Notizie e approfondimenti sul clima che cambiaPosts RSS Comments RSS

L’epilogo dei ghiacci d’alta quota e la nuova ricerca del ghiaccio lunare

Il riscaldamento globale sta causando non solo la rapida scomparsa dei ghiacciai d’alta quota ma anche delle informazioni ambientali contenute. Per la glaciologia, ma anche per tutta la scienza e la tecnologia, si stanno per aprire nuove frontiere di studio e sfruttamento del ghiaccio nel sistema solare ed in primo luogo sulla Luna.

 

Figura 1: Immagine notturna del sito di estrazione di carote di ghiaccio d’alta quota (Ortles, 3859 m, Alpi Orientali) illuminato dalla Luna. (Foto: Jacopo Gabrieli; Progetto Ortles).

 

 

Uno degli indicatori più noti, e preoccupanti, della crisi ambientale in corso è il superamento delle cosiddette nove “soglie planetarie”, passaggi irreversibili con impatti su ampia scala in grado di destabilizzare l’intero sistema terrestre, ovvero: 1) clima; 2) biosfera; 3) cicli biogeochimici dell’azoto e del fosforo; 4) ozono stratosferico; 5) acidificazione degli oceani; 6) utilizzo d’acqua dolce; 7) cambiamenti d’uso del suolo; 8) carico di aerosol atmosferico; 9) Altri cambiamenti emergenti (ad esempio microplastiche; specie chimiche sintetiche etc.).

Secondo una ricerca del 2023, ben sei soglie su nove sono state già state superate, incluse le due colonne portanti, il clima e la biosfera. Già ben da prima di questo studio, su Climalteranti abbiamo provato a chiarire in particolare le cause e le implicazioni dell’emergenza climatica. Una delle più importanti conseguenze è quella della progressiva contrazione dei ghiacci.

Se è ben noto che i ghiacci si stanno ritirando alle basse, medie e alte latitudini, meno conosciuto invece è che, oltre a importanti riserve idriche, stiamo anche perdendo preziosi archivi di informazioni climatiche e ambientali, a scala regionale e continentale. Si tratta delle registrazioni delle caratteristiche dell’atmosfera del passato contenute negli strati dei ghiacciai d’alta quota e studiate dai ricercatori estraendo e analizzando carote di ghiaccio da regioni come le Alpi, le Ande, l’Himalaya e l’Artico (Fig. 2). Studi di questo tipo hanno fornito le prove empiriche più convincenti dei cambiamenti climatici e ambientali del passato, come ad esempio la contaminazione atmosferica da piombo da parte dei romani nell’emisfero nord e dei coloni spagnoli in Sudamerica.

Purtroppo, a causa della fusione dei ghiacci, l’acqua sta penetrando nel cuore dei ghiacciai cancellando le preziose informazioni ambientali contenute, incluse quelle che abbiamo solo cominciato a studiare, come ad esempio il contenuto organico dell’atmosfera del passato inclusi  batteri, virus e altri microrganismi. Per questa ragione, una gran parte della comunità scientifica internazionale che studia le carote di ghiaccio ha avviato da qualche anno il progetto Ice Memory che si è posto come obiettivo il recupero di carote dagli archivi glaciali naturali a rischio, prima che sia troppo tardi. In questo modo si potranno conservare dei campioni di ghiaccio per i ricercatori del futuro, i quali avranno a disposizione tecnologie più avanzate per studiarli.

Ice Memory è un progetto ambizioso ma anche molto triste se ci pensiamo, quasi una sorta di epilogo “in loving memory ” dei ghiacci; non solo da parte di coloro che hanno dedicato la loro intera vita professionale a questi studi, ma anche di tutti quelli che hanno beneficiato dei ghiacciai, compresi i numerosi frequentatori delle alte quote. Purtroppo, se anche il riscaldamento climatico si fermasse oggi (ma non si fermerà a breve termine) un ulteriore rilevante porzione delle aree glaciali è destinata comunque a scomparire nei prossimi decenni a causa dell’inerzia del sistema, come ad esempio sulle nostre Alpi (-50%). È dura ammetterlo, ma quella dei ghiacci è una battaglia che tutti noi abbiamo ormai perso, un’importante battaglia della guerra su ciascuno dei nove fronti delle soglie planetarie della crisi ambientale. Ma a questo punto, in assenza di un Pianeta B è possibile, o anche solo responsabile, cominciare a considerare delle possibili alternative?

