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Anche ENI contribuisce al riscaldamento globale

In alcuni passaggi delle memorie presentate della difesa di ENI in una causa legale, si nega il contributo al riscaldamento globale del principale produttore di combustibili fossili italiano, nonché forte emettitore diretto di gas serra. Al di là degli aspetti giuridici, ossia se sia giusto o no condannare ENI, giudizio che spetta ai giudici, intendiamo qui mostrare come quanto sostenuto non regge dal punto di vista scientifico, perché il legame fra emissioni e l’aumento delle temperature e gli impatti conseguenti è un’evidenza scientifica molto solida.

 

 

Nei documenti prodotti nell’ambito dell’azione legale intentata contro ENI e Cassa Depositi e Prestiti, chiamata La Giusta Causa, ci sono alcuni aspetti scientifici che hanno attirato l’attenzione del Comitato Scientifico di Climalteranti. Ci riferiamo in particolare ad alcuni passaggi delle memorie della difesa di ENI, in cui si nega il contributo al riscaldamento globale del principale produttore di combustibili fossili italiano, nonché forte emettitore diretto di gas serra.

La Giusta Causa, in cui viene chiesto ad ENI di limitare le sue emissioni più di quanto oggi previsto, e di rimborsare per i danni causati dalle sue emissioni, non è ancora arrivata a conclusione, si è in attesa del pronunciamento dei giudici. I 35 documenti fino ad ora prodotti sono disponibili in parte sul sito di ENI e più completi sul sito di ReCommon. 15 documenti sono stati prodotti dagli “attori” (Greenpeace, ReCommon e alcuni cittadini); 14 documenti sono stati prodotti da ENI, 3 da Cassa Depositi e Prestiti.

Ad esempio, nella memoria n. 2 di Eni al punto 154 si può leggere: “…l’assenza di un nesso di causalità che possa collegare le emissioni di Eni al cambiamento climatico…”. Oppure, nella memoria n. 3 al punto 31 si legge: “non è possibile dimostrare alcun nesso causale tra le emissioni di Eni e il fenomeno del cambiamento climatico in generale

 

Tu quoque, Daniele!

A supporto di queste tesi gli avvocati hanno prodotto una relazione tecnica e due addendum firmati dal Prof. Daniele Bocchiola, per conto di ENI. Sul sito web ENI scrive che “In estrema sintesi, la relazione [di Bocchiola, ndr] chiarisce che non è possibile scientificamente sostenere un nesso di causa diretto e accertato tra l’attività aziendale e gli eventuali eventi di cambiamento climatico”.

Nella memoria n. 1 di Eni al punto 3 si trova scritto: “La relazione del Prof. Ing. Daniele Bocchiola, prodotta con la comparsa di costituzione (la “Relazione Bocchiola”, cfr. doc. 4), esclude che, dal punto di vista scientifico, si possa ricostruire una correlazione attendibile tra determinate emissioni di gas serra provenienti da un operatore in un dato momento storico e l’aumento delle temperature in uno specifico periodo successivo”. Mentre nella memoria 3 al punto 146 gli avvocati scrivono “Anche la Relazione Bocchiola (cfr. ns doc. 4) ha chiaramente evidenziato come, contrariamente a quanto sostenuto dagli attori, dal punto di vista scientifico non sia possibile ad oggi individuare se, e in quanta parte, gli effetti dei cambiamenti climatici siano attribuibili a Eni, né in che misura – neppure pro quota – i cambiamenti climatici siano stati determinati dall’attività di Eni”.

Daniele Bocchiola non è certo un negazionista climatico, anche perché da anni fa parte del Comitato Scientifico di Climalteranti. Ci dispiace quindi dover mostrare come sia incorso in affermazioni che riteniamo prive di fondamento scientifico, come in seguito spiegato.

