La variabilità non è la tendenza, accid…
Proviamo a spiegare di nuovo la differenza partendo dall’articolo “Il mistero della Terra che non si surriscalda più”, uscito su Repubblica il 10 aprile.
“Dal 1998 [il pianeta] non ha registrato nessun aumento di temperatura, in barba a tutti i modelli climatici che prevedevano un riscaldamento continuo causato dall’effetto serra…”
scrive Elena Dusi. Frase da negazionista, non da giornalista sicuramente al corrente di fatti che nessuno contesta. Il decennio scorso è stato più caldo del precedente, che è stato più caldo del precedente che è stato più caldo del precedente. E i 9 anni più caldi sono stati registrati tutti quanti dal 1998 in poi, proprio da quando la temperatura avrebbe smesso di aumentare.
Il breve attacco in prima pagina rimanda a p. 47 dove l’occhiello e il titolo ripetono:
La temperatura resta più alta di 0,75 gradi rispetto a un secolo fa, ma dal 1998 a oggi non è mai aumentata. (…) Secondo gli esperti può essere un “time out”.
Bel mistero, in effetti. Che non sia il caldo a governare i processi del ghiaccio, come alcuni sembrano ritenere?
I lettori di Repubblica si rassicurino. Gli esperti citati dal loro quotidiano dicono che la Terra continua a scaldarsi. Sono gli autori di “Retrospective prediction of the global warming slowdown in the past decade” uscito su Nature Climate Change. Il loro modello mostra che, alla superficie di continenti e mari, il tasso di riscaldamento è rallentato (ma non fermato, come riferito da Elena Dusi) da un maggior assorbimento di calore/energia nei primi 700 metri da parte degli oceani.. Confermano così un’analisi dei dati registrati in mare e in atmosfera, uscita nel gennaio 2012 su Nature Geoscience.
Niente di clamoroso, insomma. Senza “slow-down decennale” tradotto con “uno stop di 15 anni”, quella piccola conoscenza in più non avrebbe fatto notizia. Né il clima avrebbe ottenuto tanto spazio con informazioni per lo più corrette e altre ben riassunte dall’infografica. Peccato che fossero smentite in prima pagina e dai titoli.
Su Climalteranti abbiamo parlato più volte della presunta stasi del riscaldamento (ad esempio qui e qui), e basterà ricordare che la variabilità naturale causa un su e giù della temperatura media sul breve termine (qualche anno), che è cosa diversa dall’andamento climatico. Tenendo opportunamente conto dei principali fattori di variabilità (variabilità solare, ENSO, aerosol vulcanici) si può mostrare che il riscaldamento non si è per nulla fermato.
E allora come mai, ci si potrebbe chiedere, i ricercatori stessi parlano di slowdown? A ben leggere, si occupano proprio della recente variabilità del clima: è un cosiddetto lavoro di attribuzione di quest’ultima ad una causa. La distinzione fra variabilità e trend climatico è necessaria per una corretta interpretazione di tutte le variabili climatiche, cosa che sembra non essere mai chiarita a sufficienza. E qual è il trend climatico del pianeta secondo gli autori? Basta leggere la prima frase dell’articolo che recita:
“The recent global warming slowdown despite the sustained top-of-atmosphere (TOA) excess energy input associated with the greenhouse gases triggered a debate on the fate of the missing heat”.
Lo sbilanciamento energetico planetario resta “sostenuto”. Vale a dire che il pianeta accumula energia, per cui gli autori si ripropongono di trovare dov’è finita durante l’ultimo decennio, visto che non è nello strato basso dell’atmosfera. Altri autori avevano già evidenziato, sia con lavori di modellistica che dall’analisi dei dati, il ruolo non trascurabile delle profondità oceaniche nell’accumulo di energia. Questi autori utilizzano un modello di previsione a breve termine (in senso climatologico: 5 anni) basato sui dati misurati negli anni precedenti per confermare che gran parte dell’eccesso di calore dovuto al disequilibrio radiativo è finito sì negli oceani, ma non fino a 2000 metri di profondità, come alcuni ipotizzavano.
Se questa vi sembra una buona notizia, ricredetevi! L’eccesso di calore rimane qui, sulla Terra: non ce ne siamo liberati. Quando “girerà il vento” della variabilità climatica, lo ritroveremo inesorabilmente nell’aria che respiriamo.
