La giostra del tempo senza tempo
Come da anni andiamo ripetendo anche su Climalteranti, i cambiamenti climatici sono già in atto e determinano notevoli impatti sugli ecosistemi terrestri e marini, sul rischio idrogeologico, la salute delle persone e degli animali, le attività produttive, la biodiversità delle specie vegetale e animale e tanto, tanto altro ancora. L’evidenza più eclatante di tale cambiamento è certamente il trend di crescita delle temperature, già osservato (circa un grado centigrado in cento anni), e destinato a persistere nei prossimi decenni, e ad accelerare ulteriormente, se non verranno drasticamente ridotte le emissioni di gas “serra”. Se così non dovesse accadere, gli impatti sopra citati si acuiranno e, come diretta conseguenza, le prossime generazioni si ritroveranno a vivere in un mondo molto meno ospitale di quello che ci hanno lasciato i nostri nonni e genitori.
Stante questa realtà, assolutamente incontrovertibile e sulla quale tutti gli scienziati del clima concordano, cosa potrebbe quindi dire un giovane della seconda metà di questo secolo, ad un giovane di adesso? Il romanzo che ho scritto, (La giostra del tempo senza tempo, Bonomo editore) cerca di rispondere a questa domanda, attraverso il racconto di un dialogo, impossibile nella realtà ma non nella fiction, tra una coppia di giovani che vivono nel 2019 e una che vivrà nel 2080, e così facendo tenta di approfondire un po’ il tema della responsabilità inter-generazionale.
In aggiunta, al termine della “storia di fantasy”, comunque fortemente ancorata a quanto la scienza del clima oggi propone e riassunta dai vari rapporti dell’IPCC, vengono approfonditi, in diverse schede tecniche curate da amici e colleghi esperti di settore, alcuni dei temi che gravitano attorno alla problematica della “crisi climatica” e che sono continuamente richiamati nella storia.
Venendo più in dettaglio al romanzo, l’idea di scriverlo nasce da due seminari che tenni il 31 maggio e il 1 giugno del 2018, assieme alla collega climatologa Elisa Palazzi, ricercatrice dell’Istituto ISAC-CNR di Torino, a Pordenone, su invito di Terrae – Officina della sostenibilità (un’associazione di cittadini di Pordenone che promuove stili di vita sostenibili). Dovevamo parlare, nei due giorni, ai cittadini e a un bel numero di classi di studenti di scuola superiore, del cambiamento climatico e dei suoi impatti, con un particolare focus sugli ecosistemi montani. Dopo un’introduzione generale di Elisa sullo stato attuale del clima del pianeta, i suoi possibili scenari futuri e le cause fisiche che ne determinano l’evoluzione, approfondimmo il tema degli impatti dei cambiamenti climatici sugli ecosistemi e sulle attività dell’uomo. Io in particolare curai l’aspetto dell’aumentato rischio da alluvioni che è una delle (tante) conseguenze del riscaldamento. La discussione che ne scaturì con quegli studenti ci lasciò un po’ imbarazzati e approfondì nelle nostre coscienze un certo senso di colpa di generazione che ha contribuito a produrre questo stato di cose. Per di più, essendo anche studiosi di queste materie, ci parve evidente quanto anche il nostro darci da fare, da anni, per portare all’attenzione il problema climatico non avesse, purtroppo, prodotto sostanziali cambiamenti nelle decisioni dei potenti del mondo ad attuare politiche efficaci di mitigazione e adattamento. I risultati non certo clamorosi della recente COP 25 di Madrid, anche se letti con benevolenza, attestano che il problema climatico è forse oramai compreso, ma abbastanza lontano dall’essere affrontato con l’energia che si richiederebbe. Comprendemmo che forse qualcosa di più, o magari anche di diverso, deve essere pensato, e poi attuato, quanto meno per far capire al maggior numero di persone possibile la drammaticità del problema e quanto sia urgente riconsiderare la direzione di sviluppo a livello globale. E quindi anche gli stili di vita dei cittadini. Ed in particolare delle aree più ricche del Pianeta, che sono quelle che hanno causato il problema negli scorsi decenni.
