Sette settimane in Tibet: i pendolari della Stazione Glaciale Internazionale
Le carote di ghiaccio estratte dalle calotte polari e dai ghiacciai d’alta quota costituiscono un vero e proprio archivio naturale delle condizioni climatiche e ambientali del nostro pianeta. Gli sforzi logistici per recuperare queste carote sono fondamentali per la scienza ma sono anche esperienze dove talvolta la percezione di sperimentare un’avventura oppure una quasi-catastrofe dipende solo dall’attitudine personale.
Nel 2009, di ritorno da una lezione di paleoclimatologia al Byrd Polar and Climate Research Center, incrociai nei corridoi del laboratorio il responsabile del nostro gruppo di ricerca. “Lo sa -gli chiesi- che i danesi stanno spendendo milioni per recuperare dalla Groenlandia una carota di ghiaccio relativa all’Emiano (l’ultimo periodo interglaciale, 130000 anni fa) mentre Lei con il suo gruppo, ne aveva già estratta una in Tibet nel 1992 spendendo almeno 10 volte meno? Perché non ci torniamo per estrarne un’altra?”. Lui, quasi impercettibilmente, acconsentì col capo ma, come al solito, non disse nulla.
Foto 1: I margini meridionali della calotta glaciale di Guliya (6670 m) nel Tibet Occidentale (Foto Paolo Gabrielli).
Che avessi colpito nel segno lo capii solo qualche giorno dopo, quando l’ingegnere del nostro gruppo mi capitò davanti alla porta dell’ufficio e mi disse “L’idea di tornare in Tibet a perforare di nuovo la calotta di Guliya è buona, ma non hai la più pallida idea di quello che ci aspetta”. Infatti, non l’avevo. Però intanto quella macchina da guerra del nostro responsabile si era avviata. E dopo varie altre avventure (qui e qui), finalmente nell’aprile del 2015 arriva il finanziamento della NSF per estrarre una nuova carota di ghiaccio da Guliya (Foto 1) e studiare i cambiamenti ambientali durante gli ultimi due cicli climatici*.
21 settembre 2015 dal mio diario di bordo: “Con le motoslitte abbiamo finalmente raggiunto la nostra “Stazione Glaciale Internazionale”. Il vento spazza la neve. E’ un incontro ravvicinato con l’inferno…”. Dopo sole due settimane dalla nostra partenza dall’Ohio, ci troviamo presso la tenda a duomo del nostro campo, a 6070 m di quota sul ghiacciaio di Guliya nel Tibet Occidentale (Foto 2). E le condizioni sono già praticamente invernali.
Foto 2: La nostra “Stazione Glaciale Internazionale” a 6070 m di quota, ai piedi della calotta glaciale di Guliya (6670 m) nel Tibet Occidentale (Foto Paolo Gabrielli).
Unici occidentali presenti in questa regione, nell’ambito di una spedizione congiunta coi colleghi cinesi dell’ITCAS, eravamo arrivati alla base del ghiacciaio dopo un viaggio in aereo (Pechino-Lhasa-Ali) e fuoristrada, attraversando l’area semi desertica del plateau tibetano occidentale, fino quasi al confine della Cina con India e Pakistan. 15 settembre 2015 “Attraversiamo valli ampie e aride, accompagnati da gazzelle veloci come i nostri fuoristrada, in un’area semidesertica stranamente ricca di laghi, senza alcun immissario o emissario” (Foto 3).
Foto 3: Il plateau tibetano è costellato di laghi più o meno celesti a seconda della loro salinità (Foto Paolo Gabrielli).
Arrivati quindi sul ghiacciaio di Guliya, montiamo il campo e, una volta acclimatati all’aria sottile dei 6000 m, trasportiamo con le motoslitte il materiale per la perforazione fino a 6670 m di quota, in cima alla calotta. Qui istalliamo il carotiere e la tenda a duomo per processare le carote di ghiaccio. Per un’intera settimana andiamo avanti e indietro tra il campo a 6070 m ed il sito di perforazione a 6670 m: siamo i pendolari più alti del pianeta. Sopra di noi, l’unico avamposto umano è la vera e propria Stazione Spaziale Internazionale, che regolarmente fa capolino nella volta celeste. 9 ottobre 2015: “Uscito dalla tenda a duomo, mi fermo per tre minuti nel gelo notturno (-40 °C) a guardare la Via Lattea: è brillante come mai l’avevo vista prima”.