 

L’attribuzione del riscaldamento globale agli emettitori

L’attribuzione di frazioni del riscaldamento globale ai diversi soggetti che hanno contribuito alle cause determinanti del riscaldamento globale, le emissioni in atmosfera di gas climalteranti, è noto con il termine “source attribution” (SA). Ci sono studi pubblicati su questo tema, che hanno stimato le emissioni e attribuito ai grandi emettitori di carbonio le responsabilità sull’aumento della concentrazione di CO2, della temperatura o di altre variabili climatiche. Oltre a quelli di Heede, più citati nelle relazioni di ENI, uno dei più autorevoli è quello pubblicato su Climatic change nel 2017 da Ekwurzel et al., e che ha fra gli autori Myles Allen, lead author del capitolo dell’AR3 su “detection of change and attribution of causes”.

La conclusione di questo studio è “Il nostro studio dimostra che l’aumento proporzionale dell’anidride carbonica in atmosfera, della temperatura media globale e del livello del mare – indicatori chiave dell’effetto antropogenico sul sistema terra – dovuto ai maggiori emettitori di gas climalteranti sia quantificabile e sostanziale”.

Nella sua relazione Bocchiola sostiene invece che i lavori pubblicati da autorevoli scienziati – anche su riviste serie, dotate di rigorosi sistemi di peer review – siano affetti da inevitabili incertezze che rendono inaffidabili questi lavori, rendendo impossibile attribuire in alcun modo le responsabilità del riscaldamento globale ai singoli emettitori di gas serra. Si noti che, se questo fosse vero, anche l’attribuzione delle responsabilità dei cambiamenti climatici agli Stati, ampiamente consolidata e condotta regolarmente con le stesse metodologie descritte sopra e criticate nella relazione Bocchiola, sarebbe messa in discussione.

 

Piccole emissioni, piccoli aumenti di temperatura

Un primo argomento usato è che l’incremento delle temperature causato dalle emissioni di ENI è piccolo, e per questo rientra all’interno dell’intervallo dell’incertezza della stima del trend delle temperature; pertanto, se per assurdo quello di ENI fosse l’unico contributo, non potrebbe essere separabile dal rumore di fondo della variabilità climatica.

Con questo argomento, però, si arriverebbe al paradosso che nessuno è responsabile del cambiamento climatico, perché anche le emissioni in Italia sono dovute a quelle delle sue regioni, come la Lombardia, o città come Milano. Ovviamente il problema è che il contributo di ENI, di Milano o della Lombardia non sono gli unici contributi, sono parte di un contesto generale poiché ciascun settore produttivo o territorio genera emissioni di gas serra. È proprio questa la peculiarità di questo fenomeno di inquinamento, che lo differenzia da molti altri. Per altro, le somma delle emissioni di CO2 attribuite ad ENI negli studi citati (0.6% del totale) sono equivalenti a quelle di intere nazioni come la Svizzera e la Finlandia (anch’esse 0.6% del totale, fonte Our World in Data), e poco meno della metà di quelle italiane (1.4%).

In termini più tecnici, l’errore statistico di fondo è considerare come ipotesi nulla che le emissioni di ENI non abbiano nessun effetto climatico. L’ipotesi nulla, basata sulla letteratura scientifica, dovrebbe invece essere che le emissioni abbiano un effetto climatico.

 

Non linearità

Un altro argomento usato è che le non linearità presenti nel sistema climatico rendono difficile – se non impossibile – l’attribuzione. Bocchiola scrive “Una prima problematica da sollevare, nell’ambito dell’esercizio di attribuzione del tipo SA, è la risposta non lineare del sistema terra-atmosfera, che non consente in alcun modo di ipotizzare una relazione lineare tra gli input emissivi, in valore assoluto e/o percentuale e la relativa risposta in termini climatici (e.g. Trudinger and Enting, 2005; Ekwurzel et al. 2017; Skeie et al., 2017).”

