Una risposta a chi chiede di non agire contro il riscaldamento globale
Pubblichiamo una traduzione del commento dei climatologi Kerry Emanuel and Susan Solomon all’editoriale “Climate Science Is Not Settled”, pubblicato dal Wall Street Journal pochi giorni prima del vertice ONU sul clima a New York. Una risposta efficace a chi ritiene che l’attuale conoscenza scientifica sia ancora insufficiente per guidare un’efficace azione politica contro il riscaldamento globale.
Il recente editoriale di Stephen Koonin sul Wall Street Journal mostra quanto sia importante, in materia di scienza, distinguere i fondamenti scientifici e i dettagli numerici, sopratutto quando si tratta di valutare i rischi.
Koonin riconosce diversi fondamenti scientifici basilari: non nega che il clima stia cambiando, che le attività umane siano almeno in parte responsabili del problema, o che le scelte politiche non debbano tenerne conto. Ma l’affermazione riportata nel titolo dell’editoriale, che la conoscenza del clima è insufficiente perché si agisca per tutelarci dal rischio, è un giudizio di valore non basato sulla sostanza scientifica del saggio. La locuzione nel titolo del saggio, Settled Science (scienza certa), è ripetuta anche altrove ed è spesso usata da giornalisti e ambientalisti, ma fino ad ora non l’avevamo mai vista usare da uno scienziato del clima. Sebbene sia inizialmente riferita a “discussioni di tipo politico o popolare”, più avanti Koonin obbietta che l’incertezza “non dovrebbe essere relegata in sommesse discussioni ai margini di eventi accademici”, come ad indicare che anche in ambito scientifico si consideri la scienza del clima certa e non si considerino adeguatamente le incertezze residue. Questa frase ci ha sorpreso, perché l’incertezza costituisce uno dei temi, se non il tema principale, delle ricerche sul cambiamento climatico, e tutti tengono conto dell’incertezza per delineare interventi sensati. Nel “Summary for Policymakers” dell’ultimo Rapporto dell’IPCC, “incertezza” o “incerto” appare 36 volte, e i grafici riguardanti le previsioni climatiche riportano con evidenza i margini di incertezza e le barre di errore. Difficile dire che l’incertezza sia tenuta nascosta. Il termine “scienza certa” è un depistaggio che non ha nulla a che vedere con la prassi e le pubblicazioni della scienza del clima.
Siamo abituati a sentire dire “il clima è sempre cambiato” con l’intento di sminuire il cambiamento in atto; un po’ come se l’avvocato di un assassino dicesse al giudice: “la gente si è sempre ammazzata”. Il clima cambia su scale ben diverse, e se così non fosse non dovremmo preoccuparci della nostra influenza, perché significherebbe che il sistema climatico è una grande intrinseca stabilità. Non c’è dubbio che in passato il clima del pianeta abbia risposto in modo vistoso a piccoli cambiamenti del bilancio energetico terrestre, per esempio a cambiamenti della radiazione solare o della sua distribuzione latitudinale, e a cambiamenti della composizione dell’atmosfera. Però questo non ci può rassicurare. Koonin sbaglia quando dice che l’impatto dell’attività umana sembra paragonabile alla variabilità intrinseca naturale; in realtà molti studi, pur usando serie indipendenti di dati, hanno dimostrato che negli ultimi cinquant’anni i segnali antropici sono emersi chiaramente dal rumore di fondo a scala sia locale che globale. E non si tratta soltanto dell’entità della variazione delle temperature globali, ma della velocità con la quale stiamo modificando il bilancio energetico del pianeta, velocità superiore di gran lunga quella riscontrabile nelle evidenze paleo-climatiche di almeno molte migliaia di anni.
