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L’incerto futuro del Protocollo di Kyoto

Sta per iniziare la conferenza di Durban: la situazione delle negoziazioni per un secondo accordo sul clima si presenta molto diversa da quella – tutto sommato semplice – fondata su accordi vincolanti di riduzione delle emissioni.

Da quando nel 1997 è stato approvato il Protocollo di Kyoto, e ancor di più dopo la sua entrata in vigore nel febbraio del 2005, “Kyoto” è stata una parola che ha accompagnato numerose azioni di enti pubblici o individuali di riduzione delle emissioni; una parola inserita nel nome di organizzazioni e progetti, osservatori, master, sportelli per le aziende, dichiarazioni e impegni concreti. Insomma, una parola simbolo delle politiche sul clima.
Sempre più spesso si sente dire che il protocollo di Kyoto è morto, ha fallito, che è stato o va abbandonato. Quanto c’è di vero in queste affermazioni? E quali sarebbero le conseguenze per le politiche sul clima, per il futuro climatico del pianeta?
Per rispondere, occorre capire come funzionano le trattative, i tavoli negoziali e le forze in gioco. Questo sarà l’oggetto di questo e dei prossimi post.

Sin dalla sua approvazione, era chiaro che il Protocollo di Kyoto era una risposta parziale, iniziale, ad un problema grande e complesso. Ma siccome ogni lungo percorso inizia con un piccolo passo, ci si è spesso riferiti a “Kyoto” per spronare all’azione, per mostrare a quanti dubitavano della necessità di azioni concrete (o viceversa erano preoccupati per la lentezza delle risposte della politica) che qualcosa si stava facendo: tutto sommato era stato approvato un obbligo di riduzione delle emissioni in un quadro legale vincolante. Nel 2008-2012 i principali paesi industrializzati e quelli con le economie in transizione (riportati nell’Annex B del Protocollo: Stati Uniti, Europa, Canada, Giappone, Australia, Federazione Russa, ecc.) si impegnavano a ridurre le loro emissioni del 5,2% rispetto a quelle del 1990.
Sin dal 1997 era evidente che il Protocollo di Kyoto non poteva essere l’unica misura contro i cambiamenti climatici, ma il preliminare a una seria politica sul clima. Data la crescita delle emissioni in economie emergenti come la Cina, l’India, il Brasile, Messico, Sudafrica, Corea del Sud, anche se i paesi industrializzati avessero tutti rispettato gli impegni, le emissioni globali sarebbero comunque aumentate, come in effetti è successo.

Era evidente e scritto nello stesso Protocollo che per ridurre ulteriormente le emissioni dopo il 2012 dovevano arrivare altri accordi. Si iniziò a parlarne fin dal 2005, e grande è stata l’attesa per la Conferenza delle Parti di Copenhagen del 2009, in cui si sperava nell’approvazione di un secondo accordo vincolante, che dopo il 2012 sostituisse quello di Kyoto. L’ambizioso obiettivo non venne però raggiunto.
Secondo l’analisi effettuata da Carraro e Massetti in questo articolo, gli scenari più ottimisti non erano basati sulla reale conoscenza dello stato di avanzamento dei negoziati, che si trovavano – e si trovano tuttora – ad affrontare due ostacoli insormontabili.

