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Le previsioni “possibili” nel federalismo del meteo – prima parte

Ancora una volta dal prof. Franco Prodi arrivano affermazioni erronee e accuse infondate sul tema della climatologia e della meteorologia. In questo e in un prossimo post alcune risposte.

Sul Corriere della Sera del 2 marzo 2016 è stata pubblicata, a firma di Gian Antonio Stella, una lunga intervista al Prof. Franco Prodi, già professore di fisica all’Università di Ferrara, ricercatore di fisica delle nubi e già direttore dell’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima (ISAC) del CNR.

L’articolo, intitolato “Le previsioni impossibili nel federalismo del meteo, è in sostanza una requisitoria feroce contro la meteorologia “federata” in Italia, svolta in collaborazione stretta tra Stato e Regioni.

Quanto detto all’intervistatore dal prof. Franco Prodi include sia affermazioni scientifiche erronee sia affermazioni, o giudizi, lesivi del lavoro svolto dall’intera comunità di operatori della “meteo” pubblica, regionale e nazionale.

Già in altre occasioni il Prof. Franco Prodi ha rilasciato affermazioni sbagliate e accuse infondate nel campo della climatologia (si veda ad esempio precedenti post qui, qui, qui e qui). Qui analizziamo alcune affermazioni erronee presenti anche in questa intervista.

1. La precipitazione in Italia:

Nell’articolo è scritto: “In realtà, spiega Franco Prodi, i paragoni scientifici col passato dicono che non c’è stato «un aumento in intensità e frequenza delle alluvioni, solamente un aumento dei danni dovuto all’aumentato valore delle costruzioni in zone vietate». Di più: «Anche le ricerche climatologiche condotte nell’istituto Isac da Teresa Nanni e Michele Brunetti su cinquant’anni di dati di stazioni meteorologiche italiane» mostrano variazioni «assai modeste (5%

rapportate al secolo) che non giustificano discorsi di tipo catastrofista».”

L’analisi per valutare l’andamento in Italia della frequenza, dell’intensità e dei valori estremi di precipitazione, è una ricerca complessa che richiede sia analisi nazionali sia regionali. Ad oggi mancano ancora analisi esaurienti a livello di molte regioni e probabilmente anche una discussione su come affrontare a livello di strumenti di analisi queste tematiche.

Sintetizziamo i principali risultati stimati a scala nazionale.

Nel recente rapporto ISPRA relativo agli indicatori del Clima d’Italia del 2014 (Desiato et al., 2015, vedi qui) si evidenzia come complessivamente dall’analisi delle serie temporali di indici per la frequenza e l’intensità delle precipitazioni non emergano segnali molto netti di variazioni significative nell’ultimo mezzo secolo. Va anche però considerato che queste analisi degli indici per estremi di precipitazione sono state ottenute su un insieme limitato di stazioni di misura per le quali è stato possibile determinare con sufficiente accuratezza e completezza le serie degli indici.

In ogni caso, pur con queste doverose cautele, se ci si limita qualitativamente a osservare la serie storica sul Nord Italia dell’anomalia della precipitazione totale annua (rispetto al trentennio di riferimento 1961-1990) e quella di un indicatore di pioggia intensa giornaliera, come ad esempio l’indice SDII (Simple Daily Intensity Index, che rappresenta la precipitazione cumulata annuale divisa per il numero di giorni piovosi nell’anno, considerando piovosi i giorni con precipitazione ≥ 1 mm), si notano differenze abbastanza nette di comportamento.

Nel caso delle anomalie di pioggia totale annua, si evidenzia un primo trentennio (dal 1951 al 1980) caratterizzato da un numero essenzialmente analogo di anomalie positive e negative (rispetto al trentennio 1961-90 di riferimento), a cui segue un secondo periodo di poco più di trent’anni (1981-2014) in cui dominano gli anni con anomalie negativa, pur con eccezioni, come ad esempio il 2014 stesso.

