Temperature globali del 2012, ancora in zona medaglia
Il 2012 appena passato ci ha lasciato in eredità una ricca messe di situazioni meteorologiche interessanti ed estreme e il record della minore estensione mai vista di ghiacci marini artici. A livello di temperature, il 2012 globalmente è stato l’ennesimo anno caldo, più caldo anche della media del trentennio più recente di riferimento, ma ormai – ahimè - questa non è più una notizia…
È già passato un altro anno, ed eccoci quindi di nuovo qui a commentare quanto accaduto al 2012, dapprima a scala globale e poi in post successivi con uno zoom sull’Europa e sull’Italia. Al solito, mentre attendiamo i dati ufficiali che saranno diramati nei prossimi due-tre mesi dai siti istituzionali (CRU, GISS, NASA, ecc. – l’elenco dettagliato lo trovate sul post dell’anno scorso), il metodo più veloce è quello di ricorrere al database NOAA/NCEP (in particolare, ho usato questo sito). Ricordo che si tratta di dati elaborati e non grezzi: in particolare, vengono mediati su un grigliato di 2,5 gradi in longitudine e latitudine, il che equivale, alle nostre latitudini, ad un quadrato di circa 300 x 300 km2. È quindi impossibile fare considerazioni locali usando questa tipologia di dati.
fig. 1 - Anomalia di temperatura superficiale (in °C) nel 2012 rispetto al periodo di riferimento 1981-2010. Dati NOAA-NCEP.
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fig. 1 - Anomalia di temperatura superficiale (in °C) nel 2012 rispetto al periodo di riferimento 1981-2010. Dati NOAA-NCEP.
(altro…) Imparare dalle catastrofi
Due libri a disposizione di chi vuole riflettere sul tema della catastrofe senza dar retta alle stupidaggini sulle presunte previsioni dei Maya
Da tempo mi è capitato di notare come nel campo dei cambiamenti climatici i toni si vanno via via facendo più preoccupati. Perfino dagli articoli scientifici, in cui il linguaggio è per sua natura freddo, razionale, asettico, traspare spesso come gli scienziati siano davvero preoccupati (vedi ad esempio qui, qui qui e qui).
Nei convegni mi è capitato di sentire discorsi tesi, per non dire imbarazzati per la crudezza delle analisi che la scienza del clima può offrire sui pericoli che ci attendono nei prossimi decenni e secoli.
Ho iniziato a leggere un po’ di libri sull’argomento (alcuni davvero molto interessanti (ad esempio questo, questo e questo), e ho iniziato a discuterne con diverse persone, fra cui diversi amici di Climalteranti e in un paio di occasioni pubbliche con Luca Mercalli.
Le discussioni più accese e divertenti le ho avute con un caro amico, Enrico Euli dell’Università di Cagliari, e ad un certo punto abbiamo deciso di provare a scrivere varie cose che sembravano interessanti nelle nostre discussioni, a noi e a chi ci ha ascoltato in alcune occasioni. L’idea iniziale era un “Dizionario della catastrofe”, poi diventato Imparare dalle catastrofi pubblicato da Altraeconomia, in libreria da Gennaio 2013.
37 voci, ognuna di 3-4 pagine, che affrontano da diversi punti di vista il problema della catastrofe: dal Clima, Finanza, Guerra, Risorse, ma anche Cinema, Letteratura e Musica Pop. E con la postfazione di Luca Mercalli. (altro…)
Da tempo mi è capitato di notare come nel campo dei cambiamenti climatici i toni si vanno via via facendo più preoccupati. Perfino dagli articoli scientifici, in cui il linguaggio è per sua natura freddo, razionale, asettico, traspare spesso come gli scienziati siano davvero preoccupati (vedi ad esempio qui, qui qui e qui).
Nei convegni mi è capitato di sentire discorsi tesi, per non dire imbarazzati per la crudezza delle analisi che la scienza del clima può offrire sui pericoli che ci attendono nei prossimi decenni e secoli.
Ho iniziato a leggere un po’ di libri sull’argomento (alcuni davvero molto interessanti (ad esempio questo, questo e questo), e ho iniziato a discuterne con diverse persone, fra cui diversi amici di Climalteranti e in un paio di occasioni pubbliche con Luca Mercalli.
