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Il Museo delle Tecnologie dell’Antropocene

Il mese scorso, appena prima di questa emergenza sanitaria, ho visitato il “Museum of Anthropocene Technology” (MAT) a Laveno Mombello. È un piccolo museo creato da Frank Raes, che fino a poco tempo fa lavorava presso il Joint Research Centre della Commissione Europea a Ispra. Lì ha diretto le ricerche sull’inquinamento atmosferico e sui cambiamenti climatici. Da 10-15 anni Frank è attivo sulla comunicazione della crisi climatica e il MAT è il suo modo di continuare questo lavoro.

Da tempo si dice che la sfida del cambiamento climatico debba essere affrontata nella sua dimensione profonda, sistemica, coinvolgendo le scienze umanistiche, per stabilire connessioni con i diversi aspetti della nostra cultura. Nelle stanze del MAT ho trovato questo. Non solo un racconto dell’antropocene a partire dalle tecnologie che ne hanno determinato e caratterizzato lo sviluppo. Anche una rete di connessioni, fra le Città Invisibili di Italo Calvino e gli scritti più recenti di Bruno Latour, il Quinto rapporto IPCC e il fallout radioattivo di Chernobyl, le schede dei personal computer e la riproduzione della molecola del glucosio o della CO2.

Pur se non possiamo visitarlo in questi giorni, ho chiesto a Frank di presentarci il museo, per permetterci di iniziare alcune riflessioni, un altro piccolo modo per “socializzare a distanza”. Questo è il suo racconto.

 

“Il Museo è un pretesto per riflettere, insieme ai visitatori, su come va il nostro mondo: da dove viene e dove sta andando. Si parte dagli oggetti mostrati: una scultura, un libro, un’installazione, una mappa, … e si arriva quasi sempre a una discussione su come noi umani siamo intrecciati con i non-umani: l’aria, le montagne, gli animali, … la natura insomma.

Ammiro molto le persone che riescono a scrivere un libro su questi argomenti, ma non sono un buon scrittore e quindi ho creato questo Museo. I miei ex-colleghi, scherzando, dicono che così facendo finalmente mi posso far chiamare “direttore”.

La vera ragione è che le collezioni di oggetti mi hanno sempre affascinato, perché ti danno la libertà, ad ogni momento, di sistemare le cose in modo diverso. In un libro o una presentazione devi necessariamente andare dalla A alla Z, dall’introduzione alla conclusione. Con una raccolta è possibile riallestire continuamente le cose, sperimentare diversi allestimenti, con l’obiettivo di trovare collegamenti inaspettati, altre coerenze e possibilmente altri significati. In un buon museo gli allestimenti sono sempre temporanei.

Credo che questo modo volutamente poco rigido di vedere le cose possa essere utile per cercare di capire il nostro mondo.

Il MAT vuole essere una specie di Wunderkammer, una stanza delle meraviglie come quelle che erano popolari durante il Rinascimento. Il mio interesse per quel tipo di musei è iniziato circa 20 anni fa, quando ho visitato il “Museum of Jurassic Technology “, un piccolo museo perso nella jungla urbana di Los Angeles. Può essere strano che qualcosa a Los Angeles sia legato al Rinascimento. Di questo parlo in un TEDx talk che ho tenuto due anni fa. In ogni caso, il punto è che la “meraviglia” spesso porta al “dubbio”, e che meraviglia e dubbio sono i prerequisiti per un “cambiamento”.

È sempre più chiaro che qualcosa deve cambiare. Infatti, qualcosa sta cambiando! Basta vedere cosa sta succedendo in queste settimane: l’Italia è parzialmente bloccata a causa del nuovo coronavirus, la guerra in Siria ha prodotto milioni di rifugiati che stanno alle porte dell’Europa, i prezzi del petrolio sono crollati a causa di una guerra commerciale. … Le agenzie di stampa producono continuamente mappe che fanno vedere come si propaga il CoVid19,  ma poco prima erano gli incendi boschivi, le locuste in Africa, i migranti (si veda anche questo video realizzato dal museo). Tutto ciò pone le nostre istituzioni e la politica sotto stress. Organizzare una conferenza per mettere il mondo sulla buona strada e per evitare il peggio dei cambiamenti climatici sembra fuori dai radar dei politici. E non dovrebbe, perché sappiamo ragionevolmente bene che tutti questi problemi sono in qualche modo collegati, che spesso hanno una causa comune. C’è qualcosa di sbagliato nel modo in cui viviamo sul nostro Pianeta ed è necessario cercare una nuova prospettiva.

Il Museo vuole essere una specie di Wunderkammern come quelle del Rinascimento. Anche il Rinascimento, in particolare durante il XVI secolo, è stato un periodo di grandi sconvolgimenti: un caos totale che ha dominato l’Europa per oltre un secolo. Ma è stato anche un momento di meraviglia (le scoperte dell’America), di dubbio (il ruolo di un Dio) e un calderone di nuove idee. Le Wunderkammern di allora erano strumenti per pensare a questo caos, per trovare un nuovo ordine, nuove categorie praticabili. In effetti furono determinanti nel passaggio dal pensiero medievale al pensiero moderno.