 

Figura 2: Le carote di ghiaccio vengono estratte per preservare le informazioni climatiche e ambientali registrate nei ghiacciai d’alta quota destinati a scomparire nei prossimi decenni, a futura memoria e studio  (Foto: Ice Memory project).

 

Nel 2019 ho fatto parte di una spedizione scientifica che ha recuperato due carote di ghiaccio dalla cima del Huascaran, la montagna più alta del Perù ed il sito di perforazione più elevato dell’emisfero meridionale, a 6768 metri di quota. Siamo dovuti andare così in alto per assicuraci che il ghiaccio non fosse ancora stato intaccato dalla fusione. Durante una delle tre notti passate in tenda in cima al Huascaran, mi resi conto che in realtà stavamo perforando il ghiaccio più alto dell’intero pianeta, o meglio, il più distante dal centro della Terra, in quanto questa non è perfettamente sferica ma è uno sferoide; e che le uniche persone più distanti di noi fossero i membri della ISS, la stazione spaziale internazionale, in orbita ormai da 25 anni. Girandomi e rigirandomi nel mio sacco a pelo, mi chiedevo quale fosse la nuova frontiera della glaciologia. Non ero abbastanza lucido, ma la risposta stava esattamente davanti ai miei occhi, o meglio, splendeva sopra la mia tenda in quella notte di plenilunio.

È ormai assodato che la maggior parte del ghiaccio del sistema solare non stia sulla Terra ma sia localizzato sule lune dei pianeti esterni, ad esempio quelle di Giove e di Saturno come Europa e Encelado. Più vicino alla Terra, anche Marte possiede calotte ghiacciate polari simili a quelle terrestri.  Avvicinandoci ancora, fino a non molto tempo fa, si riteneva che la nostra Luna fosse essenzialmente priva d’acqua. Tuttavia, prima la scoperta di minime quantità d’acqua nelle rocce lunari e poi il rilevamento di ghiaccio intrappolato nella regolite, il suolo lunare, tramite tecniche satellitari, ci hanno fatto cambiare idea. Ora si ritiene che, con ogni probabilità, esistano delle consistenti quantità di ghiaccio sulla Luna, soprattutto nei suoli delle cosiddette zone d’ombra permanente, intrappolato ad esempio all’interno dei crateri delle zone polari (Fig. 3).

È di questi giorni la notizia del successo della missione robotica cinese Chang’e-6 che ha riportato a Terra i primi campioni di roccia dalla parte più distante della Luna. Il prossimo novembre è in programma il lancio di un’altra missione robotica della NASA, PRIME-1 che, con la navicella IM2 , ha invece l’obiettivo di verificare direttamente la presenza di ghiaccio nel sottosuolo, nei pressi del polo sud lunare. Dopo l’allunaggio della navicella spaziale IM1 nello scorso gennaio, sarà infatti compito di IM2 di portare a destinazione una trivella, TRIDENT, ed uno spettrometro di massa, MSOLO, per estrarre regolite fino ad un metro di profondità e misurarne immediatamente la percentuale di ghiaccio contenuto. Il prossimo anno, un’altra missione robotica della NASA dotata di un rover, VIPER, avrà lo stesso compito ma potrà eseguire molte più misure lungo un transetto, con maggiori possibilità di identificare del ghiaccio rispetto alla misura singola di PRIME-1. Queste missioni della NASA sono in preparazione del programma ARTEMIS, il seguito del celebre programma APOLLO degli anni 60’-70’, che ha come scopo primario di riportare l’umanità sulla Luna nel 2026. A differenza del programma APOLLO queste missioni sono eseguite oggi col contributo primario di aziende private, come quella dove lavoro come ricercatore, Honeybee Robotics del gruppo Blue-Origin, che ha realizzato il perforatore TRIDENT ed avrà il compito di manovrarlo dalla stazione di controllo negli USA durante le due missioni.