Non altrettanto può dirsi per quanto concerne l’indice SDII, che mostra, nel primo trentennio 1951-1980, un comportamento abbastanza analogo a quello che si evidenziava per l’anomalia di pioggia totale, cioè un “quasi” equilibrio tra gli anni con pioggia più intensa e quelli meno intensa, a cui però fa seguito un secondo periodo (sempre di poco più di trent’anni, 1982-2014) con una netta prevalenza di anni con pioggia giornaliera intensa rispetto a quelli in cui essa è inferiore ai valori di riferimento.

Anche se tale analisi è qualitativa, essa comunque manifesta una diversità di comportamento parecchio interessante, e tipica dell’area Mediterranea: il segnale di diminuzione delle piogge è abbastanza evidente in termini di totali annui (soprattutto nella stagione estiva), ma non in termini di intensità di pioggia. Si potrebbe dire, usando uno “slogan”: che in genere piove “di meno”, ma quando piove, piove “di più”.

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Fonte: figura 5.6 del report citato : Serie delle anomalie medie al Nord, espresse in %, della precipitazione cumulata annuale rispetto al valore normale 1951-1980. 

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Fonte: figura 5.12 del report citato: Serie delle anomalie medie al Nord, dell’intensità di pioggia giornaliera (SDII). 

 

Simili risultati emergono anche da altri studi, pur con le difficoltà già dette di valutare spesso la significatività statistica dei risultati.

Ad esempio, altre recenti stime della precipitazione media e di indici per la frequenza e l’intensità delle precipitazioni a livello nazionale si possono trovare in due capitoli (Nanni et al., 2009; Lionello et al., 2009) del libro Castellari e Artale (2009). Da questi studi emerge che:

  • la precipitazione media mostra un trend negativo sull’intero territorio nazionale negli ultimi due secoli, che si attesta intorno 5% per secolo, comunque raramente significativo dal punto di vista statistico;
  • nel periodo esaminato (1880 – 2002) il territorio italiano è caratterizzato da una forte diminuzione del numero di giorni poco piovosi, mentre la frequenza di quelli con precipitazioni intense è in aumento in alcune regioni dell’Italia settentrionale.

Se si guardano alcuni risultati stimati a scala sub-nazionale, va citato il lavoro di Maugeri et al. (2015), dove un’analisi dei valori estremi è effettuata per un dataset di 325 record di precipitazione giornaliera per il periodo 1921-2005. I risultati mostrano che l’area nord-est della Sicilia è la più vulnerabile ad eventi di intensa precipitazione.

In Brunetti et al. (2012) l’analisi della precipitazione giornaliera è effettuata per la regione Calabria per il periodo 1916–2006 mostrando:

  • un trend negativo nella precipitazione mensile totale in particolare nel periodo autunno-inverno e positiva nell’estate;
  • un trend negativo nei giorni piovosi in quasi tutti i mesi (particolarmente in gennaio) e positivo nei mesi estivi;
  • un trend negativo nella intensità di precipitazione per quasi tutti mesi eccetto quelli estivi.

Infine in Brugnara et al. (2012) è fatta un’analisi di un dataset di 200 record di precipitazione giornaliera per il periodo 1920–2009 in una area centrale della regione alpina (Trentino e Sud Tirolo). I risultati mostrano un debole trend negativo nella precipitazione totale causato da un trend negativo nel numero di giorni piovosi e un calo nell’intensità di precipitazione. I trend di eventi estremi mostrano una scarsa coerenza spaziale e sono significativi solo a scala locale.