Le condizioni meteorologiche non ci danno una mano, specialmente all’inizio della spedizione. Nonostante le precise previsioni inviateci via satellite dall’amico Gianluca di Meteotrentino, ci facciamo sorprendere in mezzo alla bufera. 28 settembre: “Ad un certo punto ci perdiamo in mezzo al plateau e la motoslitta si pianta nella neve. Riusciamo a liberarla e a ritrovare la via segnalata dalle bandierine per tornare al campo”. Le bufere continuano ed il 1° Ottobre il vento raggiunge il culmine della forza: “Mi ritrovo con un collega cinese a sostenere la tenda a duomo con la schiena in modo che non collassi per le raffiche di vento. Saranno almeno 40 metri al secondo” (Foto 4). Per fortuna oltre alle difficoltà, anche i momenti magici non mancano, e la ricompensa per un’intera giornata arriva spesso al tramonto quando, scendendo dalla calotta verso il campo, ci riempiamo gli occhi guardando dall’alto i laghi dorati che punteggiano il plateau tibetano.
Foto 4: Il 1° ottobre una tempesta di vento colpisce le nostre operazioni di perforazione presso la sommità della calotta glaciale di Guliya a 6670 m (Foto Paolo Gabrielli).
In tre settimane perforiamo il ghiacciaio di Guliya per 4 volte fino al basamento roccioso, recuperando tre carote di ghiaccio di 50 m a 6670 m ed una carota di 300 m a 6070 m, vicino al campo. Negli strati di neve depositatisi durante gli ultimi anni, spesse lenti di ghiaccio indicano l’intensa fusione della neve verificatasi durante le estati più recenti, influenzate dal riscaldamento globale. La fusione ha già quindi cominciato ad intaccare la registrazione climatica ed ambientale contenuta negli strati più superficiali perfino a quasi 7000 metri di quota. Gli strati di ghiaccio più profondi invece sono ancora integri e visibilmente ricchi di polvere che richiama alla mente epoche glaciali lontane nel tempo, quando le precipitazioni erano ridotte e l’atmosfera era carica di pulviscolo**.
Durante le tre settimane passate sul ghiacciaio, tre nostri colleghi devono purtroppo lasciare il campo per diversi problemi legati alla permanenza in quota. Alla fine rimaniamo in 12 tra scienziati (10) e guide alpine (2): 3 russi, 3 cinesi, 2 peruviani e 2 italiani (Foto 5): è il gruppo più forte a cui abbia mai preso parte. Col passare del tempo, la fatica si fa comunque sentire: la quotidianità trascorsa nell’aria sottile implica che anche il minimo movimento diventa un progetto per realizzare qualcosa che non si ha ne la forza ne la voglia di fare. E con la stanchezza arriva, inevitabilmente, anche il nervosismo: con Giuliano, l’unico mio collega italiano, ci sorprendiamo nel bel mezzo di un’aspra discussione sulle qualità….. del tofu rispetto al parmigiano reggiano! Il pensiero del (buon) cibo è un chiodo fisso.
Foto 5: Gli “ultimi 12 mohicani” di Guliya il giorno del completamento delle perforazioni (Foto Giuliano Bertagna).
Come al solito i giorni finali della spedizione sono anche quelli in cui il gruppo dimostra la maggiore efficienza: siamo esausti, ma bisogna scendere a valle il più presto possibile. I nostri giovani portatori tibetani sono indispensabile nel trasportare a valle le pesanti carote di ghiaccio (Foto 6). E sono incredibili la forza e lo spirito gioioso che accompagna sempre questi ragazzi, nonostante un’attrezzatura personale a dir poco inadeguata (su tutto, stivali di gomma e giacca militare). La sera prima di lasciare Guliya, il 14 ottobre 2015, scesi finalmente tutti al campo base a 5500 metri, abbiamo la fortuna di “scorgere all’orizzonte un branco di yak scalpitanti in una nuvola di polvere. Assistiamo anche al collasso fragoroso di una parte del margine inferiore del ghiacciaio di Guliya”. E’ il saluto, a modo suo, del ghiacciaio.
Foto 6: Un giovane portatore tibetano trasporta a valle le carote di ghiaccio. Sullo sfondo, poco distante dal campo base, il margine della calotta di Guliya a 5500 m di quota (Foto Paolo Gabrielli).
