Cos’è il catastrofismo?
Nel dibattito sui cambiamenti climatici si sente spesso usare il termine “catastrofista” a mo’ di insulto. Il tema della catastrofe, e del catastrofismo, ha, invece, una sua storia e una sua importanza, che in questo post è raccontata da Enrico Euli, Ricercatore all’Università di Cagliari.
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La gran parte degli studiosi non si darebbe da sé la denominazione di ‘catastrofista’. Di solito, questa è data loro da altri studiosi che, pur riconoscendo la crisi ambientale, non ritengono che si sia giunti o si giungerà alla catastrofe; oppure da studiosi, giornalisti, politici ‘negazionisti’ che, non accettando le evidenze scientifiche, negano il rischio specifico ed in generale considerano gli scienziati e gli ecologisti dei ‘profeti di sventura’ senza fondamento (si veda ad esempio qui).
Ma la parola ‘catastrofe’ ha una sua dignità ed una lunga storia.
Originariamente deriva dal greco ‘katà-strèpho’ (rivolto, metto da sotto in su, stravolgo) e sorge nel teatro tragico a definire quel passaggio cruciale in cui l’intreccio si scioglie ed il dilemma giunge ad una sua soluzione, per quanto tragica.
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Le visioni catastrofiste trovano precedenti illustri e paradigmatici nella tradizione religiosa e filosofica, antica e medievale, dell’Occidente: in particolare, il catastrofismo ‘provvidenziale’, inteso proprio come un intervento divino che produce la catastrofe a fini di catarsi, risoluzione, trasformazione profonda e radicale di un contesto caratterizzato da problemi cronici, errori strutturali e mali non riformabili. È il caso del Diluvio universale, della Torre di Babele, della distruzione di Sodoma e Gomorra, e -al termine del Nuovo Testamento- dell’Apocalisse. Quest’ultima, dal greco ‘apo-calypto’ (rivelare, rendere visibile), può rappresentare l’archetipo della potenza e dei limiti di qualunque posizione catastrofista: il suo grande potere di suggestione e di evocazione, ma anche i limiti di un allarme sempre alle porte, di un evento che sta sempre per accadere e però mai accade.
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E’ una visione della catastrofe quale cataclisma totale e finale, in cui i sistemi procedono secondo parametri di relativo adattamento, occultando i segnali critici sino ad un momento finale di ‘esplosione-implosione-collasso’, che determina – in modo apparentemente improvviso – la fine definitiva e completa del sistema stesso (Diamond, 2005).
A partire da ciò, alcuni (tra questi, Latouche, 2004; Euli, 2007) sono giunti a proporre, quale extrema ratio, una ‘pedagogia delle catastrofi’ : paradossalmente, gli uomini potrebbero cambiare se e solo se colpiti direttamente da eventi altamente stressanti e scioccanti, tali da costringerli a generare trasformazioni e nuovi apprendimenti, vere e proprie ‘conversioni’ e ‘riconversioni’ dei nostri stili di vita e di pensiero sul pianeta.
Ma i sistemi possono anche degradare progressivamente, perdendo gradualmente ed impercettibilmente delle parti, in un processo tanto più rapido ed irreversibile quanto più procede e quanto più si vanno a perdere parti essenziali al mantenimento della struttura. Come un rete-maglione che si strama: inizialmente non si nota, ma pian piano iniziano a evidenziarsi fragilità e ‘buchi’ che, allargandosi ancora, raggiungono una ‘massa critica’ e determinano la fine delle originarie forme e funzioni del sistema (Sachs, 2004).
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I cambiamenti climatici, per loro natura, non sono adatti a produrre grandi “shock”, grandi cataclismi, come invece raccontano i film di Hollywood. I cambiamenti climatici si muovono perlopiù attraverso processi graduali ma irregolari, che bene si prestano ad essere fraintesi e non percepiti. La loro pericolosità sta più nell’irreversibilità (a meno di considerare scale temporali molto molto lunghe) che non nel loro produrre calamità improvvise.
