Notizie e approfondimenti sul clima che cambiaPosts RSS Comments RSS

LA CIRCOLAZIONE ATLANTICA STA RAGGIUNGENDO UN PUNTO DI NON RITORNO?

Pubblichiamo la traduzione dell’articolo “Is the Atlantic Overturning Circulation Approaching a Tipping Point?” scritto dall’oceanografo e climatologo Stefan Rahmstorf sulla rivista Oceanography, un magistrale riassunto di come si è arrivati alla chiara comprensione dell’esistenza di un gravissimo rischio legato al superamento del punto di non ritorno che potrebbe portale al collasso della circolazione termoalina.

 

 

Riassunto

La grande corrente marina AMOC (Atlantic Meridional Overturning Circulation, in italiano capovolgimento meridionale della circolazione atlantica, ndt) ha un impatto importante sul clima, non solo nell’Atlantico settentrionale ma anche a livello globale. I dati paleoclimatici mostrano che in passato la corrente è stata instabile, portando alcuni tra i cambiamenti climatici più eclatanti e improvvisi oggi conosciuti. Queste instabilità dell’Amoc sono dovute a due diversi tipi di punti di non ritorno, uno legato a un meccanismo di feedback positivo associato al trasporto a grande scala di sale, e l’altro alla convezione profonda e al relativo rimescolamento delle masse d’acqua. Questi punti di non ritorno presentano un grave rischio di cambiamento repentino della circolazione oceanica e del clima, proprio mentre stiamo spingendo il nostro pianeta sempre più fuori dal clima stabile dell’Olocene, verso acque inesplorate.

 

Introduzione

Nel 1751 il capitano di una nave negriera inglese fece una scoperta storica. Durante la navigazione alla latitudine di 25° Nord nell’Oceano Atlantico settentrionale subtropicale, il capitano Henry Ellis calò un «misuratore marino a secchiello», ideato e fornitogli dal reverendo britannico Stephen Hales, oltre le calde acque superficiali in profondità. Per mezzo di una lunga fune e di un sistema di valvole si poteva portare sul ponte l’acqua da varie profondità e leggerne la temperatura tramite un termometro incorporato. Con sua sorpresa, il capitano Ellis scoprì che le acque profonde erano gelide.

Riferì le proprie osservazioni in una lettera al reverendo Hales: «Il freddo aumentava regolarmente, in proporzione alla profondità, fino a 3900 piedi, dove il mercurio del termometro arrivava a 53 gradi [Fahrenheit]; e anche se in seguito l’ho calato alla profondità di 5346 piedi, cioè un miglio e 66 piedi, non è più risalito.»

Queste furono le prime misurazioni della temperatura mai registrate nell’oceano profondo. Rivelarono quella che oggi è nota come una caratteristica fisica fondamentale e sorprendente dell’oceano globale: l’acqua profonda è sempre fredda. Le acque calde dei Tropici e delle zone subtropicali sono confinate in un sottile strato in superficie; il calore del Sole non ha scaldato le profondità nel corso di secoli o millenni, come ci si potrebbe aspettare.

La lettera di Ellis a Hales suggerisce che il capitano non avesse la minima idea del significato e della vasta portata della scoperta. Scrisse: «Questo esperimento, che all’inizio sembrava solo dover soddisfare la nostra curiosità, nel frattempo ci diventò molto utile. Con questo mezzo ci procuravamo un bagno freddo e raffreddavamo i nostri vini o l’acqua a nostro piacimento; il che è estremamente gradevole in questo clima rovente» (Ellis, 1751).

In effetti, Ellis era incappato nella prima indicazione dell’esistenza di un sistema di “ribaltamento” della circolazione oceanica, il sistema di correnti profonde che determina la circolazione nelle profondità oceaniche intorno al pianeta di acque fredde di origine polare.

Ma fu solo diversi decenni dopo, nel 1797, che un altro inglese, il conte Rumford, pubblicò una spiegazione corretta della scoperta “utile” fatta da Ellis: «Sembra estremamente difficile, se non del tutto impossibile, spiegare questo livello di freddo in fondo al mare nella zona torrida in superficie, con qualunque supposizione che non sia quella di correnti fredde provenienti dai poli; l’utilità di queste correnti nel mitigare il caldo eccessivo di questi climi è troppo evidente per richiedere qualsiasi illustrazione» (Thompson, 1797).

Ora, oltre 200 anni dopo, abbiamo raggiunto una ragionevole conoscenza del complesso sistema di circolazione oceanica profonda e del ruolo, così evidente per Rumford, che ha sul clima globale. Tuttavia rimangono alcuni grandi enigmi che potrebbero essere di fondamentale importanza per il nostro futuro.

 

Cinquanta volte il consumo umano di energia

In questo articolo mi occupo del ramo atlantico della circolazione globale delle correnti marine, un attore importante nei cambiamenti climatici passati e molto probabilmente futuri. Si chiama AMOC). Il suo flusso di acque calde superficiali verso nord e il flusso profondo e freddo di ritorno rendono l’Atlantico meridionale peculiare: trasporta calore dalle alte latitudini dell’emisfero australe verso l’Equatore, dal freddo al caldo (Figura 1). Tutti gli altri bacini oceanici si comportano “normalmente”, spostando il calore in eccesso dai Tropici soleggiati.

FIGURA 1. Il grafico mostra uno schema altamente semplificato del capovolgimento meridionale della circolazione atlantica (AMOC) sovrapposto all’andamento della temperatura della superficie marina atlantica dal 1993, fornito dal Copernicus Climate Change Service. Credito immagine: Ruijian Gou. > Figura ad alta risoluzione

 

Nel Nord Atlantico, la circolazione marina trasporta calore al tasso di 1 petawatt (1015 Watt; Trenberth et al., 2019), circa 50 volte il consumo di energia di tutta l’umanità, o 3 volte e mezzo il tasso di assorbimento di calore dell’oceano globale negli ultimi decenni a causa del riscaldamento globale antropico (Z. Li et al., 2023). La corrente fornisce calore fino alla regione a sud della Groenlandia e dell’Islanda, e in parte anche più a nord, oltre l’Islanda, nei mari nordici. Là cede generosamente il suo calore ai venti freddi sovrastanti finché l’acqua è così fredda e densa da sprofondare nell’abisso, fino a una profondità compresa tra 2000 e 3000 m. Successivamente «scorre come un grande fiume, lungo l’intera lunghezza dell’Atlantico» (Broecker, 1987). Il calore rilasciato nell’atmosfera dalla corrente rende la regione nord-atlantica ben più calda rispetto a quanto vorrebbe la sua latitudine, in particolare nelle zone sottovento rispetto all’oceano (Figura 2). È questa anche la ragione principale per cui l’emisfero settentrionale è in media circa 1,4°C più caldo dell’emisfero meridionale, e per cui l’equatore termico, la latitudine dove la Terra è più calda, si trova a circa 10° a nord dell’Equatore geografico (Feulner et al., 2013).

FIGURA 2. “Il sistema climatico della Terra attualmente funziona in modo vantaggioso per il nord Europa”, scrisse il compianto Wally Broecker (Broecker, 1987). Questa mappa mostra come sarebbe il mondo senza l’AMOC. Quasi tutto l’emisfero settentrionale sarebbe più freddo, in particolare Islanda, Scandinavia e Gran Bretagna. Figura di R. van Westen, adattata da van Westen et al. (2024). > Figura ad alta risoluzione

 

La temperatura non è l’unico ingrediente chiave dell’AMOC: il secondo fattore è la salinità: più l’acqua è salata, più è densa. La salinità è quindi un fattore importante per l’inabbissamento sopra descritto. Pertanto, questa circolazione capovolta è chiamata anche circolazione termoalina, ovvero una circolazione guidata dalle differenze di temperatura e di salinità, in contrasto con la circolazione guidata dal vento e dalle correnti mareali. Mentre la temperatura ha un’influenza stabilizzante sull’AMOC, la salinità ha il potere di destabilizzarla.

 

Una storia di due instabilità

Nel 1961, l’oceanografo statunitense Henry Stommel (Stommel, 1961) scoprì come la salinità delle acque atlantiche porti a un punto di biforcazione dell’AMOC, un fenomeno che ha fatto notizia ancora una volta sia l’anno scorso che quest’anno. L’acqua affonda nell’Atlantico settentrionale perché è abbastanza salata (a differenza di quanto succede nel Pacifico settentrionale; Warren, 1983). L’acqua è salata perché l’AMOC porta l’acqua salata dalle zone subtropicali, una regione di evaporazione netta, alle latitudini più elevate, caratterizzate da precipitazione netta. In altre parole, l’AMOC scorre perché l’Atlantico settentrionale è salato, ed è salato perché l’AMOC scorre. L’uovo e la gallina, o in termini più tecnici, un effetto di feedback auto-rinforzante.

Questo funziona anche nell’altro senso: se l’Atlantico settentrionale diventa meno salato a causa di un afflusso di acqua dolce (da pioggia o da fusione dei ghiacciai), l’acqua diventa meno densa e l’AMOC rallenta. Così porta meno sale nella regione, il che rallenta ulteriormente l’AMOC. Questo processo è chiamato il feedback del trasporto del sale. Al di là di una soglia critica, diventa un circolo vizioso auto-rinforzante, e l’AMOC si ferma. Questa soglia è il punto di biforcazione dell’AMOC (chiamato “Stommel bifurcation” nella Figura 3). Come scrisse Stommel nel 1961: «Il sistema è intrinsecamente ricco di possibilità per speculare sul cambiamento climatico».

