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L’effetto del coronavirus nella lotta allo smog e al riscaldamento globale

In questi giorni in cui l’epidemia coronavirus ha fermato l’Italia ed è ormai diventata una pandemia globale, si è iniziato a discutere se la riduzione delle attività lavorative, la chiusura delle scuole e il forte calo dei trasporti, che dopo la Cina ormai riguarda tante nazioni del mondo, possa contribuire alla lotta allo smog e al cambiamento climatico, a causa della riduzione delle emissioni inquinanti e di gas serra.

Nel caso della Cina, una dettagliata analisi di Carbon Brief ha documentato una rallentamento dell’attività della “fabbrica del mondo” e una riduzione consistente nell’utilizzo del carbone in ambito industriale, ed è stata stimata una riduzione di 200 milioni di tonnellate di CO2, pari a circa la metà delle emissioni italiane annuali. Anche per l’Italia è attesa una riduzione delle emissioni inquinanti e di CO2, legate al minore traffico in molte città e ai minori spostamenti, nonché al regime ridotto delle attività produttive in molte aree.

Sono state mostrate anche delle mappe sulla riduzione dell’inquinamento dell’aria in Cina nel mese di febbraio, rispetto al mese di gennaio, e l’animazione delle concentrazioni di NO2 nel nord Italia da gennaio. Qualcuno si è spinto a scrivere che il coronavirus avrebbe ridotto in modo esponenziale l’inquinamento atmosferico in Lombardia.

Qual è quindi l’effetto dell’epidemia Covid-19 sull’inquinamento dell’aria e sul riscaldamento globale?

Innanzitutto, va detto che l’inquinamento dell’aria non dipende solo dalle emissioni, ma anche (e soprattutto) dalla meteorologia, che in alcune zone come la Pianura Padana gioca un ruolo chiave. Se si considera l’inquinamento su un’area vasta, in particolare la Pianura Padana, i fattori meteorologici sono molto importanti: ad esempio, le riduzioni nelle concentrazioni di PM10 e NO2 avvenute in Lombardia nei giorni 26-27 febbraio sono state dovute ad un significativo episodio di Fohn, che ha contato molto di più nel ripulire l’aria rispetto alla riduzione del traffico motorizzato indotta dall’emergenza Coronavirus. La persistenza della notevole riduzione del traffico veicolare avrà sicuramente un effetto sulla qualità dell’aria, ma va ricordato che i mesi di gennaio e febbraio sono sempre stati caratterizzati da maggiori concentrazioni di NO2 e PM10, destinate a diminuire con l’avanzare della stagione primaverile, meteorologicamente più dinamica. Sia perché le temperature più basse determinano maggiori emissioni dal settore riscaldamento, di NOx (prevalentemente dal gas naturale) e di PM10 (prevalentemente dalla legna), ma soprattutto perché le condizioni diffusive (stabilità atmosferica, altezza dello strato di mescolamento, velocità del vento) sono mediamente più sfavorevoli nei mesi di gennaio e febbraio.

Nel caso cinese c’è stato sicuramente un effetto della riduzione delle attività industriali, ma l’attribuzione del miglioramento della qualità dell’aria al coronavirus richiede anche qui di valutare il ruolo della meteorologia.

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Per quanto riguarda le emissioni climalteranti in Italia, non è ancora possibile quantificare la riduzione delle emissioni di CO2 e di altri gas serra da quando è partita l’emergenza coronavirus, perché dipende da diversi fattori.

Le emissioni da traffico (24% delle emissioni di gas serra nel 2018 secondo l’inventario nazionale delle emissioni di ISPRA) sono sicuramente diminuite a causa della forte riduzione degli spostamenti.

Secondo i dati Terna, la produzione elettrica (25% delle emissioni di gas serra) dei primi 13 giorni di marzo 2020 (a destra) mostra, rispetto ai primi 13 giorni di marzo 2019 (a sinistra) una riduzione di circa il 5-10%, in particolare negli ultimi giorni in cui il blocco delle attività è stato esteso e riguarda anche diverse attività industriali.

 

Le emissioni da riscaldamento degli edifici (19% delle emissioni di gas serra) dipendono maggiormente dalle temperature esterne, quindi si può ritenere che l’effetto dell’epidemia sia trascurabile, Senza tuttavia escludere un possibile incremento di consumo dovuto alla permanenza forzata di molte persone nelle loro case, in ore in cui l’uso del riscaldamento viene solitamente ridotto. Ma l’effetto della variazione delle temperature, in tendenziale aumento per motivi squisitamente stagionali (e si ricorda che siamo al termine dell’ennesima stagione invernale con temperature ben al di sopra delle medie), è più importante.

Infine, le emissioni industriali (12%) dipendono in particolare dalle attività più carbon-intensive (es. produzione cemento, acciaio) che per ora non sembrano intaccate in modo significativo dall’emergenza coronavirus.

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Se si parla del riscaldamento globale atteso nel futuro, va tenuto conto di un fatto molto spesso trascurato: il riscaldamento dell’atmosfera non dipende delle emissioni di gas serra in un singolo anno, ma dalle concentrazioni di gas serra presenti nell’atmosfera, e che quindi hanno un effetto radiativo. La permanenza di una sostanza inquinante nell’atmosfera dipende dalla sua stabilità, ossia dall’equilibrio fra i processi di produzione e rimozione: la CO2, il principale gas serra, ha una lunga permanenza nell’atmosfera, per cui il riscaldamento globale nel lungo periodo dipende dall’andamento cumulato delle emissioni globali.