E così, da quel giorno di fine maggio, ho pensato che il primo passo da compiere dovesse essere proprio quello di operare per far sviluppare questa consapevolezza, permettendo prima di tutto di far “incontrare” e dialogare due generazioni, una attuale e una futura. L’idea che c’è sotto è che da un tale dialogo, durante il quale la futura generazione mostra apertamente i risultati delle politiche non attuate dall’attuale, possa far crescere, in quest’ultima, quella maggiore consapevolezza che oggi di fatto non esiste.
Non avevo intenzione di scrivere un testo di scienza divulgativa. Volevo invece scrivere un racconto che facesse leva sugli aspetti emozionali, prima di tutto, per suscitare poi, come conseguenza, l’esigenza di saperne di più che è, “sperabilmente”, prodroma ad una eventuale volontà di modificare un pochino anche il personale stile di vita. In tal senso le schede tecniche sono un necessario corollario alla storia di fiction, e si mescolano ad essa, che continuamente le richiama. Visti i tanti temi che stanno dentro la questione climatica, non potevo e volevo però certamente affrontarli da solo, in tal modo entrando anche io nel novero dei tanti tuttologi che spaziano, ad esempio, sulla rete parlando di tutto e su tutto. Al contrario ho lanciato la sfida ad un po’ di colleghi ed amici, esperti dei vari settori sui quali volevo fare un po’ più di luce, che hanno accettato di aiutarmi in questo esperimento letterario che mescola scienza ed emozioni.
Forse in questo mix cercato (e diranno i lettori se è stato…ottenuto) sta un po’ la differenza che forse esiste tra questo esperimento e i tanti esempi di narrativa connessa ad argomenti scientifici. Potrei dire che in tale mix le Emozioni, evocate dal racconto, e la Scienza, che ci sta dietro, si “passano la palla” a turno, e sono funzione, le une dell’altra.
Dopo tutto, se il problema principale che oggi abbiamo, e che non fa scattare quelle politiche di mitigazione e adattamento assolutamente ineludibili, è anche la scarsa sensibilità verso il problema che si nota a più livelli (dal livello della “politica” al livello del cittadino, che non si pone il problema e non agisce e non chiede…, per tantissime ragioni, che per altro cerco di descrivere sia nel romanzo che nella presentazione delle schede tecniche), allora ritengo che solo facendo leva sulle emozioni si possa far accendere e poi accrescere un interesse reale nelle persone. E poi, di seguito, l’interesse a questo punto innescato a sua volta può produrre nuove emozioni, e così via, in una specie di percorso circolare, dove transitano le diverse generazioni, in una specie di eterno presente che unisce passato e futuro. Come appunto accade in una giostra, che ho voluto chiamare del “tempo senza tempo”, dove i giovani, di ieri, e gli anziani, di domani, tornano finalmente a parlarsi tra loro, e magari così facendo ricostruiscono quel patto inter-generazionale che oggi sta vacillando, e che deve far nascere agli adulti di adesso, la necessità ad operare a beneficio, e non contro, i futuri abitanti del Pianeta. Facendo magari anche leva su un qualche valore etico ritrovato e che può essere riacceso dal racconto che un nipote fa ad un nonno, entrambi di nuovo contenti di girare assieme nella stessa giostra, al suono di una stessa musica e sospinti da una stessa speranza.
Testo di Carlo Cacciamani.
7 responses so far
Molto interessante, non mancherò di acquistarlo e leggerlo con calma, soprattutto la parte tecnica, su cui confesso di non essere preparato. Lessi a suo tempo il libro di Schneider, ma da allora ne è passato di tempo.
Riguardo al perché il problema non viene affrontato con l’energia che richiederebbe, la risposta è semplice, nota e stranota, solo che non è stata trovata una soluzione.
