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Global Stocktake 2023: gli impegni climatici nazionali sono ancora insufficienti



Com’è noto l’Accordo di Parigi prevede di limitare l’aumento della temperatura globale ben al di sotto dei 2 °C, preferibilmente entro 1,5 °C. La principale autorità scientifica mondiale in materia di cambiamenti climatici, il Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC), ha dichiarato nel suo ultimo rapporto che, per restare in linea con gli obiettivi di 1,5 °C, le emissioni globali di gas serra dovranno iniziare a diminuire tra il 2020 e il 2025 fino a dimezzarsi entro il 2030, e raggiungere le zero emissioni nette  intorno al 2050. Per i 2 °C, l’obiettivo di neutralità emissiva (emissioni nette di gas serra pari a zero) è invece situato intorno al 2070.

 

L’attuazione dell’accordo si basa sui cosiddetti NDC (Nationally Determined Contributions, contributi o impegni determinati a livello nazionale): dopo un primo round di impegni presi tra il  2015 e il 2016, il secondo round di NDC nel periodo 2020-2021 ha portato ad un rilancio degli obiettivi di riduzione delle emissioni.

Questa è la prima conclusione del rapporto appena diffuso dal Segretariato della Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC), che ha passato in rassegna gli impegni climatici dei paesi contenuti negli NDC trasmessi dai paesi che nel complesso rappresentano il 95% del totale delle emissioni globali nel 2019.

Intervallo previsto dei livelli di emissione in base ai contributi determinati a livello nazionale (fonte: UNFCCC, 2023 figura 2)

 

Uno degli elementi chiave dell’Accordo di Parigi è il meccanismo di valutazione quinquennale dei progressi collettivi verso il raggiungimento degli obiettivi dell’Accordo, che prende il nome di Global Stocktake (bilancio globale, GST). Il GST prende in esame la mitigazione, l’adattamento e i mezzi di attuazione e sostegno finanziario, “alla luce dell’equità e della migliore scienza disponibile”. Insomma, si valuta dove siamo, a livello globale, rispetto a dove dovremmo essere.

 

Il primo GST si concluderà alla COP28, prendendo in considerazione:

  1. lo stato delle emissioni e degli assorbimenti di gas serra sulla base degli inventari nazionali;
  2. l’effetto complessivo degli NDC presentati e dei progressi compiuti verso la loro attuazione;
  3. lo stato delle azioni di adattamento;
  4. i flussi finanziari e le modalità di attuazione, comprese le informazioni relative al supporto finanziario (e tecnologico) fornito e ricevuto.

 
In tale contesto, il citato rapporto del Segretariato UNFCCC conferma che, sebbene si registrino passi in avanti rispetto a pochi anni fa, le azioni di mitigazione climatica rimangono insufficienti per raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi.

 

In particolare, tenendo conto dell’attuazione degli NDC ma senza ulteriori azioni, le emissioni globali di gas serra nel 2030 saranno dell’8,8% superiori al livello del 2010 e del 2% inferiori al livello del 2019. Si registra un lieve miglioramento, cioè un calo delle emissioni globali, rispetto a quelle calcolate nella versione precedente di questo rapporto (che dava rispettivamente +10,6% e -0,3%). Il livello di emissioni di gas serra entro il 2030 (figura seguente), stimato sulla base degli NDC, è di 51,6 Gt CO2eq, senza tener conto degli usi del suolo e delle foreste (settore Land Use, Land-Use Change and Forestry, LULUCF) (barra verticale rossa), e sale a 53,7 Gt CO2eq tenendone conto. È da notare che, per il settore LULUCF, il rapporto usa i dati dei modelli globali e non quelli degli inventari nazionali, una scelta delicata che riflette un tema complesso, sul quale torneremo in un futuro post.

 

Nel complesso, risulta evidente che gli impegni presi con gli attuali NDC non sono compatibili con le riduzioni previste negli scenari IPCC relativi ad un aumento di temperatura entro 1,5 °C e 2 °C (mostrate nella tabella SPM.1 del Synthesis Report del Sesto Rapporto IPCC).

Confronto fra gli scenari valutati nel Sesto rapporto di valutazione del Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC) con le emissioni globali totali previste in base ai contributi determinati a livello nazionale (fonte: UNFCCC, 2023 figura 8)

 

Sulla base delle informazioni disponibili, si stima quindi che l’aumento della temperatura a fine secolo potrebbe ricadere tra 2,1 e 2,8 °C; tale stima può collocarsi tra 2,1 e 2,3 °C se si suppone la piena attuazione degli NDC, compresi tutti gli elementi condizionali, intorno ai quali c’è notevole incertezza.

