Guy Callendar, 75 anni dopo
Nel 1938 Callendar fu il primo a mostrare che la terra si stava scaldando, e suggerì che molto di quel riscaldamento era dovuto all’aumento di CO2 causato dall’uso dei combustibili fossili
Guy Stewart Callendar (1898-1964) fu un ingegnere inglese che iniziò a occuparsi della sua passione, la meteorologia, durante i primi decenni del XX secolo, quando il dibattito sui cambiamenti climatici era sostanzialmente sopito. Dopo il lavoro pionieristico di Arrhenius e la critica di Angstrom, la scienza restava senza una teoria largamente accettata che spiegasse quale potesse essere la causa dei grandi cambiamenti climatici del passato, già noti all’epoca.
Riprendendo l'idea di Arrhenius, al meticoloso Callendar venne in mente di valutare quale fosse stato l'andamento della temperatura media planetaria negli ultimi decenni. Ricorse alla raccolta dello Smithsonian “World Weather Record” che includeva i dati di circa 200 stazioni con diversi milioni di dati, e ne valutò l'affidabilità e quella che oggi chiameremmo omogeneità, cioé la coerenza nel tempo dei modi e sistemi di misura. Lo stesso fece con le scarse misure di concentrazione di CO2 disponibili all'epoca.
Callendar presentò alla Royal Meteorological Society i risultati della sua ricostruzione della temperatura media planetaria degli ultimi cinquant'anni, una novità assoluta,. I dati raccolti mostravano un lieve ma misurabile aumento delle temperature e che il riscaldamento risultava essere maggiore nell'emisfero nord, alle alte latitudini e in quota, tutti fenomeni coerenti con un aumento della concentrazione di CO2 in atmosfera. Rifece dei calcoli simili a quelli di Arrhenius utilizzando dati aggiornati ma, sappiamo oggi, considerando erroneamente solo il bilancio radiativo in superficie. Le pubblicazioni di Callendar (qui la più importante) attirarono una certa attenzione, ed i libri di testo di climatologia del 1940 e 1950 includevano normalmente un breve riferimento ai suoi studi. Ma la maggior parte dei meteorologi considerò scarsamente credibile l'idea di Callendar. (altro…)
Guy Stewart Callendar (1898-1964) fu un ingegnere inglese che iniziò a occuparsi della sua passione, la meteorologia, durante i primi decenni del XX secolo, quando il dibattito sui cambiamenti climatici era sostanzialmente sopito. Dopo il lavoro pionieristico di Arrhenius e la critica di Angstrom, la scienza restava senza una teoria largamente accettata che spiegasse quale potesse essere la causa dei grandi cambiamenti climatici del passato, già noti all’epoca.
Riprendendo l'idea di Arrhenius, al meticoloso Callendar venne in mente di valutare quale fosse stato l'andamento della temperatura media planetaria negli ultimi decenni. Ricorse alla raccolta dello Smithsonian “World Weather Record” che includeva i dati di circa 200 stazioni con diversi milioni di dati, e ne valutò l'affidabilità e quella che oggi chiameremmo omogeneità, cioé la coerenza nel tempo dei modi e sistemi di misura. Lo stesso fece con le scarse misure di concentrazione di CO2 disponibili all'epoca.
Callendar presentò alla Royal Meteorological Society i risultati della sua ricostruzione della temperatura media planetaria degli ultimi cinquant'anni, una novità assoluta,. I dati raccolti mostravano un lieve ma misurabile aumento delle temperature e che il riscaldamento risultava essere maggiore nell'emisfero nord, alle alte latitudini e in quota, tutti fenomeni coerenti con un aumento della concentrazione di CO2 in atmosfera. Rifece dei calcoli simili a quelli di Arrhenius utilizzando dati aggiornati ma, sappiamo oggi, considerando erroneamente solo il bilancio radiativo in superficie. Le pubblicazioni di Callendar (qui la più importante) attirarono una certa attenzione, ed i libri di testo di climatologia del 1940 e 1950 includevano normalmente un breve riferimento ai suoi studi. Ma la maggior parte dei meteorologi considerò scarsamente credibile l'idea di Callendar. (altro…) La sedia a rotelle, una nuova icona per il clima
La fine dell’Olocene e l’inizio dell’Antropocene emergono chiaramente dall’unione delle temperature ricostruite negli ultimi 11000 anni e da quelle attese per i prossimi 100.
Di recente, grande scalpore ha suscitato la pubblicazione su Science della ricostruzione delle temperature dell’Olocene (circa gli ultimi 11.000 anni) da parte di Shaun Marcott, Jeremy Shakun, Peter Clark e Alan Mix, dell’università dell’Oregon e Harvard: il grafico a fianco è uno dei risultati principali.