In altre parole, le minori emissioni legate al coronavirus avranno un effetto del tutto trascurabile sulle temperature di quest’anno o dei prossimi anni. Quest’ultime dipenderanno in primo luogo dalla variabilità di breve periodo (che determina l’esistenza di un anno record in una zona o a livello globale), e in secondo luogo, nella loro tendenza di lungo periodo, dall’entità delle emissioni pluriennali di gas serra e degli assorbimenti di CO2, naturali o antropici.

Se sarà confermata la riduzione globale delle emissioni di CO2 causata dell’emergenza coronavirus (probabilmente dovuta in prevalenza al rallentamento nell’uso del carbone cinese, e dalla riduzione dei trasporti e delle attività industriali in diverse parti del mondo), una volta superata la crisi bisognerà comunque fare il possibile per evitare il “rimbalzo” delle emissioni.

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L’aspetto più importante del legame fra la pandemia globale del coronavirus e il riscaldamento globale è quindi quale saranno le conseguenze a lungo termine di quanto sta succedendo in questi giorni. Riteniamo sia troppo difficile e prematuro fare queste previsioni. Possiamo segnalare almeno due aspetti cruciali.

Il primo è quanto l’attuale drastico e forzato cambiamento della vita quotidiana porterà degli insegnamenti, che a loro volta potranno indurre un cambiamento del precedente modello di sviluppo e di vita, fondato su un consumo e spreco enorme di risorse, fra cui l’energia. L’attuale situazione, pur nella sua gravità, lascia intravedere la possibilità di attuare nuovi modelli comportamentali, come lo smart-working, o le riunioni e lezioni a distanza, che possono dare un piccolo contributo alla soluzione. Non possiamo che auspicare che questo si realizzi, e che questo lungo periodo di clausura per milioni di persone porti ad uno sguardo diverso verso i limiti del pianeta e la necessità di affrontare adeguatamente in modo preventivo i rischi globali”

Il secondo, decisamente più critico, è quanto le esigenze di rilancio dell’economia dopo l’uscita dalla crisi potranno rallentare la tendenza alla decarbonizzazione che si è vista negli ultimi anni, nonché il negoziato internazionale sul clima, che vedeva proprio nel 2020 un anno cruciale, con un rilancio degli impegni di riduzione (NDC) previsti dall’Accordo di Parigi da parte di tutti gli Stati. Il rischio è che l’emergenza sanitaria possa restringere gli spazi del confronto democratico, attenuando l’indubbio effetto delle azioni di mobilitazione che nell’ultimo anno hanno messo il tema del cambiamento climatico nell’agenda della politica e della finanza. Un fattore importante sarà sicuramente il tipo di risposte che il mondo politico e finanziario metterà in campo per fronteggiare la crisi economica che si intravvede all’orizzonte.

Nell’incertezza dell’attuale situazione, la certezza che porta la scienza del clima è che solo con tagli drastici e permanenti alle emissioni sarà possibile modificare l’attuale tendenza al riscaldamento del pianeta. E solo con la completa decarbonizzazione e la rimozione dell’atmosfera di centinaia di miliardi di tonnellate di CO2 sarà possibile invertire la tendenza e tornare ai livelli di temperature che sono necessari per evitare l’alterazione di lungo termine del clima del pianeta, dei suoi ghiacci e degli equilibri ecologici della biosfera.

 

 

Testo di Stefano Caserini, con contributi di Simone Casadei e Mario Grosso

38 responses so far

38 Responses to “L’effetto del coronavirus nella lotta allo smog e al riscaldamento globale”

  1. Damiano di simineon Mar 15th 2020 at 14:08

    C’è da mettere in conto, nel lungo termine, anche l’effetto di questa lunga convivenza domestica sui trend demografici. In termini di natalità aumentata. Lo sapremo tra 10 mesi.

  2. maurizioon Mar 16th 2020 at 15:19

    Il 25% delle emissioni di CO2eq attribuito alla produzione di energia, non è solo produzione di energia elettrica macomprende anche raffinerie, impianti di trasformazione combustibili solidi et al.

    dal CRF 2017 per CO2 (non CO2 eq)

    1. Energy industries 104215.40
    a. Public electricity and heat production 77820.34
    b. Petroleum refining 20618.47
    c. Manufacture of solid fuels and other energy industries 5776.59

  3. Stefano Caserinion Mar 16th 2020 at 18:46

    @ Damiano

    sì, vero, e si potrebbe anche vedere le statistiche sull’aumento dei casi di separazione, divorzio, patricidi e matricidi… 😉

  4. Federico Fierlion Mar 17th 2020 at 13:37

    Stefano, E necessario applicare vari caveat al dato da satellite. Per quanto potente da un punto di vista dell’immagine, il dato si riferisce colonne totali di NO2 e quindi: (1) non sono emissioni (2) dipendono dall’altezza dello strato limite atmosferico e dalla circolazione, come giustamente dici.