Le discussioni più accese e divertenti le ho avute con un caro amico, Enrico Euli dell’Università di Cagliari, e ad un certo punto abbiamo deciso di provare a scrivere varie cose che sembravano interessanti nelle nostre discussioni, a noi e a chi ci ha ascoltato in alcune occasioni. L’idea iniziale era un “Dizionario della catastrofe”, poi diventato Imparare dalle catastrofi pubblicato da Altraeconomia, in libreria da Gennaio 2013.
37 voci, ognuna di 3-4 pagine, che affrontano da diversi punti di vista il problema della catastrofe: dal Clima, Finanza, Guerra, Risorse, ma anche Cinema, Letteratura e Musica Pop. E con la postfazione di Luca Mercalli. (altro…) A Doha altri passi deboli e ambigui
Non è facile valutare l’esito della COP18, la Conferenza della Parti della Convenzione sul Clima che si è tenuta a Doha dal 27 novembre all’8 dicembre.
Non solo perché la negoziazione sul clima è ormai estremamente complessa, composta da molti tavoli negoziali su diversi piani, che hanno prodotto anche questa volta l’approvazione formale di più di 20 documenti (disponibili qui). Una visione d’insieme è sempre più difficile anche perché i segnali che arrivano sono contrastanti, ambigui.
Anche questa volta (come nelle precedenti, vedi qui qui e qui) non è stato un fallimento completo, e non è stato un successo, che non era neppure atteso (come abbiamo già scritto la COP18 sin dall’inizio era vista come una Conferenza di transizione). Una bottiglia piena ad un quarto, ha dichiarato il Ministro Corrado Clini. Il momento di passaggio fra il vecchio e il nuovo regime delle negoziazioni sul clima, secondo la Commissaria Europea alle politiche sul Clima Connie Hedegaard. Non è stata un’oasi nel deserto, secondo il Climate Action Network. Un altro accordo al ribasso, dunque. (altro…) Esaurimento dei combustibili fossili, riscaldamento globale e innalzamento del livello del mare
Gli autori di uno studio da poco pubblicato su Global and Planetary Change spiegano come il progressivo esaurimento dei combustibili fossili convenzionali non sarà in grado di limitare l’aumento del livello del mare che, alla fine di questo secolo, sarà più alto di almeno 80 cm rispetto al livello del 2000 e alla fine del ventiduesimo secolo sarà compreso tra 150 e 230 cm, con gravissimi impatti in molte aree del pianeta.
Dalla fine dell’ultima glaciazione, circa 15 mila anni fa, il livello medio globale degli oceani è cresciuto di circa 130 m fino a raggiungere quello che ha caratterizzato gli ultimi 7 mila anni, un periodo dal clima relativamente stabile (si veda ad esempio questo precedente post sulla ricostruzione del livello del mare negli ultimi 2000 anni). Tuttavia, a causa del recente aumento delle temperature indotto dalle attività umane, nel corso del ventesimo secolo il livello medio globale degli oceani è aumentato di circa 17 cm (si veda figura 1), con una certa variabilità geografica tra le diverse regioni del pianeta. Sulla base di scenari “business as usual” (ovvero quelli che assumono che le future emissioni di CO2 di origine fossile continueranno ad aumentare approssimativamente con lo stesso trend attuale), l’ultimo rapporto IPCC nel 2007 ha proposto una proiezione dell’innalzamento del livello del mare nel corso del ventunesimo secolo tra 18 e 59 cm, a seconda dello scenario emissivo considerato (figura 1). Tenendo conto dei rapidi cambiamenti dinamici nelle calotte polari e nei ghiacci continentali (vedi sotto), tale innalzamento potrebbe tuttavia salire fino a 80 cm (figura 1). Di conseguenza ci si aspetta che sarà uno dei più importanti effetti del riscaldamento globale antropogenico e che i suoi impatti sugli ecosistemi terrestri e la società umana saranno tra le sue conseguenze più significative e visibili.