In conclusione, quasi citando Marco Polo, quello che ho cercato di raccontare in queste poche righe non rappresenta nemmeno un centesimo di quello che abbiamo vissuto durante la nostra spedizione. L’esperienza ad altissima quota è innanzitutto un ampissimo spettro di sensazioni ed è sempre una lezione indimenticabile. Questi sono luoghi difficili dove magari, contrariamente a quanto si può pensare, non ci sono né il tempo né la lucidità per meditare a fondo gli aspetti scientifici del nostro lavoro. Un ambiente dove generosità, self-control e tanta forza sono i fattori più importanti per trasformare un gruppo di persone diversissime tra di loro in una vera e propria squadra.
Testo di Paolo Gabrielli, con contributi di Claudio Cassardo
*Normalmente le carote di ghiaccio recuperate alle basse latitudini coprono archi temporali molto inferiori a quelle estratte dalle zone polari a causa della maggiore quantità di neve accumulata al suolo ogni anno. Tuttavia Guliya rappresenta un’eccezione: pur essendo una località situata a basse latitudini si trova in un’area semidesertica con scarsissime precipitazioni nevose che conferisco a questo sito di perforazione caratteristiche simili a quelle polari.
** Saranno poi le analisi svolte in seguito nei laboratori dell’Ohio State University, a permettere di descrivere i periodi storici e ricostruire le grandezze che tipicamente possono essere misurate nelle carote di ghiaccio (come ad esempio il δ18O, da cui si può stimare la temperatura dell’aria nel passato, ma anche gli aerosol e il particolato, i metalli pesanti) per un periodo che dovrebbe coprire almeno uno o due cicli glaciali.
9 responses so far
Leggeró a scuola, alle nuove generazioni, il tuo bel racconto. Grazie per quello che fate! Chiara
Bellissimo..
Grazie!
@ Chiara Per me raggiungere le scuole e’ il piu’ alto picco di comunicazione. Un bel obiettivo anche per Climalteranti. Grazie Chiara!
@ Stefano: Grazie!
Paolo G.,
sottoscrivo i grazie precedenti e complimenti anche per il fisico…
Nella foto 6, vedo un po’ di legni e forse telone di plastica blu. Avete portato giù la spazzatura, vero?
Una curiosità: nella foto 1, i margini della calotta sembrano assottigliarsi come in altri ghiacciai (detto da una che ne ha visti pochi), ma nella 6 finisce con una parete alta, come fratturata. E’ normale?
@oca sapiens <Avete portato giù la spazzatura, vero?
Ti ringrazio per la domanda perche' mi sono speso in prima persona nella gestione dei rifiuti. La nostra spazzatura l'abbiamo insacchettata e spedita giu' al campo base dove e' stata bruciata. E' stato il miglior compromesso che si e' potuto ottenere con la logistica cinese. Come sempre e' infatti la logistica ad avere in pugno l'intera spedizione scientifica e quindi anche la gestione dei rifiuti che in Cina e' sempre stata problematica.
<Una curiosità: nella foto 1, i margini della calotta sembrano assottigliarsi come in altri <ghiacciai (detto da una che ne ha visti pochi), ma nella 6 finisce con una parete alta, <come fratturata. E’ normale?
Di ice cliffs come questa ce ne sono diverse nel mondo dal Kilimanjaro, alle Ande ai poli. Il processo di formazione non e' ancora completamente chiaro ma sembra che l'irraggiamento solare giochi un ruolo determinanete nel scolpire queste strutture di ghiaccio. Vedi per esempio qui: http://www.jstor.org/stable/1552503?seq=1#page_scan_tab_contents
Segnalo anche che Paolo ha un account twitter grazie a cui, oltre a tante info sui ghiacci, si possono seguire in tempo (quasi) reale le sue spedizioni, io ho seguito questa ed è stato davvero interessante.
il nick è @pa0l0_gabrielli
Grazie mille Stefano. I miei twitts vengono reindirizzati anche sulla mia pagina facebook: https://www.facebook.com/Paolo-Gabrielli-1083128325040490/
Mi piacerebbe raggiungere piu’ insegnanti e studenti: qualcuno mi da una mano? Grazie! 🙂
[…] https://www.climalteranti.it/ (in italiano) e in particolare il post relativo alla spedizione in Tibet: https://www.climalteranti.it/2016/01/13/sette-settimane-in-tibet-i-pendolari-della-stazione-glaciale-… […]
Ciao Paolo, c’e’ un link per vedere i dati meteorologici di Gyulia ?
Secondo me ricerche che ho fatto, lo zero termico piu alto mai registrato al mondo in era moderna e’ stato nel giugno 1998 (giorno 16) e nel luglio 2011.
C’era una +5C a 500hpa con 32C raggiunti a Tsigatse a oltre 4000m (!) e zero termico ben oltre i 7000m.