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Le strategie per la rimozione della CO2: i suoli

Fra le strategie “convenzionali” di rimozione di CO2 dall’atmosfera (carbon dioxide removal, CDR), negli ultimi anni è molto aumentato l’interesse per l’assorbimento di carbonio tramite l’adozione di pratiche agricole conservative, con il conseguente stoccaggio permanente di carbonio nel suolo.

I suoli, pur se soggetti a consistenti perdite di carbonio nel corso degli ultimi secoli a causa delle pratiche agricole, presentano un contenuto di carbonio pari a circa il doppio del contenuto attuale di carbonio dell’atmosfera, e circa il quadruplo di quello contenuto  nella vegetazione. Un incremento di appena qualche punto percentuale del contenuto medio di carbonio nei suoli mondiali potrebbe dunque determinare importanti assorbimenti di CO2 atmosferica.

Secondo i dati presenti nel quinto capitolo del Primo volume del Sesto Rapporto IPCC (AR6-WG1, Fig. 5.12), il contenuto medio di carbonio nel periodo 2011-2019 dei diversi “serbatoi” non oceanici è stato:

Atmosfera:      870 ± 10 miliardi di tonnellate carbonio (Gt C)

Suoli:             1700 Gt C

Permafrost:     850 Gt C

Vegetazione:   450 GtC

 

A titolo di confronto, si può considerare che sempre secondo l’IPCC AR6-WG1 (Tabella 5.1) l’emissione cumulata di carbonio nel periodo 1750-2019 è stata pari a 685 ± 75 Gt C, suddivisa fra 445 ± 20 Gt C da combustibili fossili e produzione di cemento e 240 ± 70 Gt da variazione degli usi del suolo (comprendendo con questo termine anche le variazioni nella vegetazione che ricopre i suoli). Per un confronto con i flussi annui, le emissioni di carbonio da combustibili fossili e produzione di cemento nel periodo 2010 -2019 sono state pari a 9,4 ± 0.5 Gt C/anno. Se si considera la CO2 che ne deriva, tale flusso  è pari a 34,4 ±1,8 GtCO2/anno (per ottenere i quantitativi di CO2 a partire da quelli di carbonio si moltiplica x 3.66, rapporto fra il peso molecolare di CO2 e C).

Perturbazione antropogenica nel ciclo del carbonio. Fonte: Global carbon project 2022 (NOAA-ESRL; Friedlingstein et al 2022; Canadell et al 2021 (IPCC AR6 WG1 Capitolo 5).

 

 

Il carbonio nei suoli è presente principalmente nella sostanza organica nel suolo (SOM): si tratta di una mistura di sostanze organiche parzialmente decomposte, che giocano un ruolo fondamentale in molte funzionalità del suolo e in molti suoi servizi ecosistemici, e sono composte per circa il 58% da carbonio organico.

Da quando sono iniziate le attività agricole intensive i suoli hanno subito una perdita di sostanza organica e quindi di carbonio. La maggior parte dei suoli agricoli presenta un contenuto minore del quantitativo potenziale, in funzione delle specifiche condizioni climatiche e delle caratteristiche dei suoli. Le perdite di carbonio in alcuni terreni sono da metà a due terzi del quantitativo presente nel passato. Secondo la FAO, circa il 33% dei suoli mondiali risulta soggetto a degrado ed i suoli di molti ecosistemi agricoli hanno subito perdite del 25-75% del contenuto di carbonio originario, per un quantitativo stimato in circa 42-78 Gt C, mentre la capacità di recupero è stata individuata in circa 21-51 Gt C.

 

La conversione di questi suoli a usi più conservativi e l’adozione di opportune pratiche di gestione possono determinare un consistente sequestro di carbonio.

 

La gestione dei suoli e il sequestro di carbonio

Con il termine “soil C sequestration” si fa riferimento in letteratura al processo di sequestro della CO2 atmosferica sotto forma di sostanza organica nel suolo, relativamente stabile: il fine ultimo è ottenere un incremento del quantitativo di carbonio nel suolo.