In realtà già nel Sommario per i decisori politici (SPM) del Quinto rapporto di valutazione dell’IPCC-WG1 (anno 2013) si scriveva “Cumulative total emissions of CO2 and global mean surface temperature response are approximately linearly related, see Figure PM.10(“le emissioni totali cumulate di CO2 e la risposta globale della temperatura superficiale media sono collegate in modo approssimativamente lineare”), e la relazione era ben spiegata nella presentazione del rapporto da parte dello scienziato Reto Knutti, coordinating Lead Author del cap. 12; il concetto è stato confermato dal Sesto rapporto di valutazione dell’IPCC-WG1, in un’analoga figura (Figura AR6- WG1 SPM.10, riportata qui sotto.

Questo legame sostanzialmente lineare fra emissioni cumulate e aumento di temperatura è ampiamente utilizzato in letteratura, ed è anche alla base dei lavori del carbon budget (si veda ad esempio Allen et al. 2009, Rogelj et al. 2019, Matthews et al. 2020  pubblicati su riviste come Nature, e non citati nella relazione di Bocchiola).

La relazione proporzionale tra le emissioni di CO2  e l’aumento di temperatura permette infatti di tradurre le emissioni storiche in contributi al riscaldamento, ed è una prassi consolidata in ambito scientifico per determinare le responsabilità degli Stati. Se lo è per gli Stati, perché non deve esserlo per le aziende?

Va infine ricordato che le incertezze in questa relazione, pur esistenti, sono state dimezzate nell’ultimo rapporto dell’IPCC seguendo l’approccio di Sherwood et al. 2020 (non citato nella relazione da Bocchiola) delle multiple lines of evidence, che permette di andare oltre i limiti dei modelli (fra cui quelli citati nella relazione).

Insomma, tutto mostra che la letteratura recente (e in parte successiva ai papers di SA che vengono criticati da Bocchiola) conferma una relazione diretta tra emissioni storiche di CO2 e riscaldamento, con intervalli di incertezza quantificabili che non escludono affatto questo nesso. Si può infine aggiungere che eventuali non-linearità rispetto ad impatti specifici dei cambiamenti climatici non inficiano il principio fisico alla base del collegamento tra emissioni climalteranti e cambiamenti climatici a scala globale.

 

Le incertezze dei modelli di attribuzione

Un altro argomento usato sono le ampie bande di incertezza del reduced complexity climate model FAIR (uno dei 3 usati dall’IPCC per emulare i risultati dei modelli climatici più complessi) a causa soprattutto delle incertezze nella sensitività climatica, nei vari forzanti (fra cui aerosols) e per le non-linearità della risposta del sistema climatico. Sulla sensitività climatica Bocchiola scrive (pag. 47) “Si osserva in primis una forte dipendenza dei risultati dalla scelta dei parametri ECS e TCR [ndr: parametri che esprimono diversi aspetti della sensibilità climatica], prima menzionati, che come spiegato influenzano tutti i processi base modellati da FAIR.”. L’incertezza sulla sensitività climatica si applica ovviamente a tutta la scienza del clima, ma non viene mai usata per diminuire la forza dell’attribuzione dei gas serra (ovunque generati) al riscaldamento globale.

In seguito nella relazione Bocchiola si scrive: “Si osservi ad ogni modo, che una stima, anche corretta dell’ammontare delle emissioni di una qualunque entità, ivi inclusa una major quale ENI, non comporta, di per sé, l’evidenza, né tantomeno la quantificazione, di un reale nesso causale con le variazioni delle variabili climatiche connesse al cambiamento climatico globale.” Quest’affermazione è in totale contrasto con l’evidenza scientifica che si è sempre più consolidata negli ultimi 4 decenni di scienza del clima, e che ha portato a stabilire un chiaro nesso causale fra le emissioni di gas climalteranti e il riscaldamento globale.

 

Troppe incertezze?

