Se vedi qualcosa, dì qualcosa
Proponiamo la traduzione di un editoriale del New York Times del 17 gennaio scorso, scritto da Michael Mann, direttore dell’Earth System Science Center alla Pennsylvania State University e autore del libro “The Hockey Stick and the Climate Wars: Dispatches from the Front Lines”.
Tra gli scienziati del clima, il consenso schiacciante è che stia avvenendo un cambiamento climatico causato dall’uomo. Una frangia della popolazione si aggrappa invece ad un rifiuto irrazionale della scienza consolidata. Questo ceppo virulento di anti-scienza infetta le aule del Congresso, le prime pagine dei grandi quotidiani e ciò che vediamo in TV, dando un’apparenza di dibattito che non dovrebbe esistere.
In realtà, gli scienziati del clima concordano largamente non solo sul cambiamento climatico in atto (da una rassegna della letteratura scientifica, il consenso risulta del 97%), ma anche sul fatto che dobbiamo contrastare rapidamente i pericoli di un pianeta che si riscalda. Se cerchiamo divergenze vere nella comunità scientifica, le troviamo su due fronti: le conseguenze precise dell’aumento della temperatura, e quali tecnologie e provvedimenti sono da preferire per ridurre su scala globale le emissioni dei gas serra.
Per esempio, dovremmo puntare tutto sul nucleare? Investire in impianti di energia eolica, solare, e geotermica e dispiegarli su vasta scala? Mettere un prezzo sulle emissioni di carbonio con il cap and trade o tassando direttamente le emissioni di CO2? Finché l’opinione pubblica non capisce i pericoli della nostra traiettoria attuale, è probabile che questi dibattiti siano vani.
Qui entrano in scena gli scienziati. A mio giudizio non è più accettabile che rimangano a guardare. Io ne so qualcosa. Non ho potuto far altro che entrare nella mischia. Sono stato perseguitato da magistrati eletti e minacciato di violenza, dopo una ricerca di quindici anni fa in cui, con altri colleghi, mostravamo che il riscaldamento medio dell’emisfero settentrionale era senza precedenti da 1.000 anni. Il nostro grafico “a mazza da hockey” divenne il bersaglio della guerra del clima e suscita tuttora l’ostilità di chi trasforma un problema di natura scientifica e sociale in uno strumento di partigianeria politica.
Che cosa dovrebbero fare quindi gli scienziati? Da una parte dello schieramento abbiamo James Hansen, l’illustre ex direttore del Goddard Institute of Space Studies della NASA passato alla disobbedienza civile per sottolineare i pericoli che intravede. E’ stato arrestato nel 2009 durante una protesta contro l’estrazione di carbone a cielo aperto, poi ancora nel 2011 e 2013 a Washington mentre si opponeva alla costruzione dell’oleodotto Keystone XL tra il Canada e il golfo del Texas. L’oleodotto, che sta per essere approvato dal Dipartimento di Stato, darebbe la stura al petrolio sporco ricavato dagli scisti bituminosi del Canada, segnando la fine della partita per il clima.
Di recente, Hansen ha pubblicato un articolo su PloS One con l’economista Jeffrey Sachs, direttore dell’Earth Institute all’università Columbia di New York, e altri scienziati. Se vogliamo evitare le conseguenze disastrose del cambiamento climatico, scrivono, è urgente ridurre le emissioni dovute all’uso dei combustibili fossili. Gli autori chiedono l’immediata introduzione di una tassazione sulle emissioni di carbonio, perché abbiamo l’obbligo morale di non lasciare un pianeta disastrato ai nostri figli e nipoti.
Questo attivismo preoccupa alcuni scienziati, anche tra quanti sostengono coloro che parlano pubblicamente del cambiamento climatico. Stando ad uno di essi, Ken Caldeira della Carnegie Institution for Science, “il solo comportamento eticamente corretto è quello di smettere di usare l’atmosfera come una discarica per i nostri rifiuti inquinanti quali i gas serra” . Tuttavia, lo stesso Caldeira ha espresso riserve sull’articolo di Hansen, “così prescrittivo e intriso di valori” che sarebbe dovuto essere presentato come “un’opinione” (*).
Hansen e i suoi colleghi stanno esagerando? Dobbiamo astenerci dal commentare le implicazioni delle nostre ricerche? Un tempo, a questa domanda avrei risposto di sì senza esitazione. Nel 2003, durante un‘audizione in Senato, ad una domanda che aveva implicazioni politiche risposi prontamente: “non sono uno specialista, non avrei niente di utile da dire.”
Non pochi scienziati ritengono che potremmo compromettere la nostra obbiettività se scegliessimo di prendere posizione su questioni politiche, o sulle conseguenze sociali del nostro lavoro. Sarebbe problematico se le nostre posizioni politiche influenzassero il nostro modo di fare scienza, ma è del tutto appropriato usare le nostre conoscenze per parlare delle implicazioni concrete del nostro lavoro. Il mio collega Stephen Schneider della Stanford University, morto nel 2010, era solito dire che essere al contempo uno scienziato e un attivista non è un ossimoro. Uno scienziato, diceva, non smette di essere un cittadino quando partecipa ad un dibattito pubblico. La rivista New Republic gli diede una volta dello “scienziato pugile” perché chiedeva di affrontare con decisione il riscaldamento globale. Combattere per la verità scientifica e per un dibattito informato non è un atto di cui vergognarsi.