Il modello di Stommel consisteva solo in un serbatoio per le alte latitudini e in un serbatoio subtropicale collegati da un flusso di ribaltamento proporzionale alla differenza di densità tra loro. Il modello prevedeva questo flusso e la temperatura, la salinità e la densità in entrambe le scatole. La Figura 3 mostra la tendenza all’equilibrio dell’AMOC calcolata dal modello di Stommel e il punto di biforcazione che ne risulta.

FIGURA 3. (a) Diagramma di stabilità dell’AMOC nel modello a scatole di Stommel, che dipende dalla quantità di acqua dolce che entra nell’Atlantico settentrionale. Le curve verdi continue mostrano stati di equilibrio stabili, quella verde punteggiata uno stato instabile. La curva blu mostra un percorso che abbandona le curve di equilibrio durante rapidi cambiamenti climatici. Da Rahmstorf (2002). (b) Qui, la curva arancione traccia gli equilibri dell’AMOC in un modello globale di circolazione oceanica tridimensionale. La curva nera è lo stesso esperimento di tracciamento fatto con il modello a scatola. Le curve superiori arancioni e nere sono tracciate da sinistra a destra partendo dalla condizione AMOC “on”, in basso da destra a sinistra partendo da AMOC “off”. Da Rahmstorf (1996). > Figura ad alta risoluzione

 

Per i modelli a scatola (ndt: i “box-model” in climatologia sono versioni semplificate di sistemi complessi, riducendoli a scatole – o serbatoi – collegate da flussi) come quello di Stommel, le curve di equilibrio possono essere calcolate analiticamente: la soluzione per la curva verde è semplicemente una parabola. Per tracciare gli stati di equilibrio di un modello complesso, l’acqua dolce viene aggiunta all’Atlantico settentrionale a un ritmo molto lento (ad esempio, in aumento di 0,1 Sv in 2.000 anni; 1 Sv = 106 m3 s–1) per rimanere vicino all’equilibrio e vedere dove i feedback interni iniziano a dominare l’indebolimento, che avviene oltre il punto di svolta. Un team di ricerca olandese a Utrecht ha sviluppato metodi per calcolare direttamente gli stati di equilibrio nei modelli oceanici tridimensionali (Dijkstra et al., 1995), ma non funzionano nei complessi modelli accoppiati atmosfera-oceano; quindi va usato l’approccio di rintracciare gli stati di equilibrio aggiungendo lentamente acqua dolce.

Nel regime monostabile (a sinistra del forcing zero dell’acqua in Figura 3), un arresto dell’AMOC può ancora essere determinato da una grande aggiunta temporanea di acqua dolce, ma l’AMOC si riprenderà una volta interrotta la perturbazione. Nel regime bistabile, il sistema può essere permanentemente in uno dei due stati stabili, con AMOC “on” o “off”, a seconda delle condizioni iniziali. Quindi, il flusso dell’AMOC interrotto da una perturbazione temporanea non si riprenderà, ma rimarrà stabilmente nello stato di “off”. Esperimenti con una tale aggiunta temporanea di acqua dolce mostrano che molti, se non la maggior parte, dei modelli climatici sono in regime monostabile e quindi relativamente lontano dal punto di biforcazione. Questo non implica che non prevedano questo punto o che non abbiano un regime bistabile; dimostra solo che non ci arrivano per il loro clima attuale (probabilmente erroneamente, vedi sotto la sezione «Ci si può fidare dei modelli climatici?»).

Il cambiamento climatico può allontanare l’AMOC dalla curva di equilibrio, seguendo all’incirca il percorso blu nella Figura 3a, perché il riscaldamento globale moderno procede troppo velocemente affinché l’oceano si adegui completamente. Dopo aver attraversato la curva tratteggiata, l’AMOC sarà attratta verso lo stato “off” anche senza ulteriori pressioni. Si noti che l’AMOC è molto più vulnerabile a una forzatura più rapida (Stocker e Schmittner, 1997). Ciò significa che gli esperimenti di tracciamento dell’equilibrio molto lenti, mostrati nella Figura 3b, sottostimano quanto sia vicino il punto di non ritorno dell’AMOC in una situazione di rapido cambiamento climatico, come oggi.

Che questo punto di non ritorno e il regime bistabile siano reali, e non un artefatto del modello semplice di Stommel, è stato confermato in numerosi modelli climatici dopo quello pubblicato da Stommel nel 1961, compresi sofisticati modelli tridimensionali di circolazione oceanica, modelli del sistema Terra a complessità intermedia e modelli climatici completamente accoppiati, ad esempio i Community Earth System Model (CESM) (van Westen et al., 2024). Un primo confronto fra i modelli ha trovato il regime bistabile in tutti gli 11 modelli partecipanti (Rahmstorf et al., 2005), e non sono a conoscenza di alcun modello che sia stato testato e non abbia avuto questa proprietà. Mentre questo tipo di esperimento non può essere eseguito con modelli che simulano esplicitamente i vortici di mesoscala dell’oceano, non mi aspetto che questo faccia una grande differenza, dato che il meccanismo di retroazione dell’avvezione del sale funziona su scala molto grande.

Un secondo tipo di punto di biforcazione può anche influenzare l’AMOC. Una parte importante del processo di affondamento nell’Atlantico settentrionale (chiamata “formazione dell’acqua profonda”) è il rimescolamento verticale profondo (convezione) quando la colonna d’acqua diventa verticalmente instabile, a causa dell’acqua più densa che si trova sopra l’acqua meno densa. L’oceanografo svedese Pierre Welander ha dimostrato nel 1982 che anche la convezione potrebbe essere spenta come un interruttore, ancora una volta a causa dell’effetto destabilizzante della salinità (Welander, 1982). Nelle regioni ad alta latitudine, l’oceano riceve in genere acqua dolce dalla pioggia sulla superficie, quindi una volta che la convezione si ferma abbastanza a lungo, l’acqua dolce può accumularsi e formare uno strato superficiale a bassa densità. Ciò rende sempre più difficile riavviare la convezione e, a un certo punto, viene spenta in modo permanente. In lavori successivi, abbiamo mostrato come questo funziona anche se la convezione è intermittente in presenza di variabilità meteorologica casuale (Kuhlbrodt et al., 2001; Rahmstorf, 2001).

Ci sono due principali regioni di convezione all’interno dell’AMOC attuale: una nella regione del vortice subpolare dell’Atlantico settentrionale (che comprende il Mare del Labrador e di Irminger) e un altro ancora più a nord nel mare del Nord. In molti modelli sperimentali, la convezione del Mare del Labrador è incline all’interruzione (Weijer et al., 2019), rallentando non solo l’AMOC ma anche il vortice subpolare, un enorme flusso rotante in senso antiorario a sud della Groenlandia e dell’Islanda (Figura 4). Una volta che la convezione (che normalmente estrae il calore dalla colonna d’acqua mescolando acqua più calda fino alla superficie, dove il calore viene disperso nell’atmosfera) è stata limitata in questo modo, meno calore si disperde attraverso la superficie del mare e meno l’intera colonna d’acqua diventa densa. Questo rallenta l’AMOC, che dopo tutto è guidato dalle acque fredde e ad alta densità che spingono a sud dalle alte latitudini. Pertanto, un’interruzione della convezione può contribuire a innescare un’interruzione dell’AMOC. E poiché la convezione è un processo su piccola scala, non viene catturato bene nella maggior parte dei modelli attuali (Jackson et al., 2023), aggiungendo una componente di incertezza sul futuro.

FIGURA  4. I flussi di superficie attuali (curve continue) e i flussi profondi (curve tratteggiate) sono mostrati per l’Atlantico settentrionale e i mari nordici. Figura modificata da R. Curry e C. Mauritzen – Woods Hole Oceanografico Institution. > Figura ad alta risoluzione

 

Cambiamenti drastici della AMOC nel passato

Basandoci su questa comprensione dei meccanismi di instabilità dell’AMOC, possiamo esaminare alcuni cambiamenti climatici drastici avvenuti nel passato recente — “recente” dal punto di vista del paleoclima, ovvero negli ultimi 100.000 anni.

Nel 1987, Wally Broecker pubblicò un articolo sulla rivista Nature, divenuto poi celebre, intitolato «Spiacevoli sorprese nella serra?», in cui esaminava i dati ottenuti da carotaggi di sedimenti marini e di ghiacci della Groenlandia, notando come questi dati rivelassero che «il clima cambiava frequentemente e a grandi balzi» piuttosto che in modo uniforme e graduale. Dato il carattere regionale di questi cambiamenti, Broecker identificò l’AMOC (detto all’epoca “nastro trasportatore atlantico”) come il principale responsabile. Inoltre, avvertì che con il rilascio di gas serra in atmosfera «giochiamo alla roulette russa con il clima [e] nessuno sa cosa ci riserva il colpo in canna».

Nei decenni successivi, abbiamo imparato a distinguere due tipi di eventi climatici improvvisi che si sono verificati ripetutamente durante l’ultima era glaciale, concentrati intorno all’Atlantico settentrionale ma con ripercussioni globali (Rahmstorf, 2002).

Il primo tipo è rappresentato dagli eventi di Dansgaard-Oeschger (D-O), così chiamati in onore del paleoclimatologo danese Willy Dansgaard e del suo collega svizzero Hans Oeschger. Più di 20 eventi rilevati nelle carote di ghiaccio della Groenlandia (Dansgaard et al., 1982) mostrano in modo chiaro la presenza di improvvisi picchi di riscaldamento di 10°–15°C avvenuti nell’arco di un decennio o due. Questi eventi possono essere spiegati come improvvisi episodi di convezione oceanica nei mari nordici, in un’epoca (l’era glaciale) in cui la convezione avveniva principalmente a sud dell’Islanda (Figura 5). Questo tipo di configurazione della circolazione oceanica, con acque calde che si spingono molto a nord, sembrava non essere stabile durante l’era glaciale: la circolazione gradualmente si indeboliva, finché dopo alcune centinaia di anni, la convezione e l’evento caldo terminavano di nuovo. Questo è un esempio dei cambi repentini, discussi in precedenza, caratterizzati dall’alternarsi di fasi attive e inattive della convezione profonda nei mari nordici.