L’incertezza come sappiamo è inevitabile, intrinseca in ogni valutazione che riguarda i cambiamenti climatici. Ridurre le incertezze è uno dei principali compiti della scienza del clima. Cosa diversa è l’uso strumentale dell’incertezza, del dubbio scientifico, per sminuire le argomentazioni altrui (in questo caso quelle che vogliono imputare a ENI una responsabilità sul riscaldamento globale e i suoi impatti). Una tecnica che, come sappiamo, è stata a lungo usata da negazionisti e inattivisti climatici, come mostrato da Naomi Oreskes e Eric Conway ne “I mercanti di dubbi”. Nella relazione Bocchiola il termine incertezza/e compare 62 volte in 70 pagine. Quasi sempre per indebolire le ragioni degli attori, mai per sostenerle. Eppure, come abbiamo avuto modo di scrivere più volte su Climalteranti, l’incertezza non è nostra amica. L’incertezza potrebbe, viceversa, nascondere una sottostima delle emissioni delle major dell’oil&gas: ad esempio le emissioni di CH4 dall’estrazione degli idrocarburi sono state negli ultimi anni riviste parecchio al rialzo.

Ad esempio, nelle conclusioni della relazione Bocchiola si scrive: “Inoltre, non è dato sapere al momento, né forse sarebbe possibile, avere una corretta valutazione degli errori nelle stime dei valori emissivi di tutte le altre entità (majors, ma anche emettitori ad altro titolo, comunque da includere). Tale circostanza è fondamentale, poiché, come ampiamente commentato, i metodi di attribuzione utilizzati (i.e. in seguito il metodo leave one out di Ekwurzel, 2017), oltre ad imprecisioni intrinseche ed all’inevitabile errore modellistico, dipendono in maniera rilevante dall’interazione delle emissioni target (qui, ENI), con i percorsi e quantità di emissioni delle altre entità (majors) coinvolte, specificamente in ragione delle non-linearità modellistiche ampiamente commentate e documentate sopra, che possono amplificare/ridurre gli effetti delle emissioni target.”

È una tesi che non regge. Se accettiamo quanto presente negli SPM degli ultimi due rapporti IPCC -WG1, ovvero la relazione lineare tra le emissioni cumulate e la variazione di temperatura, allora tutto si semplifica. Grandi emissioni cumulate comportano grandi variazioni di temperatura; piccole emissioni cumulate comportano piccole variazioni. E siccome anche i rischi (ondate di calore, eventi estremi, impatti sulla biodiversità) aumentano col riscaldamento globale (vedasi la nota figura SPM.3 del WG2 AR6, a fianco), si può dire che è possibile attribuire agli Stati, alle aziende e financo alle persone una loro (piccola, piccolissima, infinitesimale) responsabilità.

La letteratura scientifica indica come la possibile presenza di non linearità futura, associabile ad esempio ai cosiddetti “punti di non ritorno” rischi di aggravare, piuttosto che diminuire, l’impatto delle emissioni umane sul sistema climatico (come mostrato recentemente per quanto riguarda la circolazione atlantica). Questo rischio di non linearità futura è l’incertezza che non ci è amica.

Passando in rassegna i vari lavori sulla source attribution, anche quello di Ekwurzel et al., mettendo in grande evidenza le incertezze, senza considerare le conclusioni, la relazione sembra far capire che insomma ci sono talmente tante variabili e assunzioni che si potrebbe far dire quello che si vuole ai modelli usati nella letteratura scientifica. Come afferma la conclusione (pagina 54 della relazione di Bocchiola): “E’ lecito quindi chiedersi come tale variabilità si possa riflettere in una valutazione (dell’affidabilità) dei risultati del lavoro di Ekwurzel et al. (2017), atto ad attribuire ad alcune specifiche quote emissive, sostanzialmente oggettive, benché con qualche livello di incertezza (come visto dell’ordine del ±10-15%), delle “responsabilità” rispetto ai processi fisici, come si è visto molto più incerte in maniera intrinseca e con forte amplificazione dei range plausibili”.

