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Archive for the 'Oceani' Category

LA CIRCOLAZIONE ATLANTICA STA RAGGIUNGENDO UN PUNTO DI NON RITORNO?

Pubblichiamo la traduzione dell’articolo “Is the Atlantic Overturning Circulation Approaching a Tipping Point?” scritto dall’oceanografo e climatologo Stefan Rahmstorf sulla rivista Oceanography, un magistrale riassunto di come si è arrivati alla chiara comprensione dell’esistenza di un gravissimo rischio legato al superamento del punto di non ritorno che potrebbe portale al collasso della circolazione termoalina.

 

 

Riassunto

La grande corrente marina AMOC (Atlantic Meridional Overturning Circulation, in italiano capovolgimento meridionale della circolazione atlantica, ndt) ha un impatto importante sul clima, non solo nell’Atlantico settentrionale ma anche a livello globale. I dati paleoclimatici mostrano che in passato la corrente è stata instabile, portando alcuni tra i cambiamenti climatici più eclatanti e improvvisi oggi conosciuti. Queste instabilità dell’Amoc sono dovute a due diversi tipi di punti di non ritorno, uno legato a un meccanismo di feedback positivo associato al trasporto a grande scala di sale, e l’altro alla convezione profonda e al relativo rimescolamento delle masse d’acqua. Questi punti di non ritorno presentano un grave rischio di cambiamento repentino della circolazione oceanica e del clima, proprio mentre stiamo spingendo il nostro pianeta sempre più fuori dal clima stabile dell’Olocene, verso acque inesplorate.

 

Introduzione

Nel 1751 il capitano di una nave negriera inglese fece una scoperta storica. Durante la navigazione alla latitudine di 25° Nord nell’Oceano Atlantico settentrionale subtropicale, il capitano Henry Ellis calò un «misuratore marino a secchiello», ideato e fornitogli dal reverendo britannico Stephen Hales, oltre le calde acque superficiali in profondità. Per mezzo di una lunga fune e di un sistema di valvole si poteva portare sul ponte l’acqua da varie profondità e leggerne la temperatura tramite un termometro incorporato. Con sua sorpresa, il capitano Ellis scoprì Continue Reading »

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La circolazione oceanica dell’Atlantico e il sistema della Corrente del Golfo si stanno avvicinando ad un punto di non-ritorno

Pubblichiamo la traduzione del post scritto per Realclimate dell’oceanografo e climatologo Stefan Rahmstorf, “New study suggests the Atlantic overturning circulation AMOC “is on tipping course”. Il termine AMOC, Atlantic Meridional Overturning Circulation, in italiano capovolgimento meridionale della circolazione atlantica, è il termine scientifico per indicare l’intera circolazione oceanica che trasporta acqua e calore verso nord, e di cui una parte è la ben nota “Corrente del golfo”. Lo studio appena pubblicato, che si aggiunge ad altri usciti nei mesi scorsi, indica un rischio di gravissimo sconvolgimento del clima europeo come feedback del surriscaldamento indotto dalle attività umane.

 

Un nuovo lavoro è stato pubblicato oggi in Science Advances. Il suo titolo è esplicativo: “Segnali precoci osservabili e basati sulla fisica del sistema dicono che AMOC si avvia ad un punto di non-ritorno”. Lo studio fa seguito ad un altro scritto da colleghi danesi nello scorso luglio, che allo stesso modo indagava i segnali precoci di un punto di svolta dell’AMOC (ne abbiamo parlato qui) ma usando metodi e dati diversi.

Il nuovo lavoro di van Westen et al. è un avanzamento importante nella conoscenza della stabilità dell’AMOC, e viene da quello che considero un centro leader negli studi di stabilità dell’AMOC, Utrecht, Paesi Bassi (alcuni dei loro contributi, sviluppati negli ultimi 20 anni, sono nella lista dei lavori di riferimento, con autori come Henk Dijkstra, René van Westen, Nanne Weber, Sybren Drijfhout ed altri.)

