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Archive for the 'Modelli Climatici' Category

“Sono solo un climatologo”: la portata storica del Nobel in fisica a scienziati del clima

“Il premio Nobel è il sogno di tanti scienziati, ma la reazione di Hasselmann ‘preferirei non avere il riscaldamento globale né premio Nobel’ cattura bene l’ambiguità che proviamo in molti nel prevedere con successo eventi e tendenze che non vogliamo che si avverino.” Gavin Schmidt [1].

 

 

Secondo John Wettlaufer della Yale University, la reazione di Syukuro Manabe alla notizia dell’essersi laureato Premio Nobel in fisica per il 2021 è stata di assoluta sorpresa, sottolineata dal commento: “But I’m just a climatologist! (Ma sono solo un climatologo!)”.

In questa reazione di Manabe, Premio Nobel insieme con Klaus Hasselmann e Giorgio Parisi, sta tutta la portata storica dell’assegnazione del Nobel in fisica a scienziati del clima, e si ritrova tutta la storia di una disciplina che è stata ritenuta per secoli meramente compilatoria e classificatoria [2], un discorso debole [3], una scienza dotata solo di ‘una visione descrittiva del mondo naturale[4] e che, nel XX e nel XXI secolo, ha dovuto spesso lottare contro semplificazioni e negazionismi che non la volevano ‘scienza esatta’, ossia una scienza in grado di fornire accurate modellizzazioni e previsioni sul mondo naturale. Climalteranti si è occupata della querelle sulla climatologia come ‘scienza esatta’ qui e qui.

 

I media italiani hanno giustamente trattato dell’importanza del riconoscimento per il fisico Giorgio Parisi, il cui lavoro sui sistemi complessi ha a sua volta contribuito ad una comprensione più profonda del sistema atmosfera e del sistema clima, entrambi sistemi complessi “naturali”. In questo senso, uno dei lavori più importanti di Parisi è del 1982, e tratta della risonanza stocastica nel cambiamento climatico, ossia dell’amplificazione di perturbazioni casuali connessa all’interazione di processi non lineari nel sistema climatico nel contesto di forzanti esterne ad esso [5]. Qui vorremmo soffermarci un po’ di più sui ruoli chiave di Manabe (nella foto) e di Hasselmann, meno ampiamente trattati dai mezzi di informazione in lingua italiana. Continue Reading »

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Tre tesi infondate del prof. Alimonti

Spesso riceviamo email che ci chiedono di commentare affermazioni “sospette” sul tema dei cambiamenti climatici. Il più delle volte rispondiamo che si tratta di argomenti che abbiamo già spiegato, e quindi non è utile ribadirli in un altro post. Questa volta facciamo un’eccezione.

 

Caro Comitato scientifico di Climalteranti,
in data 24 marzo 2018 ho partecipato ad un convegno sul cambiamento climatico presso l’Associazione Culturale “Il dito nell’occhio” di Milano. Il protagonista dell’incontro è stato il prof. Gianluca Alimonti che ha presentato una serie di sue analisi su temperature, modelli climatici, eventi estremi e altre questioni.
Alcune affermazioni mi hanno lasciata perplessa soprattutto per la poca risonanza con quanto sentito negli anni sugli stessi temi, quindi vorrei porvi alcune domande per avere un vostro commento su quanto mostrato durante il convegno.
Un primo punto importante riguarda l’aumento delle temperature e quanto questo sia riconducibile all’azione antropica. In pratica il professor Alimonti, mettendo insieme quanto sottolineato dall’IPCC nel documento AR5 SPM (2013) – “È estremamente probabile che l’influenza umana sia stata la causa dominante del riscaldamento osservato sin dalla metà del XX secolo” – e i valori del grafico qui a fianco, giunge alla conclusione che non ci sia nessuna certezza che l’aumento della temperatura dell’atmosfera tra il 1850 e il 1950 sia dovuto all’azione antropica. Visto questo punto il professore conclude dicendo che “Una percentuale significativa, attorno al 50%, del riscaldamento del XX secolo sembra derivare principalmente da processi naturali”. Mi chiedevo quindi: qual è la vostra opinione sul punto in questione? E soprattutto, con un aumento delle emissioni che non tenesse conto degli impegni presi a livello internazionale per limitare l’aumento delle temperature, è vero che “Se la temperatura continuasse a salire come si è osservato dalla seconda metà del XX secolo ad oggi, molto probabilmente entro la fine di questo secolo rispetteremmo l’accordo di Parigi anche in uno scenario Business As Usual (BAU)”? Continue Reading »

