Notizie dagli USA: limiti alla CO2 delle centrali elettriche
Dopo l’imposizione di limiti alle emissioni delle auto dello scorso anno, il 2 Giugno la Environmental Protection Agency (EPA) statunitense ha reso pubblico il piano per la riduzione delle emissioni di CO2 dalle centrali elettriche chiesto dal Presidente Obama.
Il rapporto dell’EPA è un “mattone” di 700 pagine il cui obiettivo viene riassunto dai mass media nella riduzione del 30% delle emissioni di CO2 entro il 2030. Ovviamente c’è molto altro e ci vorrà tempo per “digerirlo”, ma qualche osservazione si può fare da subito.
La prima cosa da rilevare è che la riduzione prevista dal piano riguarda solo le emissioni del settore della produzione di energia elettrica. Questo è il singolo settore di maggior impatto (circa il 40% delle emissioni totali). Purtroppo i titolisti dei quotidiani e dei siti di informazione non sempre riflettono questo importante dettaglio, a scapito di una buona informazione ma anche del giornalista che ha scritto l’articolo e che riporta l’informazione correttamente nel testo (vedi ad esempio Rai News, Repubblica, Corriere).
Un altro dettaglio da sottolineare è l’anno di riferimento per la riduzione delle emissioni: in genere viene usato il 1990 mentre l’EPA usa il 2005. Se si tiene conto di questa differenza, rispetto al 1990 la riduzione delle emissioni del settore della produzione di energia elettrica risulta essere del 26.
E’ interessante notare come l’EPA abbia utilizzato uno schema di attribuzione di obiettivi differenziati per singoli stati in termini di quantità massima di CO2 emessa per MWh prodotto (Fig. 1). Per determinare il potenziale di riduzione delle emissioni i criteri di attribuzione tengono conto di svariati fattori, fra i quali le caratteristiche del sistema produttivo dei singoli stati e la situazione attuale della generazione di energia elettrica,. In sostanza, si è cercato di determinare il potenziale di riduzione in modo da chiedere a ciascuno Stato lo stesso sforzo. Per questa ragione gli obiettivi sono molto diversi, dalle circa 0.2 libbre/MWh per Stati come Idaho e Washington alle quasi 1.8 libbre/MWh per Kentucky, Montana e North Dakota.
Fig. 1: obiettivi di emissione per i singoli Stati in termini di emissione media di CO2 in libbre per MWh prodotto (dati dalla tabella 8 del rapporto).
La proposta dell’EPA lascia liberi gli stati di scegliere gli interventi da attuare secondo uno schema (Best System of Emission Reduction; BSER), di quattro tipologie di riduzione delle emissioni:
1) miglioramento dell’efficienza delle centrali a combustibili fossili
2) sostituzione delle centrali “peggiori” con altre sempre alimentate a combustibili fossili ma con emissioni inferiori
3) sostituire centrali a combustibili fossili con centrali ad emissioni nulle
4) agire sul lato della domanda con un miglioramento nell’efficienza dei consumi
Per certi versi queste sono le quattro opzioni ovvie per la riduzione delle emissioni delle centrali elettriche. E’ però importante notare che, contrariamente a quanto ha fatto l’Unione Europea, l’EPA non spinge direttamente verso l’implementazione di generazione rinnovabile fissando una percentuale minima nel mix energetico. Stati che geograficamente e meteorologicamente sono limitati nell’utilizzo di solare, eolico e idroelettrico non dovranno per forza implementarli e punteranno su altre iniziative.
A seguito della proposta dell’EPA, non inattese, sono scoppiate le polemiche e le previsioni della catastrofe economica prossima ventura. La cosa risulta alquanto strana visto che numerosi studi mostrano come l’incremento della CO2 atmosferica abbia un effetto negativo sull’economia e che in rapporto ai costi di riduzione delle emissioni l’impatto sul PIL è modesto. Paul Krugman suggerisce in modo provocatorio di guardare il rapporto della Chamber of Commerce americana, ente storicamente fermamente contrario alle politiche di riduzione delle emissioni. Al di là della retorica con cui viene presentato, il rapporto mostra un impatto delle nuove regole sul PIL annuale degli USA intorno solo allo 0,2% del PIL. A livello globale, invece, l’IPCC riporta una stima inferiore allo 0,1% su base annua. In definitiva non mi sembra che si possa dire che la riduzione delle emissione sia così costosa, tanto meno catastrofica.
