La fusione dei ghiacci in Groenlandia
Un errore comparso sul nuovo Times Comprehensive Atlas of the World è servito a Gavin Schmidt per parlare, su Realclimate, dello stato – pessimo – dei ghiacci groenlandesi, in un post di cui pubblichiamo la traduzione.
In Groenlandia, il 2010 aveva battuto il record di superficie fusa (Tedesco et al, 2011) e le cifre del 2011 erano attese con impazienza. Marco Tedesco e il suo gruppo le hanno rese disponibili di recente, per puro caso in contemporanea con un’altra (con)fusione creata dal nuovo atlante del Times di Londra.
L’anomalia dell’indice di fusione è il numero dei giorni in cui è rilevabile una fusione della superficie ghiacciata rispetto al periodo di riferimento 1979-2010. Più alto è il numero, più sono stati i giorni di fusione. Benché i livelli record del 2010 non siano stati raggiunti, a seconda delle analisi il 2011 si attesta comunque tra il terzo ed il sesto anno in classifica.
L’analisi del bilancio di massa superficiale, ottenuta con modelli regionali, dimostra che negli ultimi anni un crescente squilibrio tra accumulo nevoso e ruscellamento sta abbassando l’altezza dei ghiacci persino in assenza di loro effetti dinamici (che si verificano anch’essi, soprattutto ai margini della calotta glaciale).
Figura 2. Stime basate sui modelli regionali di accumulo nevoso (in arancione), scioglimento superficiale e ruscellamento (in giallo) e accumulo netto (Gt/yr) dal 1958.
Lo squilibrio di massa superficiale stimato per il 2010 o per il2011 (circa 300 Gt/yr) è comparabile con le stime GRACE di perdita della massa totale (che include la perdita del ghiaccio tramite effetti dinamici come l’accelerazione dei ghiacciai di transfluenza), 248 ± 43 Gt/yr, per gli anni 2005/2009 (Chen et al, 2011). I dati per il 2010 e il 2011 si preannunciano quindi interessanti.
E’ indubbio che in Groenlandia il tasso accelerato di perdita di massa sia preoccupante, ma è altrettanto indubbio l’errore di Harper Collins che lo ha clamorosamente esagerato nel suo comunicato stampa per la pubblicazione del Times Atlas. Un primo “chiarimento” dell’editore chiariva così poco da richiederne un secondo, un po’ migliorato. Dalle discussioni sul server CRYOLIST, pare molto probabile che l’errore sia risultato da una confusione tra la definizione di “calotta glaciale permanente” e quella di “ghiacciai”. Nell’atlante infatti, i ghiacciai sono stati eliminati del tutto oppure colorati in marrone invece che in bianco. (Sul server non ho visto una legenda delle diverse tonalità, ma possiedo l’edizione del 1994 che, a scanso di equivoci, segnala i ghiacciai in bianco come vuole la tradizione.)
Fino al secondo chiarimento, il Times aveva ribadito la validità delle sue mappe, una sciocchezza probabilmente dovuta al fatto che ristampare gli atlanti già pubblicati sarebbe molto costoso. Il punto è, nel caso non si sia già capito, che semplicemente non esiste alcuna misura – né di spessore né di estensione superficiale – dalla quale dedurre che la Groenlandia abbia perso il 15% del suo ghiaccio. Come scrive un gruppo di scienziati dello Scott Polar Research Institute in una lettera al Times, “Recenti immagini satellitari della Groenlandia mostrano chiaramente che ci sono tuttora numerosi ghiacciai e aree coperte da ghiaccio permanente laddove il nuovo atlante del Times mostra invece un’assenza di ghiaccio e l’emersione di nuove terre”. In un’analisi più particolareggiata, lo Scott Polar Research Institute dimostra che la mappa della Groenlandia è non solo sbagliata, ma anche diversa da tutte le altre mappe dell’atlante che rappresentano calotte glaciali.
L’iniziativa presa dai glaciologi per smentire il comunicato stampa è stato un buon esempio di come la comunità scientifica possa organizzarsi e correggere affermazioni autorevoli ma sbagliate fatte da non scienziati, grazie a un contatto diretto con i giornalisti, mettendo a disposizione i dati e identificando l’origine dell’errore. E’ stata anche un’occasione per illustrare la situazione reale: il rapido e accelerato cambiamento in corso in Groenlandia e nel resto dell’Artico.
Aggiornamento: Questi sono i risultati preliminari di GRACE per la Groenlandia per il 2010 e l’inizio del 2011.
