Il fuoco amico, una forma di inattivismo climatico: 2/ l’opposizione alle auto elettriche
Le emissioni di CO2 dai trasporti sono le uniche ad essere sostanzialmente aumentate in Europa nel periodo 1990-2022 (+26%). Il contributo del trasporto su strada è oggi pari al 70% delle emissioni da trasporto, e all’interno di quest’ultimo il peso delle automobili è pari al 60% (dettagli e infografiche disponibili qua). In Italia un quarto delle emissioni è dovuto ai trasporti, e le automobili italiane emettono circa 60 milioni di tonnellate di CO2 ogni anno, una cifra pari alle emissioni dell’intera Romania.
Vi è un accordo pressoché unanime da parte di chi studia le strategie di mitigazione (IPCC, IEA, EEA, tanto per citare alcuni tra i soggetti internazionali più autorevoli) circa il ruolo centrale dell’elettrificazione della mobilità, in parallelo alla decarbonizzazione della produzione di energia elettrica. Nel Sommario per i decisori politici del sesto Rapporto sul clima – WG3 (punto c.8), l’IPCC attribuisce una elevata confidenza al fatto che “I veicoli elettrici alimentati da elettricità a basse emissioni offrono il più grande potenziale di decarbonizzazione del trasporto terrestre, considerando l’intero ciclo di vita”.
Il passaggio alle auto elettriche è quindi un tassello fondamentale del percorso verso la decarbonizzazione dell’intero sistema energetico prevista dalla Legge europea sul clima, che ha definito a livello legislativo l’obiettivo della neutralità climatica al 2050 introdotto dallo European Green Deal. Il divieto di vendita di nuove auto endotermiche dal 2035, e la simultanea decarbonizzazione del settore elettrico, sono quindi inevitabili conseguenze degli obiettivi climatici europei, sottoscritti e comunicati in ambito UNFCCC con l’ultimo NDC europeo.
È quindi dal 2017 che è stata definita la road-map per la riduzione delle emissioni dei trasporti, che ha fissato una progressiva riduzione delle emissioni medie del parco circolante delle diverse case automobilistiche, e in cui l’obiettivo fissato al 2035 è solo il punto di arrivo. Un obiettivo che per essere raggiunto richiede la pianificazione di politiche industriali e sociali in grado di ottimizzare la sostituzione efficace degli attuali veicoli endotermici circolanti con quelli elettrici.
Diverse sono tuttavia le posizioni inattiviste contrarie a questa strategia, ampiamente diffuse dai mezzi informazione e dai social (si veda ad esempio qua e qua).
L’auto elettrica si affianca alla mobilità sostenibile
La prima opposizione, partendo dalla sacrosanta necessità di un ridimensionamento della mobilità automobilistica privata, arriva a sostenere che sia inutile, o addirittura dannosa, la promozione della diffusione dei veicoli elettrici. È senz’altro vero che è necessario potenziare la mobilità pubblica e ridurre quella privata, nonché promuovere tutte le forme di mobilità attiva e leggera alternative all’auto, come già espresso in post precedenti (qua e qua), e che il sostegno alla mobilità sostenibile dovrebbe essere lo sforzo prioritario di tutte le politiche sulla mobilità. Tuttavia, è velleitario pensare che si possa mai arrivare alla totale sparizione delle automobili, o anche solo ad una diminuzione davvero sostanziale dei parchi circolanti mondiali che renda quindi poco importante la sostituzione dei motori endotermici. Persino nella virtuosa Olanda, dove milioni di cittadini usano la bicicletta per spostarsi ogni giorno, il parco automobilistico non è affatto scomparso e sta velocemente migrando verso l’elettrico.
A causa di diversi decenni di politiche urbanistiche che hanno reso molti territori poco adatti a sistemi di traporto pubblico efficienti, l’automobile, che sia privata o condivisa, è realisticamente destinata a rimanere un elemento importante della mobilità. Certo in molte aree metropolitane il suo uso può e deve essere notevolmente limitato; ma è indubbio che ci sono molti territori nei quali l’utilizzo dei piedi, della bicicletta o dei mezzi pubblici non è di fatto praticabile da quote rilevanti della popolazione per gli spostamenti. In ogni caso, anche nell’auspicata ipotesi di una riduzione del parco circolante, quello residuale dovrebbe essere elettrificato, se si vuole davvero puntare a obiettivi ambiziosi di decarbonizzazione.
L’auto elettrica conviene anche se si considera il ciclo di vita
Un secondo tipo di argomenti punta a mettere sullo stesso piano l’auto endotermica e l’auto elettrica, sostenendo che ci sarebbero elevate emissioni climalteranti indirette associate alla produzione e al successivo smaltimento delle batterie, in grado di annullare i vantaggi dell’auto elettrica. In realtà, i dati disponibili smentiscono questa tesi. Un dato incontrovertibile è il grande aumento dell’efficienza energetica che si ha nel passaggio dal motore endotermico a quello elettrico: l’efficienza media di un motore endotermico di un’autovettura a benzina è pari al 12-30%, mentre per un motore elettrico con frenata rigenerativa si arriva al 77-94%. Anche se la costruzione delle batterie richiede energia e materiali, gli studi condotti con la tecnica dell’analisi del ciclo di vita (Life Cycle Assessment, LCA), come ad esempio questo e questo, mostrano un chiarissimo vantaggio per l’auto elettrica, che riduce le emissioni di CO2eq rispetto all’auto a benzina o diesel, in quasi tutti i sistemi elettrici europei, anche in quelli con energia elettrica prodotta da quote rilevanti di fossili. La progressiva penetrazione di energia rinnovabile prevista nei prossimi anni non potrà che migliorare il quadro complessivo.
Emissioni nel ciclo di vita dell’auto elettrica (BEV) nei vari Stati europei, a confronto con l’auto a benzina (ICEV-G) e diesel (ICEV-D). Fonte: Ricardo per la Commissione Europea, 2020.
È singolare come le preoccupazioni sull’impatto ambientale delle auto elettriche ben raramente vengano sollevate quando si parla della filiera del petrolio e dei combustibili fossili in generale. Filiera responsabile non solo del riscaldamento globale di origine antropica, ma anche dell’inquinamento atmosferico locale e di numerose altre forme di impatto ambientale quali le devastazioni condotte nei principali contesti estrattivi (si veda il Delta del Niger, in primis) e quelle conseguenti agli incidenti nell’estrazione e il trasporto del petrolio (naufragi di petroliere, disastro Deepwater Horizon).