In ogni caso, non è necessario andare lontano per accorgersi che non c’è nulla di catastrofico dietro politiche mirate alla mitigazione dei cambiamenti climatici, basta guardare all’esperienza all’interno degli stessi USA. Molti Stati, ma anche singole contee e città, hanno già implementato qualche forma di mitigazione. Il caso più noto è forse la “Regional Greenhouse Gas Initiative”, un accordo fra nove Stati del Nordest e della costa atlantica che hanno introdotto un sistema di tipo “cap&trade” simile al modello europeo. Fra il 2005 e il 2012 questi stati hanno ridotto le emissioni di quasi il 40%, contro il 16% nazionale (Fig. 2), pur mantenendo un incremento del PIL al di sopra della media americana e con un risparmio nella bolletta delle utenze residenziali del 7%.
Fig. 2: Variazione delle emissioni di CO2 da centrali elettriche negli USA dal 2005 al 2012 (fonte: New York Times)
Queste iniziative, insieme ad altre e ai miglioramenti tecnologici implementati a prescindere dal riscaldamento globale, hanno contribuito alla progressiva riduzione dell’intensità energetica del sistema economico USA (da 14,1 MJ/$ nel 1980 a 7,7 MJ/$ nel 2011)e alla fine della crescita delle emissioni di CO2 dal 2005. Il tutto senza causare alcun disastro economico né impedire agli USA di uscire dalla crisi.
Infine il dato politico. E’ chiaro che senza gli USA la pressione sui paesi emergenti, affinché si impegnino per la decarbonizzazione dell’economia, non sarà sufficiente. E’ da quando gli USA non hanno ratificato l’accordo di Kyoto che non sono più stati in grado di prendere l’iniziativa nei consessi internazionali. Quindi, al di là del dato tecnico sulle iniziative assunte, sul versante politico ora si può sperare che si muova qualcosa.
Chissà che non sia di buon auspicio la dichiarazione del presidente del comitato governativo di consulenza cinese sui cambiamenti climatici relativamente ad un possibile inserimento, per la prima volta, della riduzione delle emissioni di gas climalteranti nel prossimo piano quinquennale. Sarebbe davvero un punto di svolta.
Testo di Riccardo Reitano, con contributi di Paolo Gabrielli e Sylvie Coyaud
8 responses so far
Ho letto. Comunque alla fine mi sembra che la riduzione totale degli USA non è gran che. Mi sbaglio? Ho fatto due conti e direi che rispetto al 1990 siamo a meno del 10%. La Cina mi sa che si fa due risate se gli impegni sono solo questi, no?
@Antonio
L’articolo non lo riporta ma rispetto alla storia degli stati uniti, questa è la più grande riduzione mai adottata da un qualche presidente:
http://www.policymic.com/articles/90321/obama-just-did-what-no-other-president-before-him-has-done
@ Antonio
Si, l’impegno USA rimane molto lontano da quello dell’UE (-40% al 2030 rispetto al 1990 su tutte le emissioni) o da quanto sarebbe necessario per la traiettoria <2°C
L’impegno al -30% degli USA è solo sulla produzione elettrica. Rispetto al 1990 la riduzione nelle emissioni USA, come conseguenza di questo piano, sarebbe alla fine circa del 7%.
Nel Copenhagen Accord gli USA avevano già preso l’impegno al 2020 del -17% rispetto al 2005 (-4% rispetto alo 1990), e -42% nel 2030 rispetto al 2005 (sulle emissioni globali).
L’impegno USA quindi dovrà essere concretizzato anche con altri atti. Questo è un primo passo, e grande per gli USA come segnala Valentino, apprezzabile visto il passato.
Ma neppure io sono sicuro che questo impegno serva per portare al tavolo delle firme i cinesi. Ma steremo a vedere.
Anche se alcuni stati si sono mossi, gli USA come nazione finora no e un primo passo è importante. Ma detto questo, è chiaro che non è sufficiente. Ciò che ho cercato di esprimere nel post erano delle speranze, che gli USA continuino su questa strada e che questo possa servire a smuovere le acque stagnanti in vista del “fatidico” 2015.
