Cambiamento climatico e conflitti globali: c’è un nesso causale?
Studi recenti indicano che in fase di cambiamento climatico si verificano maggiori conflitti tra gli Stati, per la terra, l’uso delle risorse, per l’acqua dei grandi fiumi. C’è un nesso causale? Gli scienziati dibattono, ma se così fosse, l’umanità avrebbe un motivo in più per contrastare il riscaldamento globale.
Diversi articoli recenti su autorevoli organi di stampa e riviste internazionali (The Guardian, 2014; RTCC; 2014; HUFFPOST-GREEN, 2014; BBC News, 2013; Scientific American, 2009) e nazionali (LIMES, 2014; Repubblica, 2014) indicano il cambiamento climatico come con-causa sostanziale di conflitti a livello mondiale. Variazioni della temperature e delle precipitazioni, riportano tali articoli, sono correlati ad incrementi locali dei comportamenti violenti, ed ad un aumento dei conflitti transnazionali e delle guerre. Il cambiamento climatico influenza l’economia, specialmente in paesi fortemente agricoli variando i raccolti ed il costo delle derrate (vedi: RIO+20, sicurezza alimentare e cambiamento climatico). Variazioni della situazione economica e della ricchezza possono influenzare il comportamento delle popolazioni, e lo sviluppo di movimenti violenti. Il global warming sarebbe dunque da contrastare anche per l’effetto nefasto sui conflitti a scala globale.
Ma qual è la posizione degli scienziati ?
Diversi contributi recenti su riviste autorevoli analizzano il problema. Burke et al. (2009), sostanziati poi da Hsiang et al. (2014), studiano il legame tra le fluttuazioni di temperatura e precipitazione per singoli stati in Africa e la relativa incidenza di conflitti (scontri tra gruppi armati di due paesi, di cui almeno uno governativo, con la morte di più di 1000 persone in battaglia) durante il periodo 1981-2002. I risultati mostrano come un aumento di temperatura media annuale di +1°C rispetto alla media comporta un aumento del +4.5% dell’intensità dei conflitti in quell’anno e di +0.9% nell’anno successivo. Gli autori spiegano tale effetto con l’impatto negativo dell’aumento di temperatura sul raccolto agricolo. L‘aumento di temperatura provoca infatti minori rese agricole (vedi: Cambiamento climatico e sicurezza alimentare. 1 Il caso del mais in pianura padana) e perdite di raccolto di al fino al 10-30% per ogni °C in Africa (p. es. mais, Jones and Thornton, 2003). Poiché la grande maggioranza della popolazione Africana vive di sussistenza, con il 60-100% del reddito derivato dalla vendita del raccolto (cash crops), diminuzioni consistenti del raccolto comportano radicali cambi del benessere economico. Tale benessere è un fattore largamente associato all’incidenza di conflitti interni e transnazionali (Miguel et al., 2004), cosicché, spiegano gli autori, l’incidenza del clima sui raccolti e sul benessere è probabilmente un meccanismo primario dell’incremento dei conflitti. Burke et al (2009) utilizzano poi proiezioni di scenario climatico da 20 modelli climatici, relativi al programma WCRFP,CMIP3 (storyline A1B), per proiettare le potenziali incidenze di conflitti al 2030 (Figura 1). I risultati mostrano una crescita del 5.9% della mediana, con un aumento del 54% nella probabilità di nascita di nuovi conflitti nel continente.
Figura 1.Variazioni potenziali del clima e dei conflitti in Africa al 2030 (in: Burke et al., 2009). Sx: variazioni del clima al 2030 per l’Africa sub-Sahariana Africa (per 5 macro-regioni ed intera). I boxplots mostrano la gamma di variabilità delle proiezioni modellistiche di precipitazione e (% sopra) e temperature (°C, sotto), per il periodo 2020-2039 rispetto al 1980-1999, basate su 18 modelli WCRFP,CMIP3 (storyline A1B). La linea scura verticale è la mediana, i box colorati indicano il 50% quartile, con le barre verticali a indicare gli estremi. Dx: Variazione percentuale potenziale dell’incidenza della guerra civile. Il boxplot 1 rappresenta l’incertezza considerando l’incertezza di stima sia nei modelli climatici sia nel modello di risposta dei conflitti, il boxplot 2 solo nella risposta dei conflitti, il boxplot 3 solo nei modelli di clima. La linea scura verticale è la mediana, i box colorati indicano il 50% quartile, con le barre verticali a indicare il percentile 5-95%.