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Arriverà del freddo (d’inverno succede), mentre il riscaldamento globale continua

L’ondata di freddo prevista per la prossima settimana è ormai notizia diffusa su tutti i media; aldilà dei dettagli, ancora suscettibili di cambiamenti, si tratta di un caso meteorologico interessante perché mostra un orizzonte di prevedibilità molto esteso, cosa relativamente rara e più che altro osservabile nelle grandi onde di calore estivo.
Contrariamente a quanto scrivono in queste ore le due principali testate giornalistiche italiane (vedi qui e qui) nei prossimi giorni tuttavia non arriverà il “Burian” in Italia (da non confondersi comunque con “buriana”, con un significato diverso e spesso metaforico). Primo perché si scrive Buran, secondo perché il Buran è un vento delle steppe siberiane, interessa solo l’Asia e in Europa non soffia: in Italia il vento da nordest si chiama grecale, come da rosa dei venti, oppure bora, nel caso in cui entri sull’Adriatico dalle cosiddette “porte della bora” (le “strettoie” di uscita dell’altopiano a nordest dell’Adriatico). Continue Reading »

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Con quale precisione i modelli climatici hanno previsto il riscaldamento globale?

Proponiamo la traduzione dell’articolo “Analysis: How well have climate models projected global warming?” scritto da Zeke Hausfather per Carbon Brief, che ringraziamo.

 

Negli ultimi quarant’anni gli scienziati hanno realizzato proiezioni del riscaldamento globale futuro usando modelli climatici di crescente complessità, basati sulla fisica dell’atmosfera e sulla biogeochimica. Sono strumenti fondamentali per capire i processi in atto nel sistema climatico terrestre e come potrà verosimilmente cambiare in futuro.                                                                    

Carbon Brief ha passato in rassegna i modelli climatici che sono stati sviluppati a partire dal 1973 per confrontare le loro proiezioni della temperatura futura con le simulazioni della temperatura del passato fatte dai modelli più recenti e con i dati di temperatura globale effettivamente misurata sulla terra, come mostrato nell’animazione sottostante. 

Un post condiviso da Carbon Brief (@carbonbrief) in data:

Benché alcuni modelli avessero sottostimato e altri sovrastimato il riscaldamento effettivamente avvenuto, tutti quelli presi in esame hanno riprodotto con buona approssimazione un incremento della temperatura superficiale tra il 1970 e il 2016, soprattutto se si tiene conto delle differenze nelle emissioni ipotizzate nei diversi modelli.

 

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Una risposta alla domanda che assilla il Prof. Zichichi

Mail ZichichiIn data 24 luglio abbiamo ricevuto una mail dal Prof. Antonino Zichichi, mail inviata anche presumibilmente agli scienziati firmatari della (strana) petizione “contro le eco-bufale” (spiegata in questo post) e agli altri autori della richiesta di chiarimenti (riportata in questo post).

Nella mail il prof. Zichichi propone la seguente domanda ai 37 firmatari: “Per concludere che è l’attività umana che cambia il clima devi avere un modello matematico in grado di sostenere la tua conclusione. Quanti parametri liberi sono presenti nel tuo modello?

Questa domanda è contenuta in un documento di 6 pagine di testo e 5 figure, intitolato “Evoluzione del clima ed evoluzione delle forze fondamentali” in cui il Prof. Zichichi illustra le sue ragioni (disponibile qui).

 

Riportiamo qui sotto la mail di risposta che abbiamo inviato al Prof. Zichichi.

 

Gent. Prof. Zichichi,

abbiamo ricevuto la sua mail con la domanda sul numero di parametri presenti nei modelli, questione che Lei ha già posto innumerevoli volte. Le rispondiamo sperando di aiutarla a capire questo punto, che fra l’altro non è certo tra i più complessi della scienza del clima.