L’articolo è il risultato di un importante sforzo computazionale, basato sull’esecuzione di un modello climatico all’avanguardia (il modello CESM con risoluzione orizzontale di 1° per la componente oceano/ghiaccio marino e 2° per la componente atmosfera/terra), per 4.400 anni di simulazione modellistica. Ci sono voluti 6 mesi per farlo funzionare sui 1.024 core della struttura di supercalcolo olandese, il più grande sistema nei Paesi Bassi in termini di calcolo ad alte prestazioni.

Si tratta del primo tentativo sistematico di trovare il punto di non ritorno dell’AMOC in un modello climatico globale accoppiato oceano-atmosfera di buona risoluzione spaziale, utilizzando l’approccio di quasi-equilibrio che ho sperimentato nel 1995 con un modello con solo la componente oceanica, con  risoluzione relativamente bassa, data la limitata potenza di calcolo disponibile 30 anni fa.

Se non avete familiarità con le questioni riguardanti il rischio di bruschi cambiamenti della circolazione oceanica, Continue Reading »

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Oceani – Una storia profonda

È uscito in questi giorni “Oceani – Una storia profonda” (Edizioni Ambiente), l’edizione italiana del libro del paleoceanografo Eelco J. Rohling. Un libro importante per chi vuole capire il ruolo fondamentale degli oceani nel plasmare il clima del nostro pianeta. Un libro per chi ama la scienza, e il mare.

 

Spesso quando parliamo di surriscaldamento globale e degli impatti dei cambiamenti climatici ci occupiamo di ondate di calore, precipitazioni intense, incendi, alluvioni. Ci occupiamo dell’atmosfera e del mondo fisico che più direttamente ci circonda. Questo è comprensibile, legittimo, inevitabile, perché tutti noi viviamo l’atmosfera, siamo campati per aria. In questo modo però ci perdiamo una parte importante del problema del cambiamento climatico, che ha a che fare con il mare, gli oceani che occupano circa il 70% della superficie del nostro pianeta, e sono uno dei fattori chiave nel determinarne il clima.

Gli oceani sono una parte fondamentale del ciclo del carbonio (assorbono circa il 30% delle emissioni di CO2 annue) e del bilancio energetico terrestre: pochi sanno che gli oceani hanno assorbito circa il 90% dell’energia che si è accumulata nel sistema energetico terrestre a causa dell’aumento dei gas serra antropici (si veda questa figura del AR5-WG1).

Grande attenzione c’è stata su quanto i livelli di CO2 attuali siano sicuramente maggiori di quelli degli ultimi 800.000 anni, e probabilmente degli ultimi 2-3 milioni di anni. Analogamente, molto si è discusso su quanto il riscaldamento attuale sia anomalo rispetto a quello dei secoli passati, e molti studi sono stati fatti per dimostrare quanto sia anomalo anche rispetto all’Olocene, l’era geologica che ha visto lo sviluppo della civiltà umana. Minore interesse c’è stato per le variazioni che hanno subito gli oceani, per capirne i motivi e metterle in prospettiva. Ad esempio, poco si discute degli impatti dell’acidificazione degli oceani, il “gemello cattivo del riscaldamento globale”, di quanto sia grave l’acidificazione già avvenuta e se sia possibile porvi rimedio.  

Un esempio: nel cap. 3.3.10 del Rapporto Speciale IPCC su 1,5°C di riscaldamento globale si scrive che «Il pH oceanico è diminuito di 0,1 unità dal periodo preindustriale, una variazione che non ha precedenti negli ultimi 65 milioni di anni (alta confidenza) o anche negli ultimi 300 milioni di anni di storia della Terra (media confidenza)». Ora, come è possibile che mentre circa 3 milioni di anni fa c’era in atmosfera più CO2 di oggi (si veda la fig. 5.2 IPCC AR5-WG1), per trovare un mare più acido di oggi bisogna risalire a più di 65 milioni di anni fa, e forse a 300 milioni di anni fa? Continue Reading »

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Prove più salde di una Circolazione nord-atlantica più debole

Pubblichiamo la traduzione di un post su RealClimate di Stefan Rahmstorf, oceanografo del Potsdam Institute for Climate Impact Research, che riassume le recenti pubblicazioni che portano evidenze più robuste di una più debole Circolazione atlantica con inversione meridionale. 