Il lavoro di Marcott e colleghi è scientificamente molto rilevante ed originale, non solo per gli aspetti metodologici. Mostra che il recente riscaldamento globale è senza precedenti negli ultimi 1500 anni e le temperature attuali sono superiori a quelle del 75% dell’Olocene. Pur se, come in tutte le proposte innovative, alcuni dettagli si possono discutere e potrebbero cambiare nel futuro (così funziona la scienza), la ricostruzione ha una sua solidità, e i soliti tentativi di denigrazione da parte dei soliti sospetti faranno la solita fine (al riguardo si veda un eccellente post degli autori su Realclimate e i link in esso presenti). (altro…)
Di recente, grande scalpore ha suscitato la pubblicazione su Science della ricostruzione delle temperature dell’Olocene (circa gli ultimi 11.000 anni) da parte di Shaun Marcott, Jeremy Shakun, Peter Clark e Alan Mix, dell’università dell’Oregon e Harvard: il grafico a fianco è uno dei risultati principali.
Il lavoro di Marcott e colleghi è scientificamente molto rilevante ed originale, non solo per gli aspetti metodologici. Mostra che il recente riscaldamento globale è senza precedenti negli ultimi 1500 anni e le temperature attuali sono superiori a quelle del 75% dell’Olocene. Pur se, come in tutte le proposte innovative, alcuni dettagli si possono discutere e potrebbero cambiare nel futuro (così funziona la scienza), la ricostruzione ha una sua solidità, e i soliti tentativi di denigrazione da parte dei soliti sospetti faranno la solita fine (al riguardo si veda un eccellente post degli autori su Realclimate e i link in esso presenti). (altro…) La gestione dei rischi in un clima mutato – parte III – le criticità
Una volta chiarita la catena di responsabilità nella gestione dei rischi posti dai cambiamenti climatici, quali sono gli anelli sui quali operare per tener conto dell'aggravamento dei rischi di eventi estremi?
A nostro avviso, gli anelli cruciali sono il primo, le conoscenze scientifiche, e l’ultimo, il trasferimento delle informazioni.
Servirà dare più impulso alla ricerca scientifica per comprendere quali siano i processi fisici che vengono mal simulati e colmare le lacune dei modelli di previsione. In tempo di crisi economica, in Italia gli investimenti per la ricerca sono i primi ad essere tagliati, ma speriamo in un’inversione di tendenza, visti i rischi che si corrono a rimanere nell'ignoranza.
C'è tanto da lavorare sui sistemi della comunicazione, soprattutto per chiudere quell'ultimo miglio della catena che raggiunge i cittadini, i quali devono e dovranno diventare più consapevoli delle condizioni di rischio nel proprio territorio e quali sono i piani di messa in sicurezza e della Protezione civile. Sono informazioni che devono pretendere dai propri amministratori.
Oggi, il più delle volte, la gente ritiene poco probabili gli eventi estremi e la percezione di questo rischio è piuttosto debole. Quando diventeranno più frequenti, per effetto dei cambiamenti climatici, potrebbero provocare un senso di panico, di ansia sociale. E l'ansia non aiuta certo a compiere azioni razionali.
Però sottovalutare i rischi può avere conseguenze tragiche. Come trovare un giusto equilibrio tra l'ottimismo ingiustificato [nota 1] e uno stato d'ansia perenne? (altro…)
A nostro avviso, gli anelli cruciali sono il primo, le conoscenze scientifiche, e l’ultimo, il trasferimento delle informazioni.
Servirà dare più impulso alla ricerca scientifica per comprendere quali siano i processi fisici che vengono mal simulati e colmare le lacune dei modelli di previsione. In tempo di crisi economica, in Italia gli investimenti per la ricerca sono i primi ad essere tagliati, ma speriamo in un’inversione di tendenza, visti i rischi che si corrono a rimanere nell'ignoranza.
C'è tanto da lavorare sui sistemi della comunicazione, soprattutto per chiudere quell'ultimo miglio della catena che raggiunge i cittadini, i quali devono e dovranno diventare più consapevoli delle condizioni di rischio nel proprio territorio e quali sono i piani di messa in sicurezza e della Protezione civile. Sono informazioni che devono pretendere dai propri amministratori.
Oggi, il più delle volte, la gente ritiene poco probabili gli eventi estremi e la percezione di questo rischio è piuttosto debole. Quando diventeranno più frequenti, per effetto dei cambiamenti climatici, potrebbero provocare un senso di panico, di ansia sociale. E l'ansia non aiuta certo a compiere azioni razionali.
Però sottovalutare i rischi può avere conseguenze tragiche. Come trovare un giusto equilibrio tra l'ottimismo ingiustificato [nota 1] e uno stato d'ansia perenne? (altro…) È nata la Società Italiana per le Scienze del Clima
Climalteranti saluta con soddisfazione la costituzione della Società Italiana per le Scienze del Clima (SISC), un passo in avanti della comunità scientifica italiana per meglio collaborare e far conoscere il risultato dei propri lavori.
