“Sono solo un climatologo”: la portata storica del Nobel in fisica a scienziati del clima
“Il premio Nobel è il sogno di tanti scienziati, ma la reazione di Hasselmann ‘preferirei non avere il riscaldamento globale né premio Nobel’ cattura bene l’ambiguità che proviamo in molti nel prevedere con successo eventi e tendenze che non vogliamo che si avverino.” Gavin Schmidt [1].
Secondo John Wettlaufer della Yale University, la reazione di Syukuro Manabe alla notizia dell’essersi laureato Premio Nobel in fisica per il 2021 è stata di assoluta sorpresa, sottolineata dal commento: “But I’m just a climatologist! (Ma sono solo un climatologo!)”.
In questa reazione di Manabe, Premio Nobel insieme con Klaus Hasselmann e Giorgio Parisi, sta tutta la portata storica dell’assegnazione del Nobel in fisica a scienziati del clima, e si ritrova tutta la storia di una disciplina che è stata ritenuta per secoli meramente compilatoria e classificatoria [2], un discorso debole [3], una scienza dotata solo di ‘una visione descrittiva del mondo naturale’ [4] e che, nel XX e nel XXI secolo, ha dovuto spesso lottare contro semplificazioni e negazionismi che non la volevano ‘scienza esatta’, ossia una scienza in grado di fornire accurate modellizzazioni e previsioni sul mondo naturale. Climalteranti si è occupata della querelle sulla climatologia come ‘scienza esatta’ qui e qui.
I media italiani hanno giustamente trattato dell’importanza del riconoscimento per il fisico Giorgio Parisi, il cui lavoro sui sistemi complessi ha a sua volta contribuito ad una comprensione più profonda del sistema atmosfera e del sistema clima, entrambi sistemi complessi “naturali”. In questo senso, uno dei lavori più importanti di Parisi è del 1982, e tratta della risonanza stocastica nel cambiamento climatico, ossia dell’amplificazione di perturbazioni casuali connessa all’interazione di processi non lineari nel sistema climatico nel contesto di forzanti esterne ad esso [5]. Qui vorremmo soffermarci un po’ di più sui ruoli chiave di Manabe (nella foto) e di Hasselmann, meno ampiamente trattati dai mezzi di informazione in lingua italiana.
Syukuro Manabe, oggi 90enne, durante la sua giovinezza ha dato un contributo essenziale e precoce allo sviluppo dello strumento principale utilizzato oggi in climatologia, ossia i modelli numerici dell’atmosfera, con i quali vengono continuamente aggiornate le proiezioni sull’evoluzione futura del clima planetario, costretto a subire la forzante antropica di cui oggi si parla continuamente, le emissioni umane di gas climalteranti. Nato come meteorologo, con gli studi giovanili all’università di Tokyo, dopo aver conseguito il dottorato si sposta negli Usa alla fine degli anni Cinquanta e là comprende l’importanza della modellazione numerica al computer, l’unico strumento che abbiamo a disposizione per simulare l’atmosfera e sperimentare con essa, in un laboratorio sia pure ‘virtuale’.
Come riporta in una recente intervista il climatologo italiano Antonio Navarra, che di Manabe è stato allievo e collega a Princeton, “Non era per niente ovvio che si potesse fare. Creare un modello numerico capace di simulare le interazioni tra atmosfera, oceani, terre emerse, fiumi, sembrava un’impresa impossibile. Manabe ha avuto il coraggio di provarci e l’abilità di riuscirci.” [6]
Nel suo ultimo libro, scritto con Anthony J. Broccoli [7], è lo stesso Manabe a ricostruire l’evoluzione del suo pensiero e delle sue attività in quegli anni pionieristici. Cominciò sviluppando con successo [8] un modello monodimensionale dell’atmosfera nel quale il ruolo della CO2, del vapor d’acqua e degli scambi radiativi e convettivi verticali, tenendo conto delle inevitabili retroazioni, consentivano di fare le prime previsioni numeriche sull’incremento termico globale dovuto all’aumento dei gas serra [9]. La previsione ottenuta (+2,4 °C in presenza di un raddoppio della CO2 da 300 a 600 ppm) è sostanzialmente simile a quelle più recenti ottenute con strumenti modellistici molto più sofisticati.
I risultati ottenuti col modello 1D furono essenziali per procedere al modello numerico 3D che venne utilizzato alcuni anni più tardi, proprio per condurre esperimenti numerici di cambiamento climatico in presenza di livelli crescenti di CO2 (raddoppio) o di incremento della radiazione solare (+2%). I due lavori del 1975 con Wetherald [10a e 10b] contengono la descrizione dell’approccio utilizzato, che simulava un settore dell’atmosfera compreso tra l’equatore, due meridiani distanti 120 gradi, e un parallelo posto in prossimità del polo nord (all’epoca risultava proibitivo simulare al computer l’intero globo quindi i ricercatori si ingegnavano ad ottenere risultati realistici su porzioni significative del pianeta).
Importante notare come il modello fosse sia atmosferico che marino e che la temperatura del mare così come il suo ghiacciamento erano il risultato della dinamica modellistica e non imposti a priori come in approcci precedenti. La simulazione portò alla scoperta della cosiddetta amplificazione polare, ossia che il riscaldamento dovuto all’aumento di CO2 risulta molto più intenso verso il polo nord rispetto alle basse latitudini (