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Quando gli uragani devastanti non fanno notizia

Quando gli uragani toccano terra – in gergo tecnico si dice che fanno landfall – negli Stati Uniti assistiamo spesso a dirette TV con meteorologi e cacciatori di tempeste che ne fanno la cronaca dal vivo e a titoli in evidenza nei grandi quotidiani.

Non è così invece quando l’impatto riguarda paesi in via di sviluppo, ma anche quando l’uragano non colpisce direttamente un paese, ma ne agisce con la sua cosiddetta influenza indiretta (con piogge e vento indotte in zone lontane dalla traiettoria dell’occhio del ciclone).

È il caso dell’Uragano Eta, che si è formato il 31 ottobre e dissipato solo il 14 novembre, risultando l’uragano a vita più lunga nel mese di novembre; l’ultimo precedente simile in questo mese fu l’uragano della Giamaica del 1912.

Eta vanta una lunga serie di anomalie: è stata la 28° tempesta tropicale denominata nel 2020, superando il record della stagione 2005, e la prima ad aver usato la 7° lettera dell’alfabeto greco, utilizzato in quanto sono finiti i nomi preventivamente stilati per le tempeste nell’Atlantico. È stato inoltre il 12° uragano nell’anno ad aver colpito gli Stati Uniti, ed è il ciclone tropicale più forte della stagione degli uragani atlantici 2020; solo sette stagioni, dal 1851 a oggi, hanno registrato la tempesta più forte a novembre o a dicembre.

In questa sua lunga durata, Eta ha coinvolto 12 paesi. I danni e vittime maggiori si sono verificati in Nicaragua e Honduras, colpiti direttamente dall’uragano quando ha toccato terra con forza classificabile nella categoria 4-5; in realtà i danni non hanno riguardato soltanto i paesi che si sono trovati lungo la sua traiettoria, transitata su mari molto caldi, con SST anche oltre i 30°C (la soglia per la formazione degli uragani è tipicamente di 26.5°C).

L’impatto indiretto degli uragani: l’esempio della Costa Rica

Un uragano è in grado di influenzare la circolazione dell’atmosfera nei tropici in vaste zone, anche distanti dal suo occhio e dalla sua traiettoria. In Costa Rica, per esempio, come si vede dalla figura e in questo video, Eta ha richiamato masse d’aria molto calde e umide dall’oceano Pacifico, che hanno impattato sull’orografia delle coste, in particolare quella delle Penisole di Nicoya e di Osa.

L’Istituto Meteorologico Nazionale nella sua mappa delle precipitazioni ha evidenziato picchi di 531 mm nella Penisola di Nicoya e di 535 mm a ridosso del Golfo Dulce.

Nel paese c’è un buon sistema di allerta ed è stato dichiarato lo stato di emergenza, con allerta rossa emanata il 5 novembre dalla CNE (Comision Nacional de Emergencia, la Protezione Civile di Costa Rica) a causa della saturazione dei suoli, e della continuità delle piogge in 5 cantoni: Nicoya, Nandayure, Hojancha de Guanacaste, Corredores e Coto Brus della costa del Pacifico meridionale. Nonostante ciò, i danni sono stati ingenti: nel paese sono state colpite 325.000 persone in 20 comunità, con problemi di approvvigionamento di acqua e 79 blocchi stradali per frane e inondazioni.

Dramma in Nicaragua, Honduras, Guatemala, Chiapas e Tabasco (Messico)

In questi paesi, alla catastrofe meteoclimatica e agli effetti della pandemia si sommano i problemi economici e socio-politici; sono paesi dove spesso manca una capillare informazione meteorologica e le allerte, anche se esistenti, faticano ad arrivare alle comunità locali. È il caso del Nicaragua, dove esponenti di organizzazioni ambientaliste riportano che il governo non è preparato ad affrontare i disastri e che le comunità rurali e le popolazioni indigene e afro-discendenti sono le più vulnerabili. Secondo alcune fonti, gli sforzi di solidarietà vengono boicottati dal regime e non c’è comunicazione per conoscere la reale situazione delle comunità (diagnosi di danni e bisogni).

Le comunità locali richiedono poi un’azione globale e di unire gli sforzi perché i costi dell’assistenza sono molto alti.

In Messico, Tabasco e  Chiapas sono stati colpito duramente dagli effetti indiretti di Eta. Secondo notizie informali dalla zona di Palenque, oltre 50.000 persone sono state colpite dagli effetti indiretti del passaggio di Eta, con case inondate, e si trovano senza soccorsi e senza farmaci. Si fa appello da quelle zone dimenticate al mondo occidentale per inviare, nelle forme possibili, aiuti. L’unica notizia che si trova nei media italiani riguarda i soccorsi, toccanti, a un cane, ma i media del Messico parlano di una situazione grave anche per la popolazione con stato di emergenza in 19 municipalità, con un’unica notizia di aiuti internazionali, lo stanziamento di 60000 euro da parte della Francia.

In Guatemala, le comunità indigene denunciano l’abbandono e la mancanza di interesse delle autorità nei loro confronti, ma si sono anche attivate dal basso in forme di auto aiuto.