Alcuni autori sostengono che viviamo in un secondo Rinascimento (Golden e Katurna, 2016). Altri affermano che siamo tuttora nel primo Rinascimento. Il filosofo francese Bruno Latour ipotizza che la Modernità è stata soltanto una costruzione teorica e che in pratica “non siamo mai stati moderni” (Latour, 1991). Ritiene che questa Modernità teorica debba essere “resettata” e riavviata con i piedi per terra, per meglio gestire i nostri problemi collettivi (Latour, 2016, 2018)

Credo che una Wunderkammer che mostra oggetti, cose e problematiche dei nostri tempi, può ancora essere uno strumento per sollevare meraviglia e dubbio ed aiutarci a passare dal nostro attuale pensiero e cultura “moderna” a qualcosa di nuovo che ci consentirà di vedere e vivere il mondo in modo diverso.

Uno dei problemi con la nostra cultura “moderna” è che è innestata su un amalgama di dualismi come: soggetto/oggetto, cultura/natura, noi/loro, arte/scienza, … Alcuni di questi dualismi sono alla base dei nostri attuali problemi, ad es. la separazione tra natura e Uomo. Altri non aiutano a risolvere i nostri problemi: ad es. la separazione tra scienza e politica.

Il museo sta affrontando vecchi dualismi come artificialia/naturalia o arte/scienza e sta sperimentandone nuovi come locale/globale o interno/esterno. Prendiamo quest’ultimo come esempio.

(Fig. 1)

Il museo conserva una copia di un’incisione ben nota (Fig. 1), che molti di noi collocherebbero nel Cinquecento, ma che viene pubblicata soltanto nel 1888.  Mostra un uomo rinascimentale e la sua sete di conoscenza, il suo desiderio di guardare fuori, avventurarsi nei cieli e nell’aldilà. Ma allo stesso tempo sta voltando le sue spalle al suo mondo in cui vive, con i suoi campi, le foreste, le città.

(Fig. 2)

Una seconda stampa (Fig. 2) è una copia di un collage realizzato dall’architetto Aldo Rossi nel 1976. Sembra dare un messaggio opposto: un angelo dall’alto del cielo punta il dito al mondo complesso e disordinato, fatto di naturalia e artificialia. “Questo è ciò di cui dovete occuparvi”, sembra dire l’angelo. Ma al centro del disegno c’è di nuovo il cielo stellato con persone che vagano sotto di esso. Rossi sembra già giocare con l’idea che non è mai o interno o esterno, ma che uno conduce all’altro, mentre l’altro conduce di nuovo al primo.

 


Quest’ultimo pensiero viene approfondito con un altro pezzo nel Museo (Fig. 3) che approfondisce e che potrebbe essere utile per affrontare anche i vecchi dualismi della modernità: è il nastro di Moebius. È una superficie interessante perché non ha né un interno né un esterno. Se pensi di essere all’interno, ma continui a seguire quella superficie, ti ritrovi rapidamente all’esterno. Quindi, se mettiamo l’uomo da un lato e la natura dall’altro, scopriamo rapidamente che l’uomo diventa natura e la natura diventa uomo. Oppure mettiamo l’estetica da un lato e l’etica dall’altro, dobbiamo concludere che l’estetica conduce a l’etica, ma anche che l’etica conduce all’estetica.

 

Il Museo è quindi uno strumento, un pretesto per riflettere e discutere.

 

 

Per visitare il museo, appena finito questo periodo in cui è meglio stare a casa, inviare una email a postmaster chiocciola museumofanthropocenetechnology punto org.

 

Bibiliografia

GOLDIN I. and KUTARNA C. (2016), Age of Discovery, navigating the risks and rewards of our new renaissance, St. Martin’s Press, New York. Versione italiana (2018), Nuova età dell’oro. Guida a un secondo Rinascimento economico e culturale, Il Saggiatore, Milano.

LATOUR B. (1991), Nous n’avons jamais été modernes. Versione italiana (2009), Non siamo mai stati moderni, Elèuthera, Milano.

LATOUR B. (2016) Reset | Modernity!, ZKM, Karlsruhe and MIT Press, Cambridge MA.

LATOUR B. (2018), Down to Earth, politics in the new climate regime, Polity Press, Cambridge, MA. Versione italiana (2018), Tracciare la rotta. Come orientarsi in politica, Raffaello Cortina, Milano.

 

 

Testo di Frank Raes, introduzione di Stefano Caserini

5 responses so far

5 Responses to “Il Museo delle Tecnologie dell’Antropocene”

  1. homoereticuson Mar 23rd 2020 at 11:09

    Ho ascoltato più di una volta dal vivo Frank Raes: è un bravissimo, simpatico e coinvolgente oratore.
    Segnalo però che il link al suo ted talk non sembra funzionare.

  2. Climalterantion Mar 23rd 2020 at 12:48

    Sistemato, ora funziona, grazie

  3. Vittorio Marlettoon Mar 23rd 2020 at 13:12

    Per favore potresti fare in modo che i link puntino a nuova finestra del browser? Grazie 🙂

  4. Guido Lanzanion Mar 23rd 2020 at 14:57

    Ho ascoltato più volte con interesse Frank Raes, davvero sempre un ottimo oratore. Appena finito questo periodo, se .. il cielo (..il caso?) lo consentirà, visiterò con interesse il “museo”: sono davvero curioso.

  5. Climalterantion Mar 23rd 2020 at 16:07

    @ Vittorio Marletto

    grazie, sistemato anche questo.

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