Se da scienziati scegliamo di non impegnarci nel dibattito pubblico, lasciamo un vuoto che verrà riempito da chi difende i propri interessi a breve termine. Se non facciamo tutto il possibile per fondare il dibattito politico su una valutazione onesta dei rischi, la società la pagherà cara. Se stiamo zitti davanti ad un pericolo così grave, di fatto ci sottraiamo alla nostra responsabilità verso la società.
Questa non è certo una posizione radicale. Il nostro Ministero dell’Interno ha sollecitato i cittadini a riferire qualunque pericolo di cui siano testimoni con la frase: “se vedi qualcosa, dì qualcosa.” Noi scienziati siamo cittadini come gli altri, e nel cambiamento climatico vediamo una minaccia seria e incombente. Anche il pubblico comincia a vederla: agricoltori del Midwest alle prese con la siccità, incendi sempre più devastanti negli stati dell’Ovest, ondate record di calore estivo nell’intero paese. Lo stesso pubblico comincia a chiedersi se vi sia un legame tra il rapido riscaldamento dell’Artico e strani fenomeni meteorologici come l’aria artica che di recente ha invaso buona parte degli Stati Uniti.
La scorsa settimana, la bozza di un rapporto delle Nazioni Unite insisteva sull’urgenza di passare all’azione e avvertiva che altri quindici anni senza tagliare le emissioni di gas serra renderanno impossibile risolvere il problema con tecnologie disponibili, imponendo così costi enormi alle future generazioni. E’ la conferma che prima agiamo, meno ci costerà.
Come ci giudicherà la Storia se guarderemo la minaccia davanti ai nostri occhi senza avvertire l’urgenza di agire per evitare il disastro? Come spiegherei ai figli della mia bambina di otto anni, che il nonno ha visto il pericolo ma non ha parlato quando poteva?
Questa è la posta in gioco.
(*) Nota del traduttore: su questo tema va ricordato che recentemente lo stesso Caldeira ha firmato assieme a James Hansen, Kerry Emanuel e Tom Wigley il seguente appello sul tema dell’energia nucleare.
Traduzione di Luigi Ciattaglia, con contributi di Sylvie Coyaud e Gabriele Messori
L’articolo originale è qui
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Non è solo un consenso schiacciante; è un cumulo di prove. Una delle ultime:
Thirteen of the 14 warmest years on record have occurred in the 21st century
The hottest were 2005 and 2010, which both saw temperatures about 0.55 C (1 F) above the long-term average.
“the rate of warming is not uniform” in every country.
Last year, for instance, was the hottest year on record in Australia, while the United States measured record highs in 2012.
But “the underlying trend is undeniable”.
“Global warming… is occurring. There is absolutely zero doubt. But more important, it is due to human activities,” pointing to record levels of heat-trapping greenhouse gases like carbon dioxide in the atmosphere.
http://news.yahoo.com/2013-sixth-hottest-confirms-long-term-warming-un-005508593.html
Per quanto riguarda più direttamente il tema indicato nell’articolo sulla responsabilità degli scienziati e sul loro ruolo nel dibattito pubblico, è importante sottolineare la molteplicità degli ambiti disciplinari coinvolti. Se i fisici e i climatologi hanno accertato che la CO2 e gli altri gas climalteranti immessi nell’atmosfera fanno parte decisiva dei cambiamenti climatici, è tema dei sociologi, economisti, politologi e psicologi spiegare come è stato possibile che le società umane abbiamo prodotto, abbiano permesso di produrre e non abbiano fermato le emissioni. Nella mia scienza, l’economia, il paradigma dominante distingue nettamente tra economia positiva (descrittiva) e normativa (politiche economiche), con molti sostenitori dell’idea che le politiche economiche sono inefficaci e controproducenti.
Il lavoro che io, insieme a vari miei colleghi, stiamo facendo è mostrare come una interpretazione più realistica di quella dell’Homo oeconomicus iper-razionale di come si prendano le decisioni (es. influenzati da pregiudizi, corto-circuiti decisionali, sistemi di potere, ecc.) consente di individuare politiche efficaci di riduzione delle emissioni che fanno leva sulle opportunità aperte dall’economia verde in senso lato.
In tal modo, vi è continuità tra il lavoro scientifico che svolgiamo e la posizione pubblica che prendiamo. Per una rapida panoramica dei nostri lavori si veda http://www.economicswebinstitute.org/climatechange.htm ed in particolare il libro
http://www.economicswebinstitute.org/innopolicymitigation.htm e i paper raccolti sotto il titolo: Papers and essays in evolutionary economics on climate change
Le decisioni corrette per farci uscire da questa difficile situazioni non vengono prese (o prese in modo non adeguato) perchè chi decide è fondamentalmente incastrato “locked in” nei sistemi complessi che dobbiamo cercare di cambiare. Questo è vero per politici, amministratori, manager . I cambiamenti per fermare i cambiamenti climatici devono essere portati avanti dalla società civile. Ci vuole , come dice molto bene, Nahomi Klein, una nuova rivoluzione verde.