  5. Valentinoon Mar 17th 2020 at 13:40

    ampio studio sull’esperienza cinese https://go.skimresources.com/?id=143429X1608040&url=https%3A%2F%2Fwww.who.int%2Fdocs%2Fdefault-source%2Fcoronaviruse%2Fwho-china-joint-mission-on-covid-19-final-report.pdf&sref=https%3A%2F%2Ftime.com%2F5796425%2Fchina-coronavirus-lockdown%2F&pref=https%3A%2F%2Fwww.google.com%2F&xuuid=1e8e39e2335a03e1dc6146f86278e6a9&xtz=-60&xs=1&jv=amp%401.0.3

  6. Vittorio Marlettoon Mar 17th 2020 at 13:46

    A margine della crisi sarebbe in effetti altamente auspicabile una riflessione sindacale e politica sull’enorme quantità di lavoro che si potrebbe svolgere SEMPRE da casa senza far muovere tutti i santi giorni milioni di persone da casa agli uffici, alle scuole, alle università, con tutte le conseguenze pesantissime che ne derivano, dai costi agli incidenti all’inquinamento al cambiamento climatico… E magari fare una propostina di legge in merito.

  7. Simone Casadeion Mar 17th 2020 at 13:51

    @ Federico Fierli
    Esatto, sono riportate le concentrazioni di NO2 (umol/m2) in colonna troposferica rilevate da satellite, non le emissioni (in mg/km o g/s) come invece comunicato dall’ESA stessa e poi ripreso ovunque sui media. Tra l’altro non considerando, erroneamente, il ruolo decisivo della meteorologia nella dispersione degli inquinanti in atmosfera, ovvero nella determinazione delle concentrazioni in atmosfera degli inquinanti. Concentrazioni espresse in ug/m3 (o umol/m2, appunto), ovvero una massa per unità di volume, non un’emissione, ovvero una massa per unità di spazio o di tempo.
    Insomma nel cercare di chiarire la differenza tra emissioni e concentrazioni c’è ancora da lavorare… tanto, ed anche ad alti livelli, quanto meno nella comunicazione.

  8. Stefano Caserinion Mar 17th 2020 at 15:08

    @ Federico Fierli

    Si, infatti nel post parliamo di concentrazioni; non risulta chiaro?

  9. Savinoon Mar 17th 2020 at 16:55

    Nel primo degli aspetti cruciali di cui si dovrà tenere conto c’è anche la constatazione pratica ed evidente della quantità enorme di lavoro “non essenziale” si faceva prima dell’emergenza, riunioni, scambi di email, documenti etc.
    Quando si riprenderà l’attività o si deciderà di ridurre l’orario di lavoro o avremo un enorme problema occupazionale a mio parere.

  10. Mario Grossoon Mar 17th 2020 at 17:55

    Ulteriori evidenze sul ruolo dell’inquinamento atmosferico rispetto a un virus che attacca soprattutto i polmoni:
    https://www.adnkronos.com/salute/sanita/2020/03/17/coronavirus-smog-polveri-sottili-autostrade-per-covid_pdQM3MBwDhNdjYvOzRJmON.html

    https://www.theguardian.com/environment/2020/mar/17/air-pollution-likely-to-increase-coronavirus-death-rate-warn-experts

  11. ALESSANDRO SARAGOSAon Mar 17th 2020 at 19:26

    Si moltiplicano su tutti i mezzi di informazione le considerazioni sul tema del post, come

    http://www.meteoweb.eu/2020/03/coronavirus-lallarme-linquinamento-aumenta-il-numero-delle-vittime-causando-ipertensione-diabete-e-altre-malattie-respiratorie/1405151/

    e quelle sui paralleli fra emergenza virale ed emergenza ambientale/climatica. Per esempio, da Greenpeace

    IL CORONAVIRUS E IL NOSTRO FUTURO PROSSIMO

    di Andrea Pinchera

    Come ormai quasi tutti gli esperti dicono, la pandemia di COVID-19, determinata dal coronavirus (o SARS-CoV-2), ha molto a che fare con l’ambiente e con le campagne di Greenpeace. Giovanni Maga, direttore dell’Istituto di Genetica molecolare del CNR-IGM di Pavia, spiega per esempio che i fattori coinvolti nella crescente frequenza di epidemie degli ultimi decenni sono molteplici: «Cambiamenti climatici che modificano l’habitat dei vettori animali di questi virus, l’intrusione umana in un numero di ecosistemi vergini sempre maggiore, la sovrappopolazione, la frequenza e rapidità di spostamenti delle persone».

    È uno scenario che conosciamo bene, purtroppo. In un rapporto del 2007 sulla salute nel Ventunesimo secolo, l’Organizzazione mondiale della sanità – la stessa che pochi giorni ha definito ufficialmente quella del coronavirus una “pandemia” – avvertiva che il rischio di epidemie virali cresce in un mondo dove il delicato equilibrio tra uomo e microbi viene alterato da diversi fattori, tra i quali i cambiamenti del clima e degli ecosistemi. Altri coronavirus come SARS e MERS, e virus particolarmente gravi come HIV ed Ebola, sono lì a testimoniarlo.

    Un campanello d’allarme

    La diffusione di questi nuovi virus, in poche parole, sarebbe l’inevitabile risposta della natura all’assalto dell’uomo, come spiega la virologa Ilaria Capua, che dal 2016 dirige uno dei dipartimenti dell’Emerging Pathogens Institute dell’Università della Florida: «Tre coronavirus in meno di vent’anni rappresentano un forte campanello di allarme. Sono fenomeni legati anche a cambiamenti dell’ecosistema: se l’ambiente viene stravolto, il virus si trova di fronte a ospiti nuovi». In altre parole, distruggere la natura finisce quasi sempre per avere un impatto sulla nostra salute: «Se intervieni su un ecosistema e, nel caso, lo danneggi, questo troverà un nuovo equilibrio. Che spesso può avere conseguenze patologiche sugli esseri umani».