Figura 1. L’aumento del livello medio globale del mare (rispetto al 1990) osservato dal 1880 al 2009 (Church & White, 2011) e le proiezioni per il ventunesimo secolo basate sul modello semi-empirico duale (Vermeer & Rahmstorf, 2009) confrontate con quelle ottenute con i modelli climatici dell’IPCC per il rapporto del 2007 (scenari SRES). Il quarto rapporto IPCC ha anche stimato un livello massimo che include il contributo proveniente dalla fusione delle calotte polari e dei ghiacci continentali. (altro…)
Tempi preoccupanti
Molte notizie degli ultimi giorni sono fonte di preoccupazione, in modo molto diverso.
Continuano ad uscire sul tema dei cambiamenti climatici studi importanti e preoccupanti, che meriterebbero ben altro spazio e attenzione dei media.
Turn Down the heat. Why a +4°C warmer world must be avoided, il rapporto commissionato dalla Banca Mondiale al Potsdam Institute for Climate Impact Research e di Climate Analytics, un documento che potrebbe servire alla revisione delle politiche della Banca; il fine è di cercare di evitare un mondo più caldo di4°C, che sarebbe un mondo con ondate di calore senza precedenti, siccità e inondazioni gravi, importante in molte regioni, con gravi ripercussioni sul sistema economica, sulla povertà, sugli ecosistemi e i servizi da loro forniti. Il Presidente della Banca, nella sua introduzione, scrive: “It is my hope that this report shocks us into action…. The World Bank Group will step up to the challenge” (“Spero che questo report ci spinga all’azione… la Banca Mondiale si accinge a far fronte alla sfida”).
The State of greenhouse gases based on observations up to 2011 del WMO, l’Organizzazione Meteorologica mondiale. Il rallentamento dell’economia globale non frena l’aumento dei tre principali gas serra, CO2, metano e N2O, che l’anno scorso rappresentavano nel complesso una forzante radiativa equivalente a 473 ppm di CO2 atmosferica, un aumento del 30% rispetto al 1990.
“Abbassare la temperatura”, come chiesto nel rapporto commissionato dalla Banca Mondiale non sarà facile. (altro…)
Turn Down the heat. Why a +4°C warmer world must be avoided, il rapporto commissionato dalla Banca Mondiale al Potsdam Institute for Climate Impact Research e di Climate Analytics, un documento che potrebbe servire alla revisione delle politiche della Banca; il fine è di cercare di evitare un mondo più caldo di4°C, che sarebbe un mondo con ondate di calore senza precedenti, siccità e inondazioni gravi, importante in molte regioni, con gravi ripercussioni sul sistema economica, sulla povertà, sugli ecosistemi e i servizi da loro forniti. Il Presidente della Banca, nella sua introduzione, scrive: “It is my hope that this report shocks us into action…. The World Bank Group will step up to the challenge” (“Spero che questo report ci spinga all’azione… la Banca Mondiale si accinge a far fronte alla sfida”).
The State of greenhouse gases based on observations up to 2011 del WMO, l’Organizzazione Meteorologica mondiale. Il rallentamento dell’economia globale non frena l’aumento dei tre principali gas serra, CO2, metano e N2O, che l’anno scorso rappresentavano nel complesso una forzante radiativa equivalente a 473 ppm di CO2 atmosferica, un aumento del 30% rispetto al 1990.
“Abbassare la temperatura”, come chiesto nel rapporto commissionato dalla Banca Mondiale non sarà facile. (altro…) Il cambiamento climatico e le torri d’acqua dell’Asia
L’impatto dei cambiamenti climatici sta radicalmente modificando la disponibilità di acqua nelle water towers, le torri d’acqua dell’Asia. Qual è lo stato della criosfera nell’Hindu-Kush Karakoram Himalaya, terzo polo del pianeta ?

Torri di Trango,Ghiacciaio del Baltoro, Pakistan. Foto Daniele Bocchiola 2011.