Il primo luogo, gli Stati Uniti non potevano firmare alcun accordo vincolante, in quanto il Senato americano aveva bloccato la legislazione sul clima che avrebbe dato al Presidente Obama la credibilità per porsi obiettivi più ambiziosi. Inoltre i Paesi “in rapida crescita” (Cina, India, Brasile) non erano disposti a ridurre le emissioni nell’immediato, ma più realisticamente dopo un certo periodo, e ciò implicava che l’obiettivo di contenere l’aumento della temperatura a livelli di sicurezza non sarebbe comunque stato raggiunto.
In secondo luogo, i paesi in rapida crescita erano e sono ancora riluttanti ad assumere qualsiasi impegno di riduzione delle emissioni giuridicamente vincolante, in quanto il loro obiettivo primario è quello di ridurre la povertà. Essi sottolineano inoltre che le attuali concentrazioni di gas serra in atmosfera attuali sono solo marginalmente attribuibili alle loro emissioni. Quindi, il loro rifiuto di firmare qualsiasi accordo giuridicamente vincolante, quando le grandi economie mondiali non sono pronte a farlo, è in gran parte comprensibile.
Questi sono gli ingredienti di base del cosiddetto “stallo climatico” che ha impedito la firma di un vero e proprio successore del Protocollo di Kyoto e ha spinto il penultimo vertice sul clima a “prendere atto” di un più modesto “accordo di Copenaghen”, la mattina del 19 dicembre 2009.
Gli Accordi di Cancun dello scorso dicembre hanno ancorato l’accordo di Copenhagen ad una decisione della Conferenza delle Parti; ciò lo integra all’interno del solido processo della Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici delle Nazioni Unite. Le riduzioni delle emissioni promesse non sono cambiate e un accordo vincolante sembra ancora fuori portata. Tuttavia, si sono registrati diversi progressi, descritti in questo post.
Nei mesi scorsi le possibilità di disporre di una legislazione nazionale sui cambiamenti climatici negli Stati Uniti sono rapidamente scomparse e hanno ulteriormente complicato la situazione negoziale. Tuttavia le difficoltà degli Stati Uniti sono solo una parte del problema.
In effetti, il “punto morto del clima” è il sintomo di un’architettura internazionale frammentata: i paesi sono disposti a compiere passi verso la riduzione dei gas serra ma su base volontaria e non coordinata. L’Unione Europea sta agendo con decisione per ricomporre il quadro in modo da poter riprodurre un accordo giuridicamente vincolante, tipo Kyoto, con obiettivi ben definiti, ma sembra un tentativo destinato all’insuccesso.

Secondo numerosi osservatori (una sintesi è disponibile in questo editoriale di Carraro e Massetti o in questa analisi di Daniel Bondansky)  ci sono molte ragioni per ritenere che lo stallo nei negoziati non sarà superato in un prossimo futuro. Non solo nell’imminente COP17 di Durban, in Sud Africa, dal 28 novembre al 9 dicembre 2011, ma anche nei prossimi anni.
Per le sorti delle politiche sul clima, significa che tutto è perduto, che non succederà niente?
È ancora possibile una politica del clima realistica, saldamente radicata nelle azioni che i paesi hanno unilateralmente promesso a Copenaghen, e che porti alle significative riduzioni di gas serra indicate come necessarie dalla comunità scientifica? Andarsene da Kyoto potrebbe lasciare spazio ad una serie di accordi multilaterali più efficaci, come prospettato in un recente commento su Nature?
Oppure senza azioni vincolanti si tratta solo di rinvii, che non porteranno ad impegni seri in grado di deviare la traiettoria delle emissioni rispetto allo scenario business as usual?

Non è facile a dirsi, e anche solo fra i membri del Comitato Scientifico di Climalteranti le posizioni sono diverse, e c’è anche chi ritiene ancora possibile che le posizioni più intransigenti siano superate a Durban, con un accordo politico che prepari la strada per impegni vincolanti nel lungo periodo.