È possibile riutilizzare e riciclare le batterie
Un terzo argomento riguarda la presunta impossibilità di gestire le batterie al litio a fine vita. Anche questo argomento non ha fondamento. Le batterie delle auto elettriche, con capacità inferiori al 70-80%, dunque non più in grado di garantire un’autonomia sufficiente a soddisfare le esigenze di guida, ma con moduli e celle ancora in buono stato, consentono l’attivazione di una filiera per una seconda vita delle batterie come accumulatori di rete o domestici. Oltre a ciò, il riciclo dei materiali contenuti nelle batterie non più riutilizzabili rappresenta una grande potenzialità di economia circolare e, nello specifico per la UE, una grande opportunità per svincolarsi dalla dipendenza della fornitura esterna di questi materiali, tramite il cosiddetto “mining” interno. Sarebbe quindi opportuno investire le energie, piuttosto che nel denigrare l’auto elettrica, nel sostenere proposte di politiche industriali finalizzate alla concreta e urgente creazione e ottimizzazione di queste filiere, a partire ad esempio dall’imposizione di un Design for Dismantling e un Design for Recycling ad integrazione del recente Batteries regulation (EU 2023/1542), Critical Raw materials Regulation (EU 2024/1252), Circularity and End of Life Vehicle Regulation (proposal).
La gestione delle batterie usate (Fonte: Batteries on wheels: the role of battery electric cars in the EU power system and beyond (T&E, 2019)
È senz’altro possibile gestire la rete elettrica
Un quarto argomento è la presunta impossibilità di garantire un adeguato rifornimento elettrico al paese una volta che il parco auto sia sostanzialmente diventato elettrico. Si tratta di un argomento palesemente infondato, come spiegano bene i numeri coinvolti, che prevedono un incremento forse di 10 terawattora (TWh) della domanda elettrica al 2030, su una produzione attuale di 320 TWh e che non preoccupano affatto i gestori della rete elettrica italiana, che di queste cose si occupano da anni. Meno promettente di quanto spesso si racconti risulterebbe invece secondo Arera il sistema V2G, con cui le auto collegate alle prese possono fornire una riserva di energia nei momenti in cui la rete lo richieda. In generale comunque le rete elettrica nazionale gestita da Terna è in continua ristrutturazione e potenziamento, e i finanziamenti connessi giungono anche dalla Banca europea degli investimenti che ha recentemente garantito 400 M€ a questo scopo.
Chi ha paura dell’auto elettrica
Gli ulteriori argomenti dei detrattori della transizione al trasporto elettrico, quali la paura degli incendi oppure il timore di restare a piedi, rientrano invece per lo più nel campo della disinformazione, sia spontanea (il passaparola della rete e dei social), sia influenzata dai grandi interessi che stanno dietro al mondo dei combustibili fossili. Un recente libro del giornalista Rai Alessandro Macina, intitolato significativamente “Chi ha paura dell’auto elettrica”, ha riassunto ed efficacemente “smontato” tutte queste argomentazioni.
Testo di Mario Grosso e Vittorio Marletto, con contributi di Stefano Caserini e Simone Casadei
28 responses so far
Strano, nessuno ha commentato ancora? Credevo fosse un argomento su cui un po’ tutti avessero da dire.
Personalmente segnalo prima una cosa positiva: dove l’auto elettrica è molto usata, si nota già un deciso calo dell’inquinamento atmosferico e conseguenti effetti positivi sulla salute. E un argomento che raramente sento presentare nei dibattitti sulle auto elettriche.
https://keck.usc.edu/news/study-links-adoption-of-electric-vehicles-with-less-air-pollution-and-improved-health/
E poi alcune negative, che rendono facile per i detrattori delle auto elettriche tarpare le ali a questo mezzo in situazioni come quella italiana.
La più grave, secondo me, è il tempo di ricarica delle auto elettriche, non tanto la loro autonomia: se ti serve mezz’ora o più per ricaricare almeno un po’ la batteria, è chiaro che continuerà la corsa a caricare sulle auto batterie sempre più gigantesche e costose, mentre categorie di persone, come chi vive in condominio e non ha colonnine vicine, sarà quasi impossibilitato dal comprarle. Batterie che si ricaricassero da 0-80% in 5-10 minuti, e una rete di colonnine ad alta potenza adeguata, cambierebbero completamente lo scenario. A quel punto la sosta per il rifornimento sarebbe simile a quella delle auto a motore termico, e anche l’uso dell’auto sarebbe simile: nessuno pretende di avere un distributore sotto casa, basta sapere che c’è una rete capillare di distributori, che posso raggiungere rapidamente e a cui rifornirmi senza perdere troppo tempo. Questa combinazione carica rapida-rete di colonnine ad alta potenza (>=300 kW), veramente potrebbe rendere l’auto elettrica un veicolo per tutti, e a prezzi concorrenziali con le altre, perchè non ci sarebbe più bisogno della batterione da 1000 km di autonomia.
Per fortuna, proprio in quella direzione va lo sviluppo delle nuove batterie: progettarle per la carica veloce. Manca la rete ad alta potenza: secondo me se ne mettesse una o due in ogni distributore di benzina, avremmo già risolto il problema.
Altri problemi obbiettivi per la diffusione dei mezzi elettrici da noi
Il costo dell’elettricità alle colonnine, troppo alto, tale da vanificare il vantaggio dell’auto elettrica, particolarmente per chi non può ricaricarle a casa.
Il costo dell’auto elettrica, in Asia stanno chiudendo il gap con le termiche, noi non mi pare proprio, anzi, peggioriamo la situazione ponendo dazi su chi fa le auto elettriche economiche
Il veloce deprezzamento delle auto elettriche usate, basato sui timori riguardanti lo stato delle batterie (in realtà ci sono strumenti diagnostici), ma particolarmente ingiusto, perchè le auto elettriche, essendo così semplici, si conservano molto bene.
