Il romanzo sugli impatti e la scienza del clima
L’ultimo libro di Bruno Arpaia, Qualcosa, là fuori (Edizioni Guanda), è ambientato in un mondo futuro devastato dagli impatti dei cambiamenti climatici. È indubbiamente una cosa positiva quando il mondo della cultura e della letteratura abbraccia temi come questo e li porta alla conoscenza di un pubblico più vasto di quello puramente scientifico o accademico, perché i risultati possono essere molto interessanti (si veda Libertà di Johnatan Franzen o Solar di Jan McEwan) e perché il futuro dipende dalle scelte che tutti noi faremo.
Non è certo il compito di un blog scientifico come Climalteranti proporre una recensione di questo romanzo, che ha indubbie qualità letterarie. Al di là del fatto che possa sembrare riuscito o no, noioso o avvincente, originale o già sentito, l’analisi che sarà fatta in questo post sarà sulla rappresentazione che viene proposta degli scenari di cambiamento climatico e dei relativi impatti.
Siamo coscienti che non sarebbe necessario valutare la sostanza scientifica del testo; un romanziere ha tutto il diritto di andare oltre i limitati ambiti della realtà delle cose, ed è proprio questo il bello di molti romanzi. Il problema in questo caso è che nelle due pagine finali di “Avvertenza”, l’autore scrive di avere “attentamente confrontato” gli scenari del libro con “i Rapporti dell’IPCC e dell’European Environmental Agency”, e sostiene che questi “però, secondo numerosi scienziati del clima peccano sistematicamente per difetto”.
L’accusa è pesante: può capitare di sottostimare o sovrastimare l’evoluzione di una componente del sistema climatico (es. l’andamento del ghiaccio marino artico o antartico) poiché non tutti i processi fisici che la caratterizzano sono ancora noti con esattezza o si riescono a riprodurre appieno in un modello – che per sua natura è comunque imperfetto; e può anche essere che le sottostime siano maggiori delle sovrastime; ma una sottostima “sistematica” in ambito scientifico è un errore molto grave, sottintende inevitabilmente o una pesante incapacità (nel caso la sistematica sottostima sia involontaria) o una volontà fraudolenta.
È probabile che Arpaia non si renda conto della pesantezza della stroncatura che rivolge al lavoro dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) e dell’EEA (European Environment Agency). Ma è il caso di andare a vedere su cosa si regge un parere così duro.
Scrive Arpaia nell’”Avvertenza”: “Ho tenuto conto perciò del parere di molti studiosi citati sia nel romanzo (come James Hansen o Dennis Bushell della NASA, oppure lo Oxford Earth Science Department), sia nei libri elencati più sotto(Senza alibi, L’alternativa razionale, Calore, 2050, Non è un cambio di stagione, ndr), i quali prevedono, nel caso non vengano prese misure adeguate, un rialzo della temperatura media del pianeta di sei gradi e un innalzamento del livello del mare di circa 12 metri per il 2100”.
Questi numeri sul livello del mare sono citati anche nel romanzo, a pag. 24: “James Hansen e Dennis Bushell, della Nasa, oppure lo Oxford Earth Science Department, prevedevano per il 2100 un aumento della temperatura media del pianeta compreso fra i sei e i dodici gradi, con un innalzamento del mare dai dodici a ottanta metri”.
Anche la critica all’IPCC è ripetuta nel romanzo, ad esempio a pag. 25 dove Arpaia attribuisce l’inerzia della politica (“nessuno dei leader mondiali aveva fatto nulla di concreto e davvero efficace”), sia al fatto che “presi dalle loro beghe, non si rendevano conto della velocità con cui la situazione stava cambiando”, sia perché “preferivano attenersi agli unici dati sul mutamento climatico fino a quel momento diffusamente accettati, quelli dell’IPCC”.
Insomma, la scienza scorretta e minimizzante come uno degli alibi per l’inazione della politica.
Non è per spirito corporativo, ma per amore di verità, che è necessario spiegare che lo scenario descritto da Arpaia, sia sugli errori sistematici dell’IPCC sia sull’innalzamento del livello del mare da 12 a 80 metri entro i prossimi 85 anni, è, alle conoscenze di oggi, infondato.