Altrove Koonin incorre in alcuni dei travisamenti più diffusi, per esempio che le previsioni del clima siano soltanto il risultato di complicati modelli numerici. Non è affatto così: la fisica di base e modelli semplicissimi dicono che l’aumento dei gas serra porta a un riscaldamento rilevante. Nel 1906 il chimico svedese Svante Arrhenius ha stimato che un raddoppio della concentrazione di CO2 avrebbe aumentato la temperatura media globale alla superficie di 4°C, facendo i calcoli con carta e penna. Anche se i computer non fossero stati inventati, la scienza del clima avrebbe comunque identificato un rischio sostanziale nel moltiplicare le concentrazioni di gas serra con lunghi tempi di permanenza nell’atmosfera . Che è quanto faremo entro questo secolo se il tasso attuale di crescita delle nostre emissioni rimarrà invariato.
Koonin afferma che il nostro effetto serra è una piccola percentuale di quello complessivo. Nel contesto però questa informazione, corretta in sé, è del tutto fuorviante. Nell’atmosfera, il principale gas serra è il vapore acqueo, ma il tempo di permanenza di una molecola d’acqua è di circa due settimane. Pertanto la concentrazione complessiva del vapore acqueo è determinata dalla temperatura dell’aria, e non il contrario. L’effetto serra del vapore acqueo è una reazione veloce dovuta ad altri cambiamenti del sistema atmosferico, come è universalmente riconosciuto (fin dai tempi di Arrhenius) e come lo stesso Koonin riconosce più avanti. Al contrario, una parte della CO2 che immettiamo nell’atmosfera vi resta per centinaia o migliaia di anni e su queste scale temporali va considerata una forzante. Sebbene il contributo della CO2 all’effetto serra complessivo sia minore, è ben noto che se si eliminasse interamente la CO2 dall’atmosfera, la temperatura media sulla superficie della Terra scenderebbe sotto zero, a dimostrazione del suo ruolo chiave. Per lo stesso motivo il raddoppio della sua concentrazione influisce sul clima.
Per i climatologi, lo “iato” nell’innalzamento della temperatura superficiale è un enigma affascinante e non del tutto coerente con le attuali conoscenze sulla variabilità naturale. Le incertezze sulle forzanti dovute alle variazioni dell’inquinamento atmosferico e del particolato emesso dai vulcani potrebbero avere una certa influenza. Interi seminari vengono dedicati a questo tema. Nell’affrontarlo, occorre tenere presente che circa il 90% dello squilibrio energetico dovuto all’aumento dei gas serra con lunghi tempi di permanenza in atmosfera non riscalda l’atmosfera, ma gli oceani, e le misure più attendibili mostrano che il contenuto di calore degli oceani ha continuato a salire inesorabilmente, anche mentre la temperatura atmosferica si stabilizzava. Non occorrono grandi scambi di calore tra oceano ed atmosfera per far sì che la temperatura dell’atmosfera cambi in modo sensibile. Non capiamo ancora completamente le cause naturali di questi scambi.
Veniamo ora a quella che consideriamo la parte più inquietante dell’editoriale di Koonin: l’implicazione che le incertezze scientifiche suggeriscano di non far nulla. Al di fuori dell’ambientalismo radicale e di giornali minori, nessuno sostiene che le incertezze delle proiezioni climatiche siano piccole. Nonostante i loro difetti, le proiezioni basate sull’insieme dei modelli complessi, usati da molti gruppi internazionali, sono fondate su una fisica valida dai tempi di Arrhenius e rappresentano la risposta migliore che la nostra civiltà è grado di dare: il resto è pura congettura. Le proiezioni ritraggono come si evolvono nel tempo le distribuzioni delle probabilità di diverse variabili, come precipitazioni e temperatura media alla superficie, che gli esperti di analisi di rischio convertono nelle distribuzioni di probabilità di diversi tipi di rischi. Queste analisi del rischio sono prese sul serio dalle imprese (per esempio dalle riassicurazioni), da molti enti governativi (il Dipartimento della Difesa, la città di New York) e sono indispensabili alla pianificazione.