Ovvero, si sa che le decisioni politiche vengono prese solo in funzione del presente o dell’immediato futuro, non c’è premio elettorale per chi prende provvedimenti i cui benefici saranno goduti fra qualche anno. Tutto qua.
Inoltre, il potere è concentrato in una classe di individui (anche noi possiamo entrarne a fare parte in particolari circostanze) che ha per unico scopo riprodursi, cercare di essere ancora spendibile sul piano delle competenze da qui al prossimo futuro.
È un gigantesco circo darwiniano in cui ogni potere economico esercita la sua azione di lobbying senza alcun freno e alcun contrappeso possibile da parte della società civile, tranne qualora entri in contrasto con altri poteri.
Alcuni sistemi sono ormai fuori controllo (ad esempio la finanza) ma assolutamente irriformabili, come abbiamo appreso nel periodo post 2008.
Il discorso del cambiamento climatico e dei provvedimenti necessari per farvi fronte non è ancora un argomento che ha una sua autonomia e precisa delimitazione.
È ancora qualcos’altro, cioè fa parte di altri discorsi, ad esempio politici: chi lo prende sul serio viene accusato di utilizzarlo come cavallo di Troia per le sue idee anticapitaliste.
Io trovo comunque sbagliato spostare l’onere della questione e i cambiamenti da mettere in atto sul singolo individuo.
Il singolo non può fare nulla, è inserito in un sistema nel quale ogni azione produce un effetto ineludibile.
Il problema è e resta politico e si scontra con il dato di base di partenza, anche se l’adattamento al cambiamento (se è possibile, perché manco è detto che lo sia; un povero, ad esempio, non può adattarsi, è destinato a soccombere) viene a costare 10 volte tanto che prevenirlo, ai decisori non conviene fare una scelta di questo genere.
Non c’è modo di tenere conto degli effetti futuri di qualunque cosa in un sistema politico che ormai da vent’anni naviga a vista. Non c’è modo perché questo sistema è stato voluto così e si pensa che deve essere così. L’unico motore del sistema sono le decisioni degli agenti economici. Punto.
“Il singolo non può fare nulla, è inserito in un sistema nel quale ogni azione produce un effetto ineludibile.”
Sono del tutto in (cortese) disaccordo, con lei Armando.
Il singolo ha un enorme potere. E questo proprio perchè siamo inseriti in un sistema dove la mia azione (certo insieme a quella di tanti altri singoli come me) può determinare il corso di eventi più grandi, come l’andamento di un certo tipo di consumi, il fallimento o la prosperità di un’azienda.
Questo, per inciso, quelli del marketing lo hanno capito benissimo. Pensi all’ideologia della decrescita (felice o infelice che sia). Un sistema che ha la sue basi nel consumismo sfrenato teme questa parola più della peste: anche solo accennarvi provoca la stessa reazione della Kiptonite su Superman.
Troverà molte persone oggi disposte ad accettare la realtà e la gravità del cambiamento climatico; perfino tra queste però solo pochissime o più probabilmente nessuna ammetterà che il loro stile di vita è insostenibile e che solo un dimagrimento può tirarci fuori dai guai peggiori.
Il sistema è terrorizzato che il cittadino (pardon: consumatore) possa capire questa banalità, che possa accorgersi che la sua soddisfazione non dipende da quel vestito nuovo, o quell’auto più potente.
Faranno di tutto per impedirci di capirlo, lo stanno facendo da sempre, è il loro lavoro.