    È un meccanismo che viene raccontato benissimo da David Quammen, l’autore di “Spillover. L’evoluzione delle pandemie”, saggio che in queste settimane è letteralmente andato a ruba in tutte le librerie italiane. Lo cito parola per parola, da una intervista che ha appena concesso a Wired: «Le ragioni per cui assisteremo ad altre crisi come questa nel futuro sono che 1) i nostri diversi ecosistemi naturali sono pieni di molte specie di animali, piante e altre creature, ognuna delle quali contiene in sé virus unici; 2) molti di questi virus, specialmente quelli presenti nei mammiferi selvatici, possono contagiare gli esseri umani; 3) stiamo invadendo e alterando questi ecosistemi con più decisione che mai, esponendoci dunque ai nuovi virus e 4) quando un virus effettua uno “spillover” , un salto di specie da un portatore animale non-umano agli esseri umani, e si adatta alla trasmissione uomo-uomo, beh, quel virus ha vinto la lotteria: ora ha una popolazione di 7.7 miliardi di individui che vivono in alte densità demografiche, viaggiando in lungo e in largo, attraverso cui può diffondersi».

    Se si presta bene attenzione, il rischio di “spillover” è grande quanto il globo. Nel caso del coronavirus, le ricerche si concentrano sulla giungla della Cina e sulle popolazioni di pipistrelli locali. Ma nei casi di epidemie recenti, il virus sarebbe stato trasmesso da altri animali selvatici: civetta delle palme, dromedari, primati. E i luoghi di origine sono associati ai deserti del Medio Oriente o alle foreste tropicali dell’Africa, così come nuove patologie possono emergere, ed emergono, tanto dall’Amazzonia quanto dalle foreste dell’Australia. Anche il micidiale virus Ebola sarebbe arrivato all’essere umano grazie a un salto di specie, e per quanto ancora l’origine non sia certa, gli scienziati sospettano sempre di più dei pipistrelli: che sono mammiferi come noi, ma volano.

    Crisi climatica e virus antichi

    Ma il rischio potenziale potrebbe anche essere più esteso, assumendo una “dimensione temporale”. Lo scioglimento di ghiacci e ghiacciai, infatti, potrebbe rilasciare virus molto antichi e pericolosi. Nel gennaio 2020, per esempio, un team di scienziati cinesi e statunitensi ha comunicato di avere rintracciato all’interno di campioni di ghiaccio di 15 mila anni fa, prelevati dall’Altopiano tibetano, ben 33 virus, 28 dei quali sconosciuti. Tracce del virus della Spagnola sono state ritrovate congelate in Alaska, mentre frammenti di DNA del vaiolo sono riemersi dal permafrost nella Siberia nord-orientale. Proprio il permafrost rappresenta un ambiente perfetto per conservare batteri e virus, almeno fin quando non interviene il riscaldamento globale a liberarli. E che ciò possa avvenire lo testimonia un episodio dell’estate del 2016, quando – sempre in Siberia – l’antrace ha ucciso un adolescente e un migliaio di renne, oltre a infettare decine di persone.

    Clima e infezioni viaggiano insieme. A evidenziarne il legame, per esempio, è il “Lancet Countdown Report 2019”, che associa i cambiamenti climatici proprio a un’aumentata diffusione delle patologie infettive: in un pianeta più caldo, virus, batteri, funghi, parassiti potrebbero trovare condizioni ideali per esplodere, diffondersi, ricombinarsi, con un aumento tanto della stagionalità quanto della diffusione geografica di molte malattie. È un rischio che a Greenpeace abbiamo identificato per tempo: già nel “Rapporto Greenpeace sul riscaldamento della Terra” – che compie trent’anni tondi, essendo del 1990 – l’epidemiologo Andrew Haines, che successivamente sarebbe diventato direttore della London School of Hygiene & Tropical Medicine, avvertiva che tra gli effetti secondari dei cambiamenti climatici «la diffusione dei vettori di malattie dovrebbero essere causa di preoccupazione».

    In poche parole, se per il coronavirus il meccanismo identificato dagli scienziati è quello di un salto di specie innescato dalla promiscuità con animali selvatici, amplificato dalla concentrazione di popolazione nelle megalopoli e trasportato dalla globalizzazione, la crisi climatica potrebbe offrire scenari ancora più pericolosi. Ovvero il riemergere dai ghiacci dei Poli o dai ghiacciai dell’Himalaya di virus che il loro “spillover” lo hanno effettuato in tempi remoti e che pensavamo di avere debellato per sempre. O, peggio ancora, di patologie che non conosciamo affatto.

    Potere e responsabilità

    Come sostiene David Quammen, insomma, «più distruggiamo gli ecosistemi, più smuoviamo i virus dai loro ospiti naturali e ci offriamo come un ospite alternativo». La soluzione? Può essere solo in un completo ripensamento della nostra relazione con la natura: proteggere la biodiversità, fermare la crisi climatica, frenare la distruzione delle foreste e ridurre il consumo di risorse. Ricorda qualcosa? Sono questioni da sempre al centro delle campagne di Greenpeace, e delle nostre comunicazioni.