Sorprende un po’ l’idea della Dusi secondo cui i modelli climatici prevedono un “riscaldamento continuo”. È semplicemente un errore o, forse, un’errata interpretazione dei grafici che mostrano il risultato mediato su molti modelli o molte simulazioni di uno stesso modello. Ma quando si fanno proiezioni climatiche non si è interessati tanto alla variabilità quanto al trend. Il processo di media serve infatti proprio ad eliminare la prima, onde evidenziare meglio il secondo. Anche in questo caso, dunque, sembra che ci sia stata la solita confusione fra variabilità e trend. Che, in fondo, è la stessa differenza esistente tra eventi meteorologici e clima.
Testo di Sylvie Coyaud, Riccardo Reitano e Claudio Cassardo
33 responses so far
Evidenzio alcuni aspetti di questo articolo sui quali sono perplesso.
Il primo:
“9 anni più caldi sono stati registrati tutti quanti dal 1998 in poi”
A mio parere, questa frase non contraddice in alcun modo l’affermazione che la temperatura ha smesso di aumentare negli ultimi 15 anni (nell’accezione secondo la quale il trend è pressoché piatto), al di là del fatto che essa sia vera oppure no.
Il secondo: quella che nell’articolo viene definita come “piccola conoscenza in più” mi fa pensare che dobbiamo prendere con estrema cautela le proiezioni della temperatura globale di modelli su cui non è stata implementata tale piccola conoscenza. Quindi, non mi sembra così piccola (a di là del fatto che possa essere consolidata oppure no).
Il terzo (direi il più critico): “principali fattori di variabilità (variabilità solare, ENSO, aerosol vulcanici)”
In realtà, a leggere l’articolo linkato, è soprattutto l’ENSO a costituire la variabilità che può incidere sull’andamento della T nell’arco di un decennio (la TSI solare incide molto poco e gli aerosol vulcanici per così breve tempo che in sostanza non variano il trend). A questo punto nasce la questione se l’ENSO sia un fattore del tutto esogeno. Il quesito si ricollega alla seconda parte dell’articolo, ove si scrive del calore/energia assorbito dagli oceani.
agrimensore
la tua prima affermazione sarebbe vera se la temperatura procedesse a singhiozzo, un salto in su e poi la stasi. Credi sia questo il comportamento che dovremmo aspettarci?
Nella seconda affermazione cadi nello stesso errore della Dusi di confondere variabilità con trend. O abbiamo motivo di credere che il calore continuerà a “sparire” per sempre nelle profondità oceaniche?
Infine, da tabella 3 di Foster et al. il contributo al trend degli ultimi 30 anni è dello stesso ordine di grandezza per tutti e tre i fattori mentre l’ampiezza della variabilità è maggiore per l’ENSO. Che siano o meno esogeni dipende da cosa stiamo guardando; mi sembra appropriato per isolare il trend dalla variabilità, obiettivo dell’articolo.
@agrimensore
1) cominciamo col dire che l’affermazione non è vera. Se prendiamo gli ultimi 15 anni (cosa che statisticamente ha già di per sé poco senso, sia per il corto timeframe sia perché partire da un anno molto caldo e finire con un anno frescolino, su un lasso di tempo così breve, “inquina” inevitabilmente il calcolo del trend) abbiamo trend positivi con tutti e 3 i principali dataset (GISS più di NCDC più di HadCRUT4). Ma ovviamente questo trend non è statisticamente significativo. Diventa negativo (e ancora meno significativo) dal 2005 con GISS e dal 2001 con HadCRUT4.
Giustamente, il fatto che il 90% degli anni più caldi siano tutti successivi al 1998 non contraddica il plateau che si scorge vieppiù negli ultimi 10 anni, concordo.
2) Concordo con lei. Work in progress. Ma non è che sia una grande novità. Hanno messo in risalto il ruolo della variabilità interna nel sottrarre una parte del calore atmosferico addizionandolo alle profondità oceaniche. I modelli tengono già conto del mixing oceanico ma lo fanno su scala temporale più lunga.
3) ENSO: esogeno al trend di fondo, endogeno al sistema climatico, essendo parte principale della variabilità interna interannuale. E, come si evince dagli ultimi lavori citati, anche parte indiretta della variabilità interna decennale.