Questo lavoro di Ekwurzel et al., come quello di altri autori, ha inevitabilmente delle incertezze. Ma la conclusione è chiara, ed è un lavoro firmato da climatologi esperti, su una rivista prestigiosa. Inoltre, andrebbe ricordato quanto abbiamo scritto molte volte qui su Climalteranti: se si vogliono contestare le conclusioni di articoli pubblicati nelle riviste serie, perché non lo si fa prima nelle sedi opportune, mandando un “rebuttal” alle riviste stesse?

 

Il cuore della faccenda

Gli avvocati di ENI scrivono che il prof. Bocchiola… “esclude che, dal punto di vista scientifico, si possa ricostruire una correlazione attendibile tra determinate emissioni di gas serra provenienti da un operatore in un dato momento storico e l’aumento delle temperature in uno specifico periodo successivo”.

Il cuore della faccenda è qui. Si discute “dal punto di vista scientifico”. Non si parla della responsabilità giuridica o morale. L’oggetto è se scientificamente si possa sostenere che esista un legame tra emissioni di gas serra di un soggetto e l’aumento delle temperature in un periodo successivo. Sulla base della montagna di incertezze citate nella relazione di Bocchiola, gli avvocati di Eni sostengono che non ci sia legame fra le emissioni di Eni e il riscaldamento globale.

Dal punto di vista scientifico, invece, si può dire che certamente e inequivocabilmente le attività umane, e quindi le diverse emissioni, contribuiscono al surriscaldamento globale. Ogni emissione conta, aumenta la temperatura del pianeta e provoca i danni che ne conseguono.

Possiamo discutere a lungo su quale sia il modo migliore per fare la source attribution, sulle incertezze fra aumento di emissioni climalteranti e aumento delle temperature e degli eventi estremi, ma il legame è sicuro (“With every additional increment of global warming, changes in extremes continue to become larger”, SPM WG1 AR6). Alla fine alla domanda se si possa attribuire una parte dell’aumento delle temperature e dei conseguenti danni climatici alle emissioni climalteranti (di una persona, di una città, di uno Stato o della principale oil&gas di uno Stato), la risposta dal punto di vista scientifico è: sì, certo!

Naturalmente non possiamo dire che sono le molecole di CO2 emesse da ENI nel tal giorno o nel tale anno che hanno provocato uno specifico evento estremo; ma a chi dovrà giudicare dovrebbe partire dal fatto scientifico che, nonostante tutte le incertezze e le complessità, c’è un sicuro legame fra emissioni aggiuntive di gas climalteranti e aumento aggiuntivo di temperatura, di probabilità di eventi estremi e altri danni conseguenti.

 

Cause ed effetti

È indubbio che se un soggetto con le sue emissioni causa un aumento di temperatura globale di 0,0…02 °C, si tratta di un valore ben all’interno dell’incertezza della stima della temperatura media globale, cosa che non si presta ad alcuna conclusione scientifica. Ma il punto cruciale, che deve essere considerato, è che il surriscaldamento globale non è causato da un solo soggetto, perché quelle piccole emissioni si inseriscono in un contesto che deve essere considerato. Può essere utile una metafora.

Immaginiamo che l’oggetto della discussione riguardi un dado truccato (in questo caso il “trucco” sarebbe il contributo al cambiamento climatico). Il dado è stato lanciato sei volte ed ha mostrato tre volte il “6”. Tutti sospettano la truffa e chiedono una relazione a riguardo. Da sei tiri di dado è impossibile desumere statisticamente se il dado sia truccato o no. I tre “6” sarebbero potuti accadere anche per caso, senza alcuna manomissione del dado. La relazione quindi assolve il dado. Ci sono però molti colleghi interessati al tema, ed ognuno lancia nuovamente lo stesso dado 6 volte. Dopo aver ripetuto 10.000 volte questo processo emerge che il “6” esce molto più spesso di quanto non dovrebbe. Si può quindi concludere che il dado sia truccato. Il punto cruciale è che sulla base di questa conclusione derivante da una considerazione generale, che usa maggiori informazioni di quei primi fatidici sei lanci, si può  concludere che il dado sia stato truccato anche la prima volta che è stato lanciato. Questa conclusione non è etica, morale o altro, è puramente statistica.