I modelli climatici hanno molti parametri, come inevitabile per modelli che descrivono un sistema complesso come è il clima del pianeta. Sono parametri di numerose equazioni diverse che insieme concorrono a definire le varie componenti del sistema climatico. La presenza di tanti parametri ed equazioni è comune a molti modelli complessi, applicati in tanti altri settori, come i modelli che governano il funzionamento degli aerei o la regolazione delle dighe. Si tratta di modelli sviluppati da almeno 4 decenni di una grande ricerca scientifica, condotta in decine di diversi centri di ricerca, da migliaia di studiosi.

 

I modelli sono cresciuti molto in termini di complessità (una descrizione della loro evoluzione è contenuta nel capitolo 1 del Quinto Rapporto sul Clima (AR5) dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) – primo gruppo di lavoro “Working Group I Contribution to the IPCC Fifth Assessment Report Climate Change 2013: The Physical Science Basis”, disponibile qui, da qui è tratta la figura a fianco) e l’attività, per la taratura e valutazione dei loro risultati  ha  occupato una larga parte dell’attività degli scienziati.

L’IPCC, che effettua una raccolta e revisione della principale letteratura scientifica peer-reviewed nei vari campi della scienza climatica, ha dedicato nell’ultimo rapporto AR5, sempre nel volume del primo gruppo di lavoro, un intero capitolo a questo tema, intitolato “Evaluation of Climate Models”: 126 fitte pagine contenente 6 tabelle e 47 figure, con circa 1150 riferimenti a pubblicazioni scientifiche, in cui vengono date risposte a molti temi complessi relativi al funzionamento dei modelli climatici.

Mentre la lettura e comprensione di queste pagine richiede competenze sulla climatologia e la modellistica dei sistemi fisici e naturali, le segnaliamo che un Box presente nel capitolo, “Box 9.1 – Climate Model Development and Tuning” (pag. 749 qui) è stato scritto con un linguaggio divulgativo per rispondere alle domande semplici come quella che Lei ha posto.

Le riportiamo qui il testo di questo Box:

 

“Box 9.1 | Climate Model Development and Tuning

 

The Atmosphere–Ocean General Circulation Models, Earth System Models and Regional Climate Models evaluated here are based on fundamental laws of nature (e.g., energy, mass and momentum conservation). The development of climate models involves several principal steps:

  1. Expressing the system’s physical laws in mathematical terms. This requires theoretical and observational work in deriving and simplifying mathematical expressions that best describe the system.
  2. Implementing these mathematical expressions on a computer. This requires developing numerical methods that allow the solution of the discretized mathematical expressions, usually implemented on some form of grid such as the latitude–longitude–height grid for atmospheric or oceanic models.
  3. Building and implementing conceptual models (usually referred to as parameterizations) for those processes that cannot be represented explicitly, either because of their complexity (e.g., biochemical processes in vegetation) or because the spatial and/or temporal scales on which they occur are not resolved by the discretized model equations (e.g., cloud processes and turbulence). The development of parameterizations has become very complex (e.g., Jakob, 2010) and is often achieved by developing conceptual models of the process of interest in isolation using observations and comprehensive process models. The complexity of each process representation is constrained by observations, computational resources and current knowledge (e.g., Randall et al., 2007).

 

The application of state-of-the-art climate models requires significant supercomputing resources. Limitations in those resources lead to additional constraints. Even when using the most powerful computers, compromises need to be made in three main areas:

  1. Numerical implementations allow for a choice of grid spacing and time step, usually referred to as ‘model resolution’. Higher model resolution generally leads to mathematically more accurate models (although not necessarily more reliable simulations) but also to higher computational costs. The finite resolution of climate models implies that the effects of certain processes must be represented through parameterizations (e.g., the carbon cycle or cloud and precipitation processes; see Chapters 6 and 7).
  2. The climate system contains many processes, the relative importance of which varies with the time scale of interest (e.g., the carbon cycle). Hence compromises to include or exclude certain processes or components in a model must be made, recognizing that an increase in complexity generally leads to an increase in computational cost (Hurrell et al., 2009).
  3. Owing to uncertainties in the model formulation and the initial state, any individual simulation represents only one of the possible pathways the climate system might follow. To allow some evaluation of these uncertainties, it is necessary to carry out a number of simulations either with several models or by using an ensemble of simulations with a single model, both of which increase computational cost.