FIGURA 5. L’AMOC durante l’ultima era glaciale. (a) Lo stato freddo prevalente (stadiale). (b) Lo stato caldo (interstadiale) durante gli eventi Dansgaard-Oeschger (D-O), con le variazioni di temperatura simulate da Ganopolski e Rahmstorf (2002). La bassa risoluzione del modello utilizzato per le simulazioni determina una sottostima del riscaldamento durante gli eventi D-O. > Figura ad alta risoluzione 

 

Il secondo tipo di evento è rappresentato dagli eventi di Heinrich, così denominati in onore dello scienziato tedesco Hartmut Heinrich (Heinrich, 1988). Riguardano il periodico slittamento in mare di enormi masse di ghiaccio distaccatisi dal ghiacciaio Laurentide, spesso migliaia di metri, che in quel periodo ricopriva l’America settentrionale. Queste flotte di iceberg alla deriva attraverso l’Atlantico hanno lasciato dietro di sé strati rivelatori di detriti sul fondale oceanico, portando in superficie acqua dolce derivante dalla fusione del ghiaccio. Questo ha determinato cambiamenti climatici ancora più drastici, legati a un collasso totale dell’AMOC. L’ingente quantità di ghiaccio riversatasi nell’oceano ha causato un innalzamento del livello del mare di diversi metri (Hemming, 2004). La prova che l’ingresso di acqua dolce nell’Atlantico settentrionale abbia interrotto l’AMOC si riscontra nel riscaldamento dell’Antartide e nel contemporaneo raffreddamento dell’emisfero settentrionale (Blunier et al., 1998), indicando che in sostanza il significativo trasporto di calore inter-emisferico determinato dall’AMOC era cessato.

Sia gli eventi Dansgaard-Oeschger che gli eventi Heinrich, sebbene più forti intorno all’Atlantico settentrionale, ebbero ripercussioni climatiche globali anche lontano dall’Atlantico: influenzarono le fasce di pioggia tropicali che risultano dal movimento ascendente dell’aria calda sopra l’equatore termico. Durante gli eventi caldi di Dansgaard-Oeschger, queste fasce di pioggia si spostavano a nord, portando a condizioni calde e umide nei tropici settentrionali fino all’Asia. Ma durante gli eventi di Heinrich, le fasce di pioggia si spostavano a sud, portando a gravi siccità nella regione del monsone afro-asiatico (Stager, 2011). Simili spostamenti delle fasce di pioggia tropicali potrebbero essere in serbo per noi in futuro?

 

Il “blob freddo” : un segno inquietante di un’AMOC che rallenta?

Vediamo come l’AMOC sta rispondendo al riscaldamento globale in corso, un fenomeno che ha già spinto il clima della Terra fuori dei margini stabili dell’Olocene (Osman et al., 2021), un’epoca nella quale l’Homo sapiens ha sviluppato l’agricoltura e ha iniziato a costruire città. Purtroppo, le osservazioni dirette dell’AMOC risalgono a pochi decenni: provengono da poche crociere transatlantiche eseguite a partire dagli anni ‘50, e dai rilevatori RAPID-AMOC che dal 2004 hanno raccolto misurazioni continue di salinità e velocità delle correAtlantico nti dalla superficie al fondale nell’Atlantico lungo il 26° di longitudine N (Smeed et al., 2020). Dobbiamo quindi ricorrere a prove indirette. L’indizio n.1 è il “buco del riscaldamento” o “blob freddo” trovato nelle mappe delle variazioni globali della temperatura osservate (Figura 6). Mentre l’intero globo si è riscaldato, il Nord subpolare ha resistito e si è persino raffreddato. Questa è esattamente la regione in cui l’AMOC trasporta gran parte del suo calore e coincide con l’area nella quale, da tempo, i modelli climatici hanno previsto un raffreddamento come conseguenza del suo rallentamento.

FIGURA 6. Mappa delle variazioni di temperatura superficiale dell’aria a partire dal tardo diciottesimo secolo. Aree caratterizzate da assenza di dati sono indicate in grigio. Immagine di Zeke Hausfather, Berkeley Earth – > Figura ad alta risoluzione

 

Uno studio fondamentale condotto da Dima e Lohmann (2010) ha analizzato i cambiamenti globali della temperatura superficiale marina a partire dal XIX secolo e ha concluso «che il trasporto globale oceanico si è indebolito dalla fine degli anni ‘30 e che la circolazione dell’Atlantico settentrionale ha subito una variazione repentina intorno al 1970». Due anni dopo, un gruppo di ricercatori olandesi, analizzando i risultati di diversi modelli climatici, ha confermato che un rallentamento dell’AMOC causa il raffreddamento dell’Atlantico settentrionale e ha denominato questa caratteristica il “buco del riscaldamento” (Drijfhout et al., 2012). Nel 2015, ho collaborato con il climatologo statunitense Michael Mann e altri colleghi all’analisi di una ricostruzione paleoclimatica delle temperature superficiali. L’analisi ha mostrato che il rallentamento moderno dell’AMOC è probabilmente senza precedenti almeno negli ultimi mille anni (Rahmstorf et al., 2015). Il termine “blob freddo” proviene da una citazione di Mann in un articolo del Washington Post sulla nostra ricerca (Mooney, 2015). Da allora è entrato nella terminologia corrente.

Teoricamente, il “blob freddo” potrebbe anche essere determinato da un aumento della perdita netta di calore alla superficie oceanica (He et al., 2022). Per quanto riguarda la variabilità a breve termine su scala inter-annuale, si prevede che le condizioni meteorologiche svolgano un ruolo dominante nel cambiare la temperatura superficiale del mare — particolarmente in estate quando lo strato superficiale è poco profondo e la sua inerzia termica è piccola (per questo, in studi successivi, ci siamo concentrati sul periodo novembre-maggio). Tuttavia, i dati di rianalisi basati sulle osservazioni mostrano che, dalla metà del XX secolo, la perdita netta di calore da parte dell’oceano verso l’atmosfera nella regione del “blob freddo” è diminuita, non aumentata – esattamente ciò che ci si aspetta se l’oceano porta meno calore in quella regione, e quindi meno ne viene trasmesso all’atmosfera (Figura 7). Inoltre, l’analisi dei modelli climatici, nei quali sono noti i cambiamenti dell’AMOC, mostra che l’intensità dell’AMOC è correlata strettamente con il cambiamento della temperatura del “blob freddo” (Caesar et al., 2018). Questo risultato conferma che, su scale temporali più lunghe, l’AMOC è il fattore dominante, consentendo di concludere che finora il “blob freddo” corrisponde a un indebolimento dell’AMOC di circa il 15%.

FIGURA 7. L’impronta del rallentamento dell’AMOC nei dati di rianalisi basati su osservazioni dal 1940 al 2022. (a) Tendenza della temperatura superficiale del mare (SST). (b) Tendenza della perdita netta di calore dalla superficie oceanica (sensibile, latente e radiativo). Le tendenze del flusso di calore non sono consistenti con l’ipotesi di una loro implicazione nel causare quelle della SST. Da Jendrkowiak (2024). > Figura ad alta risoluzione 

 

Il “blob freddo” non è solo un fenomeno superficiale; è anche chiaramente visibile (Figura 8) nella tendenza del contenuto di calore oceanico dei primi 2.000 metri (Cheng et al., 2022).

 

FIGURA 8. Tendenza del contenuto di calore oceanico nello strato superficiale (0-2000 m), 1958-2023. IAP data. Immagine di Lijing Cheng. > Figura ad alta risoluzione 

 

Ma, blob a parte, il rallentamento dell’AMOC ha un altro effetto rivelatore.

 

Una Corrente del Golfo che si sposta

Su un globo rotante come la Terra, la dinamica dei fluidi ha alcuni effetti peculiari che non sono intuitivi. Questo dipende dal fatto che la forza di Coriolis cambia con la latitudine. Nel 2007 e nel 2008, due studi condotti da Rong Zhang, ricercatrice esperta di AMOC, hanno mostrato che la conservazione del momento angolare, una legge fondamentale della fisica, fa spostare la Corrente del Golfo più vicino alla costa quando l’AMOC si indebolisce, agendo nel punto in cui il ramo profondo dell’AMOC diretto a Sud incrocia e passa sotto la Corrente stessa (Zhang e Vallis, 2007; Zhang, 2008). I suoi studi descrivono l’“impronta digitale” che ci dovremmo aspettare in caso di un’AMOC indebolita, che comprende non solo il “blob freddo”, ma anche un’anomalia di segno opposto della temperatura marina superficiale al largo della costa atlantica americana, a nord di Capo Hatteras. Caesar et al. (2018) hanno riscontrato che i cambiamenti della temperatura marina superficiale osservati dalla fine del XIX secolo sono molto coerenti con questa “impronta” (Figura 9). I dati misurati direttamente sono poco dettagliati, perché si basano su misurazioni navali relativamente scarse, ma i dati satellitari hanno una risoluzione più alta. I periodi di riferimento per i dati misurati e per quelli satellitari sono diversi; per renderli confrontabili tra loro, le tendenze sono state normalizzate, dividendole per il cambiamento della temperatura marina globale media negli stessi periodi. I dati satellitari, rilevati in un periodo relativamente breve, hanno molta più variabilità casuale (rumore) rispetto al segnale, e il rapporto segnale-rumore diminuisce dall’alto al basso nelle tre immagini. Nonostante queste differenze, l’impronta del declino dell’AMOC è molto chiara in tutti e tre i grafici della Figura 9.

