Quando i grafici inquietano
L’altro giorno un amico mi ha girato questo grafico sull’andamento della superficie nevosa della calotta di ghiaccio in Groenlandia soggetta a fusione, con la domanda: si sono starati gli strumenti di misurazione?
La linea rossa, che mostra la percentuale di superficie di fusione nel 2019, sembra in effetti essere impazzita, fuori scala rispetto ai dati del range interquartile 1981-2010 (ossia dove sono compresi il 50% dei dati de periodo, grigio scuro) o del range interdecile (che comprende il 90% dei dati, grigio chiaro).
La risposta, purtroppo, è no, gli strumenti e le elaborazioni del National Snow and Ice Data Center funzionano correttamente. Effettivamente la fusione della neve superficiale in Groenlandia nei giorni scorsi è stata notevole per questo periodo dell’anno: quasi metà della superficie sta fondendo ancora prima che inizi l’estate.
L’area soggetta a fusione è stimata a partire da dati satellitari tramite un algoritmo che indica “fusione sì” o “fusione no” per ogni cella di 25 x 25 km su una mappa quotidiana, elaborata “quasi in tempo reale”.
Se si consulta il grafico interattivo del NSIDC, si nota come gli eventi di fusione anticipata avvengono dall’inizio di questo decennio, con picchi più vistosi nel 2012 e nel 2016.
La fusione superficiale accelera durante la seconda settimana di aprile con picchi verso la fine del mese e nei primi giorni di maggio. Le condizioni meteorologiche negli ultimi 2 mesi sono state caratterizzate da temperature ben al di sopra la media del periodo di riferimento 1981-2010, con più di 4 gradi centigradi sopra la media del periodo e venti prevalentemente orientali.
Nonostante questo sia stato un riscaldamento rilevante, l’estensione della fusione superficiale della neve stagionale è comparabile agli anni precedenti del periodo 2010-2018.
Tuttavia non va sottovaluta: le osservazioni raccolte dalle stazioni meteo in Groenlandia indicano che negli ultimi anni, basse precipitazioni nevose combinate con il riscaldamento superficiale provocano una precoce fusione del manto nevoso stagionale. Altri dati satellitari mostrano dal 1992 un calo quasi costante della massa complessiva della calotta di ghiaccio che copre l’isola, un calo che contribuisce all’innalzamento del livello medio dei mari.
Oltre a cercare di ridurre le emissioni climalteranti il più rapidamente possibile, conviene quindi prepararci pianificando e attuando in tempo azioni di adattamento agli impatti sulle coste.
Testo di Stefano Caserini, Sergio Castellari, Sylvie Coyaud e Paolo Gabrielli
16 responses so far
“Altri dati satellitari mostrano dal 1992 un calo quasi costante della massa complessiva della calotta di ghiaccio che copre l’isola, un calo che contribuisce all’innalzamento del livello medio dei mari.”
Volevo sapere se è stata fatta una stima di quanto possa incidere la riduzione della massa di ghiaccio che ricopre l’isola sull’innalzamento del livello medio dei mari. Solo per quanto riguarda la Groenlandia, intendo.
@ Giovanni Sonego
La tab. 4.1 dell’IPCC-AR4 – cap. 4 fornisce un valore di 7,3 metri come aumento potenzale del livello medio dei mari per la fusione dei ghiacci della Groenlandia.
https://wg1.ipcc.ch/publications/wg1-ar4/ar4-wg1-chapter4.pdf
Se ricordo bene ho letto di una riduzione fino al 15% della velocità della Corrente del Golfo negli ultimi anni. Ciò potrebbe essere dovuto anche la contributo dello scioglimento dei ghiacci della Groellandia?
Giovanni Sonego,
ieri su Science Advances, sono uscite nuove stime: “da 5 a 33 cm entro il 2100”, dipende da quanto e quando riduciamo le emissioni. L’articolo è gratuito (merita)
https://advances.sciencemag.org/content/5/6/eaav9396
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Riccardo Liburdi,
sembra proprio di sì: https://www.climalteranti.it/tag/amoc/
Grazie!
I dati giornalieri che non dicono nulla, va vista la tendenza pluriennale, in quattro giorni si sono ridotti del 50%
La tendenza è chiara come l’ acqua di scioglimento:
nell’ ultimo decennio la Groenlandia perde circa 50 miliardi di tonnellate di ghiaccio all’ anno, rispetto a poco più di 20 Gton/anno medie considerando gli oltre 50 anni in cui si hanno dei dati
https://www.nature.com/articles/s41586-019-1071-0
Alberto, l’articolo che citi mi sembra analizzi solo i ghiacciai DISTINTI dalle calotte glaciali di Antartide e Groenlandia. L’area di 706.000 km2 in considerazione è estremamente più piccola dell’area totale (14.000.000 + 2.130.800) e il contributo al sea level rise molto inferiore ai 7,3 metri della solo Groenlandia. In attesa di Grace FO, la precedente missione evidenzia una perdita di massa di 281 Gton/anno e non 50.
https://www.youtube.com/watch?v=ZVWXC_j7Dqs
Saluti
Vero. L’ articolo citato considera i ghiacciai “costieri” della Groenlandia (oltre a quelli del resto del mondo tutti in ritirata con la modesta eccezione di quelli dell’ Asia sud-occidentale) e già solo questi indicano una tendenza all” aumento dello scioglimento inequivocabile.