Infine ciò che fa presa su di me, che ancora non mi sono deciso di passare all’elettrico, e continuo a usare una Opel Corsa del 2004 as GPL: il continuo sviluppo della tecnologia, perchè dovrei comprare un’auto elettrica oggi, se fra un anno o due o cinque, saranno molto meglio? Aspetto fiducioso l’auto elettrica “perfetta”
Non è strano Alessandro, è quasi ovvio; la discussione c’è stata nel post precedente della serie e su questo sarebbe una ripetizione; già la scelta dei due argomenti e specie di questo per parlare di inattivismo climatico è “politica”; perché non parlare di cibo, di agricoltura o di trasporto merci (fanno la metà de consumi per mobilità) ? No si parla di auto elettrica e si sottintende privata; si dice prima di tutto che nessuno nega l’importanza del trasporto pubblico, ma allora parliamo di politiche del trasporto pubblico; invece no! si parla nel continente e nel paese con la più alta percentuale di auto per abitante di auto privata elettrica, ossia della difficolta per il grande capitalismo IN UN MERCATO SATURO DI AUTO di vendere auto elettriche più costose a gente che fa parte del paese europeo con il minore sviluppo dei salari negli ultimi anni; e si fanno i confronti o con la Norvegia paese che ha tante auto procapite come noi ma ha un reddito pro capite altissimo dovuto soprattuto all’esportazione di fossili!!!! oppure con uno come la Cina dove il procapite auto è MOLTO inferiore e dunque il mercato interno non è saturo nel medesimo modo; è una pretesa tutta politica ma chi la fa non se ne rende nemmeno conto! detto ciò ai miei ex compagni di percorso (sono uscito ormai da Climalteranti anche per queste posizioni medie dell’associazione, il clima è una scienza quasi esatta ma adattamento e mitigazione no sono fatti molto più politici) dico, facciamo un discorso tecnico: 1) è chiaro che una sola auto elettrica facendo un conto LCA (dunque dopo alcuni anni di uso, non subito) riduce i consumi di gas climalteranti, ma miliardi auto elettriche fanno lo stesso? consideriamo uno sviluppo esponenziale della loro produzione cosa succede? per parecchi anni i consumi nella fase produttiva impongono un consumo crescente di gas climalteranti che superano per alcuni anni il risparmio in fase di uso del resto del parco auto; non ho mai visto conti di questo tipo ma sarebbe il caso di fare un modellino numerico e si vedrebbe chiaramente; 2) si parla di energia necessaria e giustamente si dice 10 TWh sono pochi (servirebbero per poco meno di 10 milioni di auto elettriche) è vero, ma la variabile critica non è l’energia ma la potenza; la potenza necessaria per alimentare quelle auto al rifornimento è critica o può esserlo; se 5 milioni di auto eletriche chiedessero in contemporanea di caricarsi a 7kW la potenza impegnata sarebbe di 35GW, ossia una potenza uguale a quella già usata per tutto il resto nella media italiana; questo è il punto! la rete è limitata ed inadeguata come si vede già in altri paesi, non è un problema di quante auto è un problema di rete, e di potenza istantanea; fare i conti dell’energia e non della potenza in questo caso è sballato come al contrario è sbagliato fare i conti di potenza e non di energia per gli accumuli come si fa di solito; un’ultima nota perfino in Norvegia il numero di auto CIRCOLANTI non quelle vendute per anno vede ancora un predominio del fossile e lo vedrà per molti anni ancora;commenti? il percorso annuo procapite delle elettriche in Norvegia supera quello delle auto fossili, un esempio di effetto Jevons, poco esemplare; parliamo nel merito visto che sulla visione generale abbiamo già detto e come dicevo prima adattamento e mitigazione non sono scienze esatte ma scelte politiche. Il clima è scienza il resto è politica. Pretendere di considerare scienze esatte adattamento e mitigazione auspicando per di più il programma scelto dal grande capitale è politico, non ha nulla di scientifico.
Comincio a capire la posizione di Claudio Della Volpe che ho, a questo punto direi proprio ingiustamente, bistrattato nei commenti al post precedente a cui allude.
Anch’io, dal mio punto di vista, aggiungo che in questo sito non si riesce proprio a separare la scienza dalla politica.
Ad esempio in questo passaggio: “Il costo dell’auto elettrica, in Asia stanno chiudendo il gap con le termiche, noi non mi pare proprio, anzi, peggioriamo la situazione ponendo dazi su chi fa le auto elettriche economiche.” che è manifestamente assurdo.
Evidentemente Trump non vi è bastato. Lo volete a tutti costi anche a capo dell’UE…
@alessandrosaragosa, avevi iniziato bene (grazie per il link!) poi sei caduto in una serie di luoghi comuni e sentito dire, che mi sono francamente stufato di continuare a commentare.
Qua il punto è che c’è da un lato l’Italia e dall’altro il resto del mondo sviluppato “normale”. In Italia abbiamo deciso di suicidarci su questo fronte, e quindi ne pagheremo le conseguenze, sia in termini di ritardo sulla decarbonizzazione che di continuo inquinamento delle aree urbane e non solo. Ma noi italiani, si sa, siamo più furbi di tutti gli altri e siamo gli unici che hanno capito come stanno davvero le cose.
Dunque il resto del mondo ha già finito di disquisire sul nulla e sta avanzando velocemente verso la conversione termico-elettrico. Noi no, con grande gioia di Eni & C.
Mario (Grosso?), non ho capito di cosa tu mi accusi, forse era nella parte del commento che hai tagliato. Ho solo riportato punti problematici che mi sono stati segnalati da chi le auto elettriche usa. Boh…
Claudio della Volpe, il punto è la differenza fra cosa sarebbe bello (non per tutti, fra l’altro) fare e cosa si possa realisticamente fare. Siamo in democrazia e se ti presenti alle elezioni con una proposta come limitare per legge il chilometraggio delle auto, tanti auguri. Tocca fare fatica, avere pazienza, e spingere pian piano il comportamento pubblico verso abitudini più sostenibili. Secondo me anche l’evoluzione tecnologica può aiutare in questo, rendendo meno scomoda la transizione. Sperando che la velocità di questo cambiamento “soft” e progressivo sia sufficiente per evitare il collasso.
Armando Bis, c’è una particolare categoria di prodotti, quelli per contenere il cambiamento climatico, che l’Europa e gli Usa negli anni scorsi, dato che davano fastidio a conglomerati industriali consolidati locali, hanno follemente lasciato nelle mani dei cinesi, i quali hanno specializzato le loro industrie in quella direzione e sono in grado ora, che quei prodotti sono diventati indispensabili, di venderceli a prezzi stracciati rispetto ai nostri.
Certo, possiamo scegliere a questo punto di caricare di dazi quei prodotti e annullare gli obblighi di riduzione delle emissioni, mettendo in pausa la transizione energetica fino a che (ma quando?) le industrie occidentali diventeranno altrettanto competitive. Temo però che senza competizione e obblighi, è molto probabile che le nostre industrie si adagino su quella protezione, tornando all’antico, finchè potranno.
E bisogna poi vedere se clima e ambiente saranno tanto gentili da aspettare i nostri comodi, e se ci convenga rimandare la transizione all’elettrico, di cui approfitteranno i competitori cinesi per migliorare ancora di più i loro prodotti, considerato il panorama geopolitico e il costo dei fossili.