    Quando la pandemia di coronavirus sarà cessata, bisognerà intervenire sui fattori che l’hanno determinata. Senza operare quel meccanismo tipico di rimozione per il quale politici, giornalisti, opinione pubblica si riempiono della parola “clima” – per esempio – in presenza di uragani, alluvioni o incendi devastanti, salvo dimenticarsene un secondo dopo. Se ciò non avvenisse, se non si agisse sulle cause della diffusione di nuovi virus, che sono anche ambientali, continueremmo a vivere in una condizione di grave rischio potenziale.

    Il perché lo spiega ancora Ilaria Capua: «Noi viviamo in un ambiente chiuso. Come se fossimo in un acquario. La nostra salute dipende per il 20 per cento dalla predisposizione genetica e per l’80 per cento dai fattori ambientali. La cura deve studiare, oltre all’organismo in questione, anche il contesto». «Non possiamo uscire da questa situazione, da questo dilemma», ricorda Quammen: «Siamo parte della natura, di una natura che esiste su questo Pianeta e solo su questo. Siamo troppi, 7,7 miliardi di persone, e consumiamo risorse in modo troppo affamato, a volte troppo avido, il che ci rende una specie di buco nero al centro della galassia: tutto è attirato verso di noi. Compresi i virus».

    In altri termini, possiamo dire che la specie umana ha preso da tempo il “comando delle operazioni” sulla Terra, sottomettendo la natura ad azioni spesso irreversibili; è diventata un “agente di trasformazione”, come una forza geologica, tanto che gli scienziati usano il termine “Antropocene” per definire l’epoca attuale. Come sempre accade, a un potere quasi sconfinato – e distruttivo – bisogna sapere associare criteri di responsabilità altrettanto importanti, per evitare che l’impatto di tali trasformazioni sia devastante e si ritorca contro noi stessi. Mettendo a rischio la stessa specie umana. Non stiamo parlando del Pianeta, ma dei suoi abitanti. Di noi e dei nostri figli.

  12. ALESSANDRO SARAGOSAon Mar 17th 2020 at 20:51

    Secondo ricercatori dell Stanford University, la riduzione in inquinamento prodotto dal calo degli inquinanti a causa dello shutdown da coronavirus in Cina, e ora in Europa, potrebbe salvare più vite di quante se ne perderanno, direttamente, con il covid19

    Il link contiene anche un video Esa che mostra la riduzione di NOx sulla pianura padana dai primi di marzo in poi

    https://www.sciencealert.com/here-s-what-covid-19-is-doing-to-our-pollution-levels

    Certo sarebbe stato meglio se a questa riduzione di inquinamento ci fossimo arrivati con mezzi più soft di una pandemia…

  13. Stefano Caserinion Mar 17th 2020 at 23:48

    @ Mario, Alessandro

    La tesi portata dal lancio di Andkronos, ripreso dal molti altri mezzi di informazione, si basa su questo “position paper”:
    http://www.simaonlus.it/wpsima/wp-content/uploads/2020/03/COVID19_Position-Paper_Relazione-circa-l%E2%80%99effetto-dell%E2%80%99inquinamento-da-particolato-atmosferico-e-la-diffusione-di-virus-nella-popolazione.pdf

    Pur se è un testo scritto da diversi esperti di particolato e inquinamento dell’aria, alcune affermazioni come “Tale analisi sembra indicare una relazione diretta tra il numero di casi di COVID-19 e lo stato di inquinamento da PM10 dei territori”, mi paiono molto discutibili.

    Alcuni esempi di problemi:

    Lo “stato di inquinamento dell’aria da PM10” è descritto con il numero medio di superamenti della soglia di 50 ug/m3 di PM10. Una scelta arbitraria: e perché non usare la media delle concentrazioni di PM10, anzi meglio di PM2.5? Se il virus è portato da particelle fini, dovrebbe essere meglio portato dal PM2.5

    La media dei superamenti è fatta su base provinciale, quindi per Lodi si uniscono i dati di Codogno, Bertonico e San Rocco al Porto (all’interno o vicine alla zona rossa focolaio) con quelli di Montanaso e Lodi (più lontane). Il numero di “contagiati” a Lodi il 3 marzo era di 38, rispetto ad esempio ai 97 di Codogno; significa che per abitante residente Codogno aveva 7 volte i “contagiati” di Lodi. Se guardo i superamenti, vedo che Codogno ha 11 superamenti dei 50ug/m3 nel periodo 10-29 febbraio, Lodi-Vignati 9, solo perché in due giorni (11 e 14 febbraio) le concentrazioni di PM10 a Lodi sono state di 44 ug/m3, e a Codogno 51 e 57 ug/m3. La modesta differenza fra questi due valori di PM10, di 18 e 21 giorni prima del 3 marzo, può essere in “relazione diretta” con un valore di “contagi” 7 volte maggiore? Direi proprio di no.

    La media dei superamenti è fatta su base provinciale, quindi unendo nella media centraline molto diverse, sia “da traffico” (che hanno valori più elevati) che “di fondo urbano” (che hanno generalmente valori più bassi). Metterle assieme non ha molto senso. Ad esempio Lodi-S.Alberto (stazione di fondo urbano) ha praticamente le stesse concentrazioni medie annue di PM10 di Bertonico e S.Rocco al Porto.