 

Figura 3: Il conteggio da satellite dei neutroni al polo sud lunare ha indicato i luoghi in cui è probabile esista ghiaccio d’acqua. I dati mostrano che qui il ghiaccio non è limitato solo alle regioni permanentemente in ombra ma è presente anche in altre zone (immagine NASA/GSFC/IKI).

 

Se verrà confermata la presenza di ghiaccio lunare, questo rappresenterà un cambiamento epocale, non solo per la glaciologia ma anche per tutta la scienza e la tecnologia. Il ghiaccio lunare potrebbe infatti rivelarci informazioni chiave sull’origine ed evoluzione del sistema solare e costituire inoltre una risorsa strategica in vista dei futuri insediamenti sulla Luna. La presenza di ghiaccio (H2O) sulla Luna, offrirebbe infatti l’opportunità, non solo di accedere ad una risorsa preziosa come l’acqua senza doverla trasportare dalla Terra (il costo di trasporto di un litro sarebbe oggi di circa mezzo milione di dollari) ma anche di poter ottenere ossigeno (O2) ed idrogeno (H2) mediante idrolisi alimentata energeticamente da pannelli fotovoltaici. Sarebbe anche il primo passo verso il possibile sfruttamento delle risorse lunari (in situ resource utilization) che ha come obiettivo l’utilizzo di materiali locali, come l’alluminio, silicio ed il ferro estratti dalla regolite, per realizzare con materiali lunari le infrastrutture di questi nuovi avamposti dell’umanità.

 

Figura 4: Illustrazione del lander di Intuitive Machines (IM2) della missione PRIME-1 della NASA con il perforatore TRIDENT (in giallo) sul fianco sinistro del veicolo spaziale sulla superficie della Luna.

 

Non è una sfida tecnica semplice ma oggi si sta studiando come adattare all’ambiente lunare tecnologie terrestri evitando in primo luogo inefficienze ed errori compiuti durante la nostra “infanzia tecnologica”. Si stanno ad esempio studiando cicli produttivi e di utilizzo in cui il concetto di “rifiuto” non può trovare posto, semplicemente per il fatto che sarebbe un lusso insostenibile, specialmente se il materiale è importato dalla Terra.  È una sfida colossale anche perché l’ambiente lunare è estremamente severo. Oltre all’assenza di pressione atmosferica, le temperature variano tra  –121 °C e +133 °C durante il ciclo lunare, un ambiente così difficile che farebbe sembrare un vero e proprio paradiso terrestre anche le altissime quote del nostro pianeta. Ma forse, di fronte alla galoppante crisi ambientale in corso qui sulla Terra, è lecito a questo punto chiedersi se queste nuove tecnologie sviluppate per il sistema solare possano affiancare le misure di mitigazione e adattamento ai problemi climatici e ambientali.

In un’epoca di cambiamenti veloci e radicali come quella attuale è ancora più difficile, se non impossibile, prevedere il futuro. Quando la regina Isabella I di Spagna finanziò la spedizione di Cristoforo Colombo per trovare una nuova rotta verso le Indie, non avrebbe mai potuto immaginare l’Empire State Building di New York o Google e la Silicon Valley. Oggi lavoro ed abito a Pasadena, nell’area di Los Angeles e quasi tutte le settimane, tipicamente verso il tramonto, vedo lanciare dalla vicina base di Vandenberg un razzo di Space X, Falcon 9, per il progetto Starlink, che sta portando in orbita migliaia di satelliti per realizzare la copertura globale di internet. Il riutilizzo del cosiddetto stage 1 dei Falcon 9 ha reso questi lanci già molto più economici e quindi più frequenti. Blue Origin sta testando New Shepard, un razzo alimentato ad ossigeno ed idrogeno che raggiunge lo spazio rilasciando in atmosfera solo vapore acqueo. Di fronte a tutto questo ho la chiara percezione che siamo all’inizio di una nuova era. Con la speranza che avremo presto un’opzione in più per vincere la guerra sui vari fronti di crisi ambientale qui sulla Terra.