Per restare al di sotto di 1,5 °C di riscaldamento rispetto al livello degli anni 1850-1900, si stima che l’umanità non possa emettere più di altri 500 Gt di CO2 dal 2020 in poi. Le emissioni cumulative nel decennio 2020-2030 basate sugli ultimi NDC disponibili utilizzerebbero probabilmente l’87% di questo budget di carbonio. Ciò lascerebbe per i periodi successivi al 2030 soltanto circa 70 (60-80) Gt di CO2, che però equivalgono a soli due anni di emissioni globali totali di CO2 previste entro il 2030.

Allo stesso modo, nel contesto del bilancio del carbonio coerente con una probabilità del 67% di mantenere il riscaldamento sotto i 2 °C (stimata da IPCC in 1.150 Gt di CO2 dal 2020 in poi), le emissioni cumulative di CO2 nel 2020-2030, sulla base degli ultimi NDC, probabilmente utilizzerebbero il 38% del budget di carbonio rimanente (v. figura 9). In confronto, secondo le stime dell’IPCC, le emissioni storiche globali totali di CO2 fino al 2020 ammontano a 2.390 (2.150–2.630) Gt di CO2.

 

Budget di carbonio per obiettivi a 1,5 e 2 °C di incremento delle temperature globali (fonte: UNFCCC, 2023 figura 9)

 

Il citato rapporto del Segretariato UNFCCC fornisce dunque una fonte di dati essenziale per il GST.

Le conclusioni previste per il GST, ovvero che collettivamente gli impegni degli Stati non sono in linea con la riduzione delle emissioni necessaria a raggiungere gli obiettivi di Parigi, non sono nuove, in quanto sono già state delineate in numerosi articoli scientifici, nell’analisi del Carbon Action Tracker, e riassunte nell’ultimo rapporto IPCC (punto A.4 del Synthesis report: “Global GHG emissions in 2030 implied by nationally determined contributions (NDCs) announced by October 2021 make it likely that warming will exceed 1.5°C during the 21st century and make it harder to limit warming below 2°C”). La differenza è che ora a dirlo non sono gli scienziati, ma gli stessi Stati che sono Parti della Convenzione UNFCCC. L’adozione di queste conclusioni da parte della COP28 sarà uno strumento di pressione affinché gli Stati prendano in considerazione questo “gap” nella preparazione di impegni climatici più ambiziosi, entro il 2025. E altresì affinché mettano in campo le azioni legislative necessarie per l’implementazione degli impegni stessi.

 

 

Testo di Marina Vitullo, con il contributo di Stefano Caserini, Giacomo Grassi e Vittorio Marletto

6 responses so far

6 Responses to “Global Stocktake 2023: gli impegni climatici nazionali sono ancora insufficienti”

  1. Paoloon Nov 21st 2023 at 18:49

    E intanto:

    https://climate.copernicus.eu/global-temperature-exceeds-2degc-above-pre-industrial-average-17-november

  2. Armandoon Nov 26th 2023 at 08:39

    Citazioni dall’executive summary di un documento redatto da ECCO, un Think tank italiano sul cambiamento climatico, intitolato “Una governance macroeconomica per il clima”.

    “La transizione ecologica è fondamentale sia per il raggiungimento degli obiettivi
    climatici contenuti nello European Green Deal, sia per quelli di innovazione e
    competitività industriale del Green Deal Industrial Plan. La transizione è pertanto un
    prerequisito per la crescita e la sostenibilità del debito. La transizione dovrà però essere
    accompagnata, perché implica un passaggio degli investimenti da alcuni settori tradizionali
    verso altri dove la finanza privata non investirebbe in assenza di politiche specifiche. Il rischio
    di investimento deve quindi essere in parte sostenuto o garantito dal settore pubblico in
    modo da creare condizioni favorevoli per attrarre l’investimento privato.”

    OK, fin qui siamo tutti d’accordo.

    “Il finanziamento pubblico ha un ruolo fondamentale nella transizione, ed è importante
    che tutti gli Stati membri possano mettere in campo le risorse necessarie, a prescindere
    dallo spazio fiscale del Paese. Squilibri significativi nella capacità degli Stati membri di
    finanziare la transizione metterebbero a rischio il level playing field del mercato unico.”

    Ahia, cominciano le dolenti note…

    “Ad oggi, le proposte di riforma sul tavolo e il dibattito sulla riforma del Patto di stabilità e
    crescita sembrano indicare la mancanza del consenso politico per la creazione dello spazio
    fiscale necessario agli investimenti climatici a livello nazionale. Se però ciò non è possibile a
    livello nazionale, l’alternativa è che questo spazio venga creato a livello di Unione europea.”

    In una vignetta di Altan, una donna si rivolgeva al marito stravaccato a letto:

    – “Perché non sei in piedi?”

    – “Si vede che manca la volontà politica.”

    In sostanza, gli Stati non possono fare investimenti a causa del Patto di Stabilità.

