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Net-zero, carbon budget e foreste: guida per non perdersi tra gli alberi

Sempre più si sente parlare di net-zero, di carbon budget, e del contributo delle foreste: questo post aiuta a capire alcuni concetti basilari per le politiche sul clima

 

Secondo l’IPCC, per limitare l’aumento di temperatura globale a 1.5 oC, oppure ben al di sotto dei 2oC rispetto all’epoca preindustriale, occorre giungere a emissioni di CO2 antropogeniche nette pari a zero (net-zero CO2), con forti riduzioni delle emissioni degli altri gas serra. Anche lo stesso accordo di Parigi prevede che per raggiungere questi obiettivi di contenimento delle temperature globali si debba raggiungere un equilibrio tra le fonti di emissioni e l’assorbimento di gas a effetto serra di origine antropica, indicando nell’articolo 4 che questo dovrà avvenire nella seconda metà di questo secolo, “su una base di equità, e nel contesto dello sviluppo sostenibile e degli sforzi tesi a sradicare la povertà”.

Il modo in cui questo equilibrio viene interpretato, raggiunto e mantenuto influenza il risultato, ossia l’aumento della temperatura globale. Alcune delle questioni da chiarire influenzano le scelte sulle politiche da intraprendere e la modalità della loro attuazione.

Tra gli aspetti da interpretare vi è la modalità di stima dell’assorbimento di CO2 da parte delle foreste. Diverse interpretazioni, ad esempio tra i modelli globali e gli inventari nazionali di gas serra, possono influenzare alcune informazioni necessarie per le politiche climatiche, ad esempio quanto sia il “carbon budget” residuo, come sarà spiegato in seguito.

Questo post illustra uno studio recente che aiuta a posizionare correttamente gli assorbimenti di CO2 delle foreste in una mappa verso gli obiettivi climatici di Parigi che tutti possono leggere. A tal fine, lo studio propone un linguaggio comune tra i modelli globali e gli inventari nazionali di gas serra. Senza questo linguaggio comune, i paesi apparirebbero collettivamente in una posizione migliore di quanto non siano in realtà.

 

Net-zero

Come mostrato dall’immagine sotto, basata sulla figura 2 del cross-chapter box 8, capitolo 12 del sesto Rapporto IPCC-WG3, non tutte le emissioni antropogeniche (CO2 e non-CO2) si potranno azzerare. Net-zero significa che tali emissioni residue (ad esempio, da settori come l’agricoltura, l’industria pesante, l’aviazione) dovranno essere bilanciate da una quantità equivalente di assorbimenti di CO2 tramite sistemi di carbon dioxide removals (CDR). Se al momento i CDR sono quasi esclusivamente dovuti agli assorbimenti di CO2 dal settore “Uso del suolo” (soprattutto le foreste), in futuro si prevede che si aggiungano altri mezzi tecnologici, come la cattura e lo stoccaggio del carbonio applicata alla bioenergia (BECCS), la cattura diretta e stoccaggio della CO2 dell’aria (DACSS), il dilavamento accelerato delle rocce (enhanced weathering) o l’alcalinizzazione del mare (si veda la review del capitolo 12 del sesto Rapporto IPCC-WG3).

Rappresentazione schematica del percorso di emissioni future per raggiungere emissioni nette pari a zero, basata sulla figura 2 del cross-chapter box 8, capitolo 12 del sesto Rapporto IPCC-WG3. I tempi del net-zero dipendono dall’obiettivo di temperatura: ad esempio, secondo l’IPCC, il net-zero per la CO2 si dovrà raggiungere entro circa il 2050 per stare al di sotto di 1.5oC, ed entro circa il 2070 per i 2oC. Per gli altri gas serra, è necessaria una forte riduzione.

 

Carbon budget residuo

Un altro concetto fondamentale è quello del “carbon budget residuo”, ovvero la quantità totale di CO2 che possiamo ancora immettere in atmosfera prima di raggiungere una determinata temperatura, con una certa probabilità e tenendo conto dell’effetto di altri forzanti climatiche di origine antropica. Concettualmente, è l’area in rosso che sottende la traiettoria delle emissioni nette di CO2 nella figura sopra.

Questo concetto si basa su una conclusione chiave a cui è giunta la scienza del clima: nonostante l’enorme complessità del sistema climatico, fatto di una molteplicità di forzanti e feedback, esiste una relazione sostanzialmente lineare tra CO2 accumulata in atmosfera e riscaldamento globale (si veda la figura a fianco, tratta da IPCC-AR6-WG1). Questa relazione è stata osservata empiricamente per il passato ed è prevista dai modelli per il prossimo futuro (vedasi qui).

L’IPCC stima che la CO2 cumulata che possiamo ancora emettere, dall’anno 2020 in poi, sia pari a circa 500 GtCO2 per restare entro 1.5oC e circa 1350 GtCO2 per restare entro 2oC (con il 50% di probabilità). Studi recenti, tenendo conto della CO2 emessa tra il 2020 e il 2022 (circa 40 GtCO2 all’anno), dell’aggiornamento dei modelli e di altri fattori, riducono questo budget a partire dal 2023 a circa 250 GtCO2 per restare entro 1.5oC, e a 1200 GtCO2 per i 2oC.

 

Come contare il ruolo delle foreste per capire a che punto siamo

Che l’assorbimento antropogenico di CO2 nel settore Uso del suolo (soprattutto foreste) rappresenti un contributo necessario per raggiungere il net-zero è assodato, sebbene sia chiaramente non sufficiente. Qui però la vicenda si fa complicata: negli ultimi anni, alcuni studi (qui e qui) hanno evidenziato un’enorme divario nelle stime globali di CO2 antropogenica emessa o assorbita dalle foreste e altri usi del suolo, a seconda che per stimarla si utilizzino i modelli globali considerati dall’IPCC AR6 oppure gli inventari nazionali dei gas serra utilizzati per valutare i progressi rispetto agli obiettivi dell’Accordo di Parigi.