Da questi studi si possono trarre le seguenti considerazioni:

  • in generale, la precipitazione è una variabile che presenta un’intrinseca ed elevata variabilità spazio-temporale;
  • nonostante tutto si evidenziano già variazioni, anche se non sempre significative, della frequenza e della intensità delle precipitazioni nell’ultimo secolo, a seconda del dataset. Ad esempio, almeno “qualitativamente” si può affermare una difformità di comportamento tra i segnali di variazione nel tempo delle piogge totali annue con alcuni indici di intensità. Le piogge totali appaiono in diminuzione, le piogge intense sembrano invece crescere. Sia in termini di giorni che di intensità;
  • Certamente per dare maggiore “robustezza” statistica a tali evidenze “qualitative”, si rende necessario elaborare lunghe serie osservative con frequenza oraria al fine di quantificare in maniera efficace l’esistenza di trend degli eventi di precipitazione intensa e, soprattutto, dare a questi trend una significatività statistica maggiore.

E’ infine utile inoltre notare che nel prossimo futuro le precipitazioni molto probabilmente saranno più intense nella nostra area Mediterranea secondo gli scenari con più alte emissioni di gas serra come mostrato in Scoccimarro et al. (2013, vedi qui).

Quindi davanti a noi si pone la seguente sfida: nonostante non abbiamo ancora evidenze complete e statisticamente solide di un trend di aumento di eventi di intensa precipitazione in tutto il nostro territorio, siamo consapevoli che il rischio di subire impatti e disastri provocati da tali eventi estremi potrà aumentare di una quantità ancora a noi sconosciuta con certezza, ma stimata in un intervallo?

Vogliamo affrontare questo rischio in maniera efficace allocando risorse umane e finanziarie per pianificare ed attuare azioni di adattamento che possano ridurre questo rischio, portando anche co-benifici alla nostra società? Oppure, preferiamo aspettare e assumerci il rischio di non agire?

 

 

 

Bibliografia:

Brunetti, M., Caloiero T., Coscarelli R., Gullà G., Nanni T., Simolo C., 2012: Precipitation variability and change in the Calabria region (Italy) from a high resolution daily dataset. International Journal of Climatology, Volume 32, Number 1, p.57-73

Brugnara, Y., Brunetti M., Maugeri M., Nanni T., and Simolo C., 2012: High-resolution analysis of daily precipitation trends in the central Alps over the last century, International Journal of Climatology, Volume 32, Number 9, p.1406-1422

Castellari S.,V. Artale (a cura di), 2009. “I cambiamenti climatici in Italia: evidenze,

vulnerabilità e impatti”. Bononia University Press, 2009

Desiato F., Fioravanti G., Fraschetti P., Perconti W., Piervitali E., Pavan P., 2015: Gli indicatori del clima in Italia nel 2014. Rapporto ISPRA, Stato dell’Ambiente 57/2015

Lionello P., Baldi M., Brunetti M., Cacciamani C., Maugeri M., Nanni T., Pavan V., Tomozeiu R., 2009: Eventi climatici estremi: tendenze attuali e clima futuro sull’Italia. In Castellari S.,V. Artale (a cura di) “I cambiamenti climatici in Italia: evidenze, vulnerabilità e impatti”. Bononia University Press, 2009

Maugeri, M., Brunetti M., Garzoglio M., Simolo C., 2015: High-resolution analysis of 1 day extreme precipitation in Sicily, , Natural Hazards and Earth System Sciences, Volume 15, Number 10, p.2347-2358

Nanni T., Maugeri M., Brunetti M., 2009: La variabilita. e le tendenze del clima in Italia nel corso degli ultimi due secoli. In Castellari S.,V. Artale (a cura di) “I cambiamenti climatici in Italia: evidenze, vulnerabilità e impatti”. Bononia University Press, 2009

Scoccimarro E., Gualdi S., Bellucci A., Zampieri M., Navarra A., 2013: Heavy Precipitation Events in a Warmer Climate: Results from CMIP5 Models. J. Climate, 26, 7902–7911.