Come si può leggere sul sito www.sisclima.it, la SISC si propone “come punto di incontro tra gli scienziati dei diversi settori disciplinari che utilizzano le informazioni climatiche per le proprie ricerche: dai climatologi ai fisici e chimici, dai geografi agli agronomi, dagli economisti agli scienziati politici, a tutti gli studiosi che si occupano di scienze legate al clima e alle loro applicazioni” e “vuole contribuire al progresso scientifico e all’innovazione delle scienze climatiche in Italia promuovendo la convergenza delle discipline e la multidisciplinarietà delle ricerche”.
Uno dei primi appuntamenti della SISC sarà la Prima Conferenza Annuale che si svolgerà a Lecce il 23 e 24 settembre 2013, con il titolo “I cambiamenti climatici e le loro implicazioni sui servizi ecosistemici e la società”. Per due giorni esperti italiani provenienti dalle diverse discipline si confronteranno per analizzare gli avanzamenti conseguiti nelle scienze del clima, fare il punto della ricerca sulle implicazioni dei cambiamenti climatici sui servizi ecosistemici, così come sulle politiche climatiche e le conseguenti valutazioni economiche.
Tutte le informazioni sulla Prima Conferenza Annuale SISC sono disponibili alla pagina web www.sisclima.it/conference20133.
Per tutto quello che c’è da sapere sulla Società Italiana per le Scienze del Clima, invitiamo a visitare il sito web ufficiale La gestione dei rischi in un clima mutato – parte II – cosa si può fare.
Come possiamo affrontare le crescenti condizioni di rischio poste dai cambiamenti climatici? chiedevamo alla fine della prima parte.
Prima di rispondere, conviene descrivere l'attuale "catena" della responsabilità per la gestione di questi eventi, e chi sono i suoi protagonisti. La "catena"ha molti attori che usano strumenti diversi di monitoraggio, di previsione, di gestione delle allerte, di comunicazione dei rischi alle popolazioni. Ci sono i meteorologi, gli idrologi, i geologi, i "protettori civili", i comunicatori del rischio. In fondo ci sono poi gli amministratori (prefetti, sindaci...) e quindi i cittadini.
Il tema è la mitigazione del rischio da alluvione, causata da eventi meteorologici avversi, soprattutto da quelli intensi e di breve durata.
Per ridurre questi rischi è necessario operare in due diverse modalità strettamente interconnesse: una opera nel "tempo differito", l'altra nel "tempo reale".
La prima attiene al mondo dei "pianificatori" territoriali: le Autorità dei Bacini (o Distretti) Fluviali, ad esempio, che per conto dello Stato e assieme alle Regioni devono ridefinire i "Piani di Assetto Idrogeologico" (PAI). Queste attività devono essere svolte in ottemperanza a precise norme dello Stato, ad esempio alla recente legge di recepimento (qui), della Direttiva 2007/60 sulle alluvioni dove si fa esplicito riferimento anche ai possibili impatti dei cambiamenti climatici. Si legge infatti che "…le alluvioni sono fenomeni naturali impossibili da prevenire. Tuttavia alcune attività umane (come la crescita degli insediamenti umani e l'incremento delle attività economiche nelle pianure alluvionali, nonché la riduzione della naturale capacità di ritenzione idrica del suolo a causa dei suoi vari usi) e i cambiamenti climatici contribuiscono ad aumentarne la probabilità di accadimento e ad aggravarne gli impatti negativi." (altro…)
Prima di rispondere, conviene descrivere l'attuale "catena" della responsabilità per la gestione di questi eventi, e chi sono i suoi protagonisti. La "catena"ha molti attori che usano strumenti diversi di monitoraggio, di previsione, di gestione delle allerte, di comunicazione dei rischi alle popolazioni. Ci sono i meteorologi, gli idrologi, i geologi, i "protettori civili", i comunicatori del rischio. In fondo ci sono poi gli amministratori (prefetti, sindaci...) e quindi i cittadini.
Il tema è la mitigazione del rischio da alluvione, causata da eventi meteorologici avversi, soprattutto da quelli intensi e di breve durata.
Per ridurre questi rischi è necessario operare in due diverse modalità strettamente interconnesse: una opera nel "tempo differito", l'altra nel "tempo reale".