La tabella sotto riportata riassume le proiezioni sull’innalzamento delle temperature e del livello dei mari (entrambi rispetto alla media 1986-2005) nei quattro possibili scenari di emissione ed uso del suolo (scenari RCP) previsti dall’IPCC (Tab. SPM2, Sommario per i decisori politici, Quinto Rapporto sul Clima), per i periodi 2045-2065 e 2081-2100. Queste proiezioni sono effettuate sulla base dell’insieme dei modelli CMIP5, ovvero i più accreditati oggi per questo genere di studi. Oltre al valore medio la tabella riporta l’intervallo di confidenza (5-95%) dei modelli ovvero l’intervallo probabile dopo aver tenuto conto delle incertezze aggiuntive o dei diversi livelli di confidenza dei singoli modelli globali considerati (21 per le proiezioni sui livelli dei mari, circa il doppio per quelle sulla temperatura).
Questi valori non sono una stima dell’IPCC, sono una sintesi di quanto pubblicato nella letteratura scientifica, che gli scienziati che scrivono i rapporti si limitano a riassumere, con un lungo processo controllato e aperto alle revisioni dei colleghi (i rapporti dell’IPCC escono ogni 7 anni circa). Anche se si considera quanto pubblicato dopo l’uscita del Quinto Rapporto nel 2013, si può affermare con sicurezza che non esistono nella letteratura scientifica proiezioni di innalzamento delle temperature medie del pianeta e del livello del mare entro la fine di questo secolo come quelle citate nel romanzo (6-12 °C e 12-80 m).
Per quel che riguarda la temperatura, un simile aumento implicherebbe madornali errori nel funzionamento dei modelli climatici, anche di quelli sviluppati presso il NASA-GISS, diretto per decenni da Hansen.
Per ciò che riguarda l’innalzamento dei livelli dei mari, effettivamente le stime dell’IPCC sono state criticate come conservative; come fatto osservare da uno dei più grandi oceanografi, Stefan Rahmstorf, le stime dell’AR5 sono superiori a quelli dei precedenti rapporti, e probabilmente saranno riviste al rialzo dai prossimi rapporti IPCC. Ma 12-80 metri sono qualcosa che nessun lavoro scientifico ha previsto, entro il 2100. Sulla base delle conoscenze attuali, solo il collasso dei settori marini della calotta glaciale dell’Antartide, se innescato, potrebbe causare un innalzamento del livello medio globale del mare considerevolmente al di sopra dell’estremo superiore dell’intervallo ritenuto probabile, circa 1 metro alla fine del secolo (si veda la figura a fianco, tratta dal Quinto Rapporto IPCC- Fig. 13.27).
Tuttavia, c’è confidenza che un contributo rilevante dell’Antartide arriverà solo nei prossimi secoli, per via dell’inerzia dei meccanismi di destabilizzazione di queste imponenti masse glaciali. L’ultimo lavoro accurato sull’Antartide (DeConto R. M., Pollard D. (2016) Contribution of Antarctica to past and future sea-level rise. Nature, 351, 597-601) prospetta un potenziale contributo massimo della fusione della calotta di poco più di un metro entro la fine del 2100 e di più di 15 metri entro la fine del 2500 in uno scenario senza riduzione delle emissioni climalteranti.
Jim Hansen nei suoi articoli scientifici o libri non “prevede” per il 2100 un aumento della temperatura da 6 a 12 gradi e un innalzamento del mare da 12 a 80 metri. In un suo recente lavoro (Hansen et al., 2016: Ice melt, sea level rise and superstorms: evidence from paleoclimate data, climate modeling, and modern observations that 2 °C global warming could be dangerous. Atmos. Chem. Phys., 16, 3761-3812) ha usato dati modellistici, ricostruzioni paleoclimatiche e osservazioni più recenti per affermare che un aumento della temperatura globale di 2°C rispetto ai livelli preindustriali comporterebbe, tra le altre cose, una crescita non lineare del livello dei mari di diversi metri su scale di tempo tra 50 e 150 anni, senza tuttavia specificare i valori sopra riportati.