Un appunto all’articolo: a me pare (ci sto scrivendo qualcosa) che l’avvezione di energia abbia prevalentemente finito per accumulare calore al di sotto dei 300 m di profondità ma anche al di sotto dei 700. Ci sono robuste ragioni fisiche che possono spiegare questa presunta e apparente “stranezza”: l’irrobustimento della cella di Walker nel Pacifico (e degli associati alisei) nell’ultimo decennio ha finito per trascinare una parte di questo surplus di energia nelle profondità delle acque del Pacifico attraverso moti e flussi convettivi e avvettivi, soprattutto fra i 300 e i 700 m di profondità. C’è anche il relativo indebolimento dell’AMOC che sarebbe responsabile di una parte dell’accumulo di calore nelle profondità dell’Atlantico al di sotto dei 700 m e ci sarebbe anche da gettare più di un’occhiata alle acque profonde che circondano l’Antartide, perché anche in quel caso sembra di scorgere qualcosa di interessante.
Sylvie, spero che tu abbia girato questo post alla Dusi…
@agrimensore
“9 anni più caldi ecc. A mio parere, questa frase non contraddice” ecc.
Lo contraddice perché fa parte della tendenza degli ultimi tre decenni (la frase prima).
“piccola conoscenza in più”
come la stragrande maggioranza di quelle pubblicate! Non è né clamorosa né definitiva e senza la confusione tra slow-down e stop, non sarebbe diventata una notizia.
Sempre che sia confermata, i modelli climatici che dovrebbero incorporarla sarebbero quelli a 10 anni. Non esistono, a quanto ne so.
@Paolo C
Altro reparto! Cmq hanno frainteso in tanti, e per chi prima si occupava di medicina l’articolo non è male: se si legge fino in fondo, si vede che contraddice sia i titoli che il richiamo in prima.
Oltre all’ignoranza assoluta in termini di meteorologia e orrori di semplice aritmetica da seconda elementare, affermare una cosa cosi’ dimostra un’ intelligenza inferiore a quella di un babuino.
Dal picco del Nino strong (evento di cortissimo raggio che nasce e muore in un lasso infinitesimale confrontato a quello di un ciclo di medio-lungo termine come il GW) a oggi la T non e’ aumentata ? Vogliamo vederla in questo modo ?
Benissimo, allora io dico che dal 1999 A OGGI INVECE LA TEMPERATURA E’ AUMENTATA MOLTISSIMO, sono piu’ aggiornato coi dati e seguo lo stesso “ragionamento” (?).
Possiamo prendere altresi’ l anno piu caldo di inizio 900 e confrontarlo con un anno globalmente molto freddo negli anni 70 e affermare che dal 1900 al 1970 la temperatura terrestre e’ diminuita ? E’ lo stesso ragionamento scerebrato.
Non vale nemmeno la pena rispondere a certa gentaglia….
@Reitano: la prima affermazione è vera comunque, indipendentemente dal clima.
es.:
sig A: Il trend del fatturato della mia azienda è in crescita fino al ’98, negli ultimi 15 anni è stato pressoché piatto
sig. B.: Com’è possibile? I 9 anni con maggior fatturato sono inclusi negli ultimi 15…
La contestazione del sig. B è insensata, secondo me. Secondo te? E secondo oca sapiens?
Poi, non ho motivo di credere che il calore continuerà a “sparire” per sempre nelle profondità oceaniche, come non ho motivo di credere che “riemerga” nel giro di pochi anni, anche in considerazione della capacità termica degli oceani rispetto all’atmosfera. A meno che tu non mi segnali qualche lavoro in merito. A tal proposito, mi sembrano convincenti le affermazioni di Steph.
Infine, perché citi la figura 3? Lì sono evidenziati solo i coefficienti. D’altro canto, più sotto è scritto:
“the variances of the signal components corresponding to the influence of MEI, AOD and TSI are listed in table 2. This confirms that the influence of ENSO is greater than that of volcanic forcing and much greater than that of solar variation”
A parte ciò, vuoi sostenere che la variazione TSI abbia effetto simile sul trend della T a quello della variazione ENSO?
@oca sapiens: perché a 10 anni e non a 30 anni? o 60 anni? Si riferisce all’articolo linkato o a qualche altro studio in particolare?
steph
se me lo lasci dire in tono quasi “poetico”, l’oceano custodisce bene i suoi segreti. Ci sono anche altre zone chiave di cui ancora si sa poco, dalla corrente di Agulhas al Pacifico e all’Indiano settentrionale. Sono convinto che ne vedremo ancora delle belle.
agrimensore
un trend (sottolineo trend) climatico non va “a scatti”, nemmeno se potessimo controllare le forzanti con la bacchetta magica. I tempi di risposta sono quelli che sono e ce li dobbiamo piangere.