 

Trade-offs amongst the various considerations outlined above are guided by the intended model application and lead to the several classes of models introduced in Section 9.1.2.

 

Individual model components (e.g., the atmosphere, the ocean, etc.) are typically first evaluated in isolation as part of the model development process. For instance, the atmospheric component can be evaluated by prescribing sea surface temperature (SST) (Gates et al., 1999) or the ocean and land components by prescribing atmospheric conditions (Barnier et al., 2006; Griffies et al., 2009). Subsequently, the various components are assembled into a comprehensive model, which then undergoes a systematic evaluation. At this stage, a small subset of model parameters remains to be adjusted so that the model adheres to large-scale observational constraints (often global averages).

This final parameter adjustment procedure is usually referred to as ‘model tuning’. Model tuning aims to match observed climate system behaviour and so is connected to judgements as to what constitutes a skilful representation of the Earth’s climate. For instance, maintaining the global mean top of the atmosphere (TOA) energy balance in a simulation of pre-industrial climate is essential to prevent the climate system from drifting to an unrealistic state. The models used in this report almost universally contain adjustments to parameters in their treatment of clouds to fulfil this important constraint of the climate system (Watanabe et al., 2010; Donner et al., 2011; Gent et al., 2011; Golaz et al., 2011; Martin et al., 2011; Hazeleger et al., 2012; Mauritsen et al., 2012; Hourdin et al., 2013).

 

With very few exceptions (Mauritsen et al., 2012; Hourdin et al., 2013) modelling centres do not routinely describe in detail how they tune their models. Therefore the complete list of observational constraints toward which a particular model is tuned is generally not available. However, it is clear that tuning involves trade-offs; this keeps the number of constraints that can be used small and usually focuses on global mean measures related to budgets of energy, mass and momentum. It has been shown for at least one model that the tuning process does not necessarily lead to a single, unique set of parameters for a given model, but that different combinations of parameters can yield equally plausible models (Mauritsen et al., 2012). Hence the need for model tuning may increase model uncertainty. There have been recent efforts to develop systematic parameter optimization methods, but owing to model complexity they cannot yet be applied to fully coupled climate models (Neelin et al., 2010).

 

Model tuning directly influences the evaluation of climate models, as the quantities that are tuned cannot be used in model evaluation. Quantities closely related to those tuned will provide only weak tests of model performance. Nonetheless, by focusing on those quantities not generally involved in model tuning while discounting metrics clearly related to it, it is possible to gain insight into model performance. Model quality is tested most rigorously through the concurrent use of many model quantities, evaluation techniques, and performance metrics that together cover a wide range of emergent (or un-tuned) model behaviour. The requirement for model tuning raises the question of whether climate models are reliable for future climate projections. Models are not tuned to match a particular future; they are tuned to reproduce a small subset of global mean observationally based constraints. What emerges is that the models that plausibly reproduce the past, universally display significant warming under increasing greenhouse gas concentrations, consistent with our physical understanding.”

 

Speriamo che questo testo le possa essere d’aiuto per trovare la risposta alla sua domanda; le suggeriamo comunque di leggere l’intero capitolo per ulteriori dettagli.

 

Riguardo al testo che ci ha inviato, dobbiamo ammettere di averlo trovato davvero poco comprensibile e poco congruente con la domanda da Lei stesso posta. Nella parte iniziale abbiamo infatti rilevato diverse affermazioni senza fondamento ed errori basilari di comprensione della scienza del clima (ad esempio quella secondo cui le difficoltà nello studio del clima non sarebbero mai menzionate), errori che del resto hanno caratterizzato la quasi totalità dei suoi scritti sul tema del cambiamento climatico che abbiamo potuto leggere negli ultimi 15 anni.