@ Alessandro Saragosa
Il problema dei prezzi è semplice: la Cina, da quel dì, ha distorto i cambi per ottenere un surplus commerciale.
Non è perché sono più bravi che vendono più merci a noi di quelle che vendiamo noi a loro.
La bravura del cinese e l’ignavia dell’americano e dell’europeo medio è un paravento moralistico per giustificare la strage dei posti di lavoro.
Non è bastato che eleggessero Trump una volta, hanno dovuto farlo di nuovo. E infatti ha vinto nelle aree più arretrate e in quelle in cui l’emorragia di posti di lavoro si è fatta più sentire.
Comunque, dal mio punto di vista il problema è che l’attuale assetto del sistema finanziario, – in mano, ricordiamolo, ai privati, – preclude la possibilità della transizione.
Tecnicamente non è proprio possibile.
Poi, come si dice in questi casi, felice di essere smentito.
Ma se avessi torto, dovrei vedere tutto un ribollire di iniziative sul territorio, cosa che non avviene.
E il collo di bottiglia è, a mio immodesto parere, la finanzia.
Che così com’è oggi non può traghettarci verso un futuro sostenibile.
Tutt’altro discorso se gli Stati riprendessero le funzioni per cui sono nati e che hanno ampiamente esercitato in passato.
“Tutt’altro discorso se gli Stati riprendessero le funzioni per cui sono nati e che hanno ampiamente esercitato in passato.”
Come ha fatto la Cina, cioè?
Le multinazionali stanno rovinando gli sforzi per rendere sostenibile l’economia.
https://www.eurekalert.org/news-releases/1068233
La presenza ubiquitaria di automobili e altri mezzi motorizzati circolanti nelle nostre aree urbane (anche le più piccole) rende pericolose per la salute umana le condizioni sanitarie dei centri abitati. Decine di migliaia di persone infatti si ammalano in Italia ogni anno di malattie respiratorie, e non solo, senza mai aver fumato altro che gli scarichi delle auto a livello stradale. Basterebbe questa sola considerazione per IMPORRE, come in Cina, la immediata abolizione delle immatricolazioni di nuove auto termiche per chi vive o lavora o si reca per qualsiasi motivo in città. Cito di seguito il dottor Alessandro Miani, UniMi e presidente Sima.
“Lo stop alle auto a benzina e gasolio dal 2035 in tutta l’Unione Europea è una buona notizia per la salute di 500 milioni di cittadini, che vedono ogni anno sparire un’intera città da 400.000 abitanti nella sola Europa a causa dell’inquinamento atmosferico, senza suscitare lo stesso allarme della pandemia da COVID-19”.
Ad affermarlo è il presidente della Società Italiana di Medicina Ambientale (Sima), Alessandro Miani, commentando il via libera definitivo dell’Eurocamera all’accordo sullo stop ai veicoli inquinanti (benzina e diesel) di nuova immatricolazione a partire dal 2035.
“L’agenzia Europea per l’Ambiente stima 593.700 anni di vita persi ogni anno solo in Italia a causa delle polveri sottili PM2.5 a cui se ne aggiungono altri 200.700 dovuti agli ossidi di azoto, con un impatto in termini di costi per anni di vita persi ogni anno nel nostro Paese compreso tra i 24 ed i 34 miliardi di euro – afferma il presidente Alessandro Miani”.
“Un veicolo su 4 in Italia ha oltre 15 anni d’età e il parco auto nazionale continua ad invecchiare passando da 34,3 milioni di veicoli del 2009 con età media di 7,9 anni ai 38,8 milioni di veicoli del 2021 che arrivano ad una età media di quasi 12 anni.
Le auto ibride ed elettriche rappresentano soltanto il 2,9% del totale, quelle solo elettriche si fermano addirittura allo 0,3%.”
Buongiorno a tutti, vorrei riportare brevemente la mia esperienza visto che guido elettrico dal 2022. In particolare qualche considerazione sul primo messaggio di @Alessandro Saragosa.
Sulla rete attuale di colonnine come “limite” alla diffusione dell’elettrico credo che in generale l’idea del “la rete non è adeguata” sia qualcosa di abbastanza superato. In questi due anni e mezzo la rete è cresciuta tantissimo andando a risolvere in larga parte quello che era uno dei limiti principali, ovvero le stazioni sulla rete autostradale. Siamo passati da pochissime stazioni ad averne una ogni 2-3 autogrill. Nella mia cittadina (Morbegno), in un raggio di 5-6km siamo passati dall’avere 1 sola stazione AC22Kw dall’averne 12 delle quali ben 5 in dc ad alta potenza tanto da essere oggi, qui, più numerose dei distributori di carburante. Ovvio è un esempio e la situazione può essere molto diversa nelle varie regioni.
Rispetto al parco circolante elettrico abbiamo il maggior numero di stazioni in Europa, quindi abbiamo una rete che è al momento largamente sottoutilizzata. Ovviamente non è completa, e non è neppure lontanamente adeguata a quelli che dovrebbero essere gli obbiettivi di elettrificazione sul lungo periodo, ma il limite oggi, anche per il costo dell’energia alle colonnine, è “anche” il sottoutilizzo che le rende poco redditizie.
Un’altra nota, vero che quando si è in viaggio le fast da 300Kw fanno molto comodo, ma pensare che quella sia l’unica soluzione è limitante per vari motivi, da un lato le fast richiedono molto più stress alla rete elettrica, costano molto sia per installazione che poi nel costo al Kwh per l’utente finale, dall’altro richiedono la necessità di auto con batterie comunque sempre più performanti e costose (sarà difficile trovare anche in futuro utilitarie economiche che caricano a 300Kw).
A mio avviso una soluzione molto utile da affiancare è la diffusione capillare di punti di ricarica a bassa-bassissima potenza che permettono di lasciare l’auto in ricarica per più ore o per l’intera notte in spazi pubblici anche non esclusivi. Al momento c’è sempre la spada di damocle dalla giustissima multa al minuto finita la ricarica. Questo approccio è attivo in Inghilterra dove ci sono piccole prese che escono dai lampioni stradali, economiche e semplici che permettono di avere praticamente sempre l’auto in ricarica quando è ferma. Tale approccio lo sta perseguendo A2A a Brescia e Milano al momento e mi pare molto interessante. Anche in prospettiva è sicuramente più interessante avere tante auto collegate che si caricano lentamente piuttosto che brevi ricariche ad alta potenza anche solo per sfruttare un giorno il vehicle to grid o comunque una gestione intelligente della rete elettrica.