@Stefano
Dalle tue parole traspare la delusione che questa decisione non abbia da sola salvato il mondo. E’ nostalgia per il silver bullet, la pallottola d’argento che da sola fa fuori il vampiro?
E’ una costante del dibattito sul clima che qualcuno tiri fuori dal cilindro la soluzione magica, una tecnologia miracolosa che risolve tutti i problemi (lo abbiamo già visto col nucleare, con il geo-engineering, con la CSS, ora questa nuova invenzione della BECSS…).
http://en.wikipedia.org/wiki/Silver_bullet
Dopo tanti anni dovremmo invece sapere che sono necessari tanti passi coerenti e veloci da parte di una pluralità di soggetti.
Ecco perché la mossa di Obama è tanto importante. Il congresso non la può stoppare, perché sta usando i poteri presidenziali, quelli della politica estera per intenderci. E strumenti amministrativi (non economici – es. cap-and-trade o carbon tax), per la rabbia degli economisti neoclassici ma in pieno accordo con IPCC – 5 rapporto.
La relazione tra l’azione domestica e quella internazionale è così descritta dallo stesso Obama:
Mr. Obama also said Wednesday that he recognized that even as he pushed the United States to cut its carbon pollution, emissions were soaring in developing economies, particularly in India and China, as those nations seek to lift millions of people out of poverty.
“The trade-offs for them are tougher than for us unless we describe how development should leapfrog the old sources of energy,” the president said. He emphasized that the United States should take the lead in developing low-carbon sources of energy that would give poorer economies better access to electricity without increasing their carbon pollution.
At the State Department, diplomats are working toward a global carbon-cutting deal to be signed in 2015, and Mr. Obama said nations would be lured to the negotiating table if the United States managed to cut carbon pollution without hurting the domestic economy.
“When America proves what’s possible, other countries are going to come along,” he said. At the State Department, diplomats are working toward a global carbon-cutting deal to be signed in 2015, and Mr. Obama said nations would be lured to the negotiating table if the United States managed to cut carbon pollution without hurting the domestic economy.
E’ chiarissima inoltre la critica a chi pensa che si debbano alzare i prezzi dell’energia per indurre i risparmi: “People don’t like gas prices going up; they are concerned about electricity prices going up,” Mr. Obama said in a speech at an annual dinner for the League of Conservation Voters. “If we’re blithe about saying, ‘This is the crisis of our time,’ but we don’t acknowledge these legitimate concerns — we’ve got to shape our strategies to address the very real and legitimate concerns of working families.”
Nell’articolo si critica che l’azione sia rivolta alla “sola” energia elettrica. Il punto è che sugli altri temi (es. mobilità o energia termica) le azioni sono altre (ma non mancano!). Per un panorama più ampio si veda:
http://www.whitehouse.gov/sites/default/files/docs/cap_progress_report_update_062514_final.pdf
E’ come se di fronte ad un primo protestaste che non contiene la verdura, per poi trovarvi di fronte a secondo e contorno, lamentandovi che non ci sono carboidrati.
@ Valentino
Stefano “Dalle tue parole traspare la delusione che questa decisione non abbia da sola salvato il mondo. E’ nostalgia per il silver bullet, la pallottola d’argento che da sola fa fuori il vampiro? ”
Non l’ho mai scritto o detto, e neppure pensato.
Solo facevo notare che nel complesso gli impegni di riduzione delle emissioni prese fino ad oggi sono nel complesso poca cosa. Poi Obama avrà fatto il massimo o di più, e molte cose previste sono molto importanti, e avrà buone intenzioni, ed è il primo passo ecc ecc.
Ma mentre vedo in Europa un passo concreto che va al di là di quanto offerto alla COP15 a Copenhagen (anche questo comunque insufficiente in un ottica di equità, come mostrato da molti studi), gli Usa sono ancora belli fermi, in termini di impegni formali di riduzione, che sono importanti per un nuovo accordo globale.
Se al posto di Obama che ci è simpatico ci fosse stato un petroliere simil Bush, ci sarebbero bastati questi bei proclami e queste azioni locali? È una domanda che con sincerità dobbiamo farci.
Non entro nel merito delle controversi fra economisti; temo solo, per quello che ho capito sul tema, che un prezzo del carbonio decente ci vuole, altrimenti tutti gli impegni dal basso fanno la fine di molte delle azioni previste dai nostri PAES locali, rimangono sulla carta.