 

Con due studi su Nature, l’indebolimento del Sistema della Corrente del Golfo è tornato nei titoli delle notizie scientifiche. Erano uscite pubblicazioni interessanti anche prima, per cui è proprio ora di fare il punto della situazione.
Iniziamo da Nature dell’11 aprile, che oltre ai due nuovi studi (a uno dei quali ho partecipato) comprende un commento nella sezione News&Views. Tutto ruota attorno alla domanda “Il Sistema della Corrente del Golfo sta già rallentando?”.
I modelli climatici indicano che questa sarà una delle conseguenze del riscaldamento globale, insieme ad altri problemi quali l’innalzamento del livello del mare, l’aumento delle ondate di calore, dei periodi di siccità e di eventi di precipitazione estremi; ma questo rallentamento è già in corso? La risposta è tutt’altro che scontata.
La Circolazione atlantica con inversione meridionale (Atlantic Meridional Overturning Circulation, AMOC in inglese, vedi la nota 1 in fondo), detto anche Sistema della Corrente del Golfo, è un enorme sistema tridimensionale di flussi attraverso l’intero oceano Atlantico che varia secondo diverse scale temporali, ragione per cui non basta affatto immergere un misuratore di corrente nell’acqua in uno o due punti. Continue Reading »

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Capire il clima che cambia: le teleconnessioni NAO e El Niño

In questa scheda sono spiegati due fenomeni di importanza basilare per il cambiamento climatico globale, l’oscillazione nord atlantica (NAO) e El Niño (ENSO), che influiscono pesantemente sull’andamento delle temperature annuali in molte parti del pianeta, fra cui l’Italia.

 

Con il termine teleconnessioni atmosferiche, nelle scienze dell’atmosfera, ci si riferisce a “pattern” atmosferici, ovvero degli schemi di circolazione atmosferici (altrimenti detti modi di variabilità) a bassa, media e alta frequenza. Esse sono dunque espressione di parte della variabilità meteorologica e in alcuni casi anche di variabilità climatica cui assistiamo.

La teleconnessione più emblematica è quella nota come ENSO, o più popolarmente El Niño: essa riguarda la temperatura superficiale del mare nell’oceano Pacifico equatoriale, ma ha ripercussioni climatiche un po’ su tutto il globo. Inoltre, essa è anche stata la prima ad essere rilevata, storicamente, fin dal 19° secolo. Nell’ultimo trentennio, la diffusione dei modelli meteoclimatici e la necessità di dover predisporre degli archivi su tutto il globo delle variabili meteorologiche ed anche di quelle relative alla superficie terrestre hanno favorito la scoperta o consentito di postularne le basi teoriche per tutta una serie di altre teleconnessioni. Tra esse, una di quelle che hanno un peso non indifferente nell’andamento meteorologico alle latitudini europee è la North Atlantic Oscillation (NAO). Nel seguito, vogliamo entrare un po’ più nel dettaglio sia sulla NAO sia su ENSO. Continue Reading »

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Riscaldamento globale: quale impatto su El Niño e La Niña?

El Niño e La Niña sono due dei fenomeni climatici naturali in grado di influenzare la temperatura media globale del nostro pianeta. Ma come cambieranno con il riscaldamento globale e che impatti avranno?

 

Il termine El Niño è stato per molti secoli utilizzato dai pescatori del Sud America per descrivere una corrente oceanica calda che scorre periodicamente lungo la costa dell’Ecuador e del Perù e che riduce drasticamente la pesca locale ogni qual volta si ripresenta. I climatologi hanno in seguito identificato tale fenomeno con un particolare periodico riscaldamento delle acque superficiali tropicali dell’Oceano Pacifico centrale e orientale. El Niño non influenza solamente le temperature superficiali del mare e quindi le correnti oceaniche, ma causa anche fluttuazioni su scala globale della pressione atmosferica nelle zone equatoriali del Pacifico (da cui il nome El Niño-Southern Oscillation o, in breve, ENSO), nonché una significativa riduzione dei venti prevalenti in quelle regioni, gli alisei. El Niño ha anche un grande impatto sulla distribuzione delle precipitazioni nel Pacifico tropicale e subtropicale.