Faccio un esempio pratico, quando devo andare a Milano per lavoro con la mia piccola Dacia Spring ho la necessità di caricare per poter tornare poi a casa tranquillamente. In genere l’impegno di lavoro può durare una mattina intera e se lascio l’auto anche solo in una colonnina AC, non potendo “limitare” la potenza di ricarica, nel giro di 1-2h al massimo l’auto è al 100% e devo quindi organizzarmi per tornare alla colonnina, spostarla cercando parcheggio. Potessi caricarla, anche solo parzialmente ma più lentamente ridurrei a zero le perdite di tempo.
Un altro aspetto che raramente viene preso in considerazione dal punto di vista strettamente economico sono i costi di gestione e manutenzione che permettono di chiudere già oggi il gap con il termico in modo abbastanza rapido. Io con la Spring spendo 100 euro all’anno di tagliando, zero bollo, 150 euro di assicurazione. Il costo dell’energia se dovessi caricare solo alle colonnine purtroppo oggi sarebbe simile al termico mentre due anni fa era enormemente più basso, per mia fortuna carico al 90% a casa con fotovoltaico abbattendolo drasticamente. Ma anche senza ricarica da casa i costi di gestione aiutano a chiudere il gap iniziale sul lungo periodo.
Tra l’altro al momento è molto cresciuto anche il mercato dell’usato elettrico con prezzi decisamente interessanti, basterebbe solo un po di fiducia sul fatto che le batterie siano anche meglio di quello che si pensa per durata ed efficienza.
In generale i dubbi e le preoccupazioni, lecite e comprensibili, di chi deve fare il salto, poi a mio avviso svaniscono rapidamente dopo poche settimane di utilizzo. Purtroppo ad oggi una certa politica soffia sul fuoco di questi dubbi lasciando il campo alla disinformazione più becera.
Un saluto a tutti per l’interessante discussione
Riccardo
rispondo brevemente a Vittorio Marletto; è giustissimo l’inquinamento da auto fossili è una quota importante dell’inquinamento cittadino ma non ne è l’unica sorgente, come tu ben sai esiste anche un inquinamento da riscaldamento (perfino da legna qui a Trento è un problema serio) da industrie, da agricoltura che si trasferisce in città (alcune particelle si formano proprio tramite la reazione dei componenti provenienti dalle aree agricole verso la città e non dipendono dalle auto) e cosa più importante esiste un inquinamento residuio da abrasione dell’asfalto, dei residui freni e questi te li terrai per sempre, anche perché devi considerare sempre l’uso dell’asfalto come base del percorso; dunque è vero quel che dici in gran parte ma non corrisponde all’abolizione dell’inquinamento in città; ma alla sua riduzione si concordo, ma senza dimenticare le altre fonti comprese quelle che con tutte le auto elettriche ci terremo comunque; ancora è da considerare che un’altra parte dell’inquinamento viene spostato di fatto dove si estraggono le nuove risorse minerarie necessarie alle batterie; dunque una sorta di esternalizzazione che manco può essere dimenticata; certo col tempo avremo il riciclo delle batterie, ma al momento le cose stanno diversamente, in conclusione quel che dici è parzialmente vero, ma non è tutta la verità, è la descrizione dalla pare dell’ustente finale di auto elettrica ma cosa dicono gli abitanti dei paesi dove si estraggono le risorse minerarie e si montano le batterie? dunque meno trionfalismo, ma concordo che certamente sarebbe bene RIDURRE i consumi delle fossili in città, zone dove il trasporto pubblico e il trasporto basato su bici dovrebbe farla da padrone mediante regole dure contro l’uso dell’auto privata; rimane il problema del trasporto merci cittadino e mi farebbe piacere sapere cosa si fa per i furgoni elettrici trasporto merci e perché non si obbligano le grandi catene di distribuzione ad usare in città non i furgoni diesel ma quelli elettrici.
@ Alessandro Saragosa
Sì, la Cina può essere un esempio.
Non so come ci sono arrivati, che strumenti hanno usato, ma immagino che essendo ormai un capitalismo a forte componente privata avranno usato la leva di tassi di interesse stracciati per il settore dell’auto elettrica (più, probabilmente, sussidi a go-go).
Mi ricordo un libro dell’economista Geminello Alvi sulla Cina, il suo disprezzo per i dirigenti governativi con i capelli tinti ma soprattutto per quello che definiva “capitale fittizio”.
Cito da un suo articolo del 2013:
“L’euforia per la crescita capitalistica cinese ha fatto obliare che per spiegare prima il miracolo e poi il suo ridimensionamento dovrebbe ricorrersi a teorie piuttosto desuete. A quando nei primi anni 60 Rostow definì gli stadi della crescita moderna, e spiegò che alla Russia sovietica difettava la rivoluzione dei beni durevoli, ch’era altra cosa dal decollo industriale che era riuscito agli zar e a Stalin. Sulla Pravda si arrabbiarono molto. Fidavano infatti solo nelle quantità di investimento pianificate ovvero in un modello di crescita alla Harrod, che sommava gli effetti di accelleratore e moltiplicatore. Ora non v’è dubbio che la Cina abbia conosciuto in questi anni la sua transizione alla fase dei consumi durevoli prevista necessaria da Rostow. Tuttavia ha pure perseguito una politica “da stato pianificato” di esagerato investimento, esplosiva, con tutti i rischi che ne conseguono. Oggi una sovracapitalizzazione da URSS anni 60 resiste paradossale nello sviluppo cinese.
Le unità di investimento necessarie a ogni unità di crescita del prodotto nazionale cinese, ovvero il rapporto incrementale capitale prodotto, è infatti cresciuto al 5,2 del 2009, dal 3,9 dei precedenti 15 anni. Nel 2012 risulta salito ulteriormente a 6,2 volte. Al contempo lo stock di debito cinese totale rispetto al prodotto nel 2009 si è impennato, e nel 2012 è salito al 227%. In altri termini il capitale si sta sproporzionando ormai al prodotto ed evolve ad aumento del debito o capitale fittizio. Un credito bancario pilotato dal partito comunista, per ovviare al rallentamento del ciclo dell’economia internazionale, ha quindi pilotato la crescita; ma senza un effettivo ritorno reale.”
Peccato che quel capitale fittizio produca auto vere, oggi elettriche, che costano meno delle nostre.
Perché i produttori americani ed europei siano rimasti indietro, non lo so. Mi pare si sapesse benissimo che i cinesi in tot anni avrebbero tentato di invadere il mercato.