La prima attiene al mondo dei "pianificatori" territoriali: le Autorità dei Bacini (o Distretti) Fluviali, ad esempio, che per conto dello Stato e assieme alle Regioni devono ridefinire i "Piani di Assetto Idrogeologico" (PAI). Queste attività devono essere svolte in ottemperanza a precise norme dello Stato, ad esempio alla recente legge di recepimento (qui), della Direttiva 2007/60 sulle alluvioni dove si fa esplicito riferimento anche ai possibili impatti dei cambiamenti climatici. Si legge infatti che "…le alluvioni sono fenomeni naturali impossibili da prevenire. Tuttavia alcune attività umane (come la crescita degli insediamenti umani e l'incremento delle attività economiche nelle pianure alluvionali, nonché la riduzione della naturale capacità di ritenzione idrica del suolo a causa dei suoi vari usi) e i cambiamenti climatici contribuiscono ad aumentarne la probabilità di accadimento e ad aggravarne gli impatti negativi." (altro…) La gestione dei rischi in un clima mutato – parte I
Gli eventi meteorologici estremi e di breve durata sono sempre più oggetto di attenzione degli studiosi, anche per gli effetti devastanti delle alluvioni. In un pianeta più caldo le condizioni di rischio aumentano, ma la società italiana si sta preparando?
Catania, 21 febbraio 2013, violenti temporali causano inondazioni che allagano le strade e trascinano via motorini e auto. Per l’eccessiva pioggia, la città è stata sommersa da pochi centimetri d’acqua fino a una marea alta due metri. Scoppiano polemiche per allertamenti non dati o dati male (guarda qui). Cinque Terre, 25 Ottobre 2011; Genova, 4 Novembre 2011, terribili nubifragi con morti e distruzione (qui un’analisi completa dell’evento). Contestazioni al sindaco, polemiche (vedi qui).
Sono storie che si ripetono, e molto più frequentemente, sembra. Non è solo colpa di una Natura (vedi qui) che sta diventando più “matrigna”, anche se500 mm di pioggia caduta in pochissime ore (alluvione di Genova) non sono propriamente eventi normali. Urbanizzazione selvaggia e (ab)uso dei suoli sono fra le cause di questi drammi e danni. Il clima che sta cambiando potrebbe peggiorare parecchio la situazione.
Negli ultimi anni, l’Italia, è stata sempre più spesso colpita da fenomeni temporaleschi di forte intensità, che hanno prodotto danni gravissimi e perdite di tante vite umane. Da qualche tempo, finalmente, si affronta il problema delle alluvioni, e soprattutto di quelle improvvise (o flash flood).
La predicibilità di questi fenomeni è modesta. In realtà solo con qualche ora di preannuncio si può prevedere, nei casi fortunati, la loro esatta localizzazione spazio temporale,, soprattutto se si tratta di fenomeni a piccolissima scala (100 Km2 ad esempio, o anche meno). Se questi “oggetti” si abbattono su un bacino idrografico molto piccolo (tipo qualche decina di Km2) e che può andare in piena in pochi minuti, si capisce che attivare in tempo la “macchina” della protezione civile al fine di mitigare i danni alle persone e ai loro beni, è molto difficile. Perché si deve fare tutto in pochi minuti., E invece magari serve qualche ora per attivare i tecnici, i volontari di protezione civile ecc.. E qualche ora può essere troppo, in certi casi. (altro…)
Catania, 21 febbraio 2013, violenti temporali causano inondazioni che allagano le strade e trascinano via motorini e auto. Per l’eccessiva pioggia, la città è stata sommersa da pochi centimetri d’acqua fino a una marea alta due metri. Scoppiano polemiche per allertamenti non dati o dati male (guarda qui). Cinque Terre, 25 Ottobre 2011; Genova, 4 Novembre 2011, terribili nubifragi con morti e distruzione (qui un’analisi completa dell’evento). Contestazioni al sindaco, polemiche (vedi qui).
Sono storie che si ripetono, e molto più frequentemente, sembra. Non è solo colpa di una Natura (vedi qui) che sta diventando più “matrigna”, anche se500 mm di pioggia caduta in pochissime ore (alluvione di Genova) non sono propriamente eventi normali. Urbanizzazione selvaggia e (ab)uso dei suoli sono fra le cause di questi drammi e danni. Il clima che sta cambiando potrebbe peggiorare parecchio la situazione.
Negli ultimi anni, l’Italia, è stata sempre più spesso colpita da fenomeni temporaleschi di forte intensità, che hanno prodotto danni gravissimi e perdite di tante vite umane. Da qualche tempo, finalmente, si affronta il problema delle alluvioni, e soprattutto di quelle improvvise (o flash flood).
La predicibilità di questi fenomeni è modesta. In realtà solo con qualche ora di preannuncio si può prevedere, nei casi fortunati, la loro esatta localizzazione spazio temporale,, soprattutto se si tratta di fenomeni a piccolissima scala (100 Km2 ad esempio, o anche meno). Se questi “oggetti” si abbattono su un bacino idrografico molto piccolo (tipo qualche decina di Km2) e che può andare in piena in pochi minuti, si capisce che attivare in tempo la “macchina” della protezione civile al fine di mitigare i danni alle persone e ai loro beni, è molto difficile. Perché si deve fare tutto in pochi minuti., E invece magari serve qualche ora per attivare i tecnici, i volontari di protezione civile ecc.. E qualche ora può essere troppo, in certi casi. (altro…) Un articolo con poche idee e tutte copiate
Chi nega che il pianeta si stia surriscaldando somiglia sempre di più a quei soldati giapponesi che continuavano a credersi in guerra decenni dopo la sua conclusione.