Esiste anche una fase fredda di ENSO, chiamata La Niña. Al contrario di El Niño, questa si presenta quando la superficie del Pacifico tropicale orientale subisce un significativo raffreddamento rispetto alle condizioni medie e contemporaneamente le temperature del mare nell’Australia settentrionale diventano particolarmente calde. Continue Reading »

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L’inevitabilità dell’innalzamento del livello del mare

Pubblichiamo la traduzione di questo post di Anders Levermann pubblicato su Realclimate, sul tema di uno degli impatti più importanti dei cambiamenti climatici

Piccoli numeri possono avere grandi implicazioni. Il livello del mare è cresciuto poco meno di 0,2 metri durante il ventesimo secolo, principalmente come conseguenza all’aumento di temperatura di 0,8°C che l’umanità ha causato attraverso le emissioni di gas serra. Forse può non apparire come qualcosa di cui preoccuparsi ma non c’è dubbio che per il prossimo secolo, il livello del mare salirà in maniera significativa. Ora, la domanda da un milione di dollari è: quanto?

Il livello superiore di due metri, attualmente indicato nella letteratura scientifica, sarebbe estremamente problematico e costoso per molte regioni costiere e il livello del mare non si arresterà alla fine del 21° secolo. Dati storici mostrano che il livello del mare fosse più alto ogni volta che clima terrestre era più caldo di oggi, e non di un paio di centimetri ma di parecchi metri. Questa inevitabilità è dovuta all’inerzia degli oceani e delle masse glaciali del pianeta e ci sono due cause principali per la perpetua reazione del livello del mare alle nostre perturbazioni .

Una è dovuta alla longevità del riscaldamento da anidride carbonica nell’atmosfera. Una volta emessa, l’anidride carbonica  causa un riscaldamento plurisecolare che può essere contenuto significativamente solo se rimuovendo i gas serra. Questo perché la capacità di assorbimento sia del calore che dell’anidride carbonica da parte degli oceani si è ridotta, di conseguenza la temperatura resta elevata per secoli se non per millenni. Com’è ovvio, non tagliare le emissioni aggraverebbe ulteriormente il problema. Continue Reading »

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Riscaldamento globale e contenuto di calore degli oceani

Traduciamo un post di Gavin Schmidt, su Real Climate, che spiega perché il riscaldamento degli oceani è una buona misura dello squilibrio energetico del pianeta, e un utile complemento alle serie storiche delle temperature alla superficie.

Noi di Real Climate abbiamo trattato l’argomento diverse volte, per esempio nel 2005, 2008 e 2010 [Su Climalteranti avevamo segnalato qui tre post sul tema di Antonello Pasini, ndt]. Tuttavia, negli ultimi mesi sono usciti diversi nuovi articoli su questo legame, che forniscono alcune interessanti prospettive sull’argomento che di certo rimarrà di attualità ora che i modelli in CMIP5 cominciano ad essere analizzati.

L’articolo più recente è stato un nuovo studio, pubblicato dal NCAR a fine settembre, che esaminava cosa succede nei modelli climatici all’OHC, quando si verificano occasionali periodi di 10 anni senza trend nelle temperature superficiali globali [Meehl et al, 2011].

E’ noto – o almeno dovrebbe esserlo – che le simulazioni della fine del 20° secolo e dell’inizio del 21° non producono incrementi termici monotònici a scala temporale annuale o decennale. Continue Reading »

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2000 anni di livello del mare

Pubblichiamo la traduzione di un interessante post di Realclimate sul tema dell’innalzamento del livello del mare, un tema di grande importanza su cui iniziano ad esserci alcuni dati chiari quanto preoccupanti.
Un gruppo di colleghi e’ riuscito a ricostruire il primo data base di livello del mare per gli ultimi 2000 anni. Secondo questa ricostruzione l’innalzamento del livello del mare sulla costa atlantica americana e’ stato il piu’ rapido degli ultimi due millenni.