    Davvero si pensa che ciò che non si riesce a fare a livello nazionale si riesca a farlo a livello transnazionale?

    Il resto del sommario è routine.

    “Una delle possibili opzioni in questo senso è l’implementazione dello European
    Sovereignty Fund, proposto nel Green Deal Industrial Plan, come un Fondo europeo per
    il clima. Questo Fondo dovrà essere legato alla presentazione di piani nazionali preparati
    sulla base dei Piani nazionali integrati energia e clima (PNIEC) e approvati dalla
    Commissione. Questi dovranno essere integrati nei piani di medio periodo previsti dalla
    riforma del Patto di stabilità. Ciò garantirebbe un controllo centrale sulle finalità di impatto
    e sui risultati, non ultimo tramite l’inclusione di robuste condizionalità e un monitoraggio
    regolare dell’uso dei fondi. Infine, questi piani dovranno integrare le misure orientate alla
    transizione ecologica contenute nei Piani nazionali di ripresa e resilienza (PNRR), per evitare
    la duplicazione di progetti e rispondere a una reale necessità di finanziamento che non
    potrebbe essere soddisfatta tramite fondi già esistenti.
    Un Fondo europeo per il clima dovrebbe contribuire alla spesa per investimenti ma
    anche sostenere incentivi che abbiano la funzione selettiva di creare un mercato di beni
    e infrastrutture compatibili con gli obiettivi climatici.”

    Però ci si sveglia nel finale.

    ” Inoltre, dovrebbe assicurare la
    disponibilità di spesa sociale per proteggere le fasce sociali negativamente impattate
    dalla transizione. Se così non fosse, la transizione risulterebbe molto più difficile, poiché il
    mercato dei beni a zero/basse emissioni rischierebbe di non raggiungere la scala necessaria
    per una concreta modifica dei modelli di consumo. Escludere le fasce più disagiate dalla
    transizione aumenterebbe invece disuguaglianze e tensioni sociali, alimentando
    l’opposizione al cambiamento.”

    Sì, lo so, lo avete detto anche voi. Solo un conto è dirlo, un conto è (decidere di) farlo.
    Un conto è pensarlo, un conto è mettersi lì con carta e penna e vedere se questo è fattibile.
    Ma soprattutto, bisogna decidere se questa transizione porterà a una società ancora più disuguale o c’è qualche speranza per quelli che, retoricamente, “sono stati lasciati indietro dal processo di globalizzazione” e che in realtà sono stati emarginati da politiche nazionali ed europee che avevano proprio quel preciso scopo.

    Il finale del testo non è incoraggiante:

    “L’attività di monitoraggio dell’implementazione del piano legato al Fondo europeo per il
    clima dovrà essere integrata nell’analisi di sostenibilità del debito (DSA) all’interno del
    Patto di stabilità. La Commissione europea dovrà inoltre dotarsi di modelli che integrino il rischio climatico, coordinandosi nella loro implementazione con gli strumenti che la Banca
    Centrale Europea sta approntando.”

    Fa pensare che gli autori non siano in grado di pensare ad alcuna alternativa all’esistente.
    Parlare di macro e ignorare i milioni di disoccupati prodotti da Maastricht in poi fa decisamente ribrezzo.

    Chiudo citando un’altra vignette di Altan: un anziano sbraita brandendo un ombrello:

    – “Italiani cacasotto! Vergogna!”

    – “Lei ha una virilità invidiabile per la sua età!”

  3. […] Questa differenza ha implicazioni rilevanti per la valutazione dei progressi collettivi sul clima, prevista alla COP28 attraverso il global stocktake, come riconosciuto sia dall’IPCC (footnote 40, IPCC Synthesis Report, SPM) che dai documenti preparatori del global stocktake (Synthesis report for the technical assessment component of the first global stocktake, paragrafi 32 e 33) – si veda il post precedente. […]

  4. […] Alla COP28 quindi l’impegno di tutti gli stati dovrebbe essere quello di accelerare in ogni modo la transizione, potenziando i propri piani nazionali, che al momento appaiono decisamente carenti, come riferisce l’ufficio Unfccc di Bonn, che organizza le COP a nome dell’Onu, e che ha curato un recente rapporto preparatorio alla conferenza. […]

  5. Valentino Pianaon Dic 6th 2023 at 17:33

    Aggiornamenti sulla COP28 ed i testi in discussioni, inclusi sul Global stocktake che deve dare forma ai prossimi NDC, sono pubblicati nel nostro sito

    http://www.accordodiparigi.it

  6. […] the Paris Agreement”. Si tratta del risultato della Global stocktake (bilancio globale) in cui, come abbiamo spiegato in un precedente post, si riconosce in modo chiaro l’insufficienza di quanto fatto finora a livello […]

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