La questione è complicata, ma molti cittadini cominciano a capire come pensare al rischio e alle incertezze anche per quanto riguarda il clima. L’incremento mediano della temperatura legato al raddoppio della CO2, pari a circa 2,5°C, già pone rischi seri, mentre la non così improbabile coda lunga della distribuzione delle temperature (attese per un raddoppio della CO2) potrebbe essere molto grave, perfino catastrofica, per la civiltà. E se non facciamo nulla per limitare le nostre emissioni, siamo avviati a triplicare la CO2 presente in atmosfera a fine secolo e a quadruplicarla poco dopo. Anche le stime più basse della risposta del clima a una simile forzante implicano rischi molto seri. Salvo grandi miglioramenti nei processi si estrazione di CO2 dall’atmosfera e successivo sequestro, il lunghissimo tempo di permanenza della CO2 antropogenica in atmosfera implica che la decisione di ridurre le emissioni e quanto ridurle non può essere rimandata.
Koonin sostiene che il problema vada affrontato democraticamente, e questo è per noi ovvio, ma gli eventi dell’ultimo decennio mostrano che il peggior pericolo per le decisioni democratiche non sono i climatologi arroganti (anche se qualcuno ce n’è!), ma da ingenti interessi legati allo status quo, che sembrano esercitare un’influenza indebita sulla politica odierna. L’oligarchia in ascesa usa lo spettro di una tecnocrazia per tentare di distrarre e di allarmare l’opinione pubblica.
Fra persone ragionevoli, si può dissentire sul modo migliore per contrastare una minaccia incerta ma potenzialmente molto seria, e devono essere i cittadini a decidere quanto spendere per mitigarla. Ma ignorare o sminuire i rischi è fare un pessimo servizio sia alla scienza che all’opinione pubblica.
Kerry Emanuel è professore di scienza dell’atmosfera e Susan Solomon professore di scienza del clima e di chimica atmosferica al Massachusetts Institute of Technology.
Traduzione di Luigi Ciattaglia, con il contributo di Sylvie Coyaud e Stefano Caserini
15 responses so far
Credo essenziale che Climalteranti affronti in qualche futura occasione un tema che è di fondo e molto trascurato nel dibattito sul cambiamento climatico antropogenico. S. Koonin afferma che: “Le decisioni su come gestire il cambiamento climatico [antropogenico] debbono essere assunte democraticamente…”. L’ affermazione è banale e vera, ma – come altri negazionisti (e come molti altri che conosciamo), Koonin usa la parola “democrazia” come grimaldello per far passare le sue idee. Lasciatemi precisare cosa è democrazia: lo farò senza usare profonde dissertazioni specialistiche. La frase chiave della finta democrazia è: uno vale uno. E’ una frase che affascina l’ ascoltatore e ne distrugge le difese logiche. Tutti sappiamo (tutti siamo d’accordo) che “uno vale uno” in termini di dignità; dignità che viene riconosciuta quando andiamo a votare. Ma se si tratta di riparare lo scarico del lavandino Koonin e chiunque altro si rivolge a un idraulico e non a un giornalista; se si tratta di un problema cardiaco tutti andiamo da un cardiologo e non da un architetto. La frase “uno vale uno” ha quindi un valore molto limitato. Se si tratta di cambiamenti climatici le parole di Kerry e di Solomon valgono infinitamente di più di quelle di Koonin. E le opinioni / conclusioni / indicazioni / prescrizioni del gruppo IPCC valgono infinitamente di più di quelle di tutti gli Scafetta + Zichichi + Battaglia + Lindzen + …. messi insieme. Questa è democrazia: il grado di fiducia che noi concediamo a una persona (gruppo) deve essere pesato sulle competenze che quella persona (gruppo) ha nella materia in questione.
Questa “pesata” è mancata negli ultimi venticinque – trenta anni; da quando cioè la “crescente oligarchia” [dei padroni delle fonti energetiche fossili] ha investito ingenti risorse per distrarre artificiosamente la pubblica opinione e imporre una soluzione altamente antidemocratica sulle scelte dell’ umanità in tema di cambiamento climatico antropogenico.