Ottenere buoni dati sul livello del mare e’ abbastanza difficile. Da un lato, ricostruire il notevole innalzamento verificatosi alla fine dell’ultima era glaciale (di circa 120 metri) e’ stato piuttosto semplice poiche’ l’incertezza sui dati e’ di pochi metri e anche l’incertezza su poche centinaia di anni e’ relativamente poco importante. Tuttavia, ricostruire le sottili variazioni degli ultimi millenni richiede metodi piu’ precisi.

Andrew Kemp, Ben Horton e Jeff Donnelly hanno pero’ sviluppato un metodo di ricostruzione preciso usando sedimenti  provenienti da paludi saline lungo le coste che vengono regolarmente allagate dalle maree. Gli strati di sedimenti che si accumulano in questo modo possono quindi venire esaminati e datati. L’altezza a cui si trovano e’ gia’ un indicatore di livello del mare in quanto dipende dalla loro eta’.

Come viene ricostruito il livello del mare?

I dFigura 1:Foraminifera Trochammina inflata al microscopioettagli di questo metodo sono piu’ complessi da spiegare. Sebbene in media la crescita del sedimento vada a pari passo

con la salita del livello del mare, talvolta puo’ salire piu’ lentamente se il livello del mare si innalza molto velocemente, oppure piu’ velocemente se il livello del mare si innalza piu’ lentamente. Per cui bisogna misurare l’altezza della palude salina relativa al livello medio del mare ad ogni istante di tempo. Per determinarla, possiamo sfruttare il fatto che ogni livello e’ caratterizzato da una particolare popolazione di organismi.


Figura 1: Foraminifera Trochammina inflata al microscopio.

Tale popolazione puo’ essere analizzata studiando le piccole conchiglie di foraminifera che si trovano all’interno dei sedimenti. A questo scopo, le specie e il numero di foraminifera deve essere determinato per ogni centimetro di sedimento con analisi al microscopio. Continue Reading »

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Il “gemello cattivo” del surriscaldamento globale

L’acidificazione degli oceani ha pesanti conseguenze sugli ecosistemi marini di tutto il pianeta. La causa di questo fenomeno è l’incremento delle concentrazioni di CO2 atmosferico. Ed è un impatto che ci sarebbe anche se il CO2 non surriscaldasse il pianeta.

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A supporto della necessità di ridurre l’uso di combustibili fossili si citano spesso due argomenti molto validi, il surriscaldamento globale e la riduzione delle riserve dei combustibili fossili, petroliferi in particolare.

Ce n’è un terzo, molto importante ma spesso dimenticato. Qualcuno lo chiama il “gemello cattivo” del surriscaldamento globale antropogenico: l’acidificazione delle acque marine conseguente alle emissioni di CO2 nell’atmosfera.

Si tratta di un tipo di impatto che non è legato all’effetto serra, ossia la cattura di energia solare da parte dei “gas-serra” presenti nell’atmosfera: alla base dell’acidificazione dell’acqua dei mari vi è invece una reazione nota a chiunque abbia un po’ di dimestichezza con la chimica. Poi l’unico responsabile è il biossido di carbonio; gli altri gas-serra (tra cui ad esempio il metano) non c’entrano. Continue Reading »

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Alla ricerca dell’energia nascosta