 

La invitiamo quindi ad approfondire un minimo la scienza del clima, prima di esprimersi sui mezzi di comunicazione.

Infine, la invitiamo ad essere più rispettoso del lavoro dei molti studiosi, anche italiani, che con passione e serietà lavorano per migliorare giorno dopo giorno gli strumenti più adeguati che oggi abbiamo a disposizione per capire l’evoluzione dell’interferenza umana con il clima del pianeta.

 

Distinti saluti

 

Ugo Bardi, Università di Firenze

Daniele Bocchiola, Politecnico di Milano

Stefano Caserini, Politecnico Milano

Claudio Cassardo, Università di Torino

Sergio Castellari, Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia

Claudio Della Volpe, Università di Trento

Gabriele Messori, Stockholms Universitet

Elisa Palazzi, Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima (ISAC-CNR)

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Le risposte degli scienziati – seconda parte: l’affidabilità dei modelli climatici

Pubblichiamo la seconda parte della traduzione del post di Climate Feedback con le risposte degli scienziati ad alcune affermazioni avvenute nell’audizione presso lo presso lo U.S. House Committee on Science, Space, and Technology, che si è tenuta lo scorso 29 marzo, sul tema Climate Science: Assumptions, Policy Implications, and the Scientific Method.
Le citazioni tratte dall’audizione sono indicate in corsivo fra parentesi quadre, e per ognuna è indicato l’autore. Seguono le risposte rilasciate da scienziati. L’elenco completo dei commenti è disponibile qui.

 

[…Dimostro che il consenso dei modelli è ben lontano da superare il test del confronto con il mondo reale.]

John Christy

 

Victor Venema, Scientist, University of Bonn, Germany:

Da anni, Christy mostra questo grafico (riportato qui a fianco, ndr) sul suo blog e durante audizioni al Congresso. Se fosse un risultato valido, sarebbe scientificamente interessante. Tuttavia, in tutti questi anni Christy non ha mai pubblicato un articolo scientifico basato sulle sue affermazioni, e diversi scienziati hanno dovuto analizzare attentamente il grafico per capire come è stato generato.

Una cosa chiara è che, a causa della media sui 5 anni, il forte riscaldamento degli ultimi tre anni non compare. Inoltre, la media tra i dataset dei palloni sonda e quelli satellitari azzera le ampie incertezze delle osservazioni. Non è molto corretto allineare misurazioni e modelli scegliendo un solo anno particolarmente caldo; per ridurre l’influenza di queste scelte arbitrarie, gli scienziati di solito usano periodi più lunghi. Questo post di RealClimate discute parecchi di questi problemi, ma sfortunatamente Christy non ne ha tenuto conto e non ha corretto il grafico. Continue Reading »

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Il clima futuro in Italia

Le proiezioni dei modelli climatici sull’Italia indicano per i prossimi decenni un netto aumento dei valori medi e degli estremi delle temperature; per la tendenza alla diminuzione delle precipitazioni e alla progressiva concentrazione delle stesse in eventi più intensi, i margini di incertezza sono più ampi.

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L’osservazione delle variazioni climatiche del passato recente e in corso e la stima di quelle future costituiscono il presupposto indispensabile alla valutazione degli impatti e alla definizione delle strategie e dei piani di adattamento ai cambiamenti climatici. Se la conoscenza delle variazioni del clima passato e presente si fonda sulle osservazioni e sull’applicazioni di metodi e modelli statistici di riconoscimento e stima dei trend, quella del clima futuro si basa essenzialmente sulle proiezioni dei modelli climatici.

Per rispondere alla domanda “Quali cambiamenti climatici interesseranno l’Italia nel corso del XXI secolo?” occorre dunque fare riferimento alle attività di ricerca attraverso le quali vengono presentati i risultati dei modelli climatici che riguardano l’area del Mediterraneo e in particolare il nostro Paese. Un esempio recente di questo tipo è rappresentato dall’articolo di Zollo et al. (2015). Nel rapporto dell’ISPRA “Il clima futuro in Italia: analisi delle proiezioni dei modelli regionali”, pubblicato nel mese di giugno di quest’anno insieme alla X edizione del rapporto annuale “Gli indicatori del clima in Italia”, le proiezioni dei modelli climatici sull’Italia vengono invece analizzate e presentate dal punto di vista di un utente primario, piuttosto che di un produttore delle proiezioni stesse. Si è voluto cioè analizzare e confrontare i risultati più aggiornati prodotti da diversi modelli ed esporre in sintesi non solo le stime ma anche gli elementi di incertezza sul clima futuro in Italia. E’ intenzione degli autori anche contribuire a gettare un ponte tra la comunità scientifica che sviluppa e applica i modelli climatici e alcune categorie di utenti finali (decisori politici, stakeholders). Continue Reading »