@Antonio Zecca
mi trovo in completa sintonia con quanto ha scritto. Non saprei scriverlo meglio. Ne parlavo giusto ieri in un commento su un altro post.
Sono talmente d’accordo che riporterò il suo commento sul mio blog, ovviamente citandone la fonte.
“Siamo abituati a sentire dire “il clima è sempre cambiato” con l’intento di sminuire il cambiamento in atto; un po’ come se l’avvocato di un assassino dicesse al giudice: “la gente si è sempre ammazzata” …
“le proiezioni basate sull’insieme dei modelli complessi, usati da molti gruppi internazionali, sono fondate su una fisica valida dai tempi di Arrhenius e rappresentano la risposta migliore che la nostra civiltà è grado di dare: il resto è pura congettura”
Questi e molti altri passi dell’articolo ne fanno davvero un contributo straordinario per la competenza, l’equilibrio, l’efficacia e la sintesi. Grazie per la segnalazione.
Trovo gran parte di questo articolo condivisibile.
Volendo riassumere: sebbene ci sia ancora un consistente grado di incertezza, il rischio esiste ed è grave quindi è opportuno intervenire.
Questo mi pare ragionevole. Tra l’altro, trovo che il contenuto sia in molte parti stridente con altri articoli apparsi in questo blog. Faccio degli esempi:
“Per i climatologi, lo “iato” nell’innalzamento della temperatura superficiale è un enigma affascinante e non del tutto coerente con le attuali conoscenze sulla variabilità naturale”
“Al di fuori dell’ambientalismo radicale e di giornali minori, nessuno sostiene che le incertezze delle proiezioni climatiche siano piccole”.
Invece mi convince meno la parte che recita:
“Nonostante i loro difetti, le proiezioni basate sull’insieme dei modelli complessi, usati da molti gruppi internazionali, sono fondate su una fisica valida dai tempi di Arrhenius e rappresentano la risposta migliore che la nostra civiltà è grado di dare: il resto è pura congettura”
E’ vero che i modelli sono fondati sulla fisica definitivamente accettata e che rappresentano quanto di meglio la tecnologia possa offrire, ma ciò non implica che funzionino già in maniera sufficiente per utilizzare i risultati a scopo decisionale. In particolare, nel momento in cui vengono implementati parametri (es: pdf per il processo di formazioni di nubi) occorre verificare che non ci siano problemi di overfitting. Per farlo, serve verificare che le previsioni fatte in un dato momento siano successivamente verificate. Se l’arco temporale è di trent’anni o vent’anni bisogna prendere la previsione di trent’anni o vent’anni fa. E’ questa parte di “valutazione” o “verifica” che non ho trovato nel rapporto IPCC. Che oggi i GCM sono migliori di ieri, come ho letto sul rapporto, è poco più che una banalità che non porta a nulla.
In conclusione, se si decide di intervenire perché lo suggerisce la fisica, sono d’accordo; se si vuole farlo in base ai risultati dei GCM, avrei dei dubbi. Anzi, ho l’impressione che tirare in ballo i GCM sia controproducente nell’ottica di generare consenso.
agrimensore
credo che il disaccordo che vedi fra le frasi del post e quanto altre volte è stato sostenuto qui è più che altro un problema di linguaggio.
Per quanto riguarda lo iato è necessario chiarire se ci si riferisce al riscaldamento globale o alla varibilità naturale. Gli autori si riferiscono alla seconda e io sono daccordo. Se si parlasse del primo, invece, sarei in disaccordo.
Sulle incertezze grandi o piccole è un giudizio di valore e dipende, anche qui, da a cosa ci si riferisce. Ad esempio, la sensitività climatica potrebbe essere 2 °C o 4 °C, una il doppio dell’altra; se questa incertezza è da considerare grande o piccola dipende dal problema che ci si pone. Il tema di fondo dell’articolo è che l’incertezza non è tale da non imporci di intervenire.
A parer mio la risposta fornita da questo articolo è fuorviante.
