppo sull’albero non vedi più la foresta). Spesso però è sempre più facile a dirsi che a farsi, perché quando sei dentro (e senza una sufficiente soglia di consapevolezza ma con una sufficiente illusione di controllo) è facile perdersi anche solo dopo il primo albero. Magari perché costruiamo configurazioni laddove sono solo dettagli random, forse un retaggio evolutivo che ci spinge a credere nei falsi positivi 😀 Ma siamo dinamici per natura e resilienti per destino…
@Stefano
Bella la citazione di Morin: mi ha ricordato il principio responsabilità di Jonas. In fondo, forse, il nostro cigno d’oro (e l’imprevisto ottimista di Morin) potrebbe anche scaturire dalla consapevolezza che il merito degli allarmisti sarà quello di aver avuto torto perché si è riusciti a scongiurare l’avvento di quanto si è temuto. Il tempo circolare della tradizione amerindia, insomma.
[…] […]
il fatto che le estati del 2003 e del 2010 (e quella del 2010 non è stata affatto così calda) non significa che la distribuzione abbia modificato i propri parametri.
bisognerebbe prendere 2 periodo di riferimento, magari consecutivi e completamente separati ed andare a stimare i parametri media e varianza.
fare una statistica test per verificarne l’uguaglianza.
se è stato fatto, mi scuso per non aver cercato meglio (ma non ho la possibilità di leggere per intero il report), ma mi piacerebbe vedere i risultati e le analisi.
inoltre dubito molto di quella ricostruzione, perchè è molto diversa da tante altre e perchè l’estate del 2010 non è neanche paragonabile a quella del 2003 in Europa.
NB: a me della russia frega assolutamente poco, l’europa è altra cosa.
includere la russia lo ritengo assolutamente sbagliato, andrebbe valutata a parte vista la sua vastità territoriale