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Svanita la presunta pausa del riscaldamento globale

Proponiamo la traduzione del post pubblicato su Realclimate da Gavin Schmidt, direttore del GISS-NASA, sulle correzioni nel database della NOAA.

 

In un recente articolo apparso su Science, Karl et al. hanno descritto l’impatto di due aggiornamenti significativi apportati alla serie di temperature globali della NOAA- NCEI (nata NCDC). Questi riguardano

1) l’adozione dell’ultima versione del data set ERSST (Extended Reconstructed Sea Surface Temperature) per le temperature oceaniche, che corregge una serie di errori presenti nelle versioni precedenti,

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Cambiamento climatico e sicurezza alimentare. 2) Il bacino dell’ Indrawati, Himalaya.

Il cambiamento climatico può impattare la produzione agricola ed il consumo d’acqua sul pianeta, mettendo a rischio la sicurezza alimentare. Si mostra qui il secondo di due casi di studio esemplari in Europa ed Asia, dove le modifiche del clima futuro potranno portare ad effetti rilevanti sulla produzione agricola e sul consumo di acqua nella prima metà del secolo.

 

Nonostante la grande distanza e le differenza climatiche e topografiche, una potenziale evoluzione comune unisce Europa ed Asia, ed il cambiamento climatico potrebbe giocare un ruolo fondamentale.

Palazzoli et al. (2014;in review) hanno studiato l’impatto di potenziali cambiamenti climatici sull’agricoltura non irrigua nel bacino del fiume Indrawati, Nepal (Figura 1), utilizzando il modello SWAT. Il fiume ha origine nella fascia nevosa dell’Himalaya (a 5854 m slm) ed il territorio presenta una conformazione montuosa, con qualche zona pianeggiante in cui viene svolta l’attività agricola. Cereali come il riso, grano (frumento), il mais e il miglio sono le colture predominanti e l’economia agricola si base sulla vendita del raccolto (cash crop). Il riso è la coltura principale della regione, ma anche la coltivazione di frumento e mais è diffusa nel territorio. La complessa topografia del Nepal lo rende suscettibile agli effetti del cambiamento climatico, a fronte anche di una scarsa capacità di adattamento (Bhatt et al., 2013). Secondo studi recenti (WWF, 2012) il bacino dell’Indrawati si può considerare un’area povera in termini idrici, con rilevanti difficoltà di accesso all’acqua per via della topografia complessa e delle scarse politiche di supporto del governo. L’indice di povertà idrica, atto a misurare la possibilità di accesso all’acqua è valutato in quest’area pari a WPI = 52.5/100, mediamente povero. A titolo di esempio, secondo studi specifici condotti a livello nazionale su 147 paesi (Lawrence et al., 2002), valori estremi (massimo, minimo) dell’indice WPI sono stati valutati per la Finlandia (WPI = 77) ed Haiti (WPI = 35). L’Italia (WPI = 61) è classificata al 52° posto, mentre il Nepal (WPI = 54) è all’89° posto. Continue Reading »

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Perché le precipitazioni saranno più intense nella regione Euro-Mediterranea

Nel precedente post abbiamo visto come nella zona Euro-Mediterranea i modelli utilizzati da numerosi centri di ricerca prevedono in uno scenario ad alte emissioni l’aumento della frequenza e entità degli eventi di precipitazioni molto intense, rappresentate dallo “stiramento” della coda della distribuzione della precipitazione.