Giusto un esempio di emersione/sprofondamento di acque oceaniche, pensa all’ENSO.
Ho citato la tabella 3, non la figura 3, e quello che citi parla della variabilità, non del trend. Quando ho iniziato a occuparmi di queste cose non avrei mai immaginato che uno dei concetti più difficili da trasmettere sarebbe stato la distinzione fra variabilità e trend.
“Dal 1998 [il pianeta] non ha registrato nessun aumento di temperatura, in barba a tutti i modelli climatici che prevedevano un riscaldamento continuo causato dall’effetto serra…”
In barba a cosa?
THE ability to distinguish a warming trend from natural variability is critical for an understanding of the climatic response to increasing greenhouse-gas concentrations. Here we use singular spectrum analysis to analyse the time series of global surface air temperatures for the past 135 years, allowing a secular warming trend and a small number of oscillatory modes to be separated from the noise. The trend is flat until 1910, with an increase of 0.4 °C since then. The oscillations exhibit interdecadal periods of 21 and 16 years, and interannual periods of 6 and 5 years. The interannual oscillations are probably related to global aspects of the El Niño-Southern Oscillation (ENSO) phenomenon. The interdecadal oscillations could be associated with changes in the extratropical ocean circulation. The oscillatory components have combined (peak-to-peak) amplitudes of >0.2 °C, and therefore limit our ability to predict whether the inferred secular warming trend of 0.005 °Cyr−1 will continue. This could postpone incontrovertible detection of the greenhouse warming signal for one or two decades.
Era il 1991 .
Ecco, la prima frase citata da steph sarebbe da scolpire sulla roccia:
“THE ability to distinguish a warming trend from natural variability is critical for an understanding of the climatic response to increasing greenhouse-gas concentrations.”
E’ quanto viene fatto e rifatto da chi si occupa di variabilità e trend ma anche quanto viene ignorato e ri-ignorato da chi non lo vuole sapere.
@Riccardo
certamente. Ma anche l’ultima frase dell’abstract non è male, considerando che è stata scritta più di 20 anni fa e che dopo più di 20 anni c’è ancora chi si meraviglia (eufemismo) che la Terra da 15 anni non si surriscalda più (e non è nemmeno vero). E considerando che lo stesso meravigliato si stupisce (eufemismo) ogniqualvolta gli capita di leggere che un lasso di tempo di uno o due decenni può ancora essere troppo breve per far emergere il segnale del greenhouse warming dal rumore di fondo dato dalla variabilità.
steph
l’ultima frase con il senno di poi la scriveremmo senza il condizionale. Purtroppo è ancora l’argomento politico usato dai soliti noti. Lo sappiamo e lo sanno anche loro che è una battaglia di retroguardia persa in partenza, ma puntando a ritardare l’azione loro ci guadagno e il resto del mondo ci perde. Per questo siamo qui, no? 🙂
@agrimensore g
mi riferivo al modello di previsione a 5 anni (retro visione in questo caso) di cui parla l’articolo e il post.
@Reitano.
“tabella 3”: ok, chiaro. Quello che intendo è che l’ENSO, è il fenomeno che contribuirebbe decisamente alla variabilità (in questo senso “inquinerebbe” il trend) perchè la TSI è poco variabile e le eruzioni vulcaniche hanno effetti temporalmente più contenuti.
“un trend (sottolineo trend) climatico non va “a scatti”,”: non so perchè continui a sottolineare questo, come se nei commenti avessi scritto qualcosa che lasciasse intendere il contrario. La prima frase nel primo commento non riguardava nè il clima, nè la fisica, nè la statistica: era una semplice considerazione di logica.
@agrimensore g
“Quello che intendo è che l’ENSO, è il fenomeno che contribuirebbe decisamente alla variabilità (in questo senso “inquinerebbe” il trend) perchè la TSI è poco variabile e le eruzioni vulcaniche hanno effetti temporalmente più contenuti.”
L’ENSO è la principale sorgente di variabilità interannuale, proprio per questo va rimossa quando si vuole evidenziare il ruolo che le forzanti esterne hanno nel guidare il trend di fondo (come hanno fatto per es. Forster e Rahmstorf 2011 e vedi anche i 2 post linkati).