 

 

Testo di Paolo Gabrielli

3 responses so far

3 Responses to “L’epilogo dei ghiacci d’alta quota e la nuova ricerca del ghiaccio lunare”

  1. Simone Casadeion Lug 7th 2024 at 08:52

    Complimenti: un post davvero affascinante!
    Fa un po’ rabbia constatare che ci stiamo arrendendo al superamento delle soglie planetarie, perchè non riusciamo a fermare proprio quella fame di crescita infinita che ci porta illusoriamente a pensare che ci salveranno la Luna, Marte, il wormhole di fianco a Saturno, etc..
    E’ un cane che si morde la coda: è come se fatalisticamente avessimo già deciso che sulla Terra non siamo capaci di farcela a salvarci da noi stessi, dunque bisogna guardare altrove. La fantascienza hollywoodiana è piena di “fughe” verso lo spazio dei più ricchi, mentre i poveracci restano a morire sulla Terra, perchè lo ha deciso il Dio Mercato che non è altro che la nostra irrefrenabile, incontrastabile, animalesca fame di competizione e di crescita.
    Lo stesso Dio Mercato, quindi, ri-alimenta ora la nuova corsa allo spazio, che – non a caso – va in parallelo alla corsa agli armamenti terrestri e spaziali. In primis contro il cattivissimo neo-nemico “comunista” cinese che purtroppo ci segue su questa strada, già scritta, verso il disastro, come fece l’URSS 60 anni fa.

  2. Paolo Gabriellion Lug 9th 2024 at 06:34

    @Simone Grazie mille.

    Quando il Voyager era già piuttosto lontano dalla Terra, Carl Sagan ebbe un’idea, semplice quanto geniale. Rivolgere lo sguardo del Voyager indietro verso la Terra e scattare una foto. Questa divenne storica grazie alla semplice realizzazione da parte di chiunque la guardasse di quanto fosse unico, isolato e meraviglioso il nostro pianeta.

    Penso che andare nello spazio ci farebbe comprendere *collettivamente* di vivere in un vero e proprio paradiso terrestre che stiamo devastando, mettendo a rischio la nostra civiltà. Qui tutto e’ a portata di mano, “hanging fruits”, al contrario dello spazio dove, anche assumendo ci siano risorse, queste sono cosi’ difficili da estrarre da far sembrare il deserto del Sahara una terra promessa.

    L’umanità nel suo complesso non procede quasi mai in termine di pianificazione ma in termini di reazione. Sta nella natura umana di darsi una mossa solo di fronte agli shocks. E non riesce a rinunciare alla libertà di provare a cambiare sempre. E, forse, in questa corsa irrefrenabile sta un meccanismo di difesa, un feedback negativo, “ideato” dall’universo per continuare ad esistere facendo estinguere, una alla volta, le varie civiltà sviluppatesi in 14 miliardi di anni in molteplici posti remoti nei 200 miliardi di galassie dell’universo.

    Potrebbe duque essere solo questione di tempo, anzi e’ solo questione di tempo. Ma fare sopravvivere una civiltà come la nostra altri 1000, 100,000 o magari 1 milione di anni ha comunque un’altissimo valore etico per cui credo chiunque, al punto dove siamo arrivati oggi, ci farebbe la firma.

  3. stefano carnevalion Lug 10th 2024 at 23:38

    complimenti a Gabrielli, anche per il suo intervento, davvero ‘distaccato’ nonostante sia uno scienziato del settore spaziale.
    A me è capitato di parlare con scienziati che si occupano di spazio e sono rimasto davvero basito come persone così intelligenti possano ‘credere’ a mete tipo Marte o all’estrazione di minerali dalle lune (uno di questi, piuttosto bravo e blasonato, mi ripeteva l’importanza di continuare l’esplorazione delle lune di Giove..figuriamoci).
    Non ho mai percepito veramente l’importanza della ricerca spaziale (anche perchè sono una mente piuttosto modesta) e il mio ragionamento è quasi sempre collassato in quello che ha detto perfettamente Simone Casadei nel suo intervento.
    Sul pianeta Terra la via dell’estinzione umana è piuttosto chiara..e il pianeta (e l’universo..) ringraziano.

Leave a Reply


Translate