Molti sono i punti ancora oggetto di negoziato a Durban (ad esempio, non è ancora chiaro quale sarà il prossimo strumento legale, trattato, protocollo o altro) e diversi sono gli scenari possibili.
Alcune questioni chiave discusse a Durban molto probabilmente rimarranno al centro della politica climatica ancora per anni.
L’unica cosa sicura è che la futura politica sul clima sarà più articolata e complessa di quanto fosse il Protocollo di Kyoto, con diverse tipologie di impegni e un numero maggiore di Paesi coinvolti, con la partecipazione degli Stati ma anche della società civile, del settore privato, degli enti locali, ecc. e con un notevole spazio per specifici meccanismi tecnologici e finanziari.
Al centro dell’attenzione non ci sono solo gli impegni nazionali per il 2020, ma gli impegni di trasferimento di risorse ai paesi in via di sviluppo per le azioni di mitigazione e di adattamento (il Fondo verde per il Clima di Copenaghen), il ruolo del mercato di carbonio quale strumento per la riduzione delle emissioni, nonché le azioni di mitigazione e di adattamento dei cambiamenti climatici dei paesi in via di sviluppo. Perché una parte di questi paesi è già – e sarà ancora di più – vulnerabile, un sostegno internazionale alle loro misure di adattamento a corto e medio termine può favorire un consenso su un accordo veramente globale, basato su una “visione comune”.
Forse al mondo dell’informazione piacerebbe di più un accordo last-minute fra i Grandi Capi di Stato con un diluvio di sorrisi e dichiarazioni sul pianeta che è stato salvato, oppure un fallimento totale con pianti e scontri di piazza, purtroppo la situazione è molto, molto più intricata.

 

PS

Per chi volesse seguire i lavori della COP17 di Durban, può essere utile consultare il sito web della conferenza, i programmi giornalieri sulla pagine dell’UNFCCC e per iniziare la sintesi aggiornata proposta dal Segretario Christina Figueras.
Su Twitter l’hashtag è  #cop17.

 

 

Testo di Stefano Caserini, con contributi di Valentino Piana, Federico Antognazza, Emanuele Massetti, Sandro Federici e Sylvie Coyaud.

20 responses so far

20 Responses to “L’incerto futuro del Protocollo di Kyoto”

  1. Antonioon Nov 26th 2011 at 23:01

    @ il Senato americano aveva bloccato la legislazione sul clima

    Io direi: le lobby del big oil e big coke avevano occupato e bloccato il Senato
    Si continua a vedere queste azioni come se fossero delle cose normali, e non come dei veri e propri crimini, non solo verso la democrazia ma verso il futuro del pianeta
    Perchè alla fine il gioco è truccato, andrebbe detto

  2. Ericaon Nov 27th 2011 at 12:35

    Sarà, ma a me mi sembra che si sta facendo davvero poco. Forse dall’interno si vedono dei passi in avanti, ma le emissioni crescono a rotta di collo, e noi stiamo tutto sommato a guardare, parliamo di sviluppo, sviluppo, crescita, crescita. E se faranno degli accordi per ridurre le emissioni nel 2050, chi lo dice che poi li rispetteranno?
    Ci vorrebbero più donne in quelle trattative e vedrete che un accordo lo trovano, li sono quasi sempre tutti maschi

  3. Ericaon Nov 27th 2011 at 12:39

    Dimenticavo, grazie per il link agli scritti di Bodansky e Carraro, sono un po’ lunghi ma se li leggi trovi cose che da noi non si sanno, almeno da noi sui giornali non le trovi

  4. […] […]

  5. Riccardo Reitanoon Nov 27th 2011 at 19:15

    Enrica
    io credo che tendiamo a valutare i progressi in base all’obiettivo che uno spera di raggiungere, fermare l’aumento dei gas serra in atmosfera. L’obiettivo è ancora lontano, è vero, e purtroppo il tempo non gioca a nostro favore. Aggiungendo anche il ritmo “sincopato”, fatto di frenate e ripartenze, della diplomazia internazionale, è facile avere l’impressione di un continuo nulla di fatto. Un po’ frustrante.
    Ma io vedo che a parte qualche eccezione tutti gli Stati, chi più chi meno, si stanno muovendo anche a pescindere dagli accordi internazionali. L’intenzione quindi sembra esserci, è il dividere gli impegni che sembra difficile.