    L’analisi della figura 1 del position paper è fatta correlando il numero medio dei superamenti nel periodo 10-29 febbraio con il logaritmo del totale degli “infetti da COVID-19” del 3 marzo, per provincia. Ma il numero degli infetti non lo sa nessuno, si conosce solo quelli che sono risultati positivi al tampone o ad altri sistemi di analisi.

    Il numero di tamponi fatti è stato molto diverso per Provincia, soprattutto nei primi giorni dell’epidemia il numero di tamponi della zona rossa lodigiana è stato molto alto, si facevano non solo ai sintomatici che richiedono cure (come ora) ma anche ai solo sintomatici e nei primi giorni anche a quelli che erano stati in contatto con i positivi. Poi si è smesso. Questo spiega in parte l’alto numero dei positivi nel lodigiano nei primi giorni, ma nonm è detto che da altre parti non c’erano (es. Bergamo). Per questo il numero degli infetti per provincia andrebbe preso con le pinze, in particolare per le prime settimane dell’epidemia.

    Insomma, da una prima analisi a me pare che la “relazione diretta” del position paper non sta in piedi.

    Abitando a Lodi, ed essendo in casa da ormai 3 settimane, avrei due suggerimenti per gli autori
    a) Un po’ di cautela prima di diffondere queste “relazioni dirette”
    b) Ricordarsi i grafici di Tyler Vigen sulle correlazioni spurie https://www.tylervigen.com/spurious-correlations

  14. ALESSANDRO SARAGOSAon Mar 18th 2020 at 08:59

    A mio parere, ammesso questo possa interessare al mondo…, l’idea che il virus usi le particelle di inquinamento come mezzo di trasporto mi pare piuttosto bizzarra: i virus respiratori sono bravissimi a passare da persona a persona anche in aria pulitissima, altrimenti non sarebbero arrivati fino a noi. Non hanno bisogno di cavalcare il PM 10 o 2,5.

    La relazione inquinamento-virus potrebbe essere più ragionevole invece nel senso che l’aria inquinata irrita le mucose respiratorie, cosa nota a chiunque abbia passeggiato in una città satura di smog, rendendole più permeabili al virus.

    E per quanto riguarda la mortalità, si sa che l’inquinamento peggiora la salute di tante persone, soprattutto aumentando frequenza e gravità di malattie respiratorie e cardiocircolatorie (da queste derivano i dati sulle morti che ogni anno avremmo potuto evitare, se non ci fosse stato l’inquinamento aereo), quindi se a persone già fatte ammalare o peggiorare dall’inquinamento, si aggiunge pure il virus, buonanotte.

  15. Antonioon Mar 18th 2020 at 09:27

    @ Caserini

    Grazie, condivido
    Da quanto ho letto gli infetti della provincia Bergamo erano ben altri… quindi la loro analisi va a farsi benedire
    In questo momento non abbiamo bisogno di chi si mette a giocare al piccolo epidemiologo

  16. Mario Grossoon Mar 18th 2020 at 11:50

    Segnalo anche questo:
    https://epha.org/coronavirus-threat-greater-for-polluted-cities/

  17. ALESSANDRO SARAGOSAon Mar 18th 2020 at 16:44

    Altri due interventi sul tema coronavirus-clima: paralleli, rischi, opportunità

    https://www.project-syndicate.org/commentary/covid19-is-climate-change-on-steroids-by-gernot-wagner-2020-03

    https://www.qualenergia.it/articoli/iea-lemergenza-coronavirus-e-un-test-per-la-transizione-energetica/

  18. Stefano Caserinion Mar 18th 2020 at 22:31

    Riguardo all’articolo https://epha.org/coronavirus-threat-greater-for-polluted-cities/, la didascalia della figura contiene due errori evidenti:
    Il primo è che il 26/2 non era affatto “dopo 10 giorni di misure anti-COVID-19” in Lombardia; per la regione sono iniziate dopo.
    Il secondo è che, come detto nel post, le riduzioni nelle concentrazioni di PM10 e NO2 avvenute in Lombardia nei giorni 26-27 febbraio sono state dovute ad un episodio significativo di Fohn, che ha riguardato una buna parte della pianura padana

  19. Paolo Nataleon Mar 19th 2020 at 09:32

    Ho studiato l’inquinamento atmosferico a Torino per 35 anni (1970-2005) e sono rassegnato a sentire sull’argomento le stupidaggini piu’ indegne, finalmente il vs articolo mi ha confortato nel constatare che si puo’ parlare conoscendo a fondo cio’ di cui si parla.

  20. ALESSANDRO SARAGOSAon Mar 19th 2020 at 10:15

    Ma non si può semplicemente verificare la presenza del covid 19 nel deposito di particelle che si accumulano nei filtri delle centraline di controllo inquinamento in un’area ad alta presenza di contagi? E così vedere se la cosa sta in piedi o meno?

    Fate il tampone al filtro e finiamo la polemica…

  21. Antonello Pasinion Mar 19th 2020 at 12:28

    Buongiorno a tutti,
    ho avuto modo di rispondere in parte (molto brevemente) a uno degli autori del position paper di SIMA, che anche secondo me ha molte “falle”:
    a Radio1 questa mattina.
    https://www.facebook.com/104236744367401/posts/158049318986143/

  22. Stefano Caserinion Mar 19th 2020 at 16:00

    Grazie Antonello, quello che hai detto è molto condivisibile.