Antonello Pasini ha scritto sul blog Il Kyoto fisso tre post di grande chiarezza e interesse.
Il tema è quello del bilancio energetico del pianeta Terra, un tema diventato oggetto di dibattito pubblico verso la fine del 2009, dopo che in una delle mail trafugate presso i server dell’Est Anglia uno dei più grandi esperti del settore, Kevin Trenberth, aveva scritto «Non possiamo spiegare l’assenza di riscaldamento in questo momento storico».
L’assenza di riscaldamento” di cui si parlava nella mail era slang scientifico per indicare l’incapacità di descrivere la variabilità annuale del riscaldamento: il pianeta si scalda, ogni decennio è più caldo del precedente, ma come e perchè un anno o l’altro può essere più o meno caldo, non è ancora spiegato. Questa non è una novità, si sapeva da tempo, tanto che mentre scriveva quella frase lo scienziato allegava alla email l’ultimo suo articolo pubblicato su una rivista scientifica per discutere il tema (e questo non è certo il modo migliore per nascondere un problema, o per truccare i dati).
Un interesante problema scientifico venne montato ad arte per farlo sembrare una presunta prova della malafede degli scienziati e della macchinazione mondiale del riscaldamento globale, per la felicità di quanti erano e sono ancora convinti che il riscaldamento del pianeta non sia in corso o si sia interrotto tempo fa (l’ultimo esempio è qui).
Ne riparliamo perché la spiegazione di Antonello Pasini, divisa in tre parti, rimette le cose al loro posto e porta molti elementi di riflessione.
Invitiamo a leggerla.

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Cambiamenti climatici: alla ricerca dell’energia nascosta

Prima parte

Seconda parte

Terza parte

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Non conviene basarsi su un’unica fonte

Un albero tagliato sulla spiaggia delle Maldive dimostrerebbe che il mare non si sta alzando. In realtà è un’invenzione di un solo scienziato, con competenze alquanto dubbie. Ma c’è chi ci crede.

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Un motivo per cui il termine “scettico” non si addice a molti che contestano il consenso scientifico raggiunto sul riscaldamento globale, è che lo scetticismo è applicato a senso unico: viene usato per contestare la spiegazione più plausibile di un fenomeno, in  cui si riconosce la stragrande maggioranza della comunità scientifica internazionale, ma non la spiegazione alternativa.
Per fare questo occorre basarsi su un’unica fonte scientifica, spesso debole, vecchia e screditata, evitando di confrontarsi con tutte le altre, ben più solide e autorevoli.
Quando questo succede non si può certo più parlare di scetticismo, come sano atteggiamento che fa avanzare la scienza: è solo un’infantile testardaggine antiscientifica.

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È questo il caso di un’altra fra le strambe storie sui cambiamenti climatici che si possono ricostruire partendo da quanto pubblicato sui quotidiani.
Su “Il Giornale” del 20 gennaio 2010 un titolo recita “Le Maldive affondano? Una bufala, ma la prova dell’inganno sparisce”.

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L’accusa, che merita un richiamo in prima pagina, è clamorosa: un albero delle Maldive, una prova che il livello dei mari non sta crescendo, è stata fatta sparire dagli ambientalisti, che hanno segato l’albero. La conclusione dell’articolo di Rino Camilleri è che “i cambiamenti di livello attesi per il 2100 variano da più 5 cm a circa 15 cm”. Sarebbe davvero molto bello se le cose stessero così. Continue Reading »

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Le variazioni climatiche durante l’ultimo milione di anni: mandanti, killer e alibi (seconda parte)

Nella prima parte di questo post abbiamo individuato i “mandanti” delle variazioni climatiche durante l’ultimo milione di anni (variazioni dei parametri orbitali). Cercheremo ora di analizzare le possibili dinamiche interne con cui avvengono questi cambiamenti climatici.