Hsiang et al. (2013) studiano l’influenza del clima sui conflitti a scala mondiale analizzando in dettaglio 60 studi sul tema, relativi a 45 situazioni di conflitto, datati fino al 10.000 a.c. I risultati mostrano come deviazioni dalle temperature e precipitazioni medie accrescono sistematicamente la probabilità di un conflitto (Figura 2). Nell’era moderna (post 1950), l’influenza del clima è sostanziale e fortemente significativa. Fra i possibili meccanismi di influenza, gli autori ipotizzano che l’accadimento di eventi climatici estremi, con il conseguente impatto negativo sulla produttività economica, rende la partecipazione ai conflitti più economicamente favorevole delle normali attività produttive (Chassang and Padro-i-Miquel, 2009). Ipotesi alternative postulano come il declino della produttività economica (anche indotto dal global warming) riduca il potere delle istituzioni governative (p.es. tramite il prelievo fiscale), rendendo meno effettivo il controllo sociale e favorendo l’insorgenza di conflitti (Zahng et al., 2011). L’incidenza di eventi estremi può inoltre portare ad una sperequazione della distribuzione del benessere (reale o percepita) che può accrescere la tendenza al conflitto, motivato dalla necessità di redistribuire la ricchezza in modo più equo (Jacob et al., 2007). Rientrano in tale scenario i conflitti connessi alla perdita di raccolti, con conseguente aumento dei prezzi delle derrate alimentari. Forti migrazioni di popolazione legate al global warming possono inoltre creare conflitti dovuti alla competizione per le risorse, in situazioni normalmente agiate (Barrios et al., 2006; Reuveny et al., 2007; Feng et al., 2012). Gli autori concludono che, data l’alta verosimiglianza di una forte variazione di temperature e precipitazioni fino al 2050 ed oltre, ci si dovrà attendere una larga incidenza di conflitti nei paesi a basso reddito, con una potenziale crescita anche nei paesi più sviluppati.
Fig. 3. Ricostruzione paleoclimatica dell’associazione tra cambiamento climatico e conflitti antropici (in: Hsiang et al., 2013). Le linee sono ricostruzioni del clima (rosso, temperatura; blu, precipitazione; arancione, siccità; medie mobili in grigio chiaro). Le barre in grigio scuro indicano periodi di notevole instabilità sociale, conflitti violenti o il crollo di istituzioni politiche. (A) I sedimenti alluvionali del bacino di Cariaco, indicano una sostanziale siccità pluriennale in concomitanza con il crollo della civiltà Maya. (B) La ricostruzione di un indice di siccità (Palmer, PDSI) con metodi dendro-cronologici in Vietnam, mostra lunghe siccità prima del crollo del Regno di Angkor, Cambogia. (C) I sedimenti dal lago Huguang Maar in Cina indicano bruschi e prolungati periodi di scarsa precipitazione estiva, che ha coinciso con le più importanti transizioni dinastiche. Il crollo della dinastia Tang ha coinciso con il crollo dei Maya, verificatosi in concomitanza di forti alterazioni delle precipitazioni in entrambi gli emisferi. Analogamente, il crollo della dinastia Yuan ha coinciso con il crollo di Angkor (B), che ha condiviso lo stesso clima regionale. (D) La coltivazione della regione del lago Titicaca da parte dei di Tiwanaku terminò bruscamente dopo un forte periodo di siccità della regione, misurato tramite l’accumulo di ghiaccio nella calotta di Quelccaya, Perù. (E) L’accumulo di polvere portata dalla Mesopotamia nel Golfo dell’Oman indica forte siccità delle terre, coincidenti con il crollo dell’Impero Accadico. (F) Gli anelli di alberi Europei indicano che periodi di freddo anomalo sono stati associati a grandi periodi di instabilità del continente.