Oggi ho visto la bella conferenza TEDx di Alex Wissner-Gross ” new equation for intelligence”. Abbiamo forse bisogno di computer per prendere le migliori decisioni possibili nel nostro interesse e in quello delle future generazioni? Noi non ne sembriamo capaci. Non sono una fautrice dell’intelligenza artificiale ma le ricerche di Wissner-Gross sono molto interessanti. Forse questa è la nuova strada….sempre che ci sia abbastanza tempo.
Credo che finché gli interessi politici ed economici saranno contrari a quelli ambientali e climatici non ci sarà niente da fare… Le decisioni politico-economiche da prendere sono facili, ma comporterebbero tanti sacrifici per tutti noi cittadini… Più tempo facciamo passare senza prendere alcuna decisione, sarà sempre peggio per la nostra cara Terra e chiaramente anche per noi stessi… Non per difendere la mia categoria, ma ormai fisici e climatologi in migliaia di articoli ben documentati si sono espressi in una chiara previsione degli effetti delle attuali concentrazioni dei gas serra… Ora spetta solo ai decisori politici prendere le misure adatte per scongiurare un pericolo credo ancora più grave dell’attuale crisi economica… La gente comune credo sappia ancora poco degli attuali cambiamento climatici, ma ciò non vale per i decisori politici, i quali sono ben informati da numerosi rapporti scientifici su quello che sta accadendo alla temperatura media della nostra Terra…
Il problema del nucleare in un contesto di cambiamento climatico è che è ingestibile: 1-qualunque centrale nucleare operativa ha bisogno di raffreddare enormi quantità di acqua del circuito di raffreddamento secondario. Nella quasi totalità dei casi si pone la centrale accanto a grandi corsi d’acqua, laghi o mare per utilizzarli come sorgenti fredde (in pochi casi si costruiscono invece torri di condensazione ad aria, non altrettanto efficienti). Questo fatto rende la totalità delle centrali estremamente vulnerabili a inondazioni come è successo a Fukushima.
2- Qualunque centrale dipende da un allacciamento alla rete sicuro (Chernobyl è scoppiata durante un esperimento per verificare il comportamento della centrale durante un evento di questo genere). Anche in questo caso inondazioni uragani tornado e disordini sociali possono mettere a rischio gli allacciamenti (anche eruzioni solari intense che generino intense correnti indotte sulla rete come quella del 1800 che brucio’ I telegrafi)
3- Le centrali non si possono spegnere. Si puo’ fermare la reazione a catena ma la centrale continua per anni a generare un calore fortissimo nel nocciolo. La perdita del raffreddamento per qualunque motivo automaticamente ed ineluttabilmente genera un incidente come avvenuto nei 3 reattori e nei 4 depositi di scorie a fukushima daiici 1-2-3-4
4- Le centrali operative o anche spente hanno bisogno di anni di manutenzione e di operatività con relative esigenza di un continuo flusso di manodopera esperta e stabile e di una industria di support per pezzi di ricambio e materiali avanzati. Una interruzione di quesi flussi come sarebbe probabile nel caso dei disordini sociali e materiali dovuti al cambiamento climatico porterebbe rapidamente al disastro. Infatti sembra che a Fukushima I generatori di emergenza che avrebbero potuto salvare le centrali sono rimasti bloccati a causa degli ingorghi e delle strade distrutte da terremoto e tsunami.
Quindi secondo me le centrali nucleari non sono una buona idea per ridurre le conseguenze del cambiamento climatico che ormai è inevitabile.
@Giorgio
0 – Costruire centrali nucleari costa troppo
Le centrali nucleari sono un debito per le generazioni future, così come la CO2.
Meglio sforzarsi sulle rinnovabili, anche se a maggiori costi sul presente.
La migliore soluzione, a mio avviso e credo anche per chi ami la Natura in tutte le sue forme, sia fermare IMMEDIATAMENTE le operazioni di geoingegneria che infestano i cieli.
Altra cosa dovra’ essere l’obbligo di ridurre i voli militari. L’inquinamento e la produzione dei gas serra ha un elevato contributo dagli scarichi degli aerei.
Ulteriore elemento chiave e’ la riduzione della energia prodotta da centrali a carbone e gas, contemporaneamente piantando piu’ alberi. Quindi, di converso, fermare la cementificazione.
La gente dovra’ essere informata che deve ridurre i suoi consumi. Tassare l’uso della televisione, sia per chi trasmette che per chi riceve (cosi’ si scoraggiano i consumi elettrici collegati).
Ultima, ma non “per ultima” considerazione, e’ che l’immissione sotto forma di aerosol di nanoparticelle di alluminio (e altro) funge da catalizzatore per la distruzione dell’ozono, oltre a distruggere l’ambiente in generale, anche la salute umana.