I grandi sistemi montuosi coprono il 25% della superficie dei continenti (Kapos et al., 2000) e solo il 26% della popolazione mondiale è insediata nelle regioni montane o ai piedi di catene montuose (Meybeck et al., 2001). Tuttavia, le risorse indirettamente provenienti dalle zone elevate offrono sostentamento ad oltre la metà degli abitanti del globo. Il 40% della popolazione della Terra, infatti, vive in bacini fluviali che traggono origine dalle varie catene montuose (Barnett et al., 2005). I sistemi montuosi dell’Asia centrale, Tibetan plateau (TB), Hindu Kush, Karakorum and Himalaya (HKKH), sono il terzo polo dell’umanità e 1.5 miliardi di persone dipendono dalle nevi e dai ghiacci di queste catene, le water towers dell’Asia, per l’approvvigionamento di acqua potabile, che scorrono lungo i fiumi più grandi dell’Asia, Indo, Gange, Brahmaputra, Fiume Azzurro (Yangtze), Fiume Giallo (Huang He) (Immerzeel et al., 2010; Kaser et al., 2010). (altro…)Come accelerare la mitigazione dei cambiamenti climatici
Esce su Amazon.it la seconda edizione di “Politiche economiche innovative per la mitigazione dei cambiamenti climatici”, aggiornata con le prime implementazioni all’estero ed in Italia. Un lavoro collettivo di oltre 30 scienziati, presentato da chi ne ha coordinato il lavoro.
Presentata inizialmente ad un side-event nel contesto del vertice di Copenhagen del 2009, questa raccolta di politiche economiche innovative per ridurre le emissioni si offre all’interesse dei policymaker di tutto il mondo. Il libro, oggi divenuto di 455 pagine, abbraccia in 33 incisivi e sintetici capitoli una larga varietà di politiche inconsuete, che mirano a modificare la struttura dei mercati, il comportamento d’impresa, le scelte dei consumatori, il modo con cui si prendono le decisioni. Tutto questo all’interno di un prospettiva di governance multi-livello, dal globale al locale, che contrasta l’elusione delle responsabilità e fornisce invece ruoli e strumenti attivabili a ciascun livello decisionale. Dopo aver raccolto l’elogio di Bill McKibben e di chi ha presieduto una sessione dei negoziati climatici globali (la COP9), il libro offre ad a decisori politici e cittadini impegnati informazioni e strumenti per agire per ridurre i consumi energetici e le emissioni di gas serra.
Invece di schierarsi con gli inquinatori (e considerare quindi la mitigazione come un costo, da minimizzare tramite obiettivi poco ambiziosi, da rimandare alle calende greche, da spostare sui paesi in via di sviluppo e di cui gravare settori economici fragili e poco capaci di fare lobbying), il libro assume il punto di vista delle imprese della green economy - e quello di chi ama il pianeta e gli esseri viventi – dimostrando come si possa fare della mitigazione un fattore propulsivo di innovazione, imprenditorialità, fatturato, occupazione, introiti fiscali, stabilità finanziaria, benessere e felicità individuale e collettiva.
I contributi di psicologi, sociologi, economisti e testimoni privilegiati si complementano l’un l’altro, offrendo un menù tutto da declinare per paese e per settore di emissioni, attraverso policy packages in cui inglobare questioni di interesse ulteriore. Ad esempio durante operazioni di rigenerazione urbana è possibile puntare a fare dei veri e propri nuovi ecoquartieri, dalle prestazioni ambientali eccellenti, sia sul piano degli edifici che degli spazi pubblici e della mobilità, ottenendo vantaggi di vivibilità e risparmi. (altro…)
Presentata inizialmente ad un side-event nel contesto del vertice di Copenhagen del 2009, questa raccolta di politiche economiche innovative per ridurre le emissioni si offre all’interesse dei policymaker di tutto il mondo. Il libro, oggi divenuto di 455 pagine, abbraccia in 33 incisivi e sintetici capitoli una larga varietà di politiche inconsuete, che mirano a modificare la struttura dei mercati, il comportamento d’impresa, le scelte dei consumatori, il modo con cui si prendono le decisioni. Tutto questo all’interno di un prospettiva di governance multi-livello, dal globale al locale, che contrasta l’elusione delle responsabilità e fornisce invece ruoli e strumenti attivabili a ciascun livello decisionale. Dopo aver raccolto l’elogio di Bill McKibben e di chi ha presieduto una sessione dei negoziati climatici globali (la COP9), il libro offre ad a decisori politici e cittadini impegnati informazioni e strumenti per agire per ridurre i consumi energetici e le emissioni di gas serra.