Il processo si compone dunque di tre sottoprocessi successivi:

1) rimozione di CO2 dall’atmosfera per fotosintesi;

2) trasformazione del carbonio sotto forma di biomassa;

3) trasferimento di una parte del carbonio dalla biomassa al suolo, dove è immagazzinato sotto forma di carbonio organico inizialmente nella parte più superficiale del suolo. La trasformazione del carbonio nel suolo tramite le diverse interazioni trofiche di mesofauna (anellidi e artropodi) e microfauna (funghi e batteri) favoriscono la stabilizzazione a lungo termine del carbonio tramite la creazione di forme più recalcitranti di carbonio  che possono essere adsorbite sulle superfici argillose a successivamente cementare il suolo in micro-aggregati che incapsulano il carbonio. Questi processi, insieme alla distribuzione del carbonio negli strati inferiori del suolo, possono proteggere il carbonio da ulteriori processi di consumo per via microbica e favorirne lo stoccaggio permanente nel suolo.

 

Diverse sono le pratiche di gestione che possono determinare incrementi del contenuto di carbonio nei suoli, e la loro efficacia dipende da diversi fattori climatici ed ambientali.

Il contenuto di carbonio organico in un suolo agricolo può essere incrementato aumentando i quantitativi in input, favorendo le forme di carbonio recalcitranti nel suolo e la sua stabilizzazione , adottando le cosiddette pratiche di gestione raccomandate (“Recommended Management Practices”, RMP), di cui un elenco è riportato nella seguente tabella.

 

Metodi ordinari/convenzionali Pratiche di gestione raccomandate
Combustione delle biomasse e rimozione dei residui colturali Restituzione dei residui colturali al suolo che li ha prodotti
Aratura convenzionale Minima lavorazione, no-till e pacciamatura
Terreno lavorato senza copertura Colture di copertura (cover crops)
Monocoltura continua Rotazioni ad elevata diversità
Agricoltura di sussistenza a bassi input Gestione mirata degli input
Utilizzo intenso di fertilizzanti Gestione integrata dei nutrienti con i fertilizzanti organici ed agricoltura di precisione
Agricoltura intensiva Integrazione dei prati avvicendati (e/o dell’agroforestazione) negli ordinamenti colturali
Irrigazione superficiale Irrigazione a goccia o sub-irrigazione
Utilizzo elevato di fitofarmaci Gestione integrata delle infestanti
Coltivazione di terreni marginali Programmi conservativi, recupero di suoli degradati mediante land-use change

 

Confronto tra pratiche di gestione ordinarie dei suoli agricoli e le pratiche di gestione raccomandate in relazione al sequestro di carbonio (Fonte: Lal 2004, Bellieni et al. 2017)

 

Le principali tipologie di misure proposte per incrementare il contenuto di carbonio organico nei suoli agricoli sono minima lavorazione dei suoli, colture di copertura, input da effluenti zootecnici.

 

Pratiche di minima lavorazione e no-till. La minima lavorazione è una tecnica che prevede la lavorazione del terreno a profondità generalmente non superiori a 15-20 cm, tale da permettere di ottenere con uno/due passaggi di macchina un letto di semina soddisfacente, senza inversione completa degli strati, mantenendo al contempo una copertura di residui colturali su almeno il 30% della superficie lavorata. Il No Tillage (no-till) è una tecnica che prevede invece come pratica continuativa la semina delle colture direttamente sulle stoppie della coltura precedente, i cui residui vengono lasciati totalmente o quasi (90‑100%) sul terreno. Con questa tecnica non viene effettuata nessuna lavorazione del terreno, ma si rende necessario un maggior ricorso a erbicidi

 Colture di copertura. Un modo per incrementare il livello di carbonio nei suoli consiste nell’utilizzare colture di copertura (cover crops) inserite nella rotazione tra una coltura principale e la successiva, allo scopo di dare una copertura adeguata al suolo, apportare residui (e quindi biomassa) al terreno e stimolarne l’attività biologica.

Input esterni di carbonio organico. L’impiego di effluenti zootecnici, ammendanti organici e/o di compost incrementa il contenuto di carbonio più di quanto non si verifichi con l’impiego di uno stesso quantitativo di nutrienti da fertilizzanti inorganici.