Questa proiezioni sono consistenti con l’aumento della capacità dell’atmosfera di trattenere acqua, definito dall’equazione di Clausius–Clapeyron. Questa relazione permette di stabilire la quantità di acqua che può essere presente in un volume d’aria in funzione dal valore di temperatura, ed  è particolarmente rilevante per gli eventi intensi di precipitazione (Tebaldi et al. 2006, Giorgi et al. 2011), quelli che più di tutti tendono a svuotare la colonna d’acqua disponibile in atmosfera (Allen and Ingram 2002, Allan and Soden 2008). Secondo l’equazione di Clausius-Clapeyron, per ogni aumento di temperatura di 1oC, l’atmosfera aumenta la propria capacità di trattenere acqua del 7%.

Nel lavoro presentato nel precedente post, la differenza tra il 99mo percentile ed il 90mo percentile  (99p-90p) della precipitazione giornaliera ottenuta dalle simulazioni CMIP5 viene utilizzata per quantificare le potenziali variazioni nella larghezza della parte destra della distribuzione di precipitazione (ovvero del range di valori che possono essere attribuiti ad un evento di precipitazione intensa) in uno scenario di clima futuro per la fine del ventunesimo secolo. Continue Reading »

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In futuro precipitazioni più intense nella regione Euro-Mediterranea

Secondo i modelli matematici, nella regione Euro-Mediterranea col procedere del surriscaldamento globale in un potenziale scenario ad alte emissioni aumenterà l’intensità delle precipitazioni e la frequenza degli eventi di precipitazioni molto intense.

 

In un lavoro pubblicato sulla rivista Journal of Climate, con alcuni colleghi ho studiato come possono variare gli eventi di precipitazione intensa in un clima più caldo sulla regione Euro-Mediterranea.

La ricerca ha utilizzato i risultati ottenuti da 20 modelli climatici (vedi elenco in appendice in fondo al post) partecipanti al quinto Coupled Model Intercomparison Project (CMIP5, Meehl  and Bony 2012, Taylor et al. 2012), gli stessi modelli utilizzati nella stesura del quinto Assessment Report (AR5) dell’IPCC.

I cambiamenti associati alle precipitazioni intense sono stati valutati mediante il confronto dei risultati ottenuti durante l’ultimo quarantennio del ventunesimo secolo (2061-2100) e il periodo storico (1966-2005) assumendo come scenario di clima futuro l’RCP8.5 (Representative Concentration Pathway 8.5), Riahi et al. 2011). Continue Reading »

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Il clima fra Italia e Corea

Il prossimo 22 maggio si svolgerà a Seoul, presso la Ewha Womans University (chi vuole saperne di più sulle università femminili in Corea, legga qui), il Korea-Italy Symposium on Global Climate Change, organizzato congiuntamente dall’ Ufficio di Scienza e Tecnologia dell’Ambasciata Italiana in Corea, diretto dal Dr. Antonino Tata,e dalla sopraccitata università. L’edizione del 2012 fa seguito ad altre due iniziative analoghe svoltesi nel 2007 a Seoul e l’anno successivo a Torino.
Un gruppo di studiosi coreani e italiani discuteranno congiuntamente la questione del cambiamento climatico globale, da un punto di vista multidisciplinare, in modo da offrire un’istantanea delle percezioni coreane e italiane su come il cambiamento climatico stia interessando entrambi i Paesi. Nello stesso tempo, si tenterà di valutare gli sforzi e le azioni intrapresi dai due paesi nel quadro dei programmi del Protocollo di post-2012/Kyoto.
La partecipazione italiana prevede tre membri del comitato scientifico di Climalteranti.it: Alessio Bellucci, Stefano Caserini e Claudio Cassardo.
Alessio Bellucci terrà una relazione sulle proiezioni climatiche su scale decennali. Stefano Caserini illustrerà l’utilizzo degli inventari emissioni per identificare sinergie e punti di conflitto nelle politiche sul clima e sulla qualità dell’aria, di cui si dirà in prossimi post.
Claudio Cassardo presenterà una comunicazione dal titolo “La variabilità climatica e il bilancio energetico/idrologico: il caso delle Alpi”, in seguito brevemente riassunta. Continue Reading »

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Dalla ricerca alla politica e ritorno

Nella seconda parte dell’intervista con Climalteranti, Gavin Schmidt parla dei vari interlocutori nella “conversazione pubblica” sul clima ed esprime un desiderio proprio mentre il suo governo sta per esaudirlo.