Resta il fatto che il divario di prezzo è dovuto a un cambio alterato per volontà delle autorità cinesi.
Così come i tedeschi, grazie all’euro, evitando ogni rivalutazione del cambio e passano per essere i più bravi.
Comunque, la mia idea va oltre l’auto elettrica.
Il problema è che l’attuale sistema finanziario privato non è in grado di creare le risorse monetarie necessarie alla transizione.
Stanziare ogni anno il 4-5% di PIL per gli investimenti nelle rinnovabili non mi sembra un’operazione semplice e banale.
Eppure su questo punto il pensiero è pericolosamente latitante.
@Riccardo Scotti
Pienamente d’accordo. Segnalo inoltre l’articolo pubblicato meno di dieci giorni fa su Nature Energy:
https://www.nature.com/articles/s41560-024-01675-8
Le batterie usate davvero coi cicli dei cittadini durano il 40% in piu dei cicli standard.
Dottor Scotti! le rispondo solo per dire che non è che una rete ad alta potenza nei distributori, escluda che ce ne sia un’altra a media-bassa potenza nelle città, per le ricariche notturne.
Il punto è che la transizione all’auto elettrica è “in salita”, perchè, apparentemente, si svolge spinta da normative e obblighi, e non per desiderio della maggior parte delle persone, le quali (inconsapevoli dei vantaggi dell’elettrico) vedono questa transizione non come un miglioramento della propria vita, ma come una complicazione.
Quindi, per agevolare la transizione (soprattutto in paesi tetragoni a ogni cambiamento che comporti un po’ di fatica di adattamento come il nostro), a mio avviso, occorre che le auto elettriche si possano usare il più possibile come quelle a benzina, eliminando uno dei loro principali svantaggi: la lentezza della ricarica.
Fra l’altro, ribadisco, quando sarà assicurata una ricarica in 5-10 minuti in luoghi molto diffusi sul territorio, non serviranno più batterione da 500 e più km di autonomia e decine di migliaia di euro di costo, e le auto elettriche saranno molto più avvicinabili da tutti.
rimetto il mio intervento di risposta a Mario Grosso eliminato dal gestore in modo mi si lasci dire grossolano; La risposta di Mario è veramente inacettabile; Grosso rifiuta di capire che l’Italia che è il paese con il più alto numero di auto private procapite in Europa (o quasi) E PER QUESTO ha un mercato auto SATURO, ha un mercato auto IN CRISI sia elettrico che non elettrico; è anche il paese europeo con una riduzione degli stipendi negli ultimi anni; nel mese di novembre il mercato italiano delle auto nuove ha chiuso con 124mila auto totali , ossia 10% in meno delle unità dello stesso periodo del 2023. TUTTE LE AUTO non solo le elettriche: bambole non c’è una lira! non dipende dall’ostilità preconcetta; c’è l’ENI certo e questo conta ma non spiega tutto, ci sono fenomeni economici e sociali da considerare non è tutto tecnica infine è da dire che il petrolio è ubiquitario nella vita e si può ridurne l’uso procapite anche facendo altro che comprarsi un’auto elettrica; non viaggiare in aereoe o non mangiare carne per esempio o semplicemente cambiare modo di riscaldarsi. Ma come mai nessuno propone una cosa semplice: contingentare l’uso delle auto private, in media si fanno 10mila km, riduciamoli a 7000e poi a 5000, ripeto le private non i trasporti merci ,perché nessuno lo propone? dipende mica dal PIL?
https://www.alvolante.it/news/perche-gli-italiani-comprano-sempre-meno-automobili-400401
@Della Volpe “ma come mai nessuno propone una cosa semplice: contingentare l’uso delle auto private, in media si fanno 10mila km, riduciamoli a 7000e poi a 5000…”
dire che è una semplice vuol dire non essere molto a contatto con la realtà.
E come si fa a implementare? metto un dispositivo che conta quanti km fa l’auto?
E se la usano 3 persone della famiglia ?
E se uno fa l’operaio e abita dove non ci sono mezzi pubblici e deve fare 50 +50 km per andare e tornare dal lavoro, cosa gli diciamo? passata la soglia stai a casa?
E se uno abita in centro a Milano dove ha 3 metropolitane e 5 mezzi di superficie nel giro di 1 km, e usa i 7000 km per andare a Curma nel week end gliene diamo come all’operaio?
Insomma, va bene tutto ma non che è una cosa semplice.
Antonio, prima dei problemi tecnici io vedo qualche problemuccio politico nel far approvare una simile norma.
A meno che Della Volpe, per una imprevedibile concatenazione di eventi storici, non si trovi a diventare Zar di Tutte le Italie, mi pare difficile che attraverso i consueti canali elettorali, riesca a prendere il controllo del paese con lo slogan “Italiani, eleggetemi e limiterò la vostra percorrenza chilometrica a 7000 km annui”.
Comunque, se siamo qui a esporre i nostri sogni impossibili, a me piacerebbe che il governo e la UE finanziassero l’acquisto di auto elettriche a basso costo per le famiglie a basso reddito, se:
1) rottamano un vecchio modello termico
2) il modello scelto costa meno di 25000 euro
3) Il modello scelto è stato costruito in Europa
3) Hanno un isee famigliare massimo di 20000 euro, con aiuto all’acquisto inversamente proporzionale al suo importo
In questo modo si favorirebbe l’industria continentale e la si incentiverebbe a costruire utilitarie elettriche, si ridurrebbe l’inquinamento da traffico, si darebbe un modo per risparmiare sull’energia a famiglie che ne hanno bisogno e finalmente la si pianterebbe con il luogo comune “L’auto elettrica è per i ricconi di sinistra”.
E si farebbe contento anche Della Volpe, perchè sarebbero auto in sostituzione e non in aggiunta.
No Antonio basta contingentare il carburante, associare a ciascuna auto in circolazione un documento virtuale che autorizza lo scarico di un tot di benzina/gasolio o GPL all’anno; credo che i software ci siano già quando la telecamera sopra la pompa vede la targa autorizza un tot e sottrae dal totale, se è zero si ferma; poi è chiaro che non so come implementarlo non sono un tecnico di questo, ma abbiamo fatto ben altro e più rapidamente col covid; e il GW è peggio del covid, e non ci sono vaccini disponibili. quanto al dettaglio ciascuno può farci quel che crede col suo carburante, come adesso se uno ha i soldi o la forza sociopolitica può consumare molto più della media; è la democrazia borghese che è fatta così.Ma almeno ridurremmo i consumi di carburante invece di pensare che sia possibile obbligare o almeno spingere milioni di persone a comprarsi una nuova auto come pretendono gli autori del post. Se voglio consumare meno fossili obbligo a consumare meno fossili, punto. non a comprarsi un nuovo bene che cambia e reindirizza i consumi, ma non è detto che risolva i problemi.