  6. Fabioon Nov 27th 2011 at 23:41

    io credo che sia sbagliato più che altro il concetto e il modo in cui vengono organizzati e pubblicizzati questi avvenimenti.
    1) ok, è fallito copenaghen, ma non è organizzando l’incontro in una località turistica messicana o in una località quasi sconosciuta che si risolve il problema.
    dovrebbero fare queste cose in città che permettano un ampio dibattito e un’opportuna pubblicità.
    sembra invece che dopo l’esposizione mediatica di Cop, cercano di stare alla larga da queste cose, quando dovrebbe essere il contrario.
    (e non cito sul fatto che dopo il Dicembre artico del 2009 non ci pensano minimamente a ripresentarsi in un luogo dal clima già di per se freddo, come se questo poi avesse una reale influenza sui trattati)

    2) la cosa su cui sbagliano è quella di fare tutto questo per motivi che non hanno più senso ormai.
    la CO2 e tutte ste cagate varie ormai hanno stufato, perchè non impegnarsi seriamente sull’inquinamento dei fiumi e delle acque potabili?
    perchè non combattere i fumi tossici (e la CO2 ricordiamo non è chimicamente un inquinante ne è dannoso per l’uomo, se non a concentrazioni esagerate)
    perchè non combattere contro prodotti chimici che vengono utilizzati in prodotti di uso quotidiano senza che nessuno dica niente????

    io un mio motivo ce l’ho, ed è di natura pecuniaria, perchè dire che i petrolieri i guadagnano dal global warming è una ca22ata immane.

  7. Riccardo Reitanoon Nov 28th 2011 at 10:41

    Fabio
    le Nazioni Unite sono molto più impegnate, ad esempio, sul fronte cibo e acqua che sul clima; le due cose non sono in contrasto. Le prime guardano alle esigenze di breve periodo, il secondo al lungo periodo. Vanno fatte entrambe, non c’è dubbio.

    Perchè si parla tanto di clima e CO2 e non di inquinamento “classico”? Forse perché il secondo non lo nega nessuno e già da decenni si cerca di intervenire, sia pur con risultati contrastanti; sul primo, invece, si discute ancora, non si trova un accordo e c’è anche chi nega del tutto che il problema esista. Probabilmente ricorderai quanto si è parlato del “dramma” delle bombolette spray e dei frigoriferi senza CFC; siglato l’accordo, definiti i meccanismi, è sparito dalle news. Lo stesso accadrebbe con i gas serra; non vedo l’ora!

  8. Federicoon Nov 28th 2011 at 11:21

    un altro hashtag su twitter che potrebbe essere una variabile forte a Durban è #occupydurban, lanciato dalle delegazioni dei paesi in via di sviluppo…. vedremo che succederà…

  9. Luci0on Nov 28th 2011 at 11:43

    In effetti il riscaldamento globale probabilmente esiste ma non é prodotto dall’ uomo decenni di superattività solare hanno prodotto i fenomeni che conosciamo, riduzione della calotta Artica (non quella Antartica) aumento delle temperature ma i disastri ed i guasti al nostro pianeta li ha causati sicuramente l’ uomo. La specie “homo sapiens” ha molto successo e la popolazione sta aumentando , il problema principale é che il nostro pianeta non potrà sopportare questa crescita all’ infinito le risorse come le conosciamo attualmente sono limitate e ad un certo punto cominceranno a scarseggiare. Cosa succederà quando questo accadrà? Ci saranno sistemi per riservarsi un diritto su queste risorse … bene il trattato di kyoto é un tentativo di impedire che si alterino i rapporti dei consumi di “petrolio” o meglio carbonio fossile tra i paesi. Chi ha sempre consumato potrà continuarlo a fare anche se in misura ridotta e nessuno potrà usare questa risorsa per crescere. Ma attualmente non crescere con le strutture economiche e finanziarie significa crisi e recessione… Se guardiamo bene i paesi europei sono stati i primi a credere nel trattato di kyoto che ha prodotto i primi risultati.. Infatti sono i primi a pagare il conto della non crescita.