I negazionisti dei cambiamenti climatici non trovano più argomenti nuovi, che siano in difficoltà?

Non trovano argomenti nuovi da decenni! Ma il negazionismo (denial) è un atteggiamento pubblico molto legato al contesto politico. Se un partito politico pensa di guadagnarci qualcosa incitandolo, ritornerà. Non se ne va perché la razionalità prevale e la gente cambia opinione. C’è sempre, e l’attenzione che riceve da parte del pubblico dipende soprattutto dai protagonisti della conversazione pubblica, se si concentrano o meno su  questo tema. In Europa, in generale non lo fanno, quindi il problema si pone meno. Negli Stati Uniti abbiamo un partito di cui una metà ha deciso che il tema dei cambiamenti climatici va usato contro le élite liberali, contro Obama, adesso contro le tasse, contro qualunque cosa. Non perché abbia preso in considerazione la scienza e ne abbia tratto le proprie conclusioni. No, fa parte di un discorso preconfezionato. Continue Reading »

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La scienza del clima è un sforzo cooperativo

… e per questo è così entusiasmante, dice Gavin Schmidt  in un’intervista in esclusiva a Climalteranti a Venezia il 29 marzo,  in occasione della conferenza “Communicating climate change issues”.
Il video della prima parte dell’intervista è disponibile qui, in seguito la traduzione a cura di Sylvie Coyaud.

Chissà se esiste uno scienziato del clima laureato in scienze del clima. Lei in che cosa si è laureato?
Ho studiato matematica a Oxford, il mio dottorato era in matematica applicata alla dinamica dei fluidi, vagamente associata agli oceani. Poi da post-doc, ho cominciato a interessarmi al clima.

Come mai?

Era dove c’erano le domande più interessanti. C’è un sacco di complessità nella scienza del clima. Con i problemi di matematica, ci si può arrangiare con le medie, postulare “poniamo una mucca sferica”…

Questa è fisica!

Vale anche in matematica. Ma davanti a problemi reali, se vuole trovare delle risposte rilevanti per il mondo reale, non basta presumere che tutte le complessità scompariranno. Deve affrontare le complessità, vuol dire che deve occuparsi di questioni vere, tener conto anche di piccoli dettagli, e questo vuol dire che non sarà facile trovare una risposta. Non potrà semplicemente scrivere  equazioni e risolverle, che è quello che un matematico fa. Quando diventa uno scienziato del clima, o quando si occupa di qualcosa di più complesso, deve accettarne la complessità, usare metodi diversi, pensare in modo diverso. E’ più interessante, ed è anche più nell’interesse degli altri. Continue Reading »

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Riscaldamento globale e contenuto di calore degli oceani

Traduciamo un post di Gavin Schmidt, su Real Climate, che spiega perché il riscaldamento degli oceani è una buona misura dello squilibrio energetico del pianeta, e un utile complemento alle serie storiche delle temperature alla superficie.

Noi di Real Climate abbiamo trattato l’argomento diverse volte, per esempio nel 2005, 2008 e 2010 [Su Climalteranti avevamo segnalato qui tre post sul tema di Antonello Pasini, ndt]. Tuttavia, negli ultimi mesi sono usciti diversi nuovi articoli su questo legame, che forniscono alcune interessanti prospettive sull’argomento che di certo rimarrà di attualità ora che i modelli in CMIP5 cominciano ad essere analizzati.

L’articolo più recente è stato un nuovo studio, pubblicato dal NCAR a fine settembre, che esaminava cosa succede nei modelli climatici all’OHC, quando si verificano occasionali periodi di 10 anni senza trend nelle temperature superficiali globali [Meehl et al, 2011].

E’ noto – o almeno dovrebbe esserlo – che le simulazioni della fine del 20° secolo e dell’inizio del 21° non producono incrementi termici monotònici a scala temporale annuale o decennale. Continue Reading »

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