Allo stesso modo, guardando il singolo che ha emesso X non si può affermare con sicurezza statistica quale sia stato il suo contributo al riscaldamento atmosferico. Si può invece fare tale affermazione, su base scientifica e statistica, se si parte dal fatto che 100 o 1000 singoli che emettono ognuno X abbiano dato un contributo statisticamente rilevante al riscaldamento. In questo caso per confutare questa conclusione bisognerebbe dimostrare che eventuali non-linearità siano sufficientemente forti da negare il calcolo statistico, visto che a priori abbiamo una causa ed un effetto e l’unica ipotesi nulla può essere che il singolo abbia contribuito.

 

Conclusione

In conclusione, dal punto di vista scientifico, ENI con le sue emissioni ha contribuito al riscaldamento globale al di là di ogni ragionevole dubbio. La dimostrata proporzionalità tra emissioni cumulate di CO2 e aumento della temperatura è una circostanza per certi versi fortunata (il sistema climatico è complesso, tale linearità è anche frutto di compensazioni tra diversi fattori), ma ampiamente accettata nella scienza del clima (vedasi IPCC figuraSPM.10 WGI).

Una delle conseguenze del legame tra CO2 cumulata ed aumento della temperatura è che definito un limite di temperature si può ricavare un limite massimo di emissioni ancora da emettere (il carbon budget) e questo comporta la necessità di raggiungere obiettivi di “net zero CO2”(sempre IPCC SPM WGI: “Dal punto di vista delle scienze fisiche, limitare il riscaldamento globale indotto dalle attività umane ad uno specifico livello richiede la limitazione delle emissioni cumulative di CO2, raggiungendo almeno lo zero netto delle emissioni di CO2, insieme a forti riduzioni delle altre emissioni di gas serra“); necessità accettata non solo dagli Stati (Accordo di Parigi, legge Europea sul Clima), ma anche dalla stessa ENI. Se ENI ambisce a raggiungere il net zero al 2050 – con una tappa intermedia di riduzione del 35% delle emissioni rispetto al 2018 – di fatto riconosce implicitamente il nesso di causalità tra le sue emissioni e “il fenomeno del cambiamento climatico in generale”.

La difficoltà di quantificare con assoluta precisione il ruolo delle emissioni di ENI è in sostanza irrilevante. Se un medico suggerisse ad un paziente di smettere di fumare per proteggere la propria salute, sulla base di evidenze scientifiche conclamate, non avrebbe senso pretendere di quantificare con assoluta precisione il danno di ciascuna sigaretta alle singole cellule dei polmoni del paziente.

In definitiva, non spetta agli scienziati decidere se sia giusto o meno che ENI sia condannata a rivedere i propri piani di riduzione delle emissioni. Saranno i giudici a farlo, sulla base delle leggi vigenti. Agli scienziati spetta illustrare le evidenze a disposizione, ed interpetrarle correttamente attraverso il metodo scientifico. Ecco, dal punto di vista scientifico si può affermare che non ci sono dubbi: anche le emissioni ENI contribuiscono certamente al riscaldamento globale.

 

 

Testo di Stefano Caserini, Giacomo Grassi, Mario Grosso, Gabriele Messori e Massimo Tavoni

7 responses so far

7 Responses to “Anche ENI contribuisce al riscaldamento globale”

  1. Mauro Follonion Giu 19th 2024 at 09:56

    Ovviamente complimenti per le vostre indagini ma perché non andate a guardare anche le operazioni della cosiddetta “geoingegneria climatica” ormai in fase di sdoganamento mediatico di ammissione?