Caro Alessandro ma quando è venuto il covid cosa è successo? si sono bloccate le auto o ricordo male? l’aria si è pulita il giorno dopo; forse che il Coivd è più del GW? anche il GW è una emergenza planetaria e credo si debbano considerare le possibli risposte come nel caso covid; la tua risposta fa capire che anche tu come altri amici di climalteranti non vedi un mondo diverso da quello in cui viviamo, sei a pensiero unico; ma il mercato delle auto non è una necessità; quando Vittorio pensa di ripulire l’aria delle città non riducendo il traffico privato ma facendo cambiare auto a tutti fa come te una cosa : accetta il punto di vista del grande capitalismo per risolvere i problemi, non trasporti piubblici e bici ma auto private; ma vi rendete conto di quante cose stanno dietro alle vostre proposte quanto mercato, quanta idea di mondo, quanti rapporti sociali sono dati per scontati? e io avrei un problemuccio politico? ce lo avete voi, avete l’idea che il mondo possa risolvere i problemi attuali delle 9 o 10 frontiere infrante dei propri limiti superati lasciando tutto ciò che conta inalterato eccetto un paio di scelte tecniche motori elettrici e generatori FV; non è così occorre cambiare molto di più; ecco perché la mitigazione e l’adattamento non sono scienza ,ma politica, accettano ipotesi tragiche senza manco accorgersi di farlo: pensiero unico. Questo è il mio ultimo commento ho già scritto troppo e non vorrei far interbvenire ancora il buon gestore; saluti a tutti e buon 2025
Standing ovation per Claudio Della Volpe!
(Che mesi fa avevo scioccamente scambiato per uno zetatiellino.)
Faccio solo notare che se dei lupi come Draghi e Giavazzi si presentano oggi come teneri agnellini (uno che perora la causa del debito comune, l’altro preoccupato per i posti di lavoro prossimamente cancellati nel settore automotive) è perché stupidi non sono.
Hanno capito che un conto sono le petizioni di principio e un altro la capacità di tradurre in realtà progetti estremamente complessi e dai risvolti imprevedibili.
I commissari europei no, questo proprio non l’hanno capito.
Il risveglio sarà brutale.
Un’altra soluzione al problema dei tempi di ricarica: in Occidente è fallito ogni volta che c’hanno provato per la mancanza di standard, ma nella Cina della programmazione e dei giganti dell’elettrico, mi sa che funzionerà e arriverà anche da noi (dazi permettendo). Del resto il sistema per lo scambio delle batterie degli scooter è già arrivato.
La batteria dell’auto elettrica non si ricarica, si cambia. E in soli 110 secondi. Il progetto Catl
MILANO – In casa Catl tra i buoni propositi per gli anni a venire c’è la crescita del settore del battery swap. Il colosso cinese nel 2022 aveva lanciato sul mercato il brand Evogo, dove forniva pile, stazioni per lo scambio e l’app per accedere al servizio. A quanto pare in questi ultimi due anni ha affinato il progetto e svelato – da pochi giorni – le nuove batterie Choco-SEB #20 e #25 dedicate per lo scambio.
In cantiere, il fondatore e Ceo di Catl, Robin Zheng, ha annunciato che entro il 2025 prevede di costruire 1.000 stazioni di sostituzione per le batterie ed entro la fine del progetto arrivare a quota 30.000; dove le prime saranno costruite direttamente dal brand e le successive 20.000 dai suoi partner.
Il disegno è ambizioso e potranno usufruire del servizio anche i veicoli con passi compresi dai 2,55 ai 3,1 metri; le stazioni contengono dalle 14 alle 30 batterie e per sostituirle servono solo 110 secondi.
A tal proposito Zheng commenta: “La sostituzione delle batterie non è solo l’impegno di Catl, ma anche l’impegno di tutti coloro che vogliono promuovere lo sviluppo sostenibile. Ci auguriamo di riunire più forze attraverso l’ecosistema Choco-Swap per promuovere congiuntamente il prospero sviluppo del settore della sostituzione delle batterie
Entro il 2030 il battery swap soddisferà un terzo del fabbisogno di rifornimento energetico delle auto elettriche”.
Le due nuove batterie sono entrambe progettate per auto piccole o compatte e saranno disponibili in due versioni. La prima è con chimica litio-ferro-fosfato, la seconda con quella tradizionale composta da nichel-manganese-cobalto.
La Choco #20 ha la capacità di 42 kWh (LFP o 52 kWh (NMC), mentre la Choco #25 ha la capacità di 56 kWh (LFP) o 70 kWh (NMC).
Gli automobilisti avranno a disposizione un piano di abbonamento mensile con diverse opzioni di scelta, come, per esempio, avere al mese 300 km o un chilometraggio illimitato.
Circa i prezzi, dipende dall’accumulatore scelto e dovrebbero andare dai 369 ai 599 yuan al mese, al cambio siamo tra i 48 e i 79 euro.
Insomma tra batterie e stazioni di scambio in divenire sembrerebbe che tutto marci alla perfezione e con l’occasione l’azienda ha presentato dieci modelli compatibili con le nuove pile e il sistema di scambio. In Cina questo servizio è decollato alla grande, mentre in Europa ancora fatica. Ma in Catl sono fiduciosi.
Vittorio in città gira in bicicletta salvo quando arriva e riparte, e in questo caso usa la Zoe elettrica della moglie. Vittorio gradirebbe molto che il traffico a Bologna cali ed è per questo favorevole ai nuovi tram in costruzione in città, ma soprattutto vorrebbe che l’inevitabile traffico residuo diventi tutto elettrico, come nella comunista Shanghai, in maniera da non respirare più gas di scarico mentre pedala. Caro Claudio per il 2025 ti auguro di essere meno schematico e rimuovere paraocchi idrologici ormai del tutto obsoleti. Auguri a tutti noi.
Con piacere constato che il “mood” nei confronti dei cattivoni Cinesi sta cambiando, almeno nei commenti a questo post.