Entrambe queste visioni sono comunque oggi accomunate dall’idea che gran parte dei processi ‘naturali’ non debbano più essere considerati come eventi indipendenti dalle attività umane, fatalità o atti trascendenti, ma siano invece sistemicamente correlati a premesse, scelte, decisioni che si situano nelle sfere della cultura, dell’educazione, della formazione e della politica. Ed a questi livelli andrebbero studiati, affrontati e possibilmente risolti (Bateson, 1976).
Su questa linea di pensiero si muovono l’opera di Hans Jonas, che vede l’umanità ormai sull’ ‘orlo dell’abisso’ (2000) dopo averla invano richiamata al ‘principio responsabilità’ (2002), e quella di Jean Pierre Dupuy (2006), che ha proposto il ‘catastrofismo illuminato’ quale orizzonte di una nuova consapevolezza epistemologica che derivi dalla presa in carico dell’evento finale ‘come se’ esso fosse già avvenuto.
Recentemente, su questi temi, è uscito anche un testo collettivo, che inizia a chiedersi cosa sta accadendo e cosa accadrà dopo la catastrofe in corso e quale ‘dolce avvenire’ si prepara (Bosi, Deriu, Pellegrino, 2009).
Anche l’alta letteratura contemporanea, non più soltanto fantascientifica, si è notevolmente aperta al tema: James Ballard (2006), Paul Auster (2007), Corman McCarthy (2007), Haruki Murakami (2003) rappresentano per me le voci più belle e significative in questo panorama.
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Bibliografia:
Auster P. (2007) Nel paese delle ultime cose, Einaudi, Torino
Ballard J. (2006) Regno a venire, Feltrinelli, Milano
Bateson G.. (1976) Le radici della crisi ecologica, in Verso un’ecologia della mente, Adelphi, Milano
Bosi A, Deriu M., Pellegrino V. – a cura di (2009), Il dolce avvenire, Esercizi di immaginazione radicale del presente, Diabasis, Reggio Emilia
Diamond J. (2005) Collasso, Come le società scelgono di morire o vivere, Einaudi, Torino
Dupuy J-P. (2006) Piccola metafisica degli tsunami. Male e responsabilità nelle catastrofi del nostro tempo, Donzelli, Roma
Euli E. (2007) Casca il mondo! Giocare con la catastrofe, la meridiana, Molfetta
Jonas H.(2000) Sull’orlo dell’abisso, Einaudi, Torino
Jonas H.(2002) Il principio responsabilità. Un’etica per la società tecnologica, Einaudi, Torino
Latouche S. (2004) Decolonizzare l’immaginario, EMI, Bologna
McCarthy C. (2007) La strada, Einaudi, Torino
Murakami H.(2003) Underground. Racconto a più voci dell’attentato alla metropolitana di Tokio, Einaudi, Torino
Sachs W. (2004) Dizionario dello sviluppo, Ed.Gruppo Abele, Torino
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Testo di: Enrico Euli
12 responses so far
Bellissimo e direi quasi imprescindibile post! Molto condivisibili anche le opere citate, alcune delle quali (Bateson, Diamond, Dupuy, Jonas, ma anche il grande Ballard – come non ricordare la sua quadrilogia dedicata alle catastrofi scritta negli anni 60? – e McCarthy nell’ambito narrativo) ho letto appassionatamente.
Mi permetto segnalare questo recente saggio sulla “Storia dei disastri naturali”, scritto da Henrik Svensen (Senior Researcher al Physics of Geological Processes Centre dell’Università d Oslo), edizioni Odoya.
http://www.odoya.it/index.php?main_page=product_book_info&products_id=174
Drammaticità e catastrofe, come è sottolineato nel post, sono presenti anche nella vita umana da cui l’origine della parola nel teatro greco..
In ambito strettamente scientifico esiste la cosiddetta ‘Teoria delle Catastrofi’ che è una teoria matematica connessa alle ‘Teoria delle Biforcazioni’ e quindi al Caos e potenzialmente appllicabile a qualsiasi tipo di ‘Sistema Complesso’ (tra cui anche il cervello e la psiche umana) ed è da intendersi come rapido cambiamento del sistema verso un nuovo stato di equilibrio al raggiungimento di un punto critico o ‘tipping point’. Questo è il vero senso scientifico della ‘profezia della catastrofe’ in ambito scientifico e quindi anche nella ‘Scienza del Clima’. E’ il rapido cambiamento a creare scompiglio non tanto o non solo il nuovo equilibrio.