È il caso di Piero Vietti, il giornalista che ha pubblicato sul Foglio dell’11 gennaio 2013 l’articolo “Fa sempre lo stesso caldo. Le temperature globali non aumentano più, nonostante i catastrofisti.”
Vietti non è nuovo a queste tesi sul clima, da anni le rilancia sul quotidiano diretto da Giuliano Ferrara, nonché sul suo blog Cambi di stagione.
L’articolo, segno dei tempi, mostra a quali acrobazie concettuali e salti logici sia costretto chi vuole tuttora far dubitare dell’influenza umana sul clima.
All’inizio Vietti ironizza su alcune orche rimaste per un po’ intrappolate da uno strato di ghiaccio, e liberatesi da sole: la battuta “avevano dato troppo ascolto a chi sostiene che i ghiacci del nostro pianeta si stanno irrimediabilmente sciogliendo” è copiata da un TG5 di qualche anno fa (vedi qui).All’epoca aveva dato retta alle teorie secondo cui il pianeta si sta scaldando il comandante di una nave, finita anch’essa intrappolata nei ghiacci. (altro…)
È il caso di Piero Vietti, il giornalista che ha pubblicato sul Foglio dell’11 gennaio 2013 l’articolo “Fa sempre lo stesso caldo. Le temperature globali non aumentano più, nonostante i catastrofisti.”
Vietti non è nuovo a queste tesi sul clima, da anni le rilancia sul quotidiano diretto da Giuliano Ferrara, nonché sul suo blog Cambi di stagione.
L’articolo, segno dei tempi, mostra a quali acrobazie concettuali e salti logici sia costretto chi vuole tuttora far dubitare dell’influenza umana sul clima.
All’inizio Vietti ironizza su alcune orche rimaste per un po’ intrappolate da uno strato di ghiaccio, e liberatesi da sole: la battuta “avevano dato troppo ascolto a chi sostiene che i ghiacci del nostro pianeta si stanno irrimediabilmente sciogliendo” è copiata da un TG5 di qualche anno fa (vedi qui).All’epoca aveva dato retta alle teorie secondo cui il pianeta si sta scaldando il comandante di una nave, finita anch’essa intrappolata nei ghiacci. (altro…) Cambiamenti climatici, una questione morale
Pubblichiamo la traduzione del testo di Ezra Markowitz e Azim Shariff apparso su Climate Science and Policy
In un periodo caratterizzato da un andamento del clima sempre meno prevedibile e più denso di rischi a livello globale, la questione morale circa le azioni da intraprendere per farvi fronte sta diventando sempre più seria. Da un punto di vista normativo il mutamento del clima è una questione etica per almeno tre ragioni. Per cominciare, il tributo più alto da pagare sarà a carico di coloro che meno avranno contribuito a creare questo problema, cioè a dire le generazioni future, i poveri in generale e le specie viventi ad eccezione di quella umana. In secondo luogo i cambiamenti climatici sono il risultato dell'appropriazione indebita da parte di un ristretto numero di persone di una risorsa comune limitata, ossia della capacità di assorbimento dei gas serra da parte dell'atmosfera. Da ultimo, anche se potremmo affrontare efficacemente tale problema sia in termini di mitigazione delle sue conseguenze più nefaste che di adattamento ai mutamenti che già oggi appaiono inevitabili, al momento non stiamo facendo nulla in proposito (per una trattazione filosofica completa dell'etica del clima si veda il recente testo “Climate Ethics”) [1]. (altro…)
In un periodo caratterizzato da un andamento del clima sempre meno prevedibile e più denso di rischi a livello globale, la questione morale circa le azioni da intraprendere per farvi fronte sta diventando sempre più seria. Da un punto di vista normativo il mutamento del clima è una questione etica per almeno tre ragioni. Per cominciare, il tributo più alto da pagare sarà a carico di coloro che meno avranno contribuito a creare questo problema, cioè a dire le generazioni future, i poveri in generale e le specie viventi ad eccezione di quella umana. In secondo luogo i cambiamenti climatici sono il risultato dell'appropriazione indebita da parte di un ristretto numero di persone di una risorsa comune limitata, ossia della capacità di assorbimento dei gas serra da parte dell'atmosfera. Da ultimo, anche se potremmo affrontare efficacemente tale problema sia in termini di mitigazione delle sue conseguenze più nefaste che di adattamento ai mutamenti che già oggi appaiono inevitabili, al momento non stiamo facendo nulla in proposito (per una trattazione filosofica completa dell'etica del clima si veda il recente testo “Climate Ethics”) [1]. (altro…) I periodi caldi del passato e il riscaldamento attuale
Durante l’inverno, quando fa freddo, si sente a volte chi sottolinea l’importanza dei grandi riscaldamenti planetari del passato. E’ bene quindi ricordare che l’evoluzione della storia della Terra è stata sì caratterizzata da fasi alterne più calde o più fredde delle attuali, ma con scale temporali diverse in cui di volta in volta sono stati predominanti differenti fattori.