Del resto è ormai innegabile che la crisi dell’automotive europeo e la non diffusione delle auto elettriche come ci si aspettava siano dovute anche, se non soprattutto, alla finanziarizzazione estrema, alla fame di profitti a breve termine e alla prioritaria massimizzazione dei dividendi di fine anno delle case automobilistiche europee. Questo inevitabilmente cozza contro programmazioni industriali lungimiranti, necessarie per uno shift dall’endotermico all’elettrico di massa, a maggior ragione in mercati saturi come l’europeo, l’italiano in primis. Le case hanno sposato il phase-out dell’endotermico al 2035 fiutando il mega-affarone del ricambio totale della flotta circolante, ma hanno continuato a massimizzare i profitti spingendo le vendite di SUV endotermici a maggior marginalità, tanto gli Stati si sarebbero fatti carico dei costi per il ricambio e l’elettrificazione della flotta circolante nel medio-lungo termine.
In parallelo negli ultimi 2 decenni non hanno investito sull’ottimizzazione della filiera dalla materia prima al prodotto finale, preferendo lasciar fare il lavoro sporco ai Cinesi con l’ormai sdoganata logica della delocalizzazione, nè hanno messo a terra gli investimenti necessari in R&D in alimentazioni innovative per poter arrivare a proporre sul mercato autovetture medio-piccole elettriche a basso costo, oggettivamente più razionali e compatibili coi nostri centri urbani e con le nostre tasche dei SUV elettrici da 50k€ che ci propongono ora.
In tutto questo la politica debole europea ha fissato sì dei paletti, ma non ha definito politiche industriali altrettanto lungimiranti (come arriviamo all’obiettivo?), di fatto accondiscendendo la logica del breve termine delle case.
Altrochè dazi, ora l’unico modo per una sostituzione rapida delle auto endotermiche con le elettriche è fare entrare non solo coi loro prodotti economici e ormai più performanti dei nostri, ma con la produzione vera e propria chi é stato molto più lungimirante di noi, per acquisirne il know-how, ottimizzando una nuova filiera all’europea. Questo ovviamente con le dovute tutele e cautele come hanno fatto loro con noi negli scorsi due decenni. Condicio sine qua non per ricreare una filiera industriale automotive europea sostenibile dal punto di vista ambientale ed economico, salvaguardando e creando nuovi posti di lavoro, è l’imposizione del Design for dismantling & for recycling dei modelli elettrificati. E’ imprescindibile per la riduzione dei costi delle BEV in UE, e le case dovranno mettere da parte ipocriti timori sulla sicurezza, a loro dire, legati alla creazione di mercati aftermaket delle batterie.
Studio fresco fresco, giusto per corroborare quanto sopra
https://theicct.org/publication/ev-battery-materials-demand-supply-dec24/
Policies reducing the average battery sizes of light-duty BEVs, implementing avoid-and-shift strategies, and ensuring efficient battery recycling can help to reduce the demand for new mining. Measures such as BEV energy efficiency standards can incentivize a shift to vehicles with smaller batteries. In addition to reducing the demand for raw material mining, these policies also translate into consumer benefits of more affordable BEVs with lower operational costs. Transport demand avoidance and modal shift strategies include planning higher density urban areas, developing cities centered around well-connected public transport, and building out safe walking and biking infrastructure. Lastly, maintaining a robust regional battery recycling ecosystem, including by supporting the implementation of the EU Battery Regulation’s recycling mandates and efforts to meet the domestic recycling capacity targets set out in the Critical Raw Materials Act, can further reduce raw material mining.
[…] emissioni pari a 10 volte quelli dell’uso di “moderni” veicoli a combustione interna, come già spiegato nel post precedente, e come si può leggere in due recenti review sul tema, qui e […]
Intanto, mentre noi pensiamo a come salvare il diesel, dal 1/1/2025 il centro di Stoccolma sarà aperto solo alle auto elettriche.
Alessandro hai dimenticato l’area B e C di MIlano? esiste da anni e Milano è più grande di Stoccolma
Vittorio ho scritto molto nel merito e non mi pare tu abbia risposto una sola volta; perché non ti batti per una città senza auto piuttosto che xcon tute auto private elettriche? buon anno
Leggendo sul sito del Comune di Milano vedo che nell’area B potranno entrare auto diesel Euro6 almeno fino al 2030, e quelle a benzina “sempre”
Lo stesso fa l’area C, ma a pagamento
Nella zona analoga di Stoccolma dal 2025 non può entrare nessuno a parte elettriche e metano, paghino o meno. Direi che c’è una bella differenza.
Quanto a “battermi” contro il traffico nelle città, mi pare che progressi in qualcuna di queste siano stati fatti, ma mi pare anche che, a parte Venezia, di grandi città senza auto non ne conosco nel mondo, nemmeno quelle con i più capillari mezzi pubblici e concentrazione di biciclette. C’è evidentemente qualcosa di “imbattibile” nella versatilità e comodità del trasporto individuale privato, che rende questa battaglia quasi persa in partenza. Tanto più che nei decenni le città si sono ricostruite intorno al dare per scontato che tutti hanno un’auto con cui muoversi fra casa e lavoro/scuola/divertimento/shopping, e tornare indietro comporterebbe ristrutturazioni edilizie e sociali veramente complicate.
Il mio pragmatismo innato mi suggerisce quindi di puntare a soluzioni, soprattutto tecnologiche, che attenuino il problema, piuttosto che abolirlo.
Salve, la mia ignoranza in materia mi impedisce di commentare utilmente, tuttavia vorrei approfittare della gentile disponibilità di questa comunità per porre una questione correlata che mi sta particolarmente a cuore. Vorrei capire bene come si confronta una nuova filiera basata sulla circolarità della mobilità elettrica con quella esistente basata sui carburanti fossili in senso globale, ovvero includendo ogni forma di non sostenibilità, in particolare residui inquinanti a lungo termine, consumo energetico residuo (non circolare, cioè efficienza complessiva del processo), disponibilità di materie prime nella fase di transiente verso la circolarità, porzione della singola auto “non circolarizzabile”, e altri elementi non reversibili. Non so se è possibile anche includere valutazioni sull’aspetto sociale, cioè sulla reale possibilità di costituire filiere virtuose e non affidate ad economie sommerse o in via di sviluppo, dove si sfrutta manodopera infantile, servile o sfruttata soprattutto per lo smaltimento, e non vi sono controlli sul processo. Mi interessa soprattutto capire se il guadagno globale (innegabile) che c’è nel confronto è dell’ordine dell’unità o significativamente migliore, anche nell’ipotesi di investimenti in sviluppo di pari livello tra elettrico e termico.
Comprendo la difficoltà della domanda, ma mi sarebbe utile, e penso anche a molti altri, conoscere le ipotesi di risposta per capire se l’elettrico è sostanzialmente un sistema di tamponamento dell’attuale situazione o una scelta possibile per la sostenibilità a lungo termine. Grazie infinite