  2. Alessandro Saragosaon Giu 19th 2024 at 14:14

    Avete presente la “morte cinese per mille tagli”, un tortura di gruppo in cui un criminale veniva legato al palo, e poi tutta la popolazione del paese dove aveva compiuto il reato andava da lui e gli faceva un taglietto. Alle fine il criminale moriva dissanguato, ma tutti potevano dire “Non sono stato io a ucciderlo, gli ho fatto solo un taglietto e non potete dimostrare che sia stato quello fatale”.
    In effetti un inquirente su un caso simile non potrebbe arrestare tutto il pese, o uno solo, per omicidio.
    Però potrebbe condannare tutti per lesioni che hanno condotto a morte.

    Mi sembra che il caso Eni (che più che un taglietto ha dato una bella sciabolata al clima, come i suoi consoci dell’Oil&Gas) rientri nella sottospecie delle “lesioni climatiche” da risarcire in quota parte con gli altri grandi emettitori.

  3. homoereticuson Giu 19th 2024 at 18:43

    Incidentalmente, se qualcuno ha sottomano il Corriere della sera di oggi, vada a leggersi l’articolo in fondo nella pagina di economia. Vi si celebra una azienda specializzata in certificaziono ESg: sembra tutto meraviglioso, poi nelle ultime due righe si scopre che l’azienda italiana con il miglior punteggio tra i loro clienti…indovinate qual è?
    Abbiamo davvero un grosso problema, e non sono certo io il solo a scriverlo.

  4. Armandoon Giu 19th 2024 at 19:42

    @ homoereticus

    A leggere il Corriere della Sera, soprattutto le pagine economiche, è tutta una teoria di imprese e multinazionali ormai a un passo dalla neutralità climatica.

    La transizione energetica appare come una cosa facile da raggiungere, che non richiede particolari scelte di governo, essendo ormai una sorta di valanga inarrestabile.

    Nei mesi che hanno preceduto le elezioni europee, Draghi ha parlato degli investimenti necessari, a livello europeo, per la transizione energetica e litigate, e per un nuovo modello di difesa integrata.

    L’ammontare di tali investimenti sarebbe fra il 4% e il 5% del PIL europeo ogni anno.

    Nessuno ha rilanciato la proposta di Draghi.

    Della serie: ci hai fregato una volta col Quantitative Easing, adesso non ci freghi più.

  5. Antonioon Giu 21st 2024 at 13:32

    Grande lavoro, grazie
    A livello scientifico è chiaro… certo l’aspetto giuridico è molto diverso

    @ Armando
    beh se Draghi propone altri soldi per un modello di difesa.. anche no

  6. Armandoon Giu 24th 2024 at 06:11

    @ Antonio

    Perfettamente d’accordo.

    Purtroppo, la faccenda della guerra è stata presa sottogamba.

    La propaganda bellicista ha raggiunto livelli incredibili.

    Il Corriere della Sera come sempre è in prima linea.

    Non so come si possa considerare quella roba un giornale.

    È sempre stato un foglio negazionista e lo è tutt’ora.

    Se spinge per la transizione energetica lo fa semplicemente per ragioni economiche.

    Il motivo è che gli Stati moderni sono dei semplici Bancomat.

    Noi, con le nostre tesserine, possiamo prelevare solo una parte dei soldi che prima ci abbiamo messo dentro.

    Gli altri, invece, procedono rapinando.

  7. Alessandro Saragosaon Giu 24th 2024 at 10:12

    Eni investe 15 euro in nuove esplorazioni di risorse fossili ogni anno, per ogni euro investito in rinnovabili, anche se parla solo di queste ultime… e le rinnovabili che predilige sono quelle che non funzionano, come i biocarburanti, del tutto innocue per il suo vero business.

    Ci prendono per le mele, come diceva Brancaleone…

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