FIGURA 9. Tendenza della temperatura della superficie marina (SST) normalizzata sulla sua tendenza globale. Il colore bianco indica una tendenza locale identica a quella media globale. (a) Risultato di un esperimento di raddoppio della CO2 con il modello climatico CM2.6, (b) Tendenza osservato nel periodo 1870–2016,  (c) osservazioni  dei satelliti Copernicus durante il periodo 1993–2021. (a) e (b) da Caesar et al. (2018). (c) Per gentile concessione di Ruijian Gou. > Figura ad alta risoluzione  

 

Per di più, tutti e tre i grafici mostrano un “blob caldo” nell’Artico al largo della Norvegia; nel modello, è dovuto all’aumento del trasporto di calore oceanico dall’Atlantico al Mare Artico (Fiedler, 2020). Non è chiaro se questa anomalia sia o meno correlata all’AMOC, ma potrebbe rappresentare una terza componente della sua “impronta digitale”.

Anche il forte riscaldamento al largo della costa atlantica nordamericana non può essere causato da flussi di calore superficiali: le rianalisi mostrano che quest’ultimo è cambiato in un modo opposto, cioè con un aumento della perdita di calore (Figura 7). Inoltre, la più recente famiglia di modelli climatici (CMIP6) indica una chiara correlazione tra la forza dell’AMOC e le temperature marine superficiali in questa zona, che comprende sia il blob freddo sia la zona soggetta a riscaldamento (Latif et al., 2022).

Inoltre, uno studio recente che utilizza dati oceanografici tridimensionali misurati dai galleggianti di profilazione delle sonde Argo mostra che dall’inizio di questo secolo la Corrente del Golfo si è spostata di circa 10 km verso la costa (Todd e Ren, 2023). Dalle misure delle boe derivanti RAPID sappiamo che l’AMOC si è effettivamente indebolita durante lo stesso periodo. In aggiunta, negli ultimi quarant’anni è stato osservato un significativo indebolimento della Corrente del Golfo negli Stretti della Florida” (Piecuch e Beal, 2023) che, sebbene non necessariamente legato a quello dell’AMOC, è almeno consistente con esso.

Ulteriori indizi coerenti con il rallentamento dell’AMOC provengono anche dai cambiamenti di salinità. L’Atlantico subpolare nordorientale sta diventando meno salato (Figura 10), probabilmente a causa di un maggiore apporto di acqua dolce da piogge e fiumi, e dalla fusione della banchisa e della calotta glaciale della Groenlandia, oltre all’effetto dei cambiamenti della circolazione oceanica che portano acque meno salate verso nord. Il Mare d’Islanda sta facendo registrare la salinità più bassa in 120 anni di misurazioni (Holliday et al., 2020).

 FIGURA 10. Il “blob freddo” nell’Atlantico nordorientale, con la corrispondente anomalia di salinità lungo la costa nordamericana e la loro evoluzione temporale. Il blu indica una salinità più bassa della media, il marrone più alta. Cfr. con le differenze nella temperatura marina superficiale in Figura 9. Fonte dell’immagine: N. Penny Holliday, © National Oceanography Centre, 2020, CC-BY 4.0 > Figura ad alta risoluzione  

 

Allo stesso tempo, la salinità sta aumentando nell’Atlantico meridionale subtropicale, un’impronta dell’AMOC meno influenzata dalle variazioni a breve termine rispetto alla temperatura dell’Atlantico settentrionale: anche questo suggerisce che il rallentamento dell’AMOC si sia intensificato dopo il 1980 (Zhu et al., 2023).

Ulteriori prove derivano dall’analisi della densità dell’acqua marina nei primi 1000m nella regione del vortice subpolare atlantico, che è strettamente correlata all’AMOC e che è diminuita negli ultimi 70 anni. Questo cambiamento suggerisce un indebolimento dell’AMOC del ~13% in questo periodo (Chafik et al., 2022), coerente con il 15% di indebolimento suggerito dai dati del “blob freddo”.

 

Altre lezioni dal paleoclima

Per capire come fosse la situazione prima che disponessimo di misurazioni della temperatura, dobbiamo rivolgerci ai dati proxy – “tracce” dei cambiamenti climatici passati lasciate nel lento accumularsi di archivi naturali come i ghiacciai o i sedimenti del fondale marino. Questi proxy ci permettono di ricostruire le temperature passate della superficie marina e altri parametri. Ad esempio, il rapporto tra isotopi di ossigeno nei minuscoli scheletri che compongono gran parte dei sedimenti del fondale marino è un indicatore delle temperature passate delle acque superficiali, mentre le dimensioni dei granelli di sedimento sul fondale rivelano le velocità delle correnti sopra di esso. Caesar et al. (2021) hanno prodotto una serie di ricostruzioni scientifiche del flusso passato dell’AMOC e hanno concluso che l’AMOC è attualmente nel suo punto più debole dell’ultimo millennio (Figura 11).

FIGURA 11. Forza dell’AMOC negli ultimi 1600 anni, ricostruita da diversi data-set paleoclimatici (Caesar et al., 2021). L’asse verticale riporta l’anomalia di temperatura nella regione del “blob freddo” (Caesar et al., 2018); le altre serie di dati sono riportate sulla stessa scala.  > Figura ad alta risoluzione   

 

Sebbene la validità dei dati proxy debba sempre essere verificata, quelli raccolti da diverse regioni, e analizzati da diversi gruppi di ricerca con metodi molto diversi tra loro, mostrano un segnale coerente. E quelli che coprono anche i decenni più recenti sono in buon accordo con le ricostruzioni dell’AMOC basate su modelli (Caesar et al., 2022).

La presenza di diversi indizi indipendenti tra loro suggerisce dunque che esistano prove schiaccianti di un indebolimento a lungo termine dell’AMOC a partire dall’inizio o dalla metà del ventesimo secolo. Occorre ricordare che, oltre a un indebolimento sul lungo termine, l’AMOC è anche caratterizzata da una forte variabilità decennale, il che rende essenziale essere molto chiari sul periodo esatto cui si fa riferimento quando se ne discutono i cambiamenti.

L’indebolimento a lungo termine dell’AMOC è causato dall’uomo? Molteplici linee di evidenza indicano che si tratti in effetti di un risultato del riscaldamento globale causato dai combustibili fossili. Innanzitutto, i modelli climatici hanno previsto da lungo tempo un indebolimento dell’AMOC in risposta al riscaldamento globale, e la fisica che sta alla base di queste previsioni è molto chiara. Almeno due ricerche che hanno analizzato sia modelli climatici all’avanguardia che osservazioni hanno concluso che il recente “blob freddo” nel Nord Atlantico è di origine antropica, ed è causato dalla riduzione del trasporto di calore oceanico verso nord a causa delle emissioni di gas serra (Chemke et al., 2020; Qasmi, 2023). Inoltre, anche i dati paleoclimatici della Figura 11 indicano in modo molto significativo che le attività umane sono la causa dell’indebolimento dell’AMOC, il quale coincide con l’attuale – senza precedenti – periodo di riscaldamento globale.

 

Ci si può fidare dei modelli climatici?

I modelli climatici prevedono da tempo un rallentamento significativo dell’AMOC in risposta al riscaldamento globale, incluso un corrispondente blob freddo nel nord Atlantico (vedere la Figura 12 per risultati recenti). Ho scritto infatti due articoli di commento per Nature su questo argomento negli anni ‘90 (Rahmstorf, 1997, 1999). Allora, come oggi, l’entità dell’indebolimento previsto varia notevolmente da un modello all’altro. L’ultimo rapporto dell’IPCC, il sesto, ha rilevato che anche in uno scenario a basse emissioni, l’AMOC si indebolirà tra il 4% e il 46% entro il 2100, a seconda del modello. Nello scenario ad alte emissioni la riduzione varia tra il 17% e il 55% (IPCC, 2021). Il sesto rapporto dell’IPCC ha anche concluso: «Mentre c’è un medio livello di confidenza per un declino previsto dell’AMOC che non comporti un collasso improvviso prima del 2100, tale collasso potrebbe essere innescato da una fusione della calotta glaciale della Groenlandia non considerata fino ad ora».

FIGURA 12. Cambiamenti della temperatura globale previsti per l’anno 2100 in uno scenario a basse emissioni (SSP1-2.6) con modelli ad alto riscaldamento (IPCC, 2021, Figura 1 del Box TS.3)  > Figura ad alta risoluzione

 

Questo ci porta a una domanda importante: possiamo fidarci dei modelli climatici? In generale, hanno svolto un ottimo lavoro nel rappresentare l’evoluzione delle temperature medie globali. Anche i modelli piuttosto semplici degli anni ’80 prevedevano un riscaldamento globale quantitativamente corretto, compresi i modelli utilizzati da Exxon (Supran et al., 2023). Ma questo era relativamente facile, poiché dipende solo dal bilancio energetico della Terra.

I cambiamenti nella circolazione oceanica termoalina sono molto più difficili da prevedere, poiché dipendono da sottili differenze di temperatura e salinità dell’oceano, in tre dimensioni. I modelli non sono riusciti a riprodurre bene i cambiamenti dell’AMOC in passato (McCarthy e Caesar, 2023).

L’ultimo rapporto dell’IPCC mostra che gli attuali modelli climatici, in media, non generano nemmeno il “blob freddo” osservato (anche se versioni precedenti di molti modelli lo facevano; vedere Figura 13). Infatti un corpus sostanzioso di ricerche suggerisce che nei modelli climatici l’AMOC è generalmente troppo stabile. Una ragione potrebbe essere quello che l’IPCC ha definito come “tuning verso la stabilità”: se un modello ha un’AMOC troppo instabile, che già collassa nel clima attuale come simulato da più modelli (ad esempio, Manabe e Stouffer, 1988), il modello viene “accordato” (“tuned”) per riflettere meglio la realtà. Invece un modello con un’AMOC troppo stabile non sarebbe “sbagliato”: riprodurrebbe correttamente il clima attuale.

