Il luogo climaticamente più ostile del pianeta è probabilmente l’Antartide Orientale. Qui le temperature medie annuali sono dell’ordine di -55 ºC e le precipitazioni di circa 2-3 cm di acqua equivalente all’anno. Nonostante l’Antartide sia un vero e proprio deserto, in diversi milioni di anni si è sviluppata una calotta di ghiaccio che è spessa fino a 4 km.
Le scarse precipitazioni nevose, accumulandosi anno dopo anno, si sono trasformate in ghiaccio conservando memoria delle caratteristiche dell’atmosfera al momento della loro deposizione. Le carote di ghiaccio estratte dalla calotta antartica sono dei cilindri di circa 10 cm di diametro e lunghi fino ad oltre 3 km. Queste costituiscono un vero e proprio archivio di informazioni climatiche ed ambientali fino a circa 1 milione di anni fa.
Nel ghiaccio dell’Antartide, la temperatura locale nelle epoche passate è ricavabile dalla misura degli isotopi stabili di ossigeno e idrogeno; le condizioni idrologiche nei vicini continenti nonché l’intensità della circolazione atmosferica dalle polveri eoliche intrappolate; le caratteristiche degli altri aerosol dagli ioni maggiori e dagli elementi in traccia. Tuttavia le informazioni più peculiari fornite dalle carote sono conservate in bollicine d’aria intrappolate nel ghiaccio nelle quali si possono determinare le concentrazioni dei gas serra, tra cui l’anidride carbonica ed il metano, nell’atmosfera del passato.
Fig. 1 Dome C, Antartide Orientale. Posto a 3200 m di quota, questo sito è stato teatro del progetto europeo di perforazione della calotta antartica (EPICA) grazie anche al supporto del Progetto Nazionale per le Ricerche in Antartide (PNRA).
I gas serra rimangono intrappolati nel ghiaccio in maniera particolare in quanto penetrano lo strato superficiale di firn (neve trasformata caratterizzata da alta porosità) e attraverso complessi processi di diffusione giungono fino al cosiddetto punto di “close off” (a circa 50-120 m di profondità in questi ghiacci), ove in seguito alla quasi completata trasformazione in ghiaccio, i pori di firn si occludono intrappolando le bolle d’aria e con loro i gas serra. Ne segue che il ghiaccio nel quale si misurano gli isotopi stabili, indicatori della temperatura, è più vecchio dei gas serra anche di diverse migliaia di anni.
A causa di questa differenza di età, l’età dei gas è soggetta ad una correzione che comporta un’incertezza di circa 600 anni che, come vedremo, é quasi pari al reale ritardo del record dell’anidride carbonica rispetto a quello della temperatura pari a 800 anni. Uno studio recente mostra tuttavia come in realtà un ritardo di 800 anni sia con ogni probabilità sovrastimato. La questione è ancora da dirimere completamente ma, se da una parte si esclude che le variazioni dei gas serra anticipino quelle di temperatura, a questo punto non si può escludere che queste siano in realtà sostanzialmente sincrone.
Comparando gli andamenti della temperatura e dei gas serra su una scala temporale dell’ordine delle diverse centinaia di migliaia di anni, quello che salta subito all’occhio (Fig. 2) è la loro grande variabilità e nello stesso tempo la loro marcata correlazione. In questi record si alternano cicli della durata di circa 100 mila anni composti da una modalità standard più fredda (periodi glaciali, 70-90 mila anni ) e di un’altra breve e più calda (periodi interglaciali, 10-30 mila anni). Facendo un’analisi delle frequenze principali che compongono questi andamenti si trova che sono costituiti sostanzialmente dalla combinazione di tre cicli di circa 100, 40 e 20 mila anni. Questi cicli, previsti da Milankovitch fin dal 1930, corrispondo a delle variazioni orbitali estremamente regolari e prevedibili a cui è soggetto il nostro pianeta, dovute ad interazioni gravitazionali con gli altri pianeti (rispettivamente, la variazione dell’eccentricità dell’orbita terrestre, dell’inclinazione e della direzione dell’asse terrestre nello spazio). Queste variazioni orbitali costituiscono la causa prima delle variazioni climatiche su questa scala temporale, definita per l’appunto orbitale.
Fig. 2 – Il progetto EPICA ha ricostruito le variazioni di temperatura dell’Antartide e delle concentrazioni di anidride carbonica (in parti per milione) e di metano (in parti per miliardo) in atmosfera fino a quasi un milione di anni fa.
Nonostante le variazioni di temperatura registrate durante gli ultimi cicli climatici (non solo nelle carote di ghiaccio polari ma anche in molti altri archivi climatici estratti a diverse latitudini) siano molto ampie, queste possono essere state influenzate solo in minima parte dalle variazioni dell’energia solare entrante nel sistema terrestre. I cicli di 40 e 20 mila anni relativi all’inclinazione e alla direzione dell’asse terrestre non possono infatti influenzare l’input globale di energia solare ma ne ridistribuiscono unicamente il flusso in funzione della latitudine. Solamente il ciclo di 100 mila anni legato all’eccentricità è in grado di produrre una piccola variazione dell’energia solare intercettata dal nostra pianeta. Tuttavia questa non è in grado di spiegare la larga oscillazione di temperatura (6 ºC circa a livello globale) registrata ogni 100 mila anni al termine dei periodi glaciali. Curiosamente il ciclo climatico di 100 mila anni ha fatto misteriosamente la sua comparsa solamente 1 milione di anni fa (Mid-Pleistocene revolution). Questo ciclo non costituisce dunque una modalità standard nella storia climatica del nostro pianeta, a differenza dei cicli di 40 e 20 mila anni che hanno invece caratterizzato il clima terrestre per diversi milioni di anni.
Se le variazioni dell’energia solare in entrata nel sistema terrestre non sono in grado di spiegare l’ampiezza delle fluttuazioni globali di temperatura ricorrenti ogni 100 mila anni, ne possono essere collegate ai cicli di 40 e 20 mila anni, le cause principali della variabilità climatica su scala orbitale, vanno ricercate nelle variazioni dell’energia in uscita dal nostro pianeta. Ecco allora che entrano in azione delle componenti interne al sistema terrestre che, sollecitate dalle tre cause primarie orbitali evidenziate, sono in grado di influenzarne il bilancio energetico globale mediante le cosiddette azioni di feedback. Le componenti interne più importanti sono le variazioni dell’albedo (l’energia solare riflessa dal pianeta) e delle concentrazioni dei gas serra in atmosfera.
Dopo aver individuato i “mandanti” orbitali delle variazioni climatiche durante l’ultimo milione di anni, nella seconda parte di questo post cercheremo di ricostruire le possibili dinamiche di questi cambiamenti.
Testo di Paolo Gabrielli.