Le variazioni dell’albedo terrestre (l’energia solare riflessa dal pianeta) sono causate dall’espansione e dal ritiro delle grandi calotte di ghiaccio (superfici riflettenti fino al 90% dell’energia solare incidente) presenti nell’emisfero settentrionale durante i periodi glaciali, la calotta nordamericana della Laurentide (Fig. 1) e la calotta Scandinava, nonché dalle variazioni del livello dei mari (più scuri e quindi maggiormente assorbenti  rispetto alle terre emerse). La Groenlandia e l’Antartide non hanno invece giocato un ruolo determinante nella variazione dell’albedo terrestre in quanto le carote di ghiaccio hanno fornito prova diretta che ambedue le calotte di ghiaccio sono persistite durante il presente ed i passati periodi interglaciali, sfatando in questo modo anche il mito della “Groenlandia verde” medievale. Le variazioni di anidride carbonica in atmosfera nell’ultimo milione di anni sono avvenute invece in conseguenza del confinamento sul fondo degli oceani durante i periodi glaciali e del rilascio in atmosfera durante i periodi interglaciali. Le variazioni di metano invece si sono verificate in conseguenza dell’attività biologica più/meno intensa nelle zone umide della fascia intertropicale e boreale del pianeta durante i periodi caldi/freddi.


Fig. 1: Ritiro della calotta glaciale Nord Americana della Laurentide durante l’ultima deglaciazione.

Uno dei meccanismi classici che spiega le variazioni climatiche su scala orbitale suggerisce che variazioni dell’inclinazione e della direzione dell’asse terrestre avrebbero ridistribuito ciclicamente l’energia solare sull’emisfero nord in modo da indurre la formazione oppure la fusione delle grandi calotte di ghiaccio nordamericana e scandinava. Questo avrebbe causato una significativa variazione dell’albedo globale che avrebbe modificato mediante un’azione di feedback il bilancio energetico planetario e quindi la temperatura globale. Questa variazione di temperatura avrebbe a sua volta modificato i flussi di anidride carbonica e di metano dalle “sorgenti” (gli oceani e le zone umide) verso i “pozzi” (gli oceani ed i processi ossidativi di conversione), causando variazioni della loro concentrazione atmosferica che avrebbero amplificato la variazione iniziale di temperatura con un’ulteriore azione di feedback.

Le carote di ghiaccio dell’Antartide evidenziano il legame strettissimo che esiste tra le variazioni di temperatura e dei gas serra (Fig. 2 post precedente). Tuttavia, come abbiamo visto, analizzando nel dettaglio questi record si è notato che le variazioni di temperatura precedono di 800 ± 600 anni le variazioni di concentrazione di anidride carbonica durante l’ultima fase di deglaciazione. Questo fatto viene spesso erroneamente indicato come un “alibi” sufficiente per scagionare l’anidride carbonica dal suo ruolo di “killer” nel produrre i cambiamenti climatici su scala orbitale (come discusso su Climalteranti anche qui). Tuttavia questo ritardo sarebbe in accordo col meccanismo classico secondo il quale le variazioni di concentrazione dell’anidride carbonica in atmosfera seguirebbero le variazioni di temperatura indotte dalle variazioni dell’albedo e con il fatto che il rilascio dagli oceani dell’anidride carbonica avverrebbe su tempi dell’ordine delle diverse centinaia di anni.

Se ci sono ormai pochi dubbi su quali siano i “mandanti” ed i “killer” su una scala temporale orbitale, esistono però molti punti di domanda relativi alla dinamica e alla successione dei fatti. Una pecca emergente del meccanismo classico illustrato è che, osservando diversi record climatici, si desumerebbe che alla fine dell’ultima epoca glaciale (20 mila anni fa), l’Antartide avrebbe cominciato a riscaldarsi prima della Groenlandia mettendo in crisi il ruolo di guida dell’emisfero nord. Oggi si stanno valutando dei meccanismi alternativi tra i quali alcuni punterebbero l’attenzione su una ridistribuzione orbitale del flusso dell’energia solare alle basse latitudini, il quale avrebbe causato uno spostamento delle fasce tropicali e temperate. Una dislocazione verso nord avrebbe accresciuto il sollevamento delle polveri continentali ed il loro fallout nell’Oceano Meridionale. Questo, fertilizzato, avrebbe visto incrementare i processi fotosintetici assorbendo in questo modo più anidride carbonica dall’atmosfera con una conseguente diminuzione della temperatura terrestre (iron hypothesis). Secondo una recentissima ipotesi una dislocazione opposta delle fasce tropicali e temperate verso sud avrebbe invece interrotto il fallout di polveri continentali e indotto, attraverso l’azione dei venti occidentali, un processo di upwelling delle acque profonde circolanti attorno all’Antartide, le quali avrebbero rilasciato in atmosfera l’eccesso di anidride carbonica conservata nelle profondità oceaniche durante i periodi glaciali, causando quindi un aumento di temperatura. Ambedue questi processi potrebbero poi essere stati amplificati da successive variazioni dell’albedo.