Qualche shock è prodotto anche dai cambiamenti climatici, vedi Katrina o la siccità in Australia che ha cambiato molto di quel paese.
Pero’ forse è vero che il grosso non si vede, e quindi i segnali di allarme del mondo fisico potrebbero non essere sufficienti per le persone che non capiscono la cosa dal punto di vista scientifico.
Io avevo letto anni fa Nel paese delle ultime cose di Auster, grandissimo libro ma mi era sembrato eccessivo.. con alcune cose successe negli ultimi anni devo dire che ci penso in modo diverso
secondo me ci sono aspetti del catastrofismo climatico poco nobili, soprattutto quando giornali o peggio politici lo utilizzano per attirare l’attenzione o catturare consenso sventolando spauracchi inisistenti o giustificati solo da vaghissime ipotesi , alla fine tolgono credibilità a rischi piu concreti ma meno spettacolari.
I giornali amano le catastrofi su qualunque argomento, anche la catastrofe economica causata dagli interventi per la riduzione di CO2 ad esempio. Senz’altro meglio concentrarsi sulla scienza.
NoWaYOut
@ I giornali amano le catastrofi su qualunque argomento,
Questo e‘ verissimo, cosi’ si vende di più…
Il punto secondo me è che la scienza offre alcuni scenari che potrebbero tranquillamente essere definiti come catastrofici, nel senso di catastrofe che delinea il post, nonostante molti elementi che confondono e segnali che possono illudere del contrario. Non sono gli scenari centrali delle proiezioni, ma ci sono anche loro, per cui meriterebbero una riflessione seria, di cui non si vede traccia.
Invece, molti di questi giornali, che usano il catastrofismo come strategia editoriale, negano appena possono le evidenze scientifiche sul clima, non facendo mai mancare la voce comunque tranquillizzante, anche se palesemente debole, se non infondata (vedi esempio le tesi precedenti sull’incertezze dei modelli, o con che entusiasmo sono state salutate e amplificate molte delle stupidaggini del presunto “Climategate”).
Il motivo mi sembra quello che la linea editoriale è quella di mantenere lo status quo, il “catastrofismo illuminato” di cui scrive Dupuy non possono permetterselo.
O forse c’è dietro la voglia collettiva di non essere disturbati…
Sembra che al “popolo”invece piaccia fantasticare e emozionarsi con storie mostruose, di qualsiasi tipo. basta pensare un attimo al successo che hanno libri riviste trasmissioni che tratttano del 2012 nonostante sia una storia basata sul nulla totale. In fondo in fondo non ci crediamo, ma l’interesse un po morboso e’ sufficiente a vendere. In effetti, una storia che racconta che non succede niente a chi interessa??
Caserini,
che dire, grazie per aver esplicitato meglio il mio pensiero.
La mia critica era rivolta ai giornali per l’uso che viene fatto dell’improbabile ma possibile “worst case scenario”, utilizzo il cui fine ultimo e’ probabilmente l’effetto catartico piuttosto che la corretta informazione. Funziona, purtroppo, e consente anche di fare il titolone opposto “non e’ vero niente!”. Nulla di nuovo, l’avevano gia’ capito i tragediografi greci piu’ di duemila anni fa.
Non sono sicuro che c’entri direttamente con il “catastrofismo” e prego la redazione di spostare questo commento dove ritenga più opportuno. Mi sembra una notizia importante e credo sarebbe un peccato non darle rilievo.
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Admin: il commento è stato spostato nei commenti del post “Una clausola che non esiste (repetita iuvant)”. https://www.climalteranti.it/2010/03/31/una-clausola-che-non-esiste-repetita-iuvant/
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in sostanza e’ un po quello che hanno fatto da noi con la protesione civile per far passare certi eventi come emergenze cosi da eludere lungaggini burocratiche…
[…] Climalteranti » Cos’è il catastrofismo? 13 aprile 2010 l0cutus Lascia un commento Passa ai commenti via climalteranti.it […]
[…] Non puoi nemmeno consolarti sognando una fine rapida: i cambiamenti climatici comportano processi graduali e irregolari; la degradazione progressiva delle componenti strutturali del sistema rende il processo sempre più […]