Scarsi invece i danni a Cuba, dove Eta è transitato parzialmente indebolito, pur se comunque ancora intenso. Cuba è però nota per la sua organizzazione capillare di difesa e prevenzione degli uragani, riconosciuta anche dal United Nations Office for Disaster Risk Reduction.

E ora arriva Iota

La stagione degli uragani 2020 passerà alla storia, Theta è stato il 29° ciclone a cui è stato dato un nome, e si è formato in posizione anomala, nell’Atlantico orientale, fra le Canarie e l’isola di Madeira, sfiorata dalla tempesta che però non ha toccato terra in Europa continentale, ed ora è previsto dissiparsi.

Ora però, un nuovo uragano si è formato proprio nelle stesse zone di Eta: da un disturbo tropicale si è dapprima formata la 30° tempesta del 2020, che è stata chiamata Iota, la quale pare seguire, secondo le previsioni del Centro degli uragani di Miami, la stessa traiettoria di Eta. Diventato uragano di categoria 1 il 15 novembre, nelle prime ore del 16 novembre si è rafforzato fino ad arrivare alla categoria 4, diventando quindi un “major hurricane”, ovvero un uragano di cat.3 o superiore, in quanto il mare, nonostante il passaggio di Eta (notoriamente un uragano, provocando il rimescolamento tra le acque superficiali e quelle più profonde, comporta una diminuzione delle SST), è ancora molto caldo. Iota dovrebbe toccare terra martedì 17 novembre, sostanzialmente nelle stesse zone, al confine fra Nicaragua e Honduras, producendo probabili effetti indiretti in molti paesi dell’America centrale. Successivamente la traiettoria che dovrebbe poi proseguire attraversando l’America centrale, interessando direttamente El Salvador e Guatemala, per poi portarsi sull’oceano Pacifico, come fece l’uragano Otto nel novembre 2016.

Insomma il 2020 passerà comunque alla storia in quanto sull’Atlantico non ci sono mai state tante tempeste tropicali a cui è stato dato un nome come quest’anno. È infatti stato battuto il precedente record del 2005, quando i nomi si erano fermati a Zeta. E anche se, al momento (manca ancora un mese e mezzo alla fine dell’anno), non sono ancora stati registrati uragani di categoria 5, quelli che si sono verificati hanno purtroppo prodotto comunque molti danni e molte vittime. Questo soprattutto in quei paesi dell’America Centrale nei quali il livello socio-economico è basso, dove talora sono in corso rivolte sociali o guerre civili, e le cui notizie non arrivano sui media mainstream o sui social perché considerati di scarso interesse da parte degli esponenti della cosiddetta civiltà occidentale.

Testo di Luca Lombroso con contributi di Gianluca Lentini, Stefano Caserini, Claudio Cassardo

6 responses so far

6 Responses to “Quando gli uragani devastanti non fanno notizia”

  1. ALESSANDRO SARAGOSAon Nov 17th 2020 at 09:11

    “non sono ancora stati registrati uragani di categoria 5,”

    Aggiornamento: “Iota” ha brevemente toccato la categoria 5, con venti sostenuti di 260 km/h, quindi il 2020 è il quinto anno di fila, dal 2016 in poi, in cui si verificano uragani atlantici della massima potenza.
    Anche questo è un record (il precedente, se non ricordo male, era di tre anni di fila) essendo questi supercicloni, ai tempi pre-cambiamento climatico, piuttosto rari.

  2. Valentino Pianaon Nov 17th 2020 at 09:33

    Ed è ora provato scientificamente che i cambiamenti climatici allungano i tempi con cui gli uragani percorrono la terra dopo essere arrivati dal mare, raggiungendo luoghi più interni e portando maggiore distruzione:

    Lin Li, Pinaki Chakraborty. Slower decay of landfalling hurricanes in a warming world. Nature, 11th Nov 2020; 587 (7833): 230 DOI: 10.1038/s41586-020-2867-7

    https://www.oist.jp/news-center/press-releases/climate-change-causes-landfalling-hurricanes-stay-stronger-longer

  3. Claudio Cassardoon Nov 17th 2020 at 09:56

    Riguardo all’uragano Iota, diversi sono i record da lui aggiornati:
    – è’ il primo uragano di Categoria 5 nell’anno solare 2020
    – dal 1851 non è mai successo che il primo uragano di Categoria 5 della stagione arrivasse solo a novembre inoltrato;
    – dal 1851 è la prima volta che si registrano due uragani di Categoria 3 o superiore (Eta e Iota, in questo frangente) nel mese di novembre;
    – dal 1851 è l’uragano di Categoria 5 più tardivo (record precedente attribuito a Camaguey, 5-8 novembre 1932).
    E siamo “solo” al 16 novembre. Nel senso che si sono ancora 45 giorni disponibili per abbattere ulteriori record.

  4. Eugenioon Nov 17th 2020 at 15:26

    Ciao tutto questo e stato gia previsto ancora non e finita qua

  5. […] del 2020, ha raggiunto la categoria 5 ed è arrivato in Nicaragua e Honduras.  La seconda è un post di Climalteranti.it che rompe la distrazione di quest’anno: con il Covid in primo piano i fenomeni […]

  6. […] trovano spazio nei media, Climalteranti fa eccezione con un post di Luca Lombroso intitolato “Quando gli uragani devastanti non fanno notizia“. E i tifoni […]

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