Con specifico riferimento alla risorsa idrica di superficie, di enorme importanza per l’agricoltura irrigua, il cambiamento climatico può condurre a conflitti in situazioni di gestione condivisa della risorsa, quale ad esempio si verifica in grandi bacini transnazionali. Esempi di tali fiumi includono il Nilo (Madani et al., 2011), il Rio Grande (Patiño et al., 2007), il Mekong (Sneddon e Fox, 2006), il Tigri-Eufrate (Kucukmehmetoglu and Guldmann, 2004), il Giordano (Zeituon et al., 2013), l’Indo (Mehta, 1988; NY Times, 2010) e molti altri (Yoffe et al., 2004). Tali bacini transnazionali sono spesso gestiti tramite accordi tra stati, basati per lo più sulla concessione di volumi di acqua prefissati (e.g.Ansink and Weikard, 2009). In caso di mancata concessione di tali volumi, gli stati, o regioni in disputa per l’uso dell’acqua possono intraprendere diverse strategie, inclusa l’escalation a vari livelli di conflitto, anche armato (Madani, 2010). Come noto, il cambiamento climatico presente ed atteso, potrebbe comportare larghe variazioni del ciclo idrologico e dei volumi d’acqua disponibili, particolarmente in aree tropicali e/o con alimentazione nivo-glaciale (si veda p.es.: I rischi per l’acqua delle Alpi, Tutta l’acqua del mondo; Il cambiamento climatico e le torri d’acqua dell’Asia), con possibili effetti su tali accordi di gestione.
Studi recenti (Ansink et al., 2008) mostrano come in regioni aride, la potenziale diminuzione dei volumi medi di deflusso, o della stagionalità dei deflussi stessi, legati all’effetto del cambiamento climatico (p.es. tramite diminuzione delle precipitazioni, o riduzione delle calotte in bacini a prevalente alimentazione glaciale), possa comportare una accresciuta incidenza di conflitti tra stati confinanti, o comunque in disputa per l’uso dell’acqua di bacini condivisi, in particolare in assenza di precisi accordi istituzionali (Tir e Stinnett, 2012).
In conclusione, un largo numero di studi di letteratura mostra come verosimilmente il clima abbia influito nel passato sui conflitti interni e tra nazioni, tramite l’accresciuta competizione per le risorse ed il cibo, le migrazioni, la suddivisione della risorsa idrica, gli effetti delle catastrofi climatiche. Nel futuro quindi, i cambiamenti climatici influiranno molto verosimilmente su rapporti tra nazioni, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, più colpiti dagli effetti del global warming. Benché la quantificazione di tali effetti ed i relativi meccanismi siano ancora dibattuti e vi sia ancora molto da capire, è chiaro che l’umanità dovrà rapidamente immaginare ed implementare strategie di adattamento opportune, pena l’inasprirsi delle condizioni di vita dei più poveri e dei conflitti a scala globale.
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Testo di Daniele Bocchiola
3 responses so far
[…] purtroppo gli interrogativi non riguardano solo l’analisi comportamentale di singole persone. In discussione è l’assetto di intere società minacciate dall’esplodere di conflitti legati al diminuire […]
Questo discorso prende una piega più specifica in relazione al conflitto in Siria. Una ricerca mostra la connessione da un lato tra l’insurrezione nel 2009 contro il regime e i tre anni di siccità precedenti e, dall’altro, tra la siccità e il global warming:
http://www.nytimes.com/2015/03/03/science/earth/study-links-syria-conflict-to-drought-caused-by-climate-change.html?_r=1
Researchers Link Syrian Conflict to a Drought Made Worse by Climate Change
Full text: http://www.pnas.org/content/early/2015/02/23/1421533112
Sintesi: There is evidence that the 2007−2010 drought contributed to the conflict in Syria. It was the worst drought in the instrumental record, causing widespread crop failure and a mass migration of farming families to urban centers. Century-long observed trends in precipitation, temperature, and sea-level pressure, supported by climate model results, strongly suggest that anthropogenic forcing has increased the probability of severe and persistent droughts in this region, and made the occurrence of a 3-year drought as severe as that of 2007−2010 2 to 3 times more likely than by natural variability alone. We conclude that human influences on the climate system are implicated in the current Syrian conflict.
,they need grooming but not as much as malteses.they’re more playfulthey don’t get jealous of you like when you hug someone like a maltese.there more fun the maltese.I think there more cute.oh yeah and maltese need to be taken to a groomer to have it’s !References :