FIGURA 13. Cambiamento della temperatura media annua superficiale osservato e simulato con un riscaldamento globale di +1°C (IPCC, 2021, Figura SPM.5). In media, i modelli non riescono a simulare il “blob freddo” che si osserva. > Figura ad alta risoluzione 

 

Esiste un altro problema, rappresentato anche nel film hollywoodiano di grande successo The Day After Tomorrow (“L’alba del giorno dopo”) del 2014, nel quale lo scienziato Jack Hall (Dennis Quaid) afferma: «Nessuno ha tenuto conto di quanta acqua dolce viene scaricata nell’oceano a causa dello scioglimento dei ghiacci polari! Penso che abbiamo raggiunto un punto di non ritorno della desalinizzazione». Fino ad ora, la maggior parte dei modelli climatici non hanno incorporato una calotta glaciale interattiva della Groenlandia (che ha un proprio punto di non ritorno; ad esempio, Robinson et al., 2012) e trascurano il suo crescente apporto di acqua da fusione all’oceano.

Questo «punto di non di ritorno della desalinizzazione» è ovviamente il punto di biforcazione di Stommel discusso in precedenza e scoprire quanto ne siamo lontani è davvero un problema molto complesso.

 

Dov’è quel punto di non ritorno?

Un modo per trovarlo è di eseguire un esperimento come quello mostrato nella Figura 3. Ma è molto costoso dal punto di vista computazionale. Per i modelli con il quale è stato fatto, la distanza dal punto di non di ritorno varia molto. Nel 1996 ho proposto che il fatto che l’AMOC trasporti acqua dolce fuori o dentro l’Atlantico alla latitudine del Sudafrica determina se si trova nel regime bistabile indicato nella Figura 3, o più lontano dal punto di non ritorno a sinistra (Rahmstorf, 1996). Altri studi a sostegno di questa idea, compresi i dati osservati, indicano che l’AMOC reale sia infatti in un regime bistabile, cioè relativamente vicina ad un punto di non ritorno. Al contrario, nella maggior parte dei modelli, l’AMOC si trova in un regime monostabile, lontano da un punto di non ritorno (si veda Weijer et al., 2019). Il motivo è apparentemente in sottili imprecisioni nella distribuzione della salinità dell’Atlantico nei modelli, quando messi a confronto con le osservazioni. La distribuzione della salinità può essere guidata verso valori più realistici e osservati, invece di lasciare che la salinità evolva liberamente sotto l’influenza delle precipitazioni, evaporazione e correnti oceaniche calcolate dal modello. Quando questa correzione è stata usata in un modello climatico, l’AMOC è collassata in uno scenario di raddoppio della concentrazione di CO2, mentre è rimasta stabile nel modello originale non “corretto” (Liu et al., 2017).

Date le limitazioni dei modelli climatici attuali, alcuni ricercatori si sono rivolti a metodi utilizzati nel contesto della fisica non lineare per cercare segnali di allarme precoci di un avvicinamento al punto di non di ritorno identificabili nei dati osservativi. Questi metodi si basano sul fatto che in un sistema “rumoroso” come il clima, parametri come l’intensità dell’AMOC “oscillano” sotto l’influenza di variazioni stocastiche (casuali), come la variabilità meteorologica. Invece, quando il sistema è vicino a un punto di non ritorno, le forze che lo riportano al suo equilibrio stabile diventano progressivamente più deboli, quindi il sistema impiega più tempo per tornare indietro. Questo viene chiamato un “rallentamento critico”.

Diversi studi hanno analizzato i dati osservativi dell’AMOC in questa luce. Boers (2021) ha analizzato quattro serie di osservazioni della temperatura e quattro della salinità per diagnosticare la forza dell’AMOC e ha concluso che esistono «prove evidenti che l’AMOC si sta effettivamente avvicinando a una transizione critica indotta dall’approssimarsi di una biforcazione». In un altro studio, Michel et al. (2022) hanno utilizzato 312 serie di dati paleoclimatici risalenti a un millennio fa e hanno trovato una «stima robusta, poiché basata su osservazioni sufficientemente lunghe, che la variabilità multidecennale dell’Atlantico potrebbe ora avvicinarsi a un punto di non di ritorno dopo il quale il sistema di circolazione atlantica potrebbe subire una transizione critica». Nel 2023, ricercatori danesi hanno fatto notizia con il loro «avvertimento di un’imminente collasso dell’AMOC», in un periodo compreso tra il 2025 e il 2095 e molto probabilmente intorno alla metà di questo secolo (Ditlevsen e Ditlevsen, 2023). Un recente studio condotto dal gruppo olandese dell’Università di Utrecht, uno dei principali gruppi di ricerca al mondo sulla stabilità dell’AMOC, ha introdotto un «nuovo segnale di allarme precoce basato sulla fisica, che mostra che l’AMOC sta andando verso il punto di non ritorno» (van Westen et al., 2024).

Tutte queste previsioni hanno i loro limiti. Ad esempio, cambiamenti nella variabilità potrebbero plausibilmente avere altre ragioni per l’avvicinarsi di un punto critico. Ma il fatto che tutti questi studi, pur con metodi diversi, puntino nella stessa direzione, verso un rischio molto più alto e precoce di quanto pensassimo fino a pochi anni fa, è motivo di grande preoccupazione. La mia valutazione di questi studi sui segnali di allarme precoce è che nel momento in cui potranno fornire un avvertimento ragionevolmente affidabile di un’imminente collasso dell’AMOC, sarà troppo tardi per prevenirlo. Data questa situazione, l’unica reazione politica responsabile va guidata dal principio di precauzione (vale a dire, la responsabilità di proteggere il pubblico dai danni, dato che la ricerca scientifica ha individuato un rischio plausibile). Fino a un certo punto, il superamento del punto di non ritorno può anche dipendere dai capricci delle variazioni meteorologiche. Nel modello climatico della NASA, in 10 simulazioni che utilizzano lo stesso scenario di emissioni medie di gas serra (SSP2–4.5) e con un riscaldamento globale inferiore a 3°C, l’AMOC collassa del tutto in due simulazioni, mentre si riprende dopo un significativo indebolimento in otto; la differenza è semplicemente dovuta alla variabilità interna stocastica (Romanou et al., 2023). Anche questo fa parte delle caratteristiche dei punti critici.

A parte l’arresto completo dell’AMOC, c’è ancora un secondo tipo di punto critico da considerare, quello in cui la convezione oceanica si interrompe in una regione. Ciò accade in un numero sorprendente di modelli climatici e finora non ha ottenuto l’attenzione pubblica che merita. Il primo caso documentato, nel modello dello Hadley Centre britannico, è stato pubblicato nel 1999 (Wood et al., 1999). Nell’ultima generazione di modelli climatici (CMIP6), in quattro dei 35 modelli la convezione oceanica del vortice subpolare si interrompe, e quattro di questi modelli rientrano nel gruppo degli 11 considerati i migliori in termini di riproduzione dei profili di densità verticale del vortice subpolare (Swingedouw et al., 2021). Questo equivale al 36% dei modelli di alta qualità valutati. Nella generazione precedente di modelli (CMIP5), tale percentuale era pari al 45%. Inoltre, l’interruzione accade in genere già nel 2040, anche in scenari di emissioni di gas serra moderate, e anche senza tenere conto adeguatamente della fusione della calotta glaciale della Groenlandia. Pertanto, un collasso della convezione oceanica nel vortice subpolare, con il conseguente indebolimento rapido dell’AMOC e brusco raffreddamento regionale, deve essere considerato un rischio elevato che richiede attenzione d’urgenza.

Cosa significa tutto ciò per il nostro futuro? Esaminiamo innanzitutto gli impatti di un rallentamento o collasso dell’AMOC, in seguito discutiamo le implicazioni.

 

Quanto sarebbe grave?

L’attuale bolla fredda sta già influenzando il nostro clima, anche se non nel modo che ci potremmo attendere: il nord Atlantico subpolare freddo è in effetti correlato al caldo estivo in Europa (Duchez et al., 2016). Il raffreddamento della superficie del mare è sufficiente ad influenzare la distribuzione della pressione atmosferica in modo tale da favorire l’afflusso di aria calda da sud verso l’Europa. Ad esempio nell’estate del 2015 l’Atlantico subpolare è stato il più freddo da quando sono iniziate le misurazioni nel diciannovesimo secolo, mentre l’Europa subiva una forte ondata di caldo. Studi successivi hanno dimostrato che le ondate di caldo stanno aumentando da tre a quattro volte più velocemente in Europa rispetto alle altre regioni dell’emisfero settentrionale, in relazione ai cambiamenti nella corrente a getto, che potrebbero essere influenzati dalla bolla fredda (Rousi et al., 2022).

Diversi studi mostrano che se l’AMOC si indebolisce, il livello del mare sulla costa nordorientale americana aumenterà più bruscamente (ad esempio, Levermann et al., 2005; Yin et al., 2010). La forza di Coriolis spinge l’acqua in movimento nella Corrente del Golfo verso destra, lontano dalla costa americana. Quando la Corrente del Golfo si indebolisce, meno acqua viene spostata verso nord, provocando un aumento del livello delle acque lungo le coste lambite dalla Corrente, con modelli che prevedono un aumento di 15-20 cm entro il 2100 solo a causa di questo effetto, in aggiunta alle altre cause dell’innalzamento del mare. L’erosione costiera, la frequenza degli allagamenti dell’acqua del mare e l’entità dei danni provocati dalle inondazioni portate dalle tempeste aumenteranno sostanzialmente.