Non tanto in merito alla questione se la quantificazione dei rischi che corriamo immettendo ogni anno 30 e passa Gt di anidride carbonica (+ il resto) sia scientificamente adeguata per supportare degli interventi allo scopo di allontanare o mitigare tale rischi. A questo riguardo basta rilevare quanto sia elevato il consenso tra la comunità scientifica di riferimento e come i paralogismi dei supposti scettici siano quasi sempre inconsistenti.
Il punto decisivo però è che esiste una domanda più fondamentale, ossia:
l’ umanità come sistema di individui/organizzazioni/Nazioni è strutturalmente in grado di agire in maniera globale contro il GW (generato in gran parte dall’ agire “egoistico” di miliardi di individui, organizzati in maniera caotica ma storicamente ben determinata, nel corso degli ultimi 2 secoli) coordinando le iniziative concrete in modo da ottenere degli effetti validi a livello globale e non locale (come il protocollo di Kyoto)?
Allo stato attuale purtroppo non solo non esiste un’ organizzazione democratica in grado di agire in questo senso, ma nemmeno una non democratica (l’ ONU in fondo è tale, ma la sua impotenza globale nei vari campi di sua competenza è del tutto palese).
alberto
io credo che alla tua domanda non siano i climatologi a dover rispondere. Come tu stesso rilevi, è anche il nostro agire come cittadini a determinare la risposta. Io non credo che l’ostacolo sia l’organizzazione ma la volontà.
@alberrto
concordo con Riccardo..
perché deve essere un’organizzazione a guidare un cambiamento..quando poi quell’organizzazione o emana dei divieti oppure non viene ascoltata per pura comodità?
intendo dire che ad esempio in Cina (!) sono vietati nella maggior parte dei centri abitati gli scooter a benza..pensa un pò ad un provvedimento del genere in Italia..rivoluzione a 360° contro amministratori o Governo che emana tale norma..
ma, tra l’altro, perché la gente opta per tali mezzi inquinanti? uno scooter a batteria (si lo so anche le batterie hanno un ‘peso’ ecologico..) costa in pratica come uno a benza performante, non inquina, ha costi di manutenzione ridicoli, non paghi (in molte regioni..) il bollo per anni, ricarichi in garage o gratis alla colonnina del Comune..ecc..ecc..eppure a guardare le vendite non sembrano così convenienti..anzi..
Strutturalmente siamo in grado..’basta’ prenderne coscienza e iniziare a fare i conti con la calcolatrice..non a occhio (conosco persone che reputano conveniente spendere la ‘modica’ cifra di 1200 euro/anno di gas invece di farsi un impianto fotovoltaico..).
@agrimensore
“Che oggi i GCM sono migliori di ieri, come ho letto sul rapporto, è poco più che una banalità che non porta a nulla”
non sono per niente d’accordo 🙂
visto che i GCM vanno a braccetto con i modelli meteo, pensa ad una previsione a 7giorni effettuata una quindicina d’anni fa..ti prendevano per un chiromante..
oggi una previsione a 3-5 giorni te la fai vedendo un qualsiasi modello a caso in rete..dieci anni fa avevi una precisione a 72-120 ore abbastanza modesta (rispetto ad oggi)..equivalente in pratica ad usare un solo segno in schedina di una partita difficilotta da prevedere..
I GCM non ti dicono come sarà tra 20 anni il clima con estrema precisione ma ti dicono sinteticamente dove stai andando; sono una bussola..le correzioni le fai te col timone strada facendo.
saluti.
stefano
@stefano
Hai ragione, in effetti mi sono espresso male, volevo intendere che scrivere che i GCM siano migliorati è poco più di una banalità. Sarebbe sorprendente che peggiorassero. Mi aspettavo qualcosa di più nel rapporto IPCC. Ad esempio, avrei preferito che fossero mostrate le eventuali differenze, o con sintesi numerica o graficamente (col solito globo terracqueo colorato con colori diversi per differenze positive o negative), tra quanto previsto in termini di vari trend (t, precipitazioni) e quanto realmente accaduto negli ultimi 10/20/30 anni, ove “previsto” implica che il risultato esaminato non sia stato ottenuto a posteriori. Senza questo tipo di verifiche, la mia fiducia nel considerare sufficientemente validi i risultati dei GCM viene meno.