Invece di schierarsi con gli inquinatori (e considerare quindi la mitigazione come un costo, da minimizzare tramite obiettivi poco ambiziosi, da rimandare alle calende greche, da spostare sui paesi in via di sviluppo e di cui gravare settori economici fragili e poco capaci di fare lobbying), il libro assume il punto di vista delle imprese della green economy - e quello di chi ama il pianeta e gli esseri viventi – dimostrando come si possa fare della mitigazione un fattore propulsivo di innovazione, imprenditorialità, fatturato, occupazione, introiti fiscali, stabilità finanziaria, benessere e felicità individuale e collettiva.
I contributi di psicologi, sociologi, economisti e testimoni privilegiati si complementano l’un l’altro, offrendo un menù tutto da declinare per paese e per settore di emissioni, attraverso policy packages in cui inglobare questioni di interesse ulteriore. Ad esempio durante operazioni di rigenerazione urbana è possibile puntare a fare dei veri e propri nuovi ecoquartieri, dalle prestazioni ambientali eccellenti, sia sul piano degli edifici che degli spazi pubblici e della mobilità, ottenendo vantaggi di vivibilità e risparmi. (altro…) Una storia positiva?
Fra errori e imprecisioni, un breve articolo riesce a trovare una storia positiva in una “tragedia climatica di cui nessuno sembra curarsi”
Già in altri post (qui, qui e qui) abbiamo avuto modo di notare il ritardo della cultura italiana e degli “opinion leader” nel capire la portata della crisi climatica, la gravità della situazione nella sua prospettiva storica, le sue cause profonde, le implicazioni per le future generazioni. È frequente la sottovalutazione del problema, o all’opposto la sua spettacolarizzazione scandalistica, la citazione di dati sbagliati o imprecisi, l’incapacità di cogliere l’aspetto “sistemico” delle modifiche al clima e le loro conseguenze a lungo termine.
Un esempio recente è l’articolo di Loretta Napoleoni sul Venerdì di Repubblica del 12 ottobre, intitolato “In Groenlandia l’effetto serra è una manna”.
“Mentre uno stuolo di avvocati si contende lo sfruttamento del Circolo Polare Artico a nome delle cosiddette potenze “artiche”, è in Groenlandia che si intravedono i primi germogli dell’economia prodotta dal surriscaldamento della Terra. Negli ultimi 15 anni la temperatura in quest’isola nordica è salita di ben 4,5 gradi centigradi, troppo per l’industria ittica locale. Tanti, troppi pesci hanno preso la strada per il nord, tra cui i famosi gamberetti che davano da vivere ad intere comunità.”
L’aumento di temperatura i Groenlandia di 4,5 gradi in soli 15 anni è un dato sbalorditivo; è vero che la zona artica si è scaldata notevolmente e più velocemente del resto del pianeta per effetto del “amplificazione polare” del riscaldamento globale (qui i dettagli), ma un riscaldamento di 4,5 gradi in 15 anni è un dato sbagliato. (altro…)
Un esempio recente è l’articolo di Loretta Napoleoni sul Venerdì di Repubblica del 12 ottobre, intitolato “In Groenlandia l’effetto serra è una manna”.
“Mentre uno stuolo di avvocati si contende lo sfruttamento del Circolo Polare Artico a nome delle cosiddette potenze “artiche”, è in Groenlandia che si intravedono i primi germogli dell’economia prodotta dal surriscaldamento della Terra. Negli ultimi 15 anni la temperatura in quest’isola nordica è salita di ben 4,5 gradi centigradi, troppo per l’industria ittica locale. Tanti, troppi pesci hanno preso la strada per il nord, tra cui i famosi gamberetti che davano da vivere ad intere comunità.”
L’aumento di temperatura i Groenlandia di 4,5 gradi in soli 15 anni è un dato sbalorditivo; è vero che la zona artica si è scaldata notevolmente e più velocemente del resto del pianeta per effetto del “amplificazione polare” del riscaldamento globale (qui i dettagli), ma un riscaldamento di 4,5 gradi in 15 anni è un dato sbagliato. (altro…) 2012, annus horribilis del ghiaccio artico?
A cinque anni dal sorprendente minimo di estensione del ghiaccio artico del 2007, quest'anno è andata ancora peggio. Ma è stato davvero un anno eccezionale? Se si considera l'accelerazione del processo negli ultimi decenni la risposta è no, è quanto ci potevamo aspettare.