Un collasso della convezione nel vortice subpolare amplificherebbe significativamente questi problemi. La Figura 14 mostra la variazione di temperatura prevista in questo caso. Non è solo un problema legato ai cambiamenti dei valori assoluti, ma dei cambiamenti nel contrasto termico tra regioni vicine – in questo caso l’oceano freddo rispetto alle adiacenti masse terrestri calde – che modificheranno notevolmente la dinamica atmosferica, poiché i gradienti di temperatura guidano l’attività meteorologica in vari modi che non possiamo prevedere in dettaglio. Persino questo limitato cambiamento oceanico sposterà le fasce delle precipitazioni tropicali, anche se non tanto quanto un completo arresto dell’AMOC.

FIGURA 14. Qui sono tracciate le variazioni di temperatura nella media del modello prima e dopo il collasso della convezione nella regione del vortice subpolare. Da Swingedouw et al. (2021). > Figura ad alta risoluzione

 

La completa interruzione dell’AMOC avrebbe conseguenze davvero devastanti per l’umanità e per molti ecosistemi marini e terrestri. La Figura 15 mostra i risultati del modello di Liu et al. (2017) in conseguenza ad un raddoppio della CO2, con un collasso dell’AMOC causato dall’aumento stesso. L’aria più fredda si espande fino a coprire l’Islanda, la Gran Bretagna e la Scandinavia. Il contrasto termico tra nord e sud Europa aumenta di ben 4°C, probabilmente con un forte impatto sul clima, e tempeste senza precedenti.

FIGURA 15. Variazione media annuale della temperatura dell’aria in prossimità della superficie, derivante dal raddoppio della CO2 e dall’interruzione dell’AMOC. Mentre la Terra diventa molto più calda, la regione dell’Atlantico settentrionale diventa più fredda. In inverno il raffreddamento è ancora maggiore. Da Liu et al. (2017). > Figura ad alta risoluzione

 

La Figura 16 mostra i cambiamenti delle precipitazioni in questo modello. Come abbiamo visto nei dati paleoclimatici degli eventi Heinrich, i grandi cambiamenti delle precipitazioni nei tropici causerebbero probabilmente problemi di siccità nei tropici settentrionali dell’America e dell’Asia. I cambiamenti stagionali saranno ancora maggiori di questi cambiamenti medi annuali. Altre simulazioni prevedono un aumento significativo delle tempeste invernali in Europa e di conseguenza una “forte riduzione della resa di colture e pascoli” (Jackson et al., 2015).

FIGURA 16. Variazione media annua delle precipitazioni derivante dal raddoppio della CO2 e dal collasso dell’AMOC. La cosa più preoccupante è lo spostamento verso sud delle fasce pluviali tropicali e un’Europa generalmente più arida. Da Liu et al. (2017). > Figura ad alta risoluzione

 

L’IPCC ha riassunto gli impatti: “Se dovesse verificarsi un collasso dell’AMOC, ciò molto probabilmente causerebbe bruschi cambiamenti nelle strutture meteorologiche regionali e nel ciclo dell’acqua, come uno spostamento verso sud della fascia tropicale delle piogge, e potrebbe provocare un indebolimento dei monsoni africani e asiatici, il rafforzamento dei monsoni dell’emisfero meridionale, e siccità in Europa” (IPCC, 2021, TS p. 73). Alcune ulteriori conseguenze includono un ulteriore aumento del livello del mare, soprattutto lungo la costa atlantica americana, una riduzione dell’assorbimento di anidride carbonica da parte dell’oceano, una fornitura di ossigeno notevolmente ridotta nelle profondità dell’oceano e il probabile collasso dell’ecosistema nell’Atlantico settentrionale.

 

Implicazioni: l’incertezza non è nostra amica

Il rischio di una transizione critica della corrente AMOC è reale e molto serio, anche se non possiamo prevedere con certezza quando e se ciò accadrà. Ci siamo già lasciati alle spalle il clima stabile dell’Olocene in cui l’umanità ha prosperato (Osman et al., 2021) e l’ultimo rapporto dell’IPCC ci avverte che superando 1,5°C di riscaldamento globale, ci muoviamo nel regno del “rischio elevato” rispetto ai punti di non ritorno climatici (IPCC, 2023).

A rischio è anche l’equivalente nell’emisfero australe della formazione di acque profonde dell’Atlantico settentrionale: la formazione di acque profonde dell’Antartico. Un recente studio condotto da ricercatori australiani ha concluso che il crescente afflusso di acqua di disgelo attorno all’Antartide è destinato a rallentare drasticamente la circolazione della corrente antartica, con un potenziale collasso in questo secolo (Q. Li et al., 2023). Ciò rallenterà la velocità con cui l’oceano assorbe CO2 (quindi, se ne accumulerà di più nell’atmosfera) e ridurrà l’apporto di ossigeno per le profondità marine.

Un collasso completo dell’AMOC sarebbe un enorme disastro su scala planetaria. Vogliamo davvero evitare che ciò accada.

In altre parole: stiamo parlando di analisi dei rischi e di prevenzione dei disastri. Non si tratta di essere sicuri al 100% o anche solo al 50% che l’AMOC supererà il suo punto di svolta in questo secolo; il problema è che vorremmo essere sicuri al 100% che non sarà così. Il fatto che l’IPCC abbia solo una “fiducia media” che ciò non accada in questo secolo è tutt’altro che rassicurante, e gli studi discussi qui, che sono arrivati dopo il rapporto IPCC del 2021, indicano un rischio molto più grande di quanto si pensasse in precedenza.

Il Global Tipping Points Report 2023 è stato pubblicato nel dicembre 2023, uno sforzo di 500 pagine da parte di 200 ricercatori provenienti da 90 organizzazioni in 26 paesi (Lenton et al., 2023). La sua conclusione sintetica recita: “I punti di non ritorno dannosi presenti nel nostro sistema climatico pongono alcune delle minacce più gravi affrontate dall’umanità. Il loro innesco danneggerà gravemente i sistemi di supporto alla vita presente sul nostro pianeta e minaccerà la stabilità delle nostre società”.

Per quanto riguarda l’AMOC e altri punti di non ritorno sul clima, l’unica azione che possiamo intraprendere per ridurre al minimo il rischio è eliminare l’uso dei combustibili fossili e fermare la deforestazione il più rapidamente possibile. Se riusciamo a raggiungere zero emissioni entro pochi anni il riscaldamento globale si fermerà; prima ciò accadrà, minore sarà il rischio di superare devastanti punti di non ritorno. Minimizzerebbe inoltre molte altre perdite, danni e sofferenze umane derivanti dagli impatti “regolari” del riscaldamento globale (ad esempio, ondate di caldo, inondazioni, siccità, mancati raccolti, incendi, innalzamento del livello del mare), che stanno già accadendo intorno a noi anche senza oltrepassare i principali punti di non ritorno del sistema climatico.

Come conclude un altro rapporto sui punti di non ritorno climatici pubblicato nel dicembre 2022 dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE): “…le attuali prove scientifiche supportano inequivocabilmente un’azione climatica senza precedenti, urgente e ambiziosa per affrontare i rischi posti dai punti critici del sistema climatico”. (OCSE, 2022).

Sarebbe irresponsabile, persino sconsiderato, se i politici, i leader aziendali, e gli elettori continuassero a ignorare questi rischi.

 

Traduzione di Vittorio Marletto, Claudio della Volpe, Alessio Bellucci, Anna Pirani e Giorgio Vacchiano. Revisione di Sylvie Coyaud, Stefano Caserini e Alessio Bellucci

 

Testo di Stefan Rahmstorf, versione originale sulla rivista Oceanography qui

 

 

Riferimenti bibliografici

 

Blunier, T., J. Chappellaz, J. Schwander, A. Dällenbach, B. Stauffer, T.F. Stocker, D. Raynaud, J. Jouzel, H.B. Clausen, C.U. Hammer, and J.S. Johnsen. 1998. Asynchrony of Antarctic and Greenland climate change during the last glacial period. Nature 394:739–743, https://doi.org/​10.1038/​29447.

Boers, N. 2021. Observation-based early-warning signals for a collapse of the Atlantic Meridional Overturning Circulation. Nature Climate Change 11(8):680–688, https://doi.org/10.1038/s41558-021-01097-4.

Broecker, W. 1987. Unpleasant surprises in the greenhouse? Nature 328:123–126, https://doi.org/​10.1038/​328123a0.

Caesar, L., S. Rahmstorf, A. Robinson, G. Feulner, and V. Saba. 2018. Observed fingerprint of a weakening Atlantic Ocean overturning circulation. Nature 556(7700):191–196, https://doi.org/10.1038/s41586-018-0006-5.

Caesar, L., G.D. McCarthy, D.J.R. Thornalley, N. Cahill, and S. Rahmstorf. 2021. Current Atlantic Meridional Overturning Circulation weakest in last millennium. Nature Geoscience 14:118–120, https://doi.org/​10.1038/​s41561-021-00699-z.

Caesar, L., G.D. McCarthy, D.J.R. Thornalley, N. Cahill, and S. Rahmstorf. 2022. Reply to: Atlantic circulation change still uncertain. Nature Geoscience 15:168–170, https://doi.org/10.1038/s41561-022-00897-3.

Chafik, L., N.P. Holliday, S. Bacon, and T. Rossby. 2022. Irminger Sea is the center of action for subpolar AMOC variability. Geophysical Research Letters 49(17), https://doi.org/​10.1029/​2022GL099133.

Chemke, R., L. Zanna, and L.M. Polvani. 2020. Identifying a human signal in the North Atlantic warming hole. Nature Communications 11(1), https://doi.org/​10.1038/s41467-020-15285-x.