Sono possibili quindi incrementi molto rilevanti del livello dei mari nei prossimi secoli, e un incremento di 5-10 metri in 2-3 secoli sarebbe qualcosa di devastante per il nostro pianeta (si veda al riguardo questo sito internet suggerito da Arpaia); ma non nei prossimi decenni, come descritto in Qualcosa là fuori.
Come si diceva, è del tutto legittimo per un romanziere, o per un regista, descrivere futuri catastrofici per i prossimi decenni. Ma se il prossimo futuro degli impatti del cambiamento climatico non è abbastanza preoccupante o rapido come richiesto da un intreccio narrativo, non è il caso di dare la colpa agli scienziati. Anche perché il riscaldamento cui stiamo assistendo è già sufficientemente rapido e dannoso; i possibili impatti del riscaldamento globale previsto negli scenari dell’IPCC, anche quelli con minori emissioni, sono comunque molto preoccupanti per una società come la nostra che si è formata su un clima più stabile, e con le altre specie viventi sul pianeta sarà sicuramente in difficoltà ad adattarsi a cambiamenti così rapidi.
Testo di Stefano Caserini ed Elisa Palazzi
8 responses so far
Salve, visto che abito proprio in quella zona in blu della cartina, a quale tipo di previsione si riferisce questo innalzamento del livello del mare?
La mappa è ottenuta dal sito http://flood.firetree.net/, linkato nel post, impostando un innalzamento del livello del mare di 7 metri.
Angosciante pensare che tra 80 anni ci sarà un innalzamento dei mari di circa un metro e ancora più angosciante pensare che tra 400 anni potrebbe essere di 10 o 15 metri. La riflessione successiva riguarda un bel chissenefrega dai più. Saremo tutti morti e sepolti. Semmai mi sembra interessante chiederci quali siano i meccanismi psicologici che ci fanno angosciare, qui ed ora, davanti a scenari che non ci riguarderanno direttamente. E che, però, ci consentono di tirare avanti la baracca. Attenzione, però. Si vanno profilando situazioni fuori controllo che potranno determinare profonde crisi di rigetto. E sono in molti a sperare che sia così.
Marcog, cioncordo che di cosa succede fra 400 anni importa a pochi.
Io ho i dubbi che esagerare i rischi che ci riguardano, come il film L’alba del giorno dopo, o mi sembra questo libro, possa servire.
Poi quando uno o una sente che il film o il libro ha esagerato… allora tutto è a posto
Comunque sia, dobbiamo essere grati ad Arpaia perché il suo romanzo trasmette la consapevolezza sulla minaccia rappresentata dai cambiamenti climatici a persone che non sarebbero minimamente toccate da articoli scientifici magari rigorosi ed impeccabili. Ben venga qualche esagerazione se può servire a creare quella massa critica senza la quale è precluso ogni cambiamento.
@ Stefano Ceccarelli
Posso essere d’accordo su quanto scrive.
Il punto è che preferirei che se il romanziere ricorrere a “qualche esagerazione”, non cerchi di farle passare come la vera rapresentazione di quello che dice la scienza, facendo passare l’IPCC come chi invece minimizza per non disurbare i politici che non agiscono.
Salve, grazie per questa recensione. Dopo averla letta, ho comprato il libro di Arpaia e ho iniziato a leggerlo. Mi sto avvicinando al tema grazie al libro «Effetto Serra Effetto Guerra», che ho avuto il piacere di presentare insieme al professor Pasini. Qui ne ho ricavato qualche riflessione, anche grazie al vostro sito:
http://diffrazioni.it/effetto-serra-effetto-guerra/
Mi sento vicino al parere che Antonio ha scritto in un commento. Pur essendo interessato al tema, leggendo Arpaia mi sono detto «vabè, ma qui si esagera…» e ho interrotto la lettura, che mi procurava soprattutto angoscia, da cui però non vedevo via d’uscita.
Io sono fiducioso sul fatto che a tutti, anche ai leader mondiali, interessi il futuro e il destino dei propri nipoti. Dobbiamo però trovare un modo per far crescere l’accordo intorno a questo tema, ed è una lunga e faticosa strada.
Complimenti per il vostro lavoro.
[…] (L’articolo intero si può trovare qui: https://www.climalteranti.it/2016/06/…). […]