    Aggiungo una cosa: gli autori del “position paper” trovano quella relazione diretta fra media dei superi della soglia di 50ug/m3 per PM10 nel periodo 10-29 febbraio e i positivi covid-19 del 3 marzo, usando i dati aggregati di 5 province.

    Ho quindi provato a fare gli stessi conti su 7 province lombarde (Bg, Bs, Cr, Lo, Mi, Mn, Pv, Va), sempre superi della soglia di 50ug/m3 per PM10 10-29 febbraio e positivi del 3 marzo. Sono province in cui i dati dei “contagi” sono un po’ più omogeni, ossia sono i positivi sintomatici che hanno avuto accesso alle cure, sempre con il limite di quanto possono essere davvero rappresentativi di quanti sono i totali positivi o dei positivi sintomatici.
    Il risultato è qui per i superi https://www.climalteranti.it/wp-content/uploads/2020/03/superi.jpg e qui per le concentrazioni medie https://www.climalteranti.it/wp-content/uploads/2020/03/medie.jpg

  23. Simone Casadeion Mar 19th 2020 at 16:54

    @Alessandro Saragosa
    Spunto interessante, ma poi credo mancherebbe lo step finale, ovvero dimostrare che il COVID19 adeso sulla particella inalata sia ancora attivo/attivabile e, una volta inalata la particella, questo riesca ad entrare in contatto con le cellule dell’apparato respiratorio e a moltiplicarsi.

    Credo l’esposizione delle cellule alveolari polmonari umane al particolato ne provochi stress ossidativo e risposta infiammatoria (oltre che rischio di evoluzione cancerogena). E’ probabile che un virus – COVID19 o altro – o anche un batterio che entri in contatto con cellule polmonari già “sotto attacco” da agenti esterni (l’inquinamento appunto) possa trovarne le difese indebolite e dunque superarle e moltiplicarsi, proliferare e diffondersi più agevolmente.

    Tornando al position paper, ha senso considerare i superamenti della soglia dei 50ug/m3 di [PM10] da correlare con variabili biologiche o sanitarie? Ovvero se in una località di una provincia si rilevano per 10 giorni consecutivi 51ug/m3 e in una località a pochi km in provincia attigua si rilevano per 10 giorni consecutivi 49ug/m3, nella prima provincia ci sarà impatto biologico o sanitario e nella seconda no?

  24. Stefano Caserinion Mar 19th 2020 at 18:12

    @ Simone Casadei

    Hai centrato uno dei punti deboli di quel position paper. La cosa strana è che hanno mostrato la correlazione solo con i superi, e non con le medie di PM10. Penso che chiunque si metta a fare il grande lavoro di scaricare i dati di PM10 tutte le centraline, almeno gli viene voglia di scaricare anche i dati delle medie del PM10 del periodo (e in molti casi per calcolare il numero dei superi devi scaricare i valori di concentrazioni, quindi le medie le hai in un attimo); per cui ho trovato strano che non sia stato mostrato il risultato della correlazione con la media del PM10.
    Aggiungo infine un’ultima cosa a quanto hai scritto. Chi misura il PM10 sa che l’incertezza della misura (dovuta alla difficoltà del taglio a 10 ug/m3) è tale per cui alla fine fra 49 e 51 non c’è una vera differenza.

  25. stefanoon Mar 19th 2020 at 22:26

    Questi sono i dati della mia centralina https://www.madavi.de/sensor/graph.php?sensor=esp8266-14094526-pms (che è online per il progetto Luftdaten), posizionata sul terrazzo di casa, ad un paio di Km dall’autostrada e comunque a poche decine di metri da una delle vie più trafficate della mia città (Firenze).
    Al di là dello spike di qualche minuto fa, dovuto proabilmente alla cottura di cibo da parte del vicino, è un grafico abbastanza insolito per questa stagione..
    Non ho la prova del 9 ma direi che, in una città in cui le polveri sottili hanno forte correlazione col traffico stradale, i valori registrati sono molto, molto bassi..nonostante possano sembrare solo ‘relativamente’ bassi.
    Nelle ore di punta di traffico mattutino e pomeridiano non è raro registrare valori di almeno il 50% superiori.
    Il sensore usato è amatoriale e l’approssimazione enorme non ne facilità la validazione a dato scientifico..però è un termometro..impreciso ma registra (devo dire che random ho confrontato i valori con le centraline professionali delle agenzie regionali e devo dire che l’errore è davvero trascurabile -tra il 5 e il 15%- visto il costo ridicolo del sensore).

  26. ALESSANDRO SARAGOSAon Mar 20th 2020 at 09:51

    Beh, già trovare il Rna del virus sul particolato darebbe sostanza all’ipotesi (anche se non la confermerebbe del tutto, visto che il particolato + UV solari potrebbe inattivare i virus)
    Non trovarlo, invece, smentirebbe l’ipotesi del tutto, mi pare.
    Magari il problema è che con il “tutti in casa”, adesso l’analisi avrebbe poco senso.
    Chissà però se i vecchi filtri vengono conservati in un archivio: se il virus si attaccasse veramente al PM, che resti infettivo o no, sarebbe un interessante indice dello sviluppo nel tempo della malattia nell’area. In fondo con la PCR si riescono a rilevare quantità infinitesime di materiale genetico.