È indubbio che nel passato ci sono stati molti casi in cui il clima del pianeta si è scaldato in modo importante. Uno dei più famosi è l’episodio di forte e relativamente rapido riscaldamento avvenuto 55.5 Milioni di anni fa, chiamato PETM-Paleocene-Eocene Thermal Maximum (se ne è parlato recentemente su Le Scienze, Nature Geoscience e Nature): si ebbero grandi eruzioni in corrispondenza dell’apertura dell’Atlantico, i flussi magmatici arrostirono i calcari e bruciarono il carbonio superficiale, la temperatura si innalzò di2°C, gli oceani profondi si acidificarono, distruggendo i foraminiferi, e vennero destabilizzati i giacimenti di clatrati idrati sottostanti i fondali; il metano non ebbe il tempo di ossidarsi e la temperatura crebbe ancora essiccando e bruciando grandi foreste e torbiere in tutto il globo. Alla fine si stima un aumento di8 °C, in dieci-quindicimila anni.
In precedenza, dalla formazione della Terra e fino a 570 milioni di anni fa, per oltre 3 miliardi di anni il clima del Pianeta era stato regolato dai fattori geochimici che modellarono la superficie e l’atmosfera. Nel contempo l’evoluzione biologica passava lentamente dal regno dei primi organismi unicellulari anaerobici a quello dei microorganismi fotosintetici e a quelli in grado di respirare l’ossigeno prodotto, fino alla formazione degli eucarioti, capaci di entrambe le funzioni. A partire da 570 milioni di anni fa si innescò il ciclo biogeochimico del carbonio, che coinvolgeva microrganismi marini dotati di esoscheletro calcareo. La vittoria degli organismi fotosintetici portò ad arricchire l’atmosfera di ossigeno molecolare, estratto dalla CO2 ad opera della fotosintesi, quindi di ozono (a partire da 120 milioni di anni fa). Molti indizi e prove ci dicono che il clima era molto caldo, ma alternato a periodi di forte raffreddamento, favoriti forse dalla presenza di grandi concentrazioni di ceneri vulcaniche nell’atmosfera. (altro…)
È indubbio che nel passato ci sono stati molti casi in cui il clima del pianeta si è scaldato in modo importante. Uno dei più famosi è l’episodio di forte e relativamente rapido riscaldamento avvenuto 55.5 Milioni di anni fa, chiamato PETM-Paleocene-Eocene Thermal Maximum (se ne è parlato recentemente su Le Scienze, Nature Geoscience e Nature): si ebbero grandi eruzioni in corrispondenza dell’apertura dell’Atlantico, i flussi magmatici arrostirono i calcari e bruciarono il carbonio superficiale, la temperatura si innalzò di2°C, gli oceani profondi si acidificarono, distruggendo i foraminiferi, e vennero destabilizzati i giacimenti di clatrati idrati sottostanti i fondali; il metano non ebbe il tempo di ossidarsi e la temperatura crebbe ancora essiccando e bruciando grandi foreste e torbiere in tutto il globo. Alla fine si stima un aumento di8 °C, in dieci-quindicimila anni.
In precedenza, dalla formazione della Terra e fino a 570 milioni di anni fa, per oltre 3 miliardi di anni il clima del Pianeta era stato regolato dai fattori geochimici che modellarono la superficie e l’atmosfera. Nel contempo l’evoluzione biologica passava lentamente dal regno dei primi organismi unicellulari anaerobici a quello dei microorganismi fotosintetici e a quelli in grado di respirare l’ossigeno prodotto, fino alla formazione degli eucarioti, capaci di entrambe le funzioni. A partire da 570 milioni di anni fa si innescò il ciclo biogeochimico del carbonio, che coinvolgeva microrganismi marini dotati di esoscheletro calcareo. La vittoria degli organismi fotosintetici portò ad arricchire l’atmosfera di ossigeno molecolare, estratto dalla CO2 ad opera della fotosintesi, quindi di ozono (a partire da 120 milioni di anni fa). Molti indizi e prove ci dicono che il clima era molto caldo, ma alternato a periodi di forte raffreddamento, favoriti forse dalla presenza di grandi concentrazioni di ceneri vulcaniche nell’atmosfera. (altro…) Il riscaldamento globale è arrivato anche in Antartide Occidentale
Pubblichiamo la traduzione di questo post di Eric Steig su Realclimate, su un tema in passato controverso della scienza del clima, il riscaldamento dell’Antartide Occidentale. Il post originale è intitolato “The heat is on”, un modo di dire spesso usato dall’Economist per parlare del problema.