E come al solito nel blog Climate Monitor minimizzano dicendo che in Groenlandia i ghiacci aumentano, che i dati sono manipolati, i modellini “farlocchi” (by Robertok06), che le temperature sono in perfetta media, etc…
E giù insulti su insulti a Greta ,tanto per cambiare.
Spero che vinca il Nobel così a qualche negazionista nostrano scoppia il fegato dalla collera. 🙂
Questo è quello che hanno rilevato ricercatori dell’Alaska, studiando il permafrost nell’Arcipelago ‘Artico Canadese
Nell’Artico Canadese, strati di permafrost che gli scienziati si aspettavano rimanessero ghiacciati per almeno 70 anni, hanno già iniziato a sciogliersi. La superficie, che prima era ghiacciata, ora sta affondando ed è punteggiata di laghi di fusione, tanto che dalle immagini satellitari sembra avere l’aspetto del formaggio svizzero. “Eravamo stupiti che questo sistema rispondesse così velocemente alle maggiori temperature dell’aria”, ha dichiarato Louise Farquharson, co-autrice dello studio e membro del Permafrost Laboratory dell’University of Alaska Fairbanks. “Quello che abbiamo visto era incredibile. È un’indicazione che il clima ora è più caldo che in qualsiasi altro momento degli ultimi 5.000 anni o più”, ha dichiarato a Reuters Vladimir Romanovsky, professore di geofisica dell’università.
Il permafrost è il suolo che rimane ghiacciato per almeno 2 anni e svolge un ruolo fondamentale nel trasferimento di carbonio dalle cose viventi all’atmosfera, ha spiegato Farquharson. La ricercatrice fa parte di un team internazionale di ricercatori che monitora le variabili ambientali su 3 isole dell’Artico Canadese. I dati che hanno analizzato nel loro studio, pubblicato sulla rivista Geophysical Research Letters, sono stati raccolti tra il 2003 e il 2016. Il team ha utilizzato un aereo per visitare siti incredibilmente remoti.
Viaggiando attraverso uno squarcio nelle nuvole, i ricercatori hanno detto di essersi trovati davanti un paesaggio che era irriconoscibile dall’incontaminato terreno artico che avevano incontrato durante le visite iniziali circa 10 anni fa. I ricercatori hanno registrato lo scioglimento del permafrost a profondità che non erano attese prima del raggiungimento dei livelli di temperatura dell’aria previsti dall’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) dopo il 2090. L’IPCC, che fa parte delle Nazioni Unite, fornisce informazioni scientifiche per aiutare a guidare le politiche climatiche dei Paesi. Il paesaggio si era dissolto in un mare ondulato di hummock, avvallamenti e laghi noti come thermokarst, come mostrano le foto a corredo dell’articolo. La vegetazione, prima sparsa, aveva iniziato a fiorire.
Romanovksy ha detto che la scena gli ha ricordato le conseguenze di un bombardamento. “È molto probabile che questo fenomeno influenzi un’area molto più estesa ed è quello che vedremo in seguito”, ha aggiunto. Gli scienziati sono preoccupati dalla stabilità del permafrost a causa del rischio che il rapido scioglimento possa rilasciare enormi quantità di gas che intrappolano il calore, creando un circolo vizioso che alimenterebbe a sua volta aumenti di temperatura ancora più veloci. Cambiando la conformazione fisica del paesaggio, il thermokarst influenza anche gli ecosistemi locali e i corsi d’acqua invitando la crescita delle piante, alterando i cicli stabili dei nutrienti e permettendo la sedimentazione dei corsi d’acqua e forse dei sistemi costali.
Determinare l’estensione dello sviluppo del nuovo thermokarst è difficile, ma ci sono pochi dubbi che sia un problema esteso. Farquharson e il suo team ipotizzano che circa 600.000km² di permafrost siano vulnerabili alla rapida fusione superficiale.
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Il tempo non sarà il clima, e un evento locale non fa GW: siamo tutti d’accordo.
Ma lasciatemi scrivere che a me inquietano davvero, e molto, le prospettive dei prossimi giorni.
Il modello ECMWF annuncia per dopodomani, giovedì, temperature di 26 gradi alla quota di 850 hPa, su tutto il NW Italia. Un evento folle, completamente fuori scala.
[…] responsabili del sito ‘climalteranti’, molto attenti a documentare in modo quantitativo i problemi climatici, hanno pubblicato […]
https://www.ilpost.it/2019/06/26/foto-cani-slitta-acqua-1984/?fbclid=IwAR2qHQgSfMr7cyES3LqG4YlgDwc3qvp_Fim91qVeY1Ji-vjPHf_vDhvlAGo
[…] la civiltà umana, come la conosciamo. Come abbiamo già mostrato in altri post (ad esempio qui , qui e qui […]