In conclusione, solo la combinazione delle azioni di feedback (indotte dalle variazioni orbitali) dell’albedo e ai gas serra riesce a spiegare le più importanti variazioni di temperatura avvenute durante gli ultimi cicli climatici ma la successione degli eventi ed i meccanismi con cui questo è avvenuto sono ancora da chiarire. Oggi l’anidride carbonica ed il metano hanno raggiunto dei livelli di concentrazione in atmosfera che non sono mai stati riscontrati durante gli ultimi 800 mila anni nelle carote di ghiaccio dell’Antartide (Fig. 2, post precedente). Le analisi isotopiche dei gas serra presenti in atmosfera e nelle carote di ghiaccio indicano in maniera inequivocabile che l’uomo è il responsabile di questa anomalia.


Fig. 2: L’entrata del passaggio di Nord Ovest libera dai ghiacci nell’agosto del 2006.

Citando Stefano Caserini, se A qualcuno (non) piace(sse) caldo ma…. caldissimo, la storia climatica del nostro pianeta suggerisce che avremmo perfino un altro modo per scaldare ulteriormente il pianeta. Virtualmente si potrebbe pensare di liberare il mare Artico dai ghiacci in modo da diminuire l’albedo del pianeta, aumentando l’assorbimento dell’energia solare e quindi la temperatura globale. Ecco quindi come un processo tipicamente di feedback rispondente ad una causa primaria orbitale diverrebbe una causa primaria di origine antropogenica. Meglio probabilmente continuare ad emettere anidride carbonica attraverso la combustione dei gas fossili: un meccanismo che sembra garantire il massimo risultato con il minimo sforzo.

Testo di Paolo Gabrielli.

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L’inutile confutazione di un allarmismo inventato

Una tecnica ormai molto sfruttata nel dibattito climatico è piuttosto semplice: consiste nel confutare delle balle spaziali, attribuendole in modo generico agli “allarmisti”, evitando di discutere dei problemi veri.

Un bell’esempio è presente nell’articolo “La terra si scalda ? Una bufala. Lo dimostra il ghiaccio del Polo “.

L’intervistato, Elio Sindoni, confuta la tesi dell’imminente (5 anni !) arrivo del mare a Cortina.

Ma chi avrà mai detto o scritto che “in capo a 5 anni il mare arriverà a Cortina” ? La notizia è nuova e anche sul web non se ne trova traccia. È molto improbabile che una tesi del genere sia stata pubblicata su una qualsiasi rivista anche lontanamente tecnico-scientifica.

Il punto è che Cortina d’Ampezzo si trova a 1200 metri sul livello del mare. La fusione completa di tutti i ghiacci dell’Artico e dell’Antardide potrebbero alzare il livello del mare di circa 70 metri, da dove potrebbe arrivare l’acqua per gli altri 1130 metri ?

La tesi è quindi palesemente infondata, per confutarla non servono i risultati del progetto EPICA , basta la geografia, o forse solo il buon senso.

Come si diceva, l’inutile confutazione di un allarmismo inventato permette di evitare di discutere dei problemi veri, delle vere questioni che potrebbero costituire un allarme.

Non solo perché è una cosa molto seria il problema dell’innalzamento del livello del mare, come se ne parla in questa traduzione di RealClimate disponibile su Climalteranti.it.

Pur se i maestri di sci di Cortina non devono temere di dover insegnare immersioni fra cinque anni, delle previsioni della copertura nevosa a Cortina nei prossimi decenni, sì, forse di questo potrebbero un poco preoccuparsi….

Testo di: Stefano Caserini

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