Le eruzioni vulcaniche potenti, in realtà, hanno effetti temporalmente meno contenuti rispetto all’ENSO, i cui effetti tendono a smorzarsi (a seconda dell’intensità e della persistenza degli eventi) entro 12 (al massimo 18) mesi dall’inizio delle anomalie. Le più potenti eruzioni vulcaniche (per es. come il Pinatubo), invece, hanno effetti in troposfera fino a oltre 30 mesi dall’innesco. E “depositano” le loro tracce in stratosfera probabilmente per più anni, senza poi contare i possibili effetti di feedback. Non a caso stiamo comparando mele con banane, variabilità interna con forcing esterni. Vedi la parte finale di questo post .
Che poi lo stesso ENSO possa essere influenzato da metronomi esterni (sole, eruzioni vulcaniche stesse,…), non cambia la sostanza della distinzione.
agrimensore
logicamente non è una dimostrazione di per sè, basta ignorare il caso a cui applicarla. Ma questi sono cavilli.
@steph
Sì, ma con “temporalmente più contenuti” intendo che le eruzioni vulcaniche in grado di avere effetti sulle T sono più rare dei fenomeni nino/nina.
@Reitano
Suppongo che il tuo commento sia partito incompleto. Altrimenti non ho capito nemmeno quali sono i soggetti di ciascuna frase. Dato che l’esempio che ho inserito nel secondo commento, e il successivo quesito mi sembrano semplici, se fossi così gentile da rispondere (anche con una risposta articolata del tipo “sì, ma…” o “no, tuttavia…”) forse riuscirei a capire meglio il tuo pensiero. Viceversa, farò comunque del mio meglio per cercare di capire cosa non è una dimostrazione e quali sono i cavilli.
@agrimensore g
temo di non aver capito. Per lei tempo e frequenza sono la stessa cosa?
agrimensore
hai criticato una frase secondo “una semplice considerazione di logica”. Cioè, se un qualcosa nell’ultimo decennio ha assunto un valore in media più alto che nel decennio precedente non dimostra che non sia stato costante. Quel “non dimostra” significa che l’affermazione non è valida sempre. Ma se ci ricordiamo dell’argomento in discussione è valida.
Il termine cavilli si riferiva alla tua affermazione ed alla mia risposta.
@Steph
No, non sono la stessa cosa. Provo a riassumere la mia ipotesi. In sostanza, relativamente al lavoro di Forster e Rahmstorf, un risultato molto simile a quello di fig. 5 (ove il trend è anche visivamente più chiaro, essendo non più “inquinato” dal “rumore”) si poteva raggiungere anche considerando soltanto l’ENSO, perché, appunto è il maggiore fattore di variabilità. Quando scrivo “temporale” mi riferisco al fatto che per il periodo esaminato nello studio, il tempo in cui le eruzioni vulcaniche (solo 2) hanno effetto sulla variabilità è complessivamente minore di quello relativo all’ENSO (la tabella 2 riassume i risultati).
In sostanza, per la variabilità, l’ENSO ha influenza su, più o meno, tutto il periodo di studio, l’AOD solo per pochi anni. Per questo suppongo che il grafico di fig.5 sarebbe quasi lo stesso se si considerasse solo l’ENSO (la TSI lo modificherebbe assai poco).
A questo punto mi pare sia importante valutare quanto l’ENSO si possa considerare esogeno, col corollario di casualità connesso a tale termine, anche e soprattutto se si vuole ipotizzare che il calore immagazzinato negli oceani venga restituito nel giro di pochi anni.
Immagino che, specie per quest’ultimo concetto, non mi sia spiegato a sufficienza. Ma questo è il 5o e ultimo commento e quindi eventualmente lo approfondirò quando se ne presenterà l’occasione.
@Reitano
Non ho criticato una frase, ma una coppia di frasi, e non il contenuto, bensì il nesso logico.
A proposito di effetto sulla temperatura e sulla sua stasi apparente degli scambi di calore con l’oceano dovuti all’ENSO, l’analisi di John Nielsen-Gammon mi sembra la più immediata da comprendere a livello divulgativo.
Qui la figura chiave.