  10. Riccardo Reitanoon Nov 28th 2011 at 13:37

    Luci0
    che io sappia la crisi è partita dagli USA, che non hanno firmato Kyoto, per tutt’altra ragione. Il primo paese europeo ad essere colpito è stata l’Islanda che è fuori dalla Comunità Europea e dall’euro e di certo non ha problemi energetici. Il legame fra Kyoto e l’attuale crisi mi sembra labile, a dir poco.

  11. Luci0on Nov 28th 2011 at 17:12

    @R. Reitano in effetti il legame é labile, ma comunque ritengo molto improbabile che una politica di riduzione dei cosiddetti gas serra possa portare ad un rilancio delle economie europee, credo che sia molto più probabile il contrario. Questo perché le nuove tecnologie sono più costose e quindi porteranno a breve una riduzione di produttività e comunque un ulteriore indebitamento. Inoltre chi non rispetta il protocollo sarà sanzionato. Da qui si capisce che non ci potrà essere crescita economica per chi si sottoporrà al nuovo trattato. Il problema é che le economie attuali funzionano e avranno credito e fiducia verso il mondo finanziario solo se crescono e quindi come andrà a finire ? Semplice i capitali finiranno nei paesi che promettono più sviluppo e crescita .. ovvero quelli che attualmente inquinano di più !

  12. Luci0on Nov 28th 2011 at 17:23

    Si capisce quindi che il motore di questa crescita é il capitale che é in grado con le tecnologie attuali di moltiplicarsi e replicarsi a spese delle risorse naturali, fossili e umane del nostro pianeta. Co le attuali tendenze non ci sarà alternativa ad un mondo più inquinato.

  13. Riccardo Reitanoon Nov 28th 2011 at 21:36

    Luci0
    l’economia non è certo il mio campo, ma basta conoscere un po’ di storia per sapere che tutte le nuove tecnologie sono inizialmene più costose; se azzeccate, ovviamente, nel lungo periodo si affermano. Dalla rivoluzione industriale ad oggi gli esempi sono innumerevoli. Di più, spesso sono propio i periodi di crisi a fare da culla alle grandi trasformazioni, quale quella auspicabile oggi.

    Non saranno le tecnologie alternative di produzione di energia a tirarci fuori dalla crisi? Non so, probabilmente non nei prossimi quadrimestri, orizzonte purtroppo tipico dei mercati e della politica. Ma guardando anche solo poco più lontano è probabile che arrivare prima alla inevitabile trasformazione del sistema energetico sarà un vantaggio significativo per tutti, ma soprattutto per i paesi prevedibilmente più colpiti dai cambiamenti climatici.

  14. oca sapienson Nov 29th 2011 at 22:34

    @Fabio

    “cagate”
    Durban sarà quasi sconosciuta a lei, ha quattro volt e più abitanti di Copenaghen. I vertici _mondiali_ si tengono in varie parti del _mondo_ qualunque sia il clima, rif. le regole ONU.

    Siamo decine di milioni a impegnarci contro l’inquinamento di aria, acqua e suoli, per mestiere e/o da volontari. Lei cos’aspetta?

    @Luci0

    “decenni di attività solare”
    Dal 1975 diminuisce e la temperatura aumenta, quindi secondo lei meno attività solare c’è e più fa caldo?

    “nuove tecnologie”
    Si diffondono perché aumentano la produttività e costano sempre meno, come dice Riccardo. Secondo gli economisti, fanno eccezione le centrali nucleari e certe tecnologie militari.

    “il protocollo di Kyoto… è un tentativo di impedire che si alterino i rapporti dei consumi di “petrolio” o meglio carbonio fossile tra i paesi”
    Lo confonde con la guerra in Iraq.

    “capitale”
    Lei fa discorsi da ricco che teme che la crisi dei paesi ricchi gli porti via i suoi privilegi e d’inverno lo costringa a mettersi un maglione in più.
    Nei paesi poveri, l’energia solare si diffonde più rapidamente perché costa un millesimo dell’elettricità da fonti fossili o idriche. Non serve “capitale” né reti di distribuzione. Fa risparmiare su tangenti, materie prime, tassi d’interesse, costi amministrativi, sanitari e ambientali. E crea pure posti di lavoro.