Diverse soluzioni possono essere utilizzate per i suoli degradati, dal semplice inerbimento a soluzioni tecniche più avanzate come l’inoculazione con batteri e funghi. Riguardo ad inerbimento e rivegetazione, la presenza di una copertura vegetale, arborea o erbacea, su suoli degradati è il  primo passo fondamentale per riportare i suoli in salute e garantire le loro funzioni: una copertura vegetale permette l’aumento di input di carbonio nel suolo e fornisce anche altri servizi ecosistemici connessi (per es. infiltrazione e stoccaggio dell’acqua, riduzione dell’erosione, biodiversità). L’inoculo del terreno con batteri (per es. rhizobium in caso di leguminose) o funghi (per es. micorrize) permette l’aumento di biodiversità nei suoli degradati e la simbiosi con la copertura vegetale. Una scelta oculata può aumentare la produttività, l’input di carbonio nel suolo e la sua stabilizzazione.

 

Vantaggi e svantaggi

Le pratiche suddette hanno tanti effetti benefici per i suoli.

Le colture di copertura proteggono il suolo contro l’erosione e il compattamento, favoriscono il riciclo degli elementi nutritivi, agevolano il controllo di infestanti e parassiti, preservano e migliorano la struttura della sostanza organica nel terreno (oltre ad aumentarla).

Un’applicazione a lungo termine di ammendanti inoltre incrementa il contenuto di carbonio e può favorire fenomeni di aggregazione delle particelle del suolo, migliorandone quindi la struttura.

Un aspetto positivo da tenere in considerazione riguarda la biodiversità nei suoli: il passaggio da agricoltura convenzionale a conservativa la aumenta. A parità di altri fattori, gli ecosistemi ad elevata biodiversità sono in grado di sequestrare un maggior quantitativo di carbonio degli ecosistemi a minore biodiversità.

In aggiunta alla diminuzione delle emissioni di gas ad effetto serra e al sequestro di carbonio, una gestione migliorata del suolo che incrementi la sostanza organica e regoli il ciclo dell’azoto può indurre delle importanti sinergie, quali un aumento della fertilità e della produttività, una riduzione di fenomeni di erosione, inquinamento e ruscellamento e una resilienza maggiore delle colture e dei pascoli al cambiamento climatico (Paustian et al., 2016).

In letteratura non si rileva un accordo su come l’agricoltura conservativa può variare la produzione alimentare globale. Secondo un recente lavoro di Moinet et al (2023), basato sulla meta-analisi di 21 lavori, gli effetti sulle rese agricole osservati dell’aumento del carbonio (Soil Organic Carbon, SOC) sono incoerenti, variando da negativo a neutro a positivo, e vantaggi per la produzione agricola sono presenti solo quando sono applicate specifiche pratiche di gestione del territorio.

 

Un aspetto importante  e da valutare con attenzione e sovente trascurato riguarda il fatto che il sequestro di carbonio nella sostanza organica del suolo (Soil Organic Matter, SOM) implica anche il sequestro di altri elementi minerali di fondamentale importanza nella nutrizione delle piante. La SOM più “recalcitrante” al degrado microbico contiene carbonio ma anche azoto, fosforo, potassio e altri microelementi, che diventano così indisponibili per la vegetazione. Il rapporto C/N nella SOM, ad esempio, tende ad essere quasi costante proprio in virtù di ben definiti rapporti molecolari delle frazioni più recalcitranti. Ne consegue che per mantenere la fertilità di un suolo in cui si accumula (sequestra) carbonio è  necessario aumentare l’apporto di azoto e altri elementi minerali attraverso fertilizzazione, concimazione o l’impiego di piante azotofissatrici. E tali apporti hanno quasi sempre “un costo” in termini di emissioni; per preparazione, trasporto e distribuzione, oltre che perchè causano, nel caso di apporti azotati, ulteriori emissioni di protossido (N2O), potente gas ad effetto serra. In altre parole, le pratiche agricole utilizzate per rimuovere la CO2 possono portare a significative variazioni nei flussi netti di protossido di azoto (N2O) che di metano (CH4)… Il potenziale di mitigazione di ogni pratica deve quindi essere analizzato in termini di CO2-equivalenti, dove si esprime con un unico indicatore normalizzato rispetto al potenziale effetto serra (Global Warming Potential, GWP), l’insieme dei contributi dei diversi gas climalteranti.