Questo divario, pari a circa 6 Gt CO2/anno a livello globale (15% di tutte le emissioni antropogeniche di CO2), riflette principalmente diversi approcci per separare la componente  “antropogenica” da quella “naturale” nei flussi di CO2 dalle foreste. Secondo i modelli, la componente antropogenica include il cambio d’uso del suolo e le operazioni selvicolturali (taglio e ricrescita), mentre quella naturale è dominata dall’effetto fertilizzante dell’aumento della CO2 atmosferica, che in assenza di altri fattori limitanti (come acqua o azoto) influenza positivamente la crescita delle piante. Dato che la crescita delle foreste fa parte delle dinamiche naturali degli ecosistemi, la separazione tra queste due componenti è impossibile attraverso le misure dirette impiegate dagli inventari nazionali dei gas serra (ad esempio la crescita annua della biomassa forestale), come spiegato qui. Per ovviare a questa difficoltà, gli inventari nazionali considerano di origine antropogenica tutto l’assorbimento (e l’emissione) che si verifica in aree forestali classificabili come “gestite” in base alle leggi o alle caratteristiche di ciascun Paese, includendo inevitabilmente in questa stima parte dell’assorbimento di CO2 che i modelli globali considerano invece come naturale.

In altre parole, sugli assorbimenti di CO2 da parte delle foreste, ci sono due gruppi di persone (modellisti globali e responsabili degli inventari dei paesi) che parlano lingue diverse, e rischiano di non capirsi.

Questa differenza ha implicazioni rilevanti per la valutazione dei progressi collettivi sul clima, prevista alla COP28 attraverso il global stocktake, come riconosciuto sia dall’IPCC (footnote 40, IPCC Synthesis Report, SPM) che dai documenti preparatori del global stocktake (Synthesis report for the technical assessment component of the first global stocktake, paragrafi 32 e 33) – si veda il post precedente.

Sebbene nessuno dei due approcci – modelli globali e inventari nazionali – sia migliore dell’altro, quello che occorre evitare è confrontarli: sarebbe un confronto fuorviante, come tra mele e pere, che porterebbe a un doppio conteggio e quindi a conclusioni sbagliate.

 

Sistemati i conti, il carbon budget è minore

Un nuovo articolo, pubblicato su Nature, fa ulteriori passi avanti verso un confronto coerente dei flussi di CO2 legati all’Uso del suolo tra modelli globali e i dati nazionali. Lo studio, spiegato in modo semplificato qui, allinea le traiettorie delle emissioni globali che i modelli considerano compatibili con gli obiettivi di Parigi (linee verdi nella figura sotto) con l’approccio usato dagli inventari nazionali (linee rosse). In altre parole, la definizione di “assorbimento antropogenico di CO2” dei modelli viene resa compatibile con quella degli inventari, includendo nei conti gli assorbimenti dovuti all’effetto di fertilizzazione da CO2 nelle foreste che i paesi considerano gestite. Quando questo aggiustamento viene combinato con le emissioni degli altri settori, il carbon budget residuo si riduce del 15-18% e la data per il net-zero anticipa fino a 5 anni rispetto ai valori indicati nell’ultimo rapporto IPCC (circa 500 GtCO2 per restare entro 1.5oC dal 2020 in poi). Questo aggiustamento non modifica l’entità di decarbonizzazione necessaria negli altri settori: quello che cambia è la nostra percezione di dove siamo rispetto agli obiettivi dell’accordo di Parigi. In assenza di tale aggiustamento, i paesi sembrerebbero collettivamente in una posizione migliore di quanto non siano in realtà.


Confronto fra le traiettorie delle emissioni globali dal settore e Uso del suolo e foreste che i modelli considerano compatibili con gli obiettivi di Parigi (linee verdi) e le traiettorie delle stesse emissioni adattate all’approccio usato dagli inventari dei paesi (linee rosse). La figura mostra come considerare questo secondo approccio abbassa il livello di emissioni nette (e quindi il carbon budget residuo), in particolare nel breve periodo, perché aggiunge un assorbimento di CO2 che i paesi considerano “antropogenico”.  

 

Da questo studio derivano una serie di raccomandazioni per i paesi e la comunità scientifica. I paesi dovrebbero aumentare la trasparenza nel contributo previsto dal settore Uso del suolo verso gli obiettivi climatici nazionali. La comunità scientifica dovrebbe concordare, assieme ai paesi, un sistema di “traduzione simultanea” tra i due approcci usati per stimare gli assorbimenti antropogenici di CO2 dalle foreste, e incorporalo in futuri rapporti dell’IPCC.

 

Nel contesto della necessità imperativa di drastici tagli alle emissioni in questo decennio per rimanere entro i limiti dell’accordo di Parigi, lo studio di Nature fornisce informazioni utili per misurare i progressi climatici durante il global stocktake, e per aiutare i paesi ad elaborare nuovi impegni climatici compatibili con gli obiettivi di Parigi.

Tutte le strade per Parigi passano attraverso le foreste. Questo studio aiuta a non perdersi tra gli alberi.

 

Testo di Giacomo Grassi con contributi di Stefano Caserini, Anna Pirani, Giorgio Vacchiano, Mario Grosso, Marina Vitullo e Vittorio Marletto

One response so far

One Response to “Net-zero, carbon budget e foreste: guida per non perdersi tra gli alberi”

  1. […] sue stime in modo più realistico. In uno studio pubblicato su Nature , che abbiamo raccontato nel precedente post, Crowther e colleghi hanno calcolato che le strategie di afforestazione su aree non a uso […]

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