È un discorso complicato. Il punto è che se la questione fosse posta alla popolazione nei termini di un referendum, coloro che sono favorevoli affinché si faccia tutto il necessario per scongiurare un eccessivo incremento delle temperature secondo me (ma non sono affatto certo) vincerebbero. Ora, non solo non esistono meccanismi del genere nelle moderne democrazie, ma l’altra via, quella che potremmo definire lobbying dal basso, mi sembra che abbia mostrato chiari limiti, e nel caso specifico non vedo come si possa arrestare il riscaldamento facendo leva sulle singole aziende. Voglio dire, dal punto di vista elettorale si potrebbe vincere, dovendo fare tutto da soli e contando sulla militanza, non si può ottenere granché. Ma, ripeto, è un discorso molto complesso. Può darsi, mi auguro, che i termini della questione cambino in futuro.
“Il singolo non può fare nulla, è inserito in un sistema nel quale ogni azione produce un effetto ineludibile”
Questa volta temo di essere anch’io d’accordo con Armando. Io per esempio sono convinto che sarei in grado di fare alcuni, forse molti passi indietro, se questo potesse servire per fare qualcosa di concreto per l’ambiente, ma sono altrettanto sicuro che moltissimi altri, troppi, invece, per ignoranza, per pigrizia, per incoscienza, per vizio, per ideologia, non sarebbero disposti.
Quindi, tanto vale, è qui, purtroppo, la triste ragione di Armando…
Forse la risposta sta nel singolo organizzato con altri singoli che fanno opinione e muovono consensi così ricercati dai politici che all’inizio strumentalmente poi forse razionalmente possono muovere decisioni. Il sistema capitalista, non abdicherà facilmente come la finanza irriformabile insegna, ma sarà costretto a fare i conti con un sistema che, anche dal punto di vista economico, non reggerà ai danni dei disastri naturali. Volenti o nolenti qualcosa dovrà cambiare, l’unico rischio e che cambi solo per i poveracci. Qui il compito di una politica che si dice di sinistra.
Scusate se interrompo il seminario filosofico ;-), ma ci sono un paio di breaking news di interesse climatico.
Confermato il legame incendi-CC
https://www.newscientist.com/article/2229902-analysis-confirms-that-climate-change-is-making-wildfires-worse/
Gli incendi australiani hanno spinto, come un vulcano, tanta cenere nella stratosfera, che potrebbe verificarsi un breve e ridotto calo globale delle temperature
https://www.newscientist.com/article/2230017-australias-fire-driven-storms-are-pumping-smoke-into-the-stratosphere/
Riguardo all’azione politica di cui discutevate, qualche mese fa ho letto una ricerca, che ora non ritrovo, dove psicologi mostravano come in casi come quelli del CC allo stato attuale, di problemi cioè che richiedano un “sacrificio” immediato per evitare un maggiore problema futuro non ben delineato, non ci si possano aspettare azioni volontarie da parte del pubblico, per quanto si cerchi di convincerlo, almeno su una scala sufficientemente ampia a contenere il problema, e neanche una sua vera mobilitazione di massa. Servono quindi coraggio da parte della politica per indirizzare con nuove norme economia e comportamenti individuali, sapendo che si deve assumere l’onere dell’impopolarità e dello scontro con le lobby contrarie.
I casi francese, iraniano e dell’Ecuador (enormi rivolte innescate da aumenti del prezzo dei carburanti), finiti tutti con il ritiro delle norme contestate, promette male…
Complimenti Carlo! Vorrei brevemente menzionare che lo scrittore indiano Amitav Ghosh ha pubblicato un saggio (“La grande cecità”) dove affronta il quesito del perché il cambiamento climatico non è (ancora?) entrato, se non in modo del tutto marginale, nella narrativa contemporanea. Non c’è spazio per discuterne qui, e Ghosh esamina la questione in modo approfondito, partendo già dagli esordi della forma – romanzo ottocentesca. Ma vorrei citare solo un aspetto; Ghosh identifica nella dimensione collettiva del problema un ostacolo alla presenza della questione climatica nella trama narrativa del romanzo, cosa che invece nel cinema risulta più naturale, se allarghiamo lo sguardo al genere fantastico – fantascientifico. Uno degli aspetti controversi, però, è che il cambiamento climatico non è – purtroppo – fantascienza.