Per quanto riguarda la ricerca in Antartide, segnaliamo il blog SubGlacial Lake Whillans – Antarctica, tenuto in tempo reale da laggiù da Carlo Barbante, su cui torneremo in un prossimo post.
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Chi segue regolarmente RealClimate conoscerà già la nostra pubblicazione nel 2009 su Nature, in cui si dimostrava che l'Antartide Occidentale – la parte di calotta polare antartica che al momento contribuisce maggiormente all'innalzamento del livello del mare, e ha un potenziale tale da provocare un innalzamento ancora maggiore in futuro (3 metri) – si sta riscaldando da circa 50 anni.
La nostra ricerca era stata accolta con molto scetticismo, e non solo da parte dei “soliti sospetti”. Sembra che anche molti colleghi scienziati abbiano avuto qualche difficoltà a superare l'abituale convinzione (basata solo sulla mancanza di prove) che l'unica zona in Antartide a subire un aumento delle temperature fosse la Penisola Antartica. Per essere corretti, la nostra analisi era basata su un'interpolazione. Abbiamo usato le statistiche per supplire all'assenza dei dati, quindi in realtà non abbiamo provato nulla: abbiamo solo fatto un'analisi che puntava (con forza) in una particolare direzione.
Abbiamo passato un paio d'anni in una specie di limbo: per almeno due anni abbiamo saputo con certezza che i nostri risultati erano fondamentalmente corretti, perchè c'è stato un buon numero di osservazioni che confermavano la nostra tesi: le temperature raccolte con perforazioni , in linea con i nostri risultati, e i dati delle stazioni meteorologiche vicino al centro dell'Antartide Occidentale, che noi non avevamo usato ma che Andy Monaghan ha presentato all'Ohio State University (ora NCAR). Ma la maggior parte di questo lavoro non era stato pubblicato fino a poco tempo fa, per questo non erano informazioni sostanzialmente utilizzabili. (altro…)
Chi segue regolarmente RealClimate conoscerà già la nostra pubblicazione nel 2009 su Nature, in cui si dimostrava che l'Antartide Occidentale – la parte di calotta polare antartica che al momento contribuisce maggiormente all'innalzamento del livello del mare, e ha un potenziale tale da provocare un innalzamento ancora maggiore in futuro (3 metri) – si sta riscaldando da circa 50 anni.
La nostra ricerca era stata accolta con molto scetticismo, e non solo da parte dei “soliti sospetti”. Sembra che anche molti colleghi scienziati abbiano avuto qualche difficoltà a superare l'abituale convinzione (basata solo sulla mancanza di prove) che l'unica zona in Antartide a subire un aumento delle temperature fosse la Penisola Antartica. Per essere corretti, la nostra analisi era basata su un'interpolazione. Abbiamo usato le statistiche per supplire all'assenza dei dati, quindi in realtà non abbiamo provato nulla: abbiamo solo fatto un'analisi che puntava (con forza) in una particolare direzione.
Abbiamo passato un paio d'anni in una specie di limbo: per almeno due anni abbiamo saputo con certezza che i nostri risultati erano fondamentalmente corretti, perchè c'è stato un buon numero di osservazioni che confermavano la nostra tesi: le temperature raccolte con perforazioni , in linea con i nostri risultati, e i dati delle stazioni meteorologiche vicino al centro dell'Antartide Occidentale, che noi non avevamo usato ma che Andy Monaghan ha presentato all'Ohio State University (ora NCAR). Ma la maggior parte di questo lavoro non era stato pubblicato fino a poco tempo fa, per questo non erano informazioni sostanzialmente utilizzabili. (altro…)
Il nuovo anno record delle temperature globali
Gli ultimi 12 mesi (ottobre 2013-settembre 2014) sono stati l’anno più caldo da quando esistono le temperature globali. E il 2014… Il mese di settembre 2014, come i precedenti aprile, maggio, giugno e agosto, ha fatto registrare un nuovo record delle temperature globali: è stato il settembre più caldo da quando esistono le misurazioni di temperatura. Questo record è stato accompagnato da un altro, ossia che l’ultimo periodo di 12 mesi (iniziare a gennaio è solo una convenzione,...
Ghiacciai, vulcani e riscaldamento globale: quale relazione?
Una delle leggende che ancora persistono tra i negazionisti del riscaldamento globale vuole che la fusione dei ghiacci groenlandesi sia dovuta alla presenza al di sotto della calotta di presunti vulcani. Questo capita di sentire per esempio nel video della conferenza tenuta di recente da Nicola Scafetta presso il dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Università di Padova (qui, tempo 2:11:30), cui è stato replicato sullo stesso giornale online dell’ateneo “il Bò”. Tale ipotesi, estesa da taluni addirittura a spiegazione del...