  27. Alkèon Mar 20th 2020 at 09:59

    Questo dimostra quanto siano inquinanti le emissioni di carburanti fossili. Infatti, come dice l’articolo “E solo con la completa decarbonizzazione e la rimozione dell’atmosfera di centinaia di miliardi di tonnellate di CO2 sarà possibile invertire la tendenza e tornare ai livelli di temperature che sono necessari per evitare l’alterazione di lungo termine del clima del pianeta, dei suoi ghiacci e degli equilibri ecologici della biosfera.”
    Una volta finita questa situazione drammatica sarà meglio optare di spostarsi con la bicicletta o con una macchina elettrica, per garantire un futuro a noi e sopratutto alle future generazioni.

  28. ALESSANDRO SARAGOSAon Mar 20th 2020 at 10:27

    Evoluzione degli NOx sulla Cina fino al 16 marzo: il covid19 se n’è andato e loro stanno già tornando….

    https://www.esa.int/Applications/Observing_the_Earth/Copernicus/Sentinel-5P/COVID-19_nitrogen_dioxide_over_China

    opinione, critica, di Federico Fierli, Cnr, su ipotesi PM vettore
    http://www.meteoweb.eu/2020/03/coronavirus-esperto-cnr-cautela-nesso-smog/1407127/

    altra, sintetica, opinione critica sullo stesso tema
    meteoweb.eu/2020/03/coronavirus-lopalco-inquinamento/1406847/

  29. stephon Mar 20th 2020 at 11:28

    Occhio, eh. Non è che in Cina adesso improvvisamente sia tornato tutto come prima. Ci vuole tempo, parecchio tempo.
    I livelli di traffico e l’attività industriale rimangono gravemente depressi, nessuno ancora va al cinema, in ​​molte aree alle persone è ancora impedito di lasciare le loro abitazioni.
    Le vendite degli spazi immobiliari sono solo ancora al 43% rispetto a quelle di inizio anno, i consumi di carbone da parte delle centrali elettriche al 69%, i trasporti di container al 74%, gli ingorghi stradali all’88%, l’inquinamento dell’aria al 72%, le ammissioni ai box office sono ancora nulle.
    Vedi settimo grafo qui .

  30. claudio della volpeon Mar 22nd 2020 at 15:34

    una osservazione sull’analisi dei filtri per trovare il coronavirus; a me risulta che ARPAE non abbia dato il permesso di farlo; i filtri sono di ARPAE o comunque sono delle agenzie che gestiscono le centraline; non è banale fare le cose se il proprietario te lo vieta.
    un’altra osservazione invece è sulla questione dire non dire; è chiaro che questi colleghi hanno pensato che l’IPOTESI avevo senso; ora che poi sia giusta o meno si vedrà; benvengano le critiche di merito; mi fermerei però alle critiche di merito, in quanto non sarebbe la prima volta che ipotesi difficili da verificare siano poi risultate esatte;
    la questione di fondo è che il sistema di produzione di mercato che domina tutto il mondo non è adeguato ad affrontare questi problemi; li produce , li catalizza ma non riesce a gestirli; non è un problema solo tecnico, ma direi di fondo, qualunque sia la tecnica;anche un mondo a rinnovabili ma che fosse basato sul massimo profitto e dunque sulla disattenzione al resto della Natura correrebbe lo stesso rischio di trasformare le numerose mutazioni virali o batteriche in possibili spillover (che in se sono fenomeni naturali) ed infine in tragiche pandemie; voi che ne dite? dopo tutto l’effetto serra è un fenomeno naturale anche utile il problema è l’uso inappropriato dei fossili e il potenziamento di una cosa utile che ne rovescia le proprietà benefiche: dialettica hegeliana in certo senso.

  31. […] L’effetto del coronavirus nella lotta allo smog e al riscaldamento globale […]

  32. Fabioon Mar 31st 2020 at 22:54

    Bellissimo argomento, se ci fosse la possibilità di rimuovere i miliardi di tonnellate di Co2 dall’atmosfera e di rimuovere le tonnellate di plastica dal mare sarebbe una cosa fantastica e aprirebbe molte porte e prospettive di lavoro

  33. Marioon Apr 3rd 2020 at 22:51

    Ulteriori sviluppi della vicenda
    https://www.vaielettrico.it/lue-arruola-setti-vedremo-se-il-covid-19-viaggia-nellaria/

  34. Diegoon Apr 8th 2020 at 10:22

    Uno studio di Harvard riferito agli USA, nelle aree più inquinate è stato registrato un incremento della mortalità per Covid: le aree più inquinate sono quelle in cui si registrano più sindromi respiratorie acute, che vengono aggravate dal Covid.

    https://projects.iq.harvard.edu/covid-pm

    Qui poi un altro studio riferito al Nord Italia

    https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0269749120320601?via%3Dihub=

    “We provide evidence that people living in an area with high levels of pollutant are more prone to develop chronic respiratory conditions and suitable to any infective agent. Moreover, a prolonged exposure to air pollution leads to a chronic inflammatory stimulus, even in young and healthy subjects. We conclude that the high level of pollution in Northern Italy should be considered an additional co-factor of the high level of lethality recorded in that area”

  35. […] Molti di questi cambiamenti hanno “forzato” milioni di persone a forme di lavoro agile, hanno determinato la riduzione delle emissioni inquinanti suggerendo ulteriori studi sull’impatto dell’inquinamento atmosferico sulla salute umana, hanno […]

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