Due anni fa su Climalteranti abbiamo discusso dei preoccupanti dati del ghiaccio marino artico, e dell'ipotesi dell'Artico privo di ghiaccio estivo. Era il periodo in cui, alcuni lo ricorderanno, il gruppetto dei soliti noti cercava di far credere in un recupero dell'estensione del ghiaccio artico dopo l'annus horribilis del 2007. Era una discussione fuorviante, come se l'importante fossero i su e giù che un po' tutte le variabili climatiche mostrano.
Dopo il 2007 che ha lasciato tutti di stucco, sappiamo oggi che il fantomatico recupero non si è verificato. Non solo, ci siamo ritrovati davanti ad un annus più horribilis del precedente. Il 2012 ha battuto praticamente tutti i record negativi possibili: area, estensione, volume, a luglio ed anche a settembre, e quello della minima estensione giornaliera assoluta, e non di poco.
Vedendo questo disastro, viene da chiedersi se quanto è accaduto può essere ricondotto ad una combinazione sfortunata di condizioni meteorologiche che hanno prodotto un evento estremo. Detto in altre parole, vogliamo sapere come si colloca il 2012 nell'ambito della variabilità naturale dell'estensione del ghiaccio artico.
La procedura per questo tipo di analisi è standard, si definisce l'andamento di lungo periodo (trend) dei dati e si calcola lo scarto di ogni singolo anno da esso. Ciò che si ottiene, chiamati residui, rappresenta la variabilità climatica e possiamo valutare quanto ogni singolo anno si discosta dall'andamento medio. (altro…)
Due anni fa su Climalteranti abbiamo discusso dei preoccupanti dati del ghiaccio marino artico, e dell'ipotesi dell'Artico privo di ghiaccio estivo. Era il periodo in cui, alcuni lo ricorderanno, il gruppetto dei soliti noti cercava di far credere in un recupero dell'estensione del ghiaccio artico dopo l'annus horribilis del 2007. Era una discussione fuorviante, come se l'importante fossero i su e giù che un po' tutte le variabili climatiche mostrano.
Dopo il 2007 che ha lasciato tutti di stucco, sappiamo oggi che il fantomatico recupero non si è verificato. Non solo, ci siamo ritrovati davanti ad un annus più horribilis del precedente. Il 2012 ha battuto praticamente tutti i record negativi possibili: area, estensione, volume, a luglio ed anche a settembre, e quello della minima estensione giornaliera assoluta, e non di poco.
Vedendo questo disastro, viene da chiedersi se quanto è accaduto può essere ricondotto ad una combinazione sfortunata di condizioni meteorologiche che hanno prodotto un evento estremo. Detto in altre parole, vogliamo sapere come si colloca il 2012 nell'ambito della variabilità naturale dell'estensione del ghiaccio artico.
La procedura per questo tipo di analisi è standard, si definisce l'andamento di lungo periodo (trend) dei dati e si calcola lo scarto di ogni singolo anno da esso. Ciò che si ottiene, chiamati residui, rappresenta la variabilità climatica e possiamo valutare quanto ogni singolo anno si discosta dall'andamento medio. (altro…) Percezione dei cambiamenti climatici: questione di scienza o di psicologia?
Cittadini e politici non sembrano avere colto l’urgenza del problema. È colpa di chi comunica la scienza? Dell’ignoranza scientifica? O c’e’ dell’altro? Questo tema, già affrontato in post precedenti (qui e qui) e in altri blog, è stato oggetto di questo recente commento di Adam Corner sulla rivista Nature Climate Change.
Psicologia: cultura scientifica e opinioni sul clima
Coloro che lavorano nel settore della comunicazione dei cambiamenti climatici si trovano ad affrontare un compito non invidiabile. Nonostante la ricerca scientifica abbia ormai abbondantemente discusso le cause e le prevedibili conseguenze dei cambiamenti climatici, le emissioni di anidride carbonica continuano ad aumentare e le misure necessarie ad affrontare questo problema sono
scarse. Abbiamo bisogno di diventare più bravi a parlare di scienze del clima, a “educare” il pubblico e ad alzare la voce sulla realtà dei cambiamenti climatici? Sembrerebbe di no. Un recente studio apparso su Nature Climate Change (Kahan e colleghi) [1] dimostra che questa strategia rischia di avere una efficacia limitata. Anzi, potrebbe accrescere lo scetticismo o il disinteresse dei cittadini.