Il nuovo catasto dei ghiacciai Italiani: le superfici glaciali diminuite del 40% dagli anni ottanta ad oggi
È finalmente ultimato il nuovo Catasto dei ghiacciai italiani, realizzato dal gruppo di glaciologia dell’Università Statale di Milano, diretto dal Prof. Claudio Smiraglia nell’ambito di un progetto condotto in collaborazione con l’associazione EvK2CNR e con il patrocinio del Comitato Glaciologico Italiano, con il supporto di Sanpellegrino-Levissima. I dati sono stati raccolti tramite analisi di ortofoto ad alta risoluzione (2007-2011), grazie anche alla collaborazione di regioni e province. La preparazione del catasto è iniziata nel 2012 ed integra dati raccolti nel...
Assegnato il premio “A qualcuno piace caldo” 2013
Anche quest’anno, il raggiungimento dell’estensione minima dei ghiacci artici (nota 1) è l’occasione per l’assegnazione del Premio “A qualcuno piace caldo”, “alla persona o all’organizzazione italiana che più si è distinta nel diffondere argomentazioni e notizie errate sulla fenomenologia dei cambiamenti climatici, sugli impatti e sui costi e benefici delle misure di mitigazione”. Esaminati i pretendenti per l’anno 2013, i membri del Comitato Scientifico di Climalteranti non hanno avuto dubbi nell’assegnazione del premio allo “Statistical Editor” del Corriere della Sera,...
Il Climate Summit e la settimana per il clima di NY°C
Il 23 settembre si svolgerà a New York l’UN Climate Summit voluto dal Segretario Generale dell’ONU Ban Ki-moon per cercare di dare un impulso alle negoziazioni internazionali sul clima. Come raccontato in altri post, il negoziato che si svolge nell’ambito della Convenzione sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC) è lungo e complesso, ma sembra arrivato ad un punto cruciale nel percorso per l’approvazione di un nuovo protocollo o strumento legale che favorisca un percorso di riduzione globale delle emissioni di gas serra....
Ma quanti errori, dott. Scafetta! – prima parte
In un seminario tenuto dal Dott. Nicola Scafetta si possono ascoltare una quantità da record di imprecisioni, errori e falsità sul tema dei cambiamenti climatici. Il notiziario dell’università di Padova, Il Bò, ha riferito di un seminario sul tema “I cambiamenti climatici, il contributo astronomico e il contributo antropico” con relatore Nicola Scafetta, docente della Duke University e uno dei due italiani che figura nell’elenco degli scienziati che si oppongono al consenso scientifico sul tema del riscaldamento globale (l’altro...
Tre equazioni sul clima
Sono stato invitato a tenere una “lavagna in piazza” al Festivaletteratura di Mantova, Domenica 7 settembre alle ore 10.30 in Piazza Mantegna a Mantova: in mezz’ora, con l’ausilio di una lavagna, presenterò tre equazioni importanti per il tema dei cambiamenti climatici, spiegandone il significato e l’importanza per il clima attuale e futuro. Quando ho accettato la proposta degli organizzatori, avevo pensato a queste tre: Stefano Caserini
C’è ancora chi crede alla Groenlandia-terra-verde
Una delle più famose leggende negazioniste è quella secondo cui 1000 anni fa, ai tempi della colonizzazione vichinga, la Groenlandia fosse una terra libera da ghiacci. Questo perché il nome dato dai vichinghi, Grönland, significa “terra verde”. La tesi negazionista è: poiché il vichingo Erik il Rosso ha dato quel nome ad un’isola oggi coperta dai ghiacci per l’84% della sua superficie, allora faceva molto più caldo di oggi e quindi non dovremmo preoccuparci del problema del riscaldamento globale. È...
Climalteranti aderisce al Power Shift Italia
Si è costituito il mese scorso, dopo un incontro tenutosi al Progetto Manifattura di Rovereto, il Power Shift Italia, un coordinamento delle realtà italiane attive sul tema dei cambiamenti climatici. Il coordinamento intende essere il polo italiano della campagna internazionale Global Power Shift, finalizzata a creare pressione a livello internazionale per politiche decise contro i cambiamenti climatici. I prossimi mesi saranno infatti molto importanti per le negoziazioni internazionali sui cambiamenti climatici. Il 23 settembre a NewYork si svolgerà il Climate Summit,...
Bruciare più combustibili fossili per salvare milioni di vite ?
Sul Corriere della Sera, Danilo Taino ha rilanciato gli argomenti di Bjorn Lomborg e del suo centro finanziato dalle lobby USA, secondo cui per salvare milioni di vite dovremmo affidarci ai combustibili fossili “Dovremmo oggi, in nome dei cambiamenti climatici, impedire al miliardo e duecento milione di individui che non ce l’hanno accedere all’elettricità e così salvare milioni di vite?” Questa la domanda dello statistical editor del Corriere della Sera, Danilo Taino, in un articolo del 6 luglio 2014,...