Figura 3 – In alto, le anomalie di massa mensili sullaGroenlandia da gennaio 2003 a luglio 2011 [come in Velicogna (2009)]; in basso, i dati mensili detrendizzati (blu), e una climatologia mensile dal 2004 al 2009, che evidenzia l’eccezionale perdita di massa nel 2010 (~500 Gt-H2O).
Figura 4 – La nuova mappa del Times Atlas (a sinistra) assieme ad un mosaico di due immagini satellitari prese nell’agosto 2011 (a destra). Sempre sulla destra i contorni in blu di iso-spessore del ghiaccio ogni 500 m, sulla destra, sono uguali a quelli della mappa del Times. Una rappresentazione migliore della copertura glaciale sarebbe fornita dalla linea rossa, che indica uno spessore di 0 m. La mappa del Times esclude invece tutto il ghiaccio compreso tra le linee blu e rossa, e quelli che non fanno parte della calotta principale, visibili nell’immagine satellitare (Scott Polar Research Institute).
Riferimenti
- M. Tedesco, X. Fettweis, M.R. van den Broeke, R.S.W. van de Wal, C.J.P.P. Smeets, W.J. van de Berg, M.C. Serreze, and J.E. Box, “The role of albedo and accumulation in the 2010 melting record in Greenland”, Environmental Research Letters, vol. 6, 2011, pp. 014005-. DOI.
- J.L. Chen, C.R. Wilson, and B.D. Tapley, “Interannual variability of Greenland ice losses from satellite gravimetry”, Journal of Geophysical Research, vol. 116, 2011. DOI.
- I. Velicogna, “Increasing rates of ice mass loss from the Greenland and Antarctic ice sheets revealed by GRACE”, Geophysical Research Letters, vol. 36, 2009. DOI.
Articolo originale su Realclimate: qui
Traduzione di: Aurora D’Aprile, Emanuele Eccel. Revisione di: Simone Casadei e Sylvie Coyaud
5 responses so far
In tutte le mappe da me consultate negli ultimi settant’anni i ghiacciai sono identificati con il bianco.
E’ ridicolo che il Times, che pretende di essere la fonte informativa più attendibile nel mondo, ricorra a giustificazioni così puerili!
G. Ditta
L’aspetto interessante è quello che un’editore di peso come la HarperCollins abbia proposto un loro prodotto di punta facendo leva sull’aspetto climatico, il che è sempre una buona cosa. L’aspetto tragico è la presunzione di non aver bisogno di “controlli”, da parte di esperti, per quei temi che la stessa HarperCollins non ha. E’ questo aspetto che generalmente mi rende furioso nei confronti di editori che hanno la presunzione di non aver la necessità di verifica sulle informazioni pubblicate. Se qualcuno ha letto “Tutti gli uomini del Presidente” di Bernstein e Woodward sullo scandalo del Watergate, si ricorda che i due giornalisti cercavano in tutti i modi di verificare il più possibile le notizie che gli venivano date dagli informatori… Forse un’etica di questo tipo potrebbe essere applicata anche sui temi scientifici.
Valter Maggi
@ Valter Maggi
Eh si, hai ragione.
Il problema è che di solito sulla questione di principio, sull’importanza dei controlli, sono tutti d’accordo; nella pratica la risposta standard che danno in Italia i quotidiani, anche quelli grandi, quando sono colti sul fatto è: c’è la crisi, siamo in pochi, dobbiamo occuparci di mille cose, e poi abbiamo fretta…. sic.
Ciao. Stefano
@Valter M.
il fact-checking è stato appaltato a esterni ancora prima della correzione di bozze – con poche eccezioni: New Yorker, Economist e…?
“etica” (avevo scritto epica, colpa della carota!)
certo, ma Bernstein e Woodward potevano contare su quella della proprietaria; Harper & Collins è di Rupert Murdoch
sylvie c.
@Stefano C.
“c’è la crisi, siamo in pochi”
tutto vero, manca “e dobbiamo anche riempire di continuo il web”
Ad avere una mente sufficientemente contorta si potrebbe ipotizzare una congiura ordita da Kich & Murdoch per corroborare la tesi del complotto allarmista di Gore & IPCC. Strano che un Caprara non ci abbia già inzuppato il pane.
Riguardo la deontologia professionale dei media, conosco giornalisti seri che verificano le fonti, fanno controlli incrociati e applicano il loro senso critico. Però non lavorano nella divulgazione scientifica, dove invece dilagano superficialità e sensazionalismo con poche lodevoli eccezioni e.g. Maurizio Ricci.