Per quanto mi riguarda, il motivo per agire non è la ridotta incertezza ma la bassa certezza. Cioè, dato il grande rischio per non agire dovremmo essere assolutamente confidenti che esso sia remoto, e invece così non è.
@Riccardo: certo che non sono i climatologi a dover rivoluzionare il sistema economico mondiale, nemmeno se lo volessero fortissimamente.
Riguardo al concetto di “volontà”, va bene per un singolo individuo, per 7 miliardi di persone inserite all’ interno di strutture come gli Stati (ed altre organizzazioni sovra o sotto nazionali) che in parte cooperano tra di loro ed in parte sono in competizione (anche feroce) tra di loro, mi pare un concetto aleatorio.
Questo ricorso ai poteri salvifici della “volontà” o della “volontà politica” nel caso di serissimi problemi strutturali, non solo mondiali, ma anche all’ interno di piccole Nazioni come l’ Italia è molto diffuso soprattutto tra gli intellettuali ma è più un’ illusione che una manifestazione di ottimistismo.
Per essere espliciti lo definirei la solita soluzione quasi perfetta se non fosse che per un banale particolare: non funziona nella realtà.
@stefano: in linea del tutto teorica non è necessario che sia una solida struttura organizzata a cambiare la realtà (“guidare il cambiamento” è un modo di esprimersi paternalistico), solo che immaginarsi che siano alcuni singoli individui in maniera destrutturata a cambiare i modi di produzione fondamentali dell’ economia mondiale mi pare davvero un sogno, soprattutto se questi sono lontanissimi dal costituire una massa critica (la quale non vedo come possa essere di molto inferiore ai 3 miliardi di individui) .
Riguardo ad esempi limitati come quello degli scooter elettrici non solo in generale non costituiscono una soluzione al problema globale della riduzione delle emissioni di gas serra ma nella realtà concreta a volte non comportano nemmeno un miglioramento complessivo.
@agrimensore g
beh..mi sembri troppo preciso e competente..avevo capito male io..mi sembrava davvero strano avessi affermato questo 🙂
una cosa però..perché hai bisogno di analizzare il trend/rendimento per giudicare un modello? in meteo ogni modello viene ‘giudicato’ ogni settimana..ma ha un senso la prestazione di un modello meteo (in particolare si gioca sull’inizializzazione dei dati e sul come ‘lavora’ il modello), ma non capisco bene ciò che affermi in riferimento ad un modello climatologico..mi spiego..se vent’anni fa un modello ti avesse detto che in Norvegia meridionale la temperatura nel 2014 sarebbe stata più alta di 1°c e oggi rilevi 0.7 o 1.4 che cosa cambia? a grande scala, già modelli piuttosto grezzi di vent’anni fa (un’altra era geologica, tra l’altro, per quanto riguarda la modellistica..considera anche questo..), mostravano un aumento termico nella stragrande maggioranza del globo ed un aumento precipitativo sul singolo evento..roba che si è puntualmente avverata già pochi anni dopo..senza parlare del cambiamento circolatorio che solo qualche forumista si ostina a negare..
un saluto
@alberto
quello che dici è condivisibile ma sembra un panorama piuttosto triste che si addice a questo e a pochi altri paesi..(parlo dei singoli ‘destrutturalizzati’)..solo in Italia spendiamo valanghe di milioni di metri cubi di metano invece di usare (almeno in parte, o nelle stagioni di mezzo..) un’impianto fotovoltaico o un semplice solare termico per l’acqua calda. Solo da noi è operazione avveniristica montare un un impianto FV o risparmiare denaro con un motorino elettrico..Mia cugina è tornata da un viaggio oltralpe e ha scoperto che altrove gli automobilisti rispettano i limiti e si fermano sulle strisce..e che addirittura (!) l’auto può essere un impiccio (lo ha detto riferita a Monaco di Baviera..ma si possono aggiungere una ventina di città nella sola mittle e nord-europa); stiamo parlando di una persona adulta con famiglia..