@Riccardo
grazie mille per il link al testo di Nielsen-Gammon, e alla figura, davvero molto chiara
Quando si parla di variabilità naturale si citano sempre Sole, eruzioni vulcaniche ed ENSO, molto meno i cicli oceanici più lunghi come AMO e PDO, mi chiedevo se dipende dal fatto che si hanno pochi dati a disposizione, o perchè si ritiene che abbiano un’influenza limitata.
Grazie se vorrete rispondermi.
Marco
Marco Pifferetti
ci sono varie ragioni per cui AMO e PDO sono poco considerate quando si parla di variabilità su scala decadale, fra le quali la prima che mi viene a citare sta nella loro stessa definizione. Entrambe rappresentano una variazione della temperatura oceanica superficiale in una regione rispetto alla media globale dopo aver sottratto il trend. A meno della irrealistica ipotesi che il trend sia globalmente uniforme, esso si manifesterà inevitabilmente nell’indice. Come dire, entrambe sono un modo indiretto di manifestarsi del trend globale, non un fenomeno a se stante.
L’origine di questi modi di variabilità non è nota con precisione, ma ad esempio la PDO è noto non essere un modo indipendente anche a prescindere dal trend; detto in altri termini, la PDO è una forzata da altri fenomeni ed in particolare anche dall’ENSO.
In ogni caso, il loro impatto è limitato e sostanzialmente regionale e se, estremizzando, il tutto si riducesse ad uno spostamento del calore in zone diverse dell’oceano, globalmente sarà difficilmente significativo.
E’ vero, comunque, che sulla variabilità decadale ci sono parecchi aspetti non ben compresi. Molti, ma non tutti, i modelli climatici riproducono una variabilità approssimativamente analoga ma con frequenze ed ampiezze che non riproducono bene le osservazioni. Purtroppo la scala di tempi del decennio, intermedia fra l’interannuale e il trend pluri-decennale, resta un campo di indagine abbastanza aperto. Per chi si interessa al clima, anche a livello dilettantistico come me, è un argomento stimolante.
@Marco
un po’ tutte e due le cose. Ma penso che la risposta di Riccardo sia anche molto esaustiva, in tal senso.
“Dati a disposizione”: certamente un problema è dato dal fatto che abbiamo solamente poco più di un secolo di dati di rilevamento diretto (ma molto di più attraverso dati proxy) e che queste variabilità oceaniche si manifestano appunto sull’arco di più decenni .
Le ricostruzioni proxy presentano alcuni problemi di calibratura, come si sa. E prestano il fianco ad ulteriori problemi di interpretazione: come spiegare, ad es., l’apparente paradosso dell’anomalia climatica medievale, connotata da temperature più alte rispetto a gran parte degli ultimi 2000 anni ma pure da stato del Pacifico caratterizzato da frequenti e protratte fasi di Nina e con configurazione generale delle SST molto simile alla fase negativa della PDO? Una parte del contributo termico in aerea euro-atlantica sembrerebbe essere stata favorita, comunque, da probabili frequenti fasi di AMO positiva.
“Influenza limitata”: la correlazione cross fra AMO e temperature globali (una volta che si è proceduto a detrendizzare l’AMO) mostra una certa robustezza significativa ma l’apice fra le due relazioni di interesse si colloca in una fase tale per cui è l’andamento termico globale a precedere quello dell’AMO. Questo può significare che l’AMO – pur influenzando i parametri climatici come temperature e precipitazioni anche in ambito continentale e remoto e non solo oceanico (uragani atlantici, precipitazioni sul Sahel, sul sudest degli States, sul Brasile e in parte pure sull’Europa nordoccidentale, temperature soprattutto estive sull’Europa occidentale, temperature artiche) – è a sua volta influenzata dal trend di fondo e risponde all’andamento generale che un mondo con più energia accumulata è in grado di produrre per quel che riguarda le temperature oceaniche. La correlazione cross fra PDO e temperature globali è invece assai più contenuta ma in effetti qui è la PDO che tende a precedere le T globali. Ma, come diceva già Riccardo, la PDO in sé è un riflesso di come cambia il pattern spaziale delle SST in quella vasta porzione di oceano nel tempo, è una sorta di traccia lasciata dall’ENSO nella sua continua redistribuzione del calore.