I ricercatori hanno studiato la relazione tra cultura scientifica e preoccupazione per i rischi dei cambiamenti climatici e hanno trovato un risultato non intuitivo: la rischiosità percepita e la preoccupazione non aumentano con il livello di conoscenze. Inoltre, sembra che un alto livello di cultura scientifica abbia un effetto polarizzante tra chi è predisposto, da idee sociali e politiche, a rifiutare o accettare le scienze del clima. Come è stato mostrato in alcune ricerche (qui e qui) [2,3], una visione individualistica, contraria a interferenze politiche nei processi decisionali personali o aziendali, e favorevole a forme molto strutturate di ordine sociale, rende più probabile lo scetticismo sui cambiamenti climatici. (altro…)
scarse. Abbiamo bisogno di diventare più bravi a parlare di scienze del clima, a “educare” il pubblico e ad alzare la voce sulla realtà dei cambiamenti climatici? Sembrerebbe di no. Un recente studio apparso su Nature Climate Change (Kahan e colleghi) [1] dimostra che questa strategia rischia di avere una efficacia limitata. Anzi, potrebbe accrescere lo scetticismo o il disinteresse dei cittadini.
I ricercatori hanno studiato la relazione tra cultura scientifica e preoccupazione per i rischi dei cambiamenti climatici e hanno trovato un risultato non intuitivo: la rischiosità percepita e la preoccupazione non aumentano con il livello di conoscenze. Inoltre, sembra che un alto livello di cultura scientifica abbia un effetto polarizzante tra chi è predisposto, da idee sociali e politiche, a rifiutare o accettare le scienze del clima. Come è stato mostrato in alcune ricerche (qui e qui) [2,3], una visione individualistica, contraria a interferenze politiche nei processi decisionali personali o aziendali, e favorevole a forme molto strutturate di ordine sociale, rende più probabile lo scetticismo sui cambiamenti climatici. (altro…)
Le tesi dell’inattivismo climatico – parte III: il nostro contributo è piccolo
Un altro classico del discorso inattivista sul clima consiste nel definire poco importanti le riduzioni delle emissioni italiane o europee, in quanto sarebbero solo una piccola quota delle emissioni globali. Generalmente si cita il contributo percentuale alle emissioni globali dell’Europa, altre volte quello dell’Italia, per dire che la loro riduzione darebbe scarsi benefici al clima del pianeta. Mettendo questi contributi in contrapposizione a quelli della Cina o di altri paesi. Altre volte si cita quale sarebbe la riduzione nelle temperature...
Le tesi dell’inattivismo climatico – parte II: e allora la Cina?
Una delle tesi più frequenti dell’inattivismo climatico è il riferimento ad un presunto disimpegno della Cina sulle politiche climatiche: tesi smentita dalla realtà, dato che il paese sta affrontando una drastica e complessa transizione del settore energetico e ambisce ad assumere la leadership della lotta ai cambiamenti climatici nel nuovo ordine mondiale che si sta definendo. Negli ultimi tempi ha preso piede nella retorica dell’inattivismo climatico un argomento che appare efficace, quello secondo cui la Cina continua a costruire centrali...
Le tesi dell’inattivismo climatico – parte I: gli impatti dell’energia solare e eolica
Sul sito del Corriere della Sera sono state riproposte molte tesi tipiche dell’inattivismo climatico, che hanno l’obiettivo di rallentare la transizione energetica. Pubblichiamo qui la prima parte di una serie di post che hanno l’obiettivo di confutare queste argomentazioni, partendo da quella secondo cui gli impianti di energia rinnovabile, e in particolare di solare fotovoltaica e eolica, avrebbero forti impatti ambientali, o che non sarebbero convenienti da un punto di vista ambientale. Una tesi basata su esagerazioni, distorsioni e a...