Insomma..il mondo non è solo l’italia..dove comunque tanta gente ha formato gruppi d’acquisto, dove parecchie associazioni guardano preoccupate all’impatto ambientale dell’uomo e sono attive sul territorio..ecc..ecc..
Ti dico cose ovvie, lo so, perà alla fine è un problema essenzialmente culturale.
certo..non siamo in germania e moltissima strada c’è da macinare..
Sono consapevole che un’auto ibrida o uno scooter elettrico non risolvano i problemi del pianeta, ma neanche il SUV di turno o l’utilizzo di petrolio per mandare un mezzo a due ruote mi paiono minimamente ‘sostenibili’ (parola che dice tutto e nulla..) oggi, e nemmeno minimamente futuribili..nel senso che mi paiono ormai strade a fondo cieco che probabilmente rimarranno un semplice ricordo solo tra qualche decennio (qualcuno direbbe addiriturra ‘qualche anno’..)..ma è, in realtà, un problema quasi esclusivamente culturale..come lo è quello di non fare i conti col calcolatore ma ‘ad occhio’ senza un’analisi ‘scientifica’ dei costi..
se dici ad un transalpino di spendere 2000 euro l’anno per andare in scooter a lavoro, quello pensa che lo stai prendendo in giro o che hai uno stipendio mostruoso..non certo di 1200 euro al mese.
un saluto.
@Stefano.
Beh, l’obiettivo credo che sia fornire delle previsioni abbastanza realistiche dal punto di vista numerico per prendere le decisioni migliori, limitarsi al qualitativo (aumenta o scende) mi pare un po’ poco. Trovo sia fondamentalmente differente riscontrare che l’aumento previsto in un continente (lasciamo perdere la “Norvegia meridionale” che mi sembra un po’ troppo circoscritta) sia di 0.01C/decade o 0.1C/decade o 0.5/decade, anche con tutti i margini d’errore, scenari simulati e incertezze annesse. In tutti e tre i casi la temperatura aumenta, ma le decisioni da prendere potrebbero essere differenti. Nel primo caso l’orizzonte temporale per agire è ampio e si può pensare di attendere il consolidarsi di nuove tecnologie in modo da minimizzare eventuali effetti negativi per l’economia, più in generale per il benessere dei popoli; nell’ultimo caso bisogna intervenire d’urgenza a qualsiasi costo, utilizzare qualsiasi tecnologia disponibile, persino quelle non del tutto sicure.
Credo che, sotto questo punto di vista, i GCM non siano ancora sufficientemente testati. Allo stesso tempo, non esistono prove che si verifichi il caso migliore.
Una visualizzazione delle emissioni globali di CO2 e CO prodotta dalla NASA:
https://www.youtube.com/watch?v=x1SgmFa0r04
“While the presence of carbon dioxide has dramatic global consequences, it’s fascinating to see how local emission sources and weather systems produce gradients of its concentration on a very regional scale.”
The visualization offered by NASA provides first such demonstration of the amount of carbon dioxide that moves through the atmosphere of the Earth.
E questo è l’effetto nell’Artico:
http://www.arctic.noaa.gov/reportcard/
As 2014 comes to a close, Europe is virtually certain to lock in its hottest year in more than 500 years, and according to research by three independent teams of climate scientists, the record can be closely attributed to climate change.
The three groups, from the UK, the Netherlands and Australia, each using a different method, found that Europe should best its previous heat record set in 2007, and that setting that record has been made at least 35 to 80 times more likely by the manmade rise of greenhouse gases in the atmosphere.
http://www.weather.com/science/environment/news/record-heat-europe-tied-climate-change
http://www.theguardian.com/environment/2014/dec/17/europes-record-hot-year-made-35-times-more-likely-climate-change