Cheng, L., G. Foster, Z. Hausfather, K.E. Trenberth, and J. Abraham. 2022. Improved quantification of the rate of ocean warming. Journal of Climate 35(14):4,827–4,840, https://doi.org/10.1175/JCLI-D-21-0895.1.

Dansgaard, W., H.B. Clausen, N. Gundestrup, C.U. Hammer, S.F. Johnsen, P.M. Kristinsdottir, and N. Reeh. 1982. A new Greenland deep ice core. Science 218:1,273–1,277, https://doi.org/10.1126/science.218.4579.1273.

Dijkstra, H.A., M.J. Molemaker, A. Van der Ploeg, and E.F.F. Botta. 1995. An efficient code to compute non-parallel steady flows and their linear stability. Computers and Fluids 24:415–434, https://doi.org/​10.1016/0045-7930(94)00042-W.

Dima, M., and G. Lohmann. 2010. Evidence for two distinct modes of large-scale ocean circulation changes over the last century. Journal of Climate 23(1):5–16, https://doi.org/​10.1175/​2009JCLI2867.1.

Ditlevsen, P., and S. Ditlevsen. 2023. Warning of a forthcoming collapse of the Atlantic meridional overturning circulation. Nature 14:4254, https://doi.org/​10.1038/​s41467-023-39810-w.

Drijfhout, S., G.J. van Oldenborgh, and A. Cimatoribus. 2012. Is a decline of AMOC causing the warming hole above the North Atlantic in observed and modeled warming patterns? Journal of Climate 25(24):8,373–8,379, https://doi.org/10.1175/JCLI-D-12-00490.1.

Duchez, A., E. Frajka-Williams, S.A. Josey, D.G. Evans, J.P. Grist, R. Marsh, G.D. McCarthy, B. Sinha, D.I. Berry, and J.J.M. Hirschi. 2016. Drivers of exceptionally cold North Atlantic Ocean temperatures and their link to the 2015 European heat wave. Environmental Research Letters 11(7):074004, https://doi.org/10.1088/1748-9326/11/7/074004.

Ellis, H. 1751. A letter to the Rev. Dr. Hales, F.R.S. from Captain Ellis, F.R.S. dated Jan. 7, 1750–51, at Cape Monte Africa, Ship Earl of Halifax. Philosophical Transactions of the Royal Society of London 47:211–214.

Feulner, G., S. Rahmstorf, A. Levermann, and S. Volkwardt. 2013. On the origin of the surface air temperature difference between the hemispheres in Earth’s present-day climate. Journal of Climate 26(18):7,136–7,150, https://doi.org/10.1175/JCLI-D-12-00636.1.

Fiedler, L. 2020. Investigating the North Atlantic Heat Transport in the Global Climate Model CM2.6. Bachelor’s thesis, University of Potsdam.

Ganopolski, A., and S. Rahmstorf. 2002. Abrupt glacial climate changes due to stochastic resonance. Physical Review Letters 88:038501, https://doi.org/​10.1103/PhysRevLett.88.038501.

He, C., A.C. Clement, M.A. Cane, L.N. Murphy, J.M. Klavans, and T.M. Fenske. 2022. A North Atlantic warming hole without ocean circulation. Geophysical Research Letters 49(19), https://doi.org/​10.1029/​2022GL100420.

Heinrich, H. 1988. Origin and consequences of cyclic ice rafting in the northeast Atlantic Ocean during the past 130,000 years. Quaternary Research 29:143–152, https://doi.org/​10.1016/​0033-5894(88)90057-9.

Hemming, S.R. 2004. Heinrich events: Massive late Pleistocene detritus layers of the North Atlantic and their global climate imprint. Reviews of Geophysics 42(1), https://doi.org/​10.1029/​2003RG000128.

Holliday, N.P., M. Bersch, B. Berx, L. Chafik, S. Cunningham, C. Florindo-Lopez, H. Hatun, W. Johns, S.A. Josey, K.M.H. Larsen, and others. 2020. Ocean circulation causes the largest freshening event for 120 years in eastern subpolar North Atlantic. Nature Communications 11(1):585, https://doi.org/​10.1038/s41467-020-14474-y.

IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change). 2021. Climate Change 2021: The Physical Science Basis. Contribution of Working Group I to the Sixth Assessment Report of the Intergovernmental Panel on Climate Change. V. Masson-Delmotte, P. Zhai, A. Pirani, S.L. Connors, C. Péan, S. Berger, N. Caud, Y. Chen, L. Goldfarb, M.I. Gomis, M. Huang, K. Leitzell, E. Lonnoy, J.B.R. Matthews, T.K. Maycock, T. Waterfield, O. Yelekçi, R. Yu, and B. Zhou, eds, Cambridge University Press, Cambridge, United Kingdom and New York, NY, USA, 2,391 pp., https://doi.org/​10.1017/​9781009157896.

IPCC. 2023. Climate Change 2023: Synthesis Report. Contribution of Working Groups I, II and III to the Sixth Assessment Report of the Intergovernmental Panel on Climate Change. Core Writing Team, H. Lee, and J. Romero, eds, IPCC, Geneva, Switzerland, 184 pp., https://doi.org/10.59327/IPCC/AR6-9789291691647.

Jackson, L.C., R. Kahana, T. Graham, M.A. Ringer, T. Woollings, J.V. Mecking, and R.A. Wood. 2015. Global and European climate impacts of a slowdown of the AMOC in a high resolution GCM. Climate Dynamics 45(11–12):3,299–3,316, https://doi.org/​10.1007/s00382-015-2540-2.

Jackson, L.C., H.T. Hewitt, D. Bruciaferri, D. Calvert, T. Graham, C. Guiavarc’h, M.B. Menary, A.L. New, M. Roberts, and D. Storkey. 2023. Challenges simulating the AMOC in climate models. Philosophical Transactions of the Royal Society A 381(2262):20220187, https://doi.org/​10.1098/rsta.2022.0187.

Jendrkowiak, J. 2024. Heat Budget Analysis over the North Atlantic. Bachelor’s thesis, Potsdam University.

Kuhlbrodt, T., S. Titz, U. Feudel, and S. Rahmstorf. 2001. A simple model of seasonal open ocean convection. Part II. Labrador Sea stability and stochastic forcing. Ocean Dynamics 52:36–49, https://doi.org/​10.1007/s10236-001-8175-3.

Latif, M., J. Sun, M. Visbeck, and M. Hadi Bordbar. 2022. Natural variability has dominated Atlantic Meridional Overturning Circulation since 1900. Nature Climate Change 12:455–460, https://doi.org/​10.1038/​s41558-022-01342-4.

Lenton, T.M., D.I. Armstrong McKay, S. Loriani, J.F. Abrams, S.J. Lade, J.F. Donges, M. Milkoreit, T. Powell, S.R. Smith, and others, eds. 2023. The Global Tipping Points Report 2023. University of Exeter, Exeter, UK, 479 pp.

Levermann, A., A. Griesel, M. Hofmann, M. Montoya, and S. Rahmstorf. 2005. Dynamic sea level changes following changes in the thermohaline circulation. Climate Dynamics 24(4):347–354, https://doi.org/​10.1007/s00382-004-0505-y.

Li, Q., M.H. England, A.M. Hogg, S.R. Rintoul, and A.K. Morrison. 2023. Abyssal ocean overturning slowdown and warming driven by Antarctic meltwater. Nature 615(7954):841–847, https://doi.org/​10.1038/​s41586-023-05762-w.

Li, Z., M.H. England, and S. Groeskamp. 2023. Recent acceleration in global ocean heat accumulation by mode and intermediate waters. Nature Communications 14(1):6888, https://doi.org/10.1038/s41467-023-42468-z.

Liu, W., S.-P. Xie, Z. Liu, and J. Zhu. 2017. Overlooked possibility of a collapsed Atlantic Meridional Overturning Circulation in warming climate. Science Advances 3(1), https://doi.org/10.1126/sciadv.1601666.

Manabe, S., and R.J. Stouffer. 1988. Two stable equilibria of a coupled ocean-atmosphere model. Journal of Climate 1:841–866, https://doi.org/​10.1175/​1520-​0442​(1988)​001​<0841:​TSEOAC>​2.0.CO;2.

McCarthy, G.D., and L. Caesar. 2023. Can we trust projections of AMOC weakening based on climate models that cannot reproduce the past? Philosophical Transactions of the Royal Society A 381(2262):20220193, https://doi.org/​10.1098/rsta.2022.0193.

Michel, S.L.L., D. Swingedouw, P. Ortega, G. Gastineau, J. Mignot, G. McCarthy, and M. Khodri. 2022. Early warning signal for a tipping point suggested by a millennial Atlantic Multidecadal Variability reconstruction. Nature Communications 13(1):5176, https://doi.org/​10.1038/s41467-022-32704-3.

Mooney, C. 2015. “Why Some Scientists Are Worried about a Surprisingly Cold ‘Blob’ in the North Atlantic Ocean.” Washington Post, September 4, 2015, https://www.washingtonpost.com/news/​energy-​environment/wp/2015/09/24/why-​some-​scientists-​are-worried-about-a-cold-blob-in-​the-​north-​atlantic-​ocean/.

OECD (Organisation for Economic Co-operation and Development). 2022. Climate Tipping Points: Insights for Effective Policy Action. Paris, 89 pp, https://doi.org/10.1787/abc5a69e-en.

Osman, M.B., J.E. Tierney, J. Zhu, R. Tardif, G.J. Hakim, J. King, and C.J. Poulsen. 2021. Globally resolved surface temperatures since the Last Glacial Maximum. Nature 599(7884):239–244, https://doi.org/​10.1038/​s41586-021-03984-4.