Dal punto di vista energetico (che è quello che più conta, in termini termodinamici), quel che conta alla fine è il bilancio radiativo al TOA e l’eventuale accumulo di energia da parte del sistema terrestre (principalmente nell’oceano) viene trasportato orizzontalmente o penetra all’interno inabissandosi per un certo periodo di tempo verso quote più profonde (contribuendo a creare fasi di stasi termica generale della durata alcuni anni), per poi riemergere più avanti; oppure viene dissipato in calore latente e poi trasportato in atmosfera andando a contribuire alla variazione del tempo meteorologico; in buona sostanza viene ridistribuito e speso all’interno del sistema.
L’Alzheimer precoce o forse la scarsa considerazione in cui tengo ciò che io stesso scrivo mi aveva fatto dimenticare che un paio d’anni fa avevo scritto un post sulla PDO per Skeptical Science.
Il post è centrato sul trend e sull’errore di Roy Spencer nell’attribuirlo alla PDO, ma ci sono diversi riferimenti interessanti alla letteratura scientifica sul fenomeno. In particolare, visto che ne avevo accennato prima, vorrei citare il lavoro di Bonfills e Santer (bontà loro in open access) sulla influenza del trend nella determinazione degli indici PDO.
se fosse vero che la temperatura non sta aumentando negli ultimi 15 anni non vedo perché non dovrebbe iniziare a scendere..
se il riscaldamento è un’invenzione e se l’apporto mostruoso di CO2, idrati e ‘inquinanti’ vari è nullo o poco influente, seguendo il ragionamento dei ‘freddofili’, ad un certo punto la T diminuirà perché un sistema come quello climatico ad un certo punto presenta il conto, in un verso o nell’altro; intendo dire che se effettivamente la T sta diminuendo e l’uomo contribuisce solo ad un leggero riscaldamento con gli ‘inquinanti’, ad un certo punto inizierà drasticamente a diminuire..e tra qualche anno probabilmente il drastico crollo industriale e produttivo contribuirà a questo scenario.
Il fatto, reale, è che la T non scende e anzi il mare inizia a fare da serbatoio; se ha ragione chi dice che il GW è una balla, non dico dalle prossime stagioni ma di sicuro entro 15 anni anche il sistema meteo inizierà a tornare quello di molti lustri fa..alta russa in inverno, anticiclone azzoriano in estate, celle di Hadley che se ne stanno buone sul Sahara, giorni di gelo consecutivi in padania ecc..ecc..
Delle due l’una; o gli indici ci dicono dove realmente stiamo andando oppure ci sfugge qualcosa e anche gli indici sono un riflesso del riscaldamento in atto.
[…] indica non la stazionarietà ma una tendenza al riscaldamento (seppure con una grande variabilità, come già discusso). Un’interpretazione più corretta consiste nel calcolare la significatività del trend. Come […]
stefano
se la temperatura smettesse di crescere e iniziasse a diminuire (in senso climatologico), a quel punto anche io mi potrei aspettare qualunque cosa.
Il clima non cambia per capriccio di una qualche divinità dispettosa; se nonostante che tutti gli indicatori che abbiamo, dal contenuto di calore oceanico allo sbilanciamento energetico planetario, puntino ad un riscaldamento il pianeta invece si raffredda, dovremmo concludere che di clima non ne sappiamo davvero nulla. Un fallimento così clamoroso della fisica e della scienza del clima mi sento di escluderlo.
@Riccardo
molti ‘freddofili’ (non li voglio chiamare negazionisti) dicono da anni che la T globale non sale..anzi scende..e che l’influenza dell’uomo è al massimo marginale..
sostanzialmente, per loro, le forzanti -al massimo- spingono un pò i giri della ‘macchina’ climatica un pò più sù..nient’altro.
ovvio aspettarsi -per loro- che al rallentamento delle forzanti umane (che prima o poi avverrà..) la T tornerà a diminuire portandoci verso un periodo addirittura sotto-media.
Dico solo che se questa tesi è vera verrà scoperta a breve..anche se chi studia il clima sa che le cose non stanno così..
[…] indica non la stazionarietà ma una tendenza al riscaldamento (seppure con una grande variabilità, come già discusso). Un’interpretazione più corretta consiste nel calcolare la significatività del trend. Come […]
[…] stesso Taino, secondo cui “Dal 1998 la temperatura media della Terra non aumenta” (in realtà l’aumento c’è, è solo un po’ inferiore all’aumento dei decenni precedenti). Segue un’altra affermazione […]
[…] aumento delle temperature globali dell’atmosfera e dei mari (vedi i precedenti post qui, qui o qui). Non può andare diversamente visto che, per dirla in un modo molto efficace, ogni […]