In aggiunta, la rivegetazione di suoli fortemente degradati con basso contenuto di carbonio può portare a quello che viene detto effetto di innesco positivo (F. Bastida et al., 2019); l’aumento dell’attività microbiologica grazie ai nuovi input di carbonio può portare ad un aumento del consumo del carbonio precedentemente stoccato nel suolo (i batteri ossidano la sostanza organica ricavandone energia per il proprio metabolismo e rilasciano CO2 in atmosfera). Questa perdita può essere maggiore dell’aumento del nuovo carbonio fotosintetizzato dalle piante. Per questo motivo è importante considerare il bilancio totale di un intervento, come la differenza tra gli input e gli output di carbonio dal suolo. Per evitare l’effetto di innesco positivo  una strategia potrebbe essere quella di inoculare comunità microbiologiche che consumano il carbonio “fresco” immesso dalle piante nel terreno, proteggendo il carbonio stabile nel suolo (Averill et al , 2014).

Altri aspetti critici da considerare sono la vulnerabilità dello stoccaggio (bastano pochi anni di lavorazioni del suolo per vanificare 20 anni di pratiche virtuose) e la verificabilità dello stoccaggio: considerata la elevata variabilità della sostanza organica da un punto all’altro dello stesso appezzamento, è difficile verificare in modo attendibile il contenuto di carbonio nel suolo se non facendo numerosi campioni ed analisi, dal costo proibitivo.

 

Il potenziale

Da anni la ricerca scientifica ha cercato di stimare i potenziali tassi di sequestro annui di carbonio nei suoli, nonché il potenziale di accumulo totale, con risultati anche molto diversi. Questo perché dipendono dal clima, dalla piovosità e soprattutto dalla tessitura del terreno. Terreni ricchi di argilla trattengono quantitativi di carbonio organico molto più elevati rispetto ai terreni sciolti.

La consistenza e l’affidabilità delle stime di sequestro del carbonio legate ad una conversione del suolo da aratura convenzionale a pratiche di minima lavorazione e pratiche no-till è ancora oggetto di discussione nella comunità scientifica. Le posizioni più critiche supportano la tesi che l’incremento degli stock di carbonio osservato nello strato superficiale del suolo (0‑30 cm) sia controbilanciato da una perdita negli strati di suolo profondi, che non sempre sono presi in considerazione nelle pubblicazioni scientifiche (Powlson et al., 2014). Il potenziale di sequestro ottenibile con la sola adozione di pratiche no-till è in ogni caso molto variabile e dipende da numerosi fattori sito-specifici (tipo di suolo, condizioni ambientali e climatiche, modalità e tipologia di tecniche di gestione dei terreni) nonché dagli apporti di carbonio organico esterni (i.e. colture di copertura, residui colturali, effluenti zootecnici, ammendanti organici, concimazione).

Numerosi lavori, effettuando analisi complessive delle pratiche agricole, combinano in approcci modellistici le strategie di sequestro di carbonio nei suoli con modelli di previsione economici e degli usi del suolo, per ottenere stime di riduzione delle emissioni in funzione di prezzi variabili del carbonio (che riflettono l’incentivo sociale a pagare per la mitigazione).

Durante la COP21 di Parigi nel dicembre del 2015 è stato avviato un programma internazionale per lo sviluppo di modelli di gestione dei terreni agricoli capaci di immagazzinare carbonio nei suoli, denominata “4 per 1000: Soils for Food security and Climate Change”). L’obiettivo è l’incremento del 4 per mille, ossia lo 0.4% annuo, del contenuto in carbonio dei suoli. L’interesse per il sequestro di carbonio è cresciuto molto negli anni successivi, e l’iniziativa è stata già sottoscritta da più di 200 partner (tra cui nazioni, organizzazioni internazionali, università e centri di ricerca, organizzazioni di produttori, ONG, banche, fondazioni). Il progetto sostiene che quel 4‰  permetterebbe non solo di arrivare alla neutralità climatica ma di riassorbire l’eccesso di gas climalteranti presenti in atmosfera. Benché controverso nella comunità scientifica (l’accumulo di carbonio nei suoli non può certo continuare in modo indefinito nel tempo) il progetto dimostra come l’interesse internazionale per lo stoccaggio di carbonio nel suolo sia sempre maggiore e possa rappresentare una grande risorsa a servizio della comunità.

Altri programmi indirizzati all’aumento di carbonio nei suoli sono il programma EJP SOIL – Towards climate-smart sustainable management of agricultural soils, e la pletora di progetti in esso incardinati, e la Global Soil Partnership della FAO (Food and Agriculture Organization of the United Nations).