Piecuch, C.G., and L.M. Beal. 2023. Robust weakening of the Gulf Stream during the past four decades observed in the Florida Straits. Geophysical Research Letters 50(18), https://doi.org/​10.1029/​2023GL105170.

Qasmi, S. 2023. Past and future response of the North Atlantic warming hole to anthropogenic forcing. Earth System Dynamics 14(3):685–695, https://doi.org/10.5194/esd-14-685-2023.

Rahmstorf, S. 1996. On the freshwater forcing and transport of the Atlantic thermohaline circulation. Climate Dynamics 12(12):799–811, https://doi.org/​10.1007/s003820050144.

Rahmstorf, S. 1997. Risk of sea-change in the Atlantic. Nature 388(6645):825–826, https://doi.org/​10.1038/42127.

Rahmstorf, S. 1999. Shifting seas in the greenhouse? Nature 399(6736):523–524, https://doi.org/​10.1038/​21066.

Rahmstorf, S. 2001. A simple analytical model of seasonal open-ocean convection: Part I. Theory. Ocean Dynamics 52:26–35, https://doi.org/10.1007/s10236-001-8174-4.

Rahmstorf, S. 2002. Ocean circulation and climate during the past 120,000 years. Nature 419(6903):207–214, https://doi.org/​10.1038/nature01090.

Rahmstorf, S., M. Crucifix, A. Ganopolski, H. Goosse, I.V. Kamenkovich, R. Knutti, G. Lohmann, R. Marsh, L.A. Mysak, Z. Wang, and A.J. Weaver. 2005. Thermohaline circulation hysteresis: A model intercomparison. Geophysical Research Letters 32(23), https://doi.org/10.1029/2005GL023655.

Rahmstorf, S., J.E. Box, G. Feulner, M.E. Mann, A. Robinson, S. Rutherford, and E.J. Schaffernicht. 2015. Exceptional twentieth-century slowdown in Atlantic Ocean overturning circulation. Nature Climate Change 5(5):475–480, https://doi.org/​10.1038/nclimate2554.

Robinson, A., R. Calov, and A. Ganopolski. 2012. Multistability and critical thresholds of the Greenland ice sheet. Nature Climate Change 2(6):429–432, https://doi.org/10.1038/nclimate1449.

Romanou, A., D. Rind, J. Jonas, R. Miller, M. Kelley, G. Russell, C. Orbe, L. Nazarenko, R. Latto, and G.A. Schmidt. 2023. Stochastic bifurcation of the North Atlantic circulation under a midrange future climate scenario with the NASA-GISS ModelE. Journal of Climate 36(18):6,141–6,161, https://doi.org/​10.1175/​JCLI-D-22-0536.1.

Rousi, E., K. Kornhuber, G. Beobide-Arsuaga, F. Luo, and D. Coumou. 2022. Accelerated western European heatwave trends linked to more-​persistent double jets over Eurasia. Nature Communications 13(1):3851, https://doi.org/​10.1038/s41467-022-31432-y.

Smeed, D.A., B.I. Moat, E.L. McDonagh, G. McCarthy, B.A. King, W.E. Johns, and H.L. Bryden. 2020. Reduction in ocean heat transport at 26°N since 2008 cools the eastern Subpolar Gyre of the North Atlantic Ocean. Journal of Climate 33(5):1,677–1,689, https://doi.org/10.1175/JCLI-D-19-0323.1.

Stager, J.C., D.B. Ryves, B.M. Chase, and F.S. Pausata. 2011. Catastrophic drought in the Afro-Asian monsoon region during Heinrich Event 1. Science 331(6022):1,299–1,302, https://doi.org/​10.1126/science.1198322.

Stocker, T., and A. Schmittner. 1997. Influence of CO2 emission rates on the stability of the thermohaline circulation. Nature 388:862–865, https://doi.org/​10.1038/42224.

Stommel, H. 1961. Thermohaline convection with two stable regimes of flow. Tellus 13:224–230, https://doi.org/​10.3402/tellusa.v13i2.9491.

Supran, G., S. Rahmstorf, and N. Oreskes. 2023. Assessing ExxonMobil’s global warming projections. Science 379(6628):eabk0063, https://doi.org/​10.1126/science.abk0063.

Swingedouw, D., A. Bily, C. Esquerdo, L.F. Borchert, G. Sgubin, J. Mignot, and M. Menary. 2021. On the risk of abrupt changes in the North Atlantic subpolar gyre in CMIP6 models. Annals of the New York Academy of Sciences 1504(1):187–201, https://doi.org/10.1111/nyas.14659.

Thompson, B. 1797. The complete works of Count Rumford (1870). Boston, American Academy of Sciences 1:237–400.

Todd, R.E., and A.S. Ren. 2023. Warming and lateral shift of the Gulf Stream from in situ observations since 2001. Nature Climate Change 13:1,348–1,352, https://doi.org/10.1038/s41558-023-01835-w.

Trenberth, K.E., Y. Zhang, J.T. Fasullo, and L. Cheng. 2019. Observation-based estimates of global and basin ocean meridional heat transport time series. Journal of Climate 32(14):4,567–4,583, https://doi.org/​10.1175/JCLI-D-18-0872.1.

van Westen, R., M.A. Kliphuis, and H.A. Dijkstra. 2024. Physics-based early warning signal shows AMOC is on tipping course. Science Advances 10(6), https://doi.org/​10.1126/sciadv.adk1189.

Warren, B.A. 1983. Why is no deep water formed in the North Pacific? Journal of Marine Research 41:327–347.

Weijer, W., W. Cheng, S.S. Drijfhout, A.V. Fedorov, A. Hu, L.C. Jackson, W. Liu, E.L. McDonagh, J.V. Mecking, and J. Zhang. 2019. Stability of the Atlantic Meridional Overturning Circulation: A review and synthesis. Journal of Geophysical Research: Oceans 124(8):5,336–5,375, https://doi.org/​10.1029/​2019JC015083.

Welander, P. 1982. A simple heat-salt oscillator. Dynamics of Atmospheres and Oceans 6:233–242, https://doi.org/10.1016/0377-0265(82)90030-6.

Wood, R.A., A.B. Keen, J.F.B. Mitchell, and J.M. Gregory. 1999. Changing spatial structure of the thermohaline circulation in response to atmospheric CO2 forcing in a climate model. Nature 399:572–575, https://doi.org/10.1038/21170.

Yin, J., S.M. Griffies, and R.J. Stouffer. 2010. Spatial variability of sea level rise in twenty-first century projections. Journal of Climate 23(17):4,585–4,607, https://doi.org/10.1175/2010JCLI3533.1.

Zhang, R., and G.K. Vallis. 2007. The role of bottom vortex stretching on the path of the North Atlantic western boundary current and on the northern recirculation gyre. Journal of Physical Oceanography 37(8):2,053–2,080, https://doi.org/​10.1175/​JPO3102.1.

Zhang, R. 2008. Coherent surface-subsurface fingerprint of the Atlantic meridional overturning circulation. Geophysical Research Letters 35(20), https://doi.org/10.1029/2008GL035463.

Zhu, C., Z. Liu, S. Zhang, and L. Wu. 2023. Likely accelerated weakening of Atlantic overturning circulation emerges in optimal salinity fingerprint. Nature Communications 14(1):1245, https://doi.org/​10.1038/s41467-023-36288-4.

 

Questo è un articolo ad accesso aperto reso disponibile secondo i termini della licenza internazionale Creative Commons Attribution 4.0

5 responses so far

5 Responses to “LA CIRCOLAZIONE ATLANTICA STA RAGGIUNGENDO UN PUNTO DI NON RITORNO?”

  1. Renato R.on Mag 19th 2024 at 12:35

    Grazie Redazione per questa bella e interessante traduzione.
    Saluti.

    RR

  2. piero bianuccion Mag 21st 2024 at 17:18

    Davvero MAGISTRALE anche come capacità di comunicazione scientifica

  3. Alessandro Saragosaon Mag 21st 2024 at 22:39

    Ma se il rallentamento della Amoc provoca un raffreddamento dei mari intorno alla Groenlandia meridionale, questo non ridurrà il rilascio di ghiaccio da parte dell’isola, impedendo un collasso totale della corrente? Insomma, non potrebbe essere che questo meccanismo contenga un feedback negativo che agirà come freno, prima di arrivare al punto di non ritorno?

  4. Alessio Belluccion Mag 23rd 2024 at 16:27

    @Alessandro Saragosa
    Va considerato che un eventuale collasso della AMOC – stando a quanto mostrano ad esempio van Westen et al. (2023*; stesso team olandese citato nell’articolo di Rahmstorf) – si accompagnerebbe ad una forte espansione dei ghiacci marini (fino a 45N; si veda Fig. 4 nell’articolo citato) con ulteriore riduzione degli scambi di calore all’interfaccia oceano-atmosfera e inibizione del processo di convezione profonda.
    Il “cold/fresh blob” nelle temperature/salinità superficiali, associato al progressivo indebolimento della AMOC, va quindi visto come un segnale anticipatore di un processo di graduale riduzione della superficie oceanica esposta agli scambi con l’atmosfera, e l’effetto prevalente – sempre stando a quanto mostrato dai modelli – sarebbe quello sopra descritto, e non quindi il feedback negativo da lei menzionato.

    (*) van Westen, R. M., & Dijkstra, H. A. (2023). Asymmetry of AMOC hysteresis in a state-of-the-art global climate model. Geophysical Research Letters, 50, e2023GL106088. https://doi. org/10.1029/2023GL106088

  5. […] di aggravare, piuttosto che diminuire, l’impatto delle emissioni umane sul sistema climatico (come mostrato recentemente per quanto riguarda la circolazione atlantica). Questo rischio di non linearità futura è l’incertezza che non ci è […]

Leave a Reply


Translate