Fine prima parte. Segue…

 

Testo di Carlo Cacciamani e Sergio Castellari, con contributi di Luca Lombroso, Claudio Cassardo e Stefano Caserini

9 responses so far

9 Responses to “Le previsioni “possibili” nel federalismo del meteo – prima parte”

  1. agostino manzatoon Mar 11th 2016 at 08:45

    L’Italia e’ l’unico paese civile in cui non esiste un servizio meteo nazionale ufficiale (l’aeronautica militare sta solo “facendo le veci”, visto il vuoto istituzionale, ma non ha le risorse -e forse nemmeno tutte le competenze- per portare avanti questo ruolo), nonostante abbia un territorio caratterizzato da un’alta vulnerabilita’ agli eventi severi, intesi sia come temporali molto forti che come alluvioni.
    Non e’ piu’ possibile demandare la creazione di un servizio meteo nazionale e -finalmente- allinearsi agli altri paesi della Comunita’ Europea.
    L’articolo del dr Prodi suggerisce l’istituzione di un servizio meteo “centralizzato”, ma questo significa ignorare il lavoro fatto negli ultimi 20-30 anni da molte regioni, che, per sopperire ad una mancanza dello Stato Italiano, hanno creato creato dei centri meteo regionali. Questi ultimi, magari in forme diverse a seconda delle loro possibilita’, hanno sempre garantito un servizio di qualita’ alla popolazione e alle Istituzioni locali.
    Negare l’evidenza e ri-partire da zero con un nuovo Istituto centralizzato sarebbe, se non altro, uno spreco di denaro pubblico e una perdita di competenze faticosamente acquisite.
    Agostino Manzato

  2. homoereticuson Mar 11th 2016 at 09:19

    In attesa di leggere la seconda parte mi sento una volta tanto (da catastrofista quale sono!) di spezzare un piccolo pezzetto di lancia per l’affermazione del prof. Prodi.
    Anche dalla vostra sintesi, in fondo, non emerge ancora un segnale chiaro dalle serie di precipitazioni che sono quanto mai “rumorose”. Aggiungo che negli ultimi numeri della rivista Nimbus (di Mercalli, quindi una fonte non certo negazionista) si trovano studi su serie temporali italiane molto lunghe dove pure, accanto all’inequivocabile forte riscaldamento, non si trova evidenza di piogge più intense.
    Dunque, certo, una troposfera più calda può contenere più vapore e potenzialmente produrre più pioggia, un rischio di cui occorre essere ben consci. Ma al momento la mia (modesta e discutibilissima) opinione è che corriamo rischi molto più alti per la siccità. Anche a parità di precipitazioni le temperature altissime delle estati africane che stiamo vivendo rendono estremamente più facile l’inaridimento dei suoli, innescando spesso, come documentato se non ricordo male anche qui da voi, un pericoloso feedback positivo tra suolo secco e temperature, per il mancato contributo dell’evapotraspirazione nel bilancio energetico superficiale.
    sorry per la lunghezza

  3. albertoon Mar 11th 2016 at 12:01

    Mi pare che la reazione all’ articolo di Stella siaun po’ permalosa.
    Fra un’ affermazione come questa (pur se estrapolata dal contesto).
    “Anche le ricerche climatologiche condotte nell’istituto Isac da Teresa Nanni e Michele Brunetti su cinquant’anni di dati di stazioni meteorologiche italiane» mostrano variazioni «assai modeste (5% rapportate al secolo) che non giustificano discorsi di tipo catastrofista».” del Prodi
    e la seguente
    “la precipitazione media mostra un trend negativo sull’intero territorio nazionale negli ultimi due secoli, che si attesta intorno 5% per secolo, comunque raramente significativo dal punto di vista statistico”
    non mi sembrano esserci differenze di sostanza ma più che altro di tono.

    Invece la critica del Prodi sulla malagestione politico-organizzativa dei servizi meteorologici, la scarsità di investimenti accoppiata con lo spreco dei fondi, le assunzioni clientelari alla faccia della meritocrazia magari sarà eccessiva e darà fastidio (dovrebbe farlo soprattutto ai politici ma i nostri digeriscono tutto),solo che potrebbe essere realistica e non c’ entra nulla con il problema mondiale del gw e gli effettii prevedibili di questo anche in Italia.