Nel Sesto rapporto  (WG3, Tab. 12.6), l’IPCC fornisce un intervallo molto ampio del potenziale di rimozione di CO2 annua dallo stoccaggio di carbonio nei suoli agricoli e nelle praterie, da 0,6 a 9,3 GtCO2/anno.

Secondo Minet et al (2023), quasi tutte le stime sul potenziale di sequestro del carbonio nei suoli non tengono conto di effetti di saturazione, e delle possibili perdite di carbonio che ne ridurrebbero in modo rilevante il potenziale di stoccaggio. Il carbonio stabile all’interno del suolo è solitamente associato in complessi organo-minerali con le argille. Le superfici che possono reagire con questi complessi del carbonio non sono però infinite e, terminate, il carbonio in eccesso tende ad essere stoccato in forme instabili come particolato e carbonio libero dissolto nel suolo. Tenendo conto di questi meccanismi di saturazione, il potenziale si riduce con il passare del tempo: per l’orizzonte 2100 secondo Minet et al. passerebbe da 257 Gt CO2eq (senza effetto di saturazione, ossia con un tasso di sequesto costrante nel tempo) a 49 Gt CO2eq (nel caso di un tasso di sequesto che si riduce rapidamente). Il potenziale CDR oggi accettato per i suoli (ipotizzando l’assenza di fenomeni di satrazione sarebbe quindi sovrastimato dell’81%.

Queste incertezze fanno capire come pur se lo stoccaggio di carbonio all’interno del suolo sia un’interessante opzione CDR, sono necessari maggiori studi per valutare il suo reale potenziale.

 

Conclusione

Numerosi lavori nella letteratura scientifica indicano che l’utilizzo di tecniche agronomiche di agricoltura conservativa e il risanamento di suoli degradati possono servire per incrementare la resilienza dei sistemi colturali e dei suoli ai cambiamenti climatici, nonché per favorire il sequestro del carbonio nei suoli.

Le pratiche di gestione e le iniziative politiche avviate in numerose regioni e nazioni in tema di sequestro del carbonio sono spesso ancora in una fase iniziale, e dovranno essere fortemente sviluppate nei prossimi anni per permettere di dare un contributo a realizzare quegli ingenti livelli di emissioni negative necessari per raggiungere gli ambiziosi obiettivi di stabilizzazione delle temperature globali definiti dall’Accordo di Parigi.

 

 

 

Testo di Stefano Caserini, con contributi di Lorenzo Rossi, Marina Vitullo, Franco Miglietta, Enrico Ceotto e Sylvie Coyaud.

4 responses so far

4 Responses to “Le strategie per la rimozione della CO2: i suoli”

  1. Riccardo Liburdion Mar 12th 2023 at 11:08

    Ottimo questo articolo: veramente illuminante, ben scritto  e di grande efficacia divulgativa di alto livello!
    Chiedo agli autori un chiarimento: non so si tratta di un refuso o qualcosa che  che non ho capito, dove si afferma: “Tenendo conto di questi meccanismi di saturazione, il potenziale si riduce con il passare del tempo: per l’orizzonte 2100 secondo Minet et al. passerebbe da 49 a 257 Gt CO2eq. Il potenziale CDR oggi accettato per i suoli sarebbe quindi sovrastimato del 53% – 81%”
    Forse si intende che il potenziale si riduce da 257 a 49 (Gt CO2eq)?

  2. Stefano Caserinion Mar 12th 2023 at 22:41

    @ Riccardo
    si, è un refuso, abbiamo corretto cercando anche di chiarire meglio. Grazie!

  3. Marco Acutison Mar 14th 2023 at 14:39

    Buongiorno Stefano,,
    propongo questa recentissima meta analisi che evidenzia il successo delle pratiche conservative in particolare quando il contenuto di carbonio è relativamente basso.

    Tadiello, T., Acutis, M., Perego, A., Schillaci, C., Valkama, E., 2023. Soil organic carbon under conservation agriculture in Mediterranean and humid subtropical climates: Global meta‐analysis. European J Soil Science 74. https://doi.org/10.1111/ejss.13338

    l’articolo è open access.
    Marco

  4. Stefano Caserinion Mar 15th 2023 at 08:08

    @ Marco Acutis

    Grazie Marco, molto interessante! ciao

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