Quando la scienza si piega alla politica: il negazionismo climatico nel rapporto del Dipartimento dell’Energia USA
Il 23 luglio 2025, il Dipartimento dell’Energia (DOE) degli Stati Uniti ha pubblicato un documento intitolato A Critical Review of Impacts of Greenhouse Gas Emissions on the U.S. Climate. Il rapporto si vorrebbe proporre come una revisione critica del consenso scientifico sui cambiamenti climatici, in aperto contrasto rispetto agli esiti consolidati del Sesto Rapporto di Valutazione dell’IPCC (AR6), che rappresenta la sintesi più autorevole, completa e condivisa della letteratura scientifica sul clima. La pubblicazione del DOE è volta a sostenere...
Tira un gran brutto vento
L’Italia ha un grosso problema con l’energia eolica, ma non è quello di cui si parla di solito sui media e sui social: il problema principale dell’eolico italiano è che se ne installa troppo poco. I dati Terna dicono infatti che a maggio 2025 sono presenti in Italia solo circa 13 GW eolici, a fronte di quasi 40 GW di potenza fotovoltaica. Inoltre, il ritmo delle nuove installazioni è lentissimo rispetto alle esigenze della decarbonizzazione. Infatti, mentre tra dicembre 2023...
Diluvio, un grande romanzo sulla crisi climatica
Nel suo fortunato saggio La grande cecità, lo scrittore Amitav Ghosh aveva osservato come la letteratura contemporanea avesse ignorato o quantomeno sottovalutato il tema del cambiamento climatico. Secondo lo scrittore indiano, “Il cambiamento climatico è troppo impensabile per la nostra cultura narrativa; la sua esclusione è una delle forme di “cecità” della nostra epoca.”. Secondo Gosh, pensare alla crisi climatica come qualcosa di eccezionale, improbabile e non realistico, porta scrittori e in generale gli intellettuali a relegarla nel genere della...
La storia del clima in Italia
È da poco uscito l’ultimo libro del climatologo Luca Mercalli, una cronistoria del clima nel nostro territorio nazionale, dalla preistoria ai giorni nostri. Un racconto che unisce la scienza del clima alla storia e alla cultura del nostro paese, frutto di decenni di ricerche, ricchissimo di storie, di rimandi alle fonti e di citazioni di lavori scientifici. Un lavoro prezioso e originale, raccomandato a chiunque voglia meglio capire cosa è stato il clima che abbiamo ormai così pesantemente alterato, ed...
Il momento delle scelte: un obiettivo di riduzione del -90 al 2040 per l’Unione europea
Nelle prossime settimane il Consiglio europeo dovrà raggiungere un accordo sull’obiettivo di riduzione delle emissioni di gas serra europee nel 2040, da inserire nel terzo NDC che l’Unione europea dovrà comunicare in settembre all’UNFCCC. La precedente Commissione europea aveva nel febbraio 2024 proposto una riduzione del -90% (rispetto al 1990), sulla base di una “valutazione di impatto” (qui una valutazione dell’ European Parliamentary Research Service) e assumendo il valore inferiore dell’intervallo di riduzione raccomandato dall’ESABCC (European Scientific Advisory Board on...
Il clima come bene comune
Nel dibattito sul pontificato di Papa Francesco, recentemente scomparso, poco spazio ha ricevuto l’attivismo del Pontefice sulla questione climatica, che si è manifestato in numerosi atti. Innanzitutto la lettera enciclica Laudato Si’- sulla cura della casa comune pubblicata nel 2015, cui ha fatto seguito nel 2023 l’esortazione apostolica Laudate Deum – a tutte le persone di buona volontà sulla crisi climatica. Inoltre, col pontificato di Bergoglio, la Santa Sede è diventata parte dell’UNFCCC, ha ratificato l’Accordo di Parigi (presentando il...
L’Italia si sta allontanando dai suoi obiettivi sul clima
I dati dell’inventario nazionale delle emissioni di gas serra, da poco pubblicati da ISPRA, mostrano come per il terzo anno consecutivo l’Italia registri emissioni maggiori di quelle previste dagli impegni assunti in ambito europeo. Pur se anche nel 2023 le emissioni italiane di gas serra sono diminuite, la riduzione è ben al di sotto di quanto previsto dagli obiettivi approvati dall’Italia. Aumenta dunque la quantità di emissioni che sarà da recuperare entro il 2030, rendendo il raggiungimento dell’obiettivo sempre più...