    A questo riguardo faccio notare che all’ inizio dell’ articolo Stella citando l’ intervistato scrive
    “il riscaldamento degli ultimi 50 anni è quasi doppio, due decimi di grado per decennio, di quello dell’ ultimo secolo, con tendenza tuttavia a stabilizzarsi nell’ ultimo decennio”
    Ed effettivamente i dati globali grossolanamente sono questi.
    Ossia, tradotto in soldoni, non si è avuta nessuna fermata del riscaldamento superficiale, che continua imperterrito, anzi è raddoppiato sul lungo periodo e ha raggiunto il ritmo preoccupante di quasi 2 gradi al secolo (un’ enormità).

  4. […] Pubblichiamo la seconda parte del post in cui sono spiegati gli errori e le tesi infondate proposte dal prof. Franco Prodi, nell’articolo-intervista apparso sul Corriere della Sera del 2 marzo 2016, a firma di Gian Antonio Stella (prima parte qui). […]

  5. Antonioon Mar 12th 2016 at 16:13

    @ Alberto

    prima Prodi afferma:
    “non c’è stato un aumento in intensità e frequenza delle alluvioni, solamente un aumento dei danni dovuto all’aumentato valore delle costruzioni in zone vietate.”
    dai dati invece si vede che l’aumento c’è stato, no?
    e allora perchè negarlo?

    Sulla frase
    “Anche le ricerche climatologiche condotte nell’istituto Isac da Teresa Nanni e Michele Brunetti su cinquant’anni di dati di stazioni meteorologiche italiane» mostrano variazioni «assai modeste (5% rapportate al secolo) che non giustificano discorsi di tipo catastrofista».

    cosa vuol dire “modesto”? cosa vuol dire catastrofista?

    Se fosse il 10% sarebbe catastrofico?

    Uno scienziato, o ex-scienziato, dovrebbe esprimersi con più cautela. Quelli di Prodi sono discorsi da bar. Con tutto rispetto per i bar in cui a volte si fanno discorsi seri.

  6. Claudio Cassardoon Mar 13th 2016 at 06:43

    @Alberto
    “A questo riguardo faccio notare che all’ inizio dell’ articolo Stella citando l’ intervistato scrive “il riscaldamento degli ultimi 50 anni è quasi doppio, due decimi di grado per decennio, di quello dell’ ultimo secolo, con tendenza tuttavia a stabilizzarsi nell’ ultimo decennio”. Ed effettivamente i dati globali grossolanamente sono questi.”
    Sbagliato. Non esiste nessuna tendenza alla stabilizzazione. Si legga un po’ di letteratura sull’argomento, a partire dai post di climalteranti e da quelli di Real Climate.

    @Alberto
    “Invece la critica del Prodi su […] le assunzioni clientelari alla faccia della meritocrazia magari sarà eccessiva e darà fastidio (dovrebbe farlo soprattutto ai politici ma i nostri digeriscono tutto)”
    A lei rinnoviamo l’invito fatto a Prodi: ha dei nomi e degli esempi di “assunzioni clientelari alla faccia della meritocrazia” da fare, ovviamente nell’ambito dei servizio meteorologici regionali o protezione civile, per esteso? Se sì, li faccia. In caso contrario, questa si chiama diffamazione a mezzo stampa nei confronti di un’intera categoria, ed in teoria sarebbe un reato.

  7. albertoon Mar 15th 2016 at 13:41

    @Antonio: mah, non so che senso abbia invocare la cautela se non come petizione di principio, valida o meno per scienziati o per non-scienziati.
    “modesto” nel contesto dell’articolo mi sembra si adatti bene al 5% al secolo riportato dalle fonti. Poi questo è un valore medio ma se lei ha dei dati che mostrino come negli ultimi 50 anni si sia riscontrato in Italia un aumento “non modesto” (= “notevole”, “importante” o sinonimi, basta che sia quantificato) delle alluvioni (ossia non i valori medi, ma quelli estremi, o come frequenza o come intensità) ben vengano. Se saranno verificati e manifesteranno una sufficiente robustezza statistica non ci saranno problemi, almeno da parte mia, ad accettarli.