    Trova le cifre da http://www.iea.org

  15. stephon Nov 29th 2011 at 23:52

    @ocasapiens
    “Dal 1975 diminuisce e la temperatura aumenta, quindi secondo lei meno attività solare c’è e più fa caldo?”
    Ma come, non lo sai ancora? È la nuova moda presso di terraps. Anticorrelazioni per sostenere principi che altrimenti sfocerebbero nella pata-fisica e nell’astrologia.

    @Luci0
    “decenni di superattività solare”
    Allude agli ultimi decenni del 18esimo secolo, per caso? O a quelli centrali del 19esimo secolo? O a quali?
    http://img189.imageshack.us/img189/7982/schermata20111129a23562.png

  16. Luci0on Nov 30th 2011 at 11:58

    Quanta pazienza con chi non vuol capire .
    Tutto il ‘900 é stato caratterizzato da attività solare elevata rispetto all’ ‘800 ma i cicli 21 22 23 sono stati notevoli 1975-2007 probabilmente il ciclo 24 sarà molto debole.
    Da notare che il numero di Wolf usato per indicare l’ attività solare é un metodo molto empirico che non porta nessuna informazione sul valore della costante solare (TSI) ed é quindi un indice abbastanza qualitativo. In genere gli effetti del minimo solare influiscono poco sull’irradianza solare 1-1,5W/mq che non sembrano esser sufficienti a provocare crisi termiche in tempi rapidi.
    Quello che si nota durante i periodi di minimo solare é invece una tendenza al raffreddamento meteorologico quasi istantaneo .. basti pensare agli inverni dell’ 85 ’96 2008 é probabile che la riduzione del vento solare provoca effetti come la non schermatura dei raggi cosmici che probabilmente provocano un amento della formazione di nubi a bassa quota e relativo aumento dell’ albedo soprattutto nelle zone equatoriali dove si concentra la maggior parte della radiazione solare, in questo modo gli oceani subiscono un raffreddamento con effetti meteo immediati. Il raffreddamento comincerebbe quindi dal raffreddamento della fascia equatoriale e non dai poli . Ma per favore cercate di capire che queste non sono cavolate … qui qualcuno si stà sbagliando, (… spero io adesso) ma un raffreddamento globale é molto peggio del riscaldamento.

  17. oca sapienson Nov 30th 2011 at 14:43

    @Luci0

    “durante i periodi di minimo solare é invece una tendenza al raffreddamento meteorologico quasi istantaneo”
    Ma va? Durante il minimo solare 2007-2010 ci sono stati quattro degli anni più caldi mai registrati dal 1860 in poi.

    “non sono cavolate”
    Ha da segnalare qualche ricerca in materia o dobbiamo crederle sulla parola?

    “un raffreddamento globale è molto peggio di un riscaldamento globale”
    Per chi? Dove stanno le nazioni più povere e popolate del mondo, secondo lei?

  18. Adminon Nov 30th 2011 at 14:58

    Lucio

    L’argomento dei cicli solari non riguarda questo post. Per cui ogni uteriore commento su
    questo tema sarà rimosso.

  19. stephon Nov 30th 2011 at 15:59

    @Lucio
    “Quanta pazienza con chi non vuol capire”
    È esattamente quello che penso anch’io, sa quanta ce ne vuole per chi – oltre a non voler capire – si diverte a dissipare il prezioso tempo altrui?
    Per cui, non avendone in quantità mostruose ed essendo la pazienza come il tempo una risorsa non rinnovabile, da adesso per me lei non esiste più. Enjoy yourself and bye.

  20. Stefano Caserinion Dic 9th 2011 at 10:00

    se interessa seguire l’ultima giornata della COP17, segnalo che qui c’è il webcast

    http://unfccc4.meta-fusion.com/kongresse/cop17/templ/ovw_onDemand.php?id_kongressmain=201

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