    @Claudio: credo che lei abbia frainteso.
    La stabilizzazione citata dal prodi io l’ ho intesa come stabilizzazione della velocità di incremento delle T superficiali (gli 0.2 gradi arrotondati per eccesso a decennio) con andamento dagli anni ’70 ad oggi con buona approssimazione lineare (ossia stabile come coefficiente angolare), come per ora (poi tra 20 o 30 anni magari, a seconda delle emissioni future, ci si allontanerà dalla linearità) risulta dai dati (tranne per i finto scettici che hanno straparlato di una stabilizzazione delle T del tutto inesistente).

    Sulla malagestione di questo sistema italico della federalizzazione all’ italiana del sistema meteo, mi pare un problema trasversale a diversi altri settori del sistema pubblico.
    Lei è libero di credere che invece in questo campo ci sia un’ efficienza esemplare ed del tutto in controtendenza rispetto alla prassi gestionale statale, ma dovrebbe portare qualche prova di tale eccezionalità.
    Quanto riporta Stella citando Prodi non ha senso chiamarla diffamazione a mezzo stampa (lo avrebbe proprio se fossero evidenziati alcuni nomi). Più che altro mi pare una denuncia delle disfunzioni del sistema (analoga a tante altre fatte da ricercatori e scienziati in altri campi), che a quanto pare ha suscitato reazioni indignate negli addetti ai lavori.

    Per citare le parole riportate da Stella:
    ..c’è “un rassegnato silenzio” “al fatto che ci sia un proliferare di servizi meteorologici senza un organico collegamento con la ricerca Cnr e universitaria”…
    “il prestigioso met Office inglese ha chiuso tutti gli uffici periferici per concentrare in una bella sede i servizi di previsione più avanzati” da noi invece “abbiamo dato in pasto la meteorologia alle Regioni”…
    “Si è data in pasto la meteorologia al federalismo più ottuso…con servizi regionali non in grado di svolgere le funzioni avanzate di Nowcasting e caricati dei dati e compiti del servizio idrologico soppresso””…
    “non investiamo abbastanza nel settore”…
    “la politica ha visto la meteorologia, la protezione civile, la qualità dell’ aria come grandi possibilità di imbottire il settore pubblico con persone direttamente chiamate”…
    “c’è un rapporto distorto tra politica e competenza oggettiva” …

    Magari sono tutte critiche erronee del Prodi che ha vissuto per anni in un universo parallelo
    ma ai non addetti ai lavori come me non sembrano affermazione così avulse dalla realtà italiana.

  8. Uberto Crescention Lug 21st 2016 at 08:53

    Credo sia interessante, a sostegno delle dichiarazioni del prof. Franco Prodi, leggere il libro di Sergio Pinna dal titolo :” La falsa teoria del clima impazzito”, Felici Editore 2014.
    Uberto Crescenti

  9. Antonioon Lug 21st 2016 at 17:48

    @ Umberto Crescenti
    La ringrazio, non conoscevo questo libro.
    Pero’ mi faccia capire una cosa: secondo lei io dovrei leggere un libro di un geologo che si occupa di geografia, e non ha nessuna competenza in materia di fisica dell’atmosera, http://unimap.unipi.it/cercapersone/dettaglio.php?ri=244&template=dettaglio3.tpl
    e che da quanto capisco dal titolo dice che tutti quelli che invece studiano e fanno ricerca sulla climatologia, invece si sbagliano?
    Insomma, non è che magari mi segnala una pubblicazione scientifica peer revieweed di questo Pinna? Chi mi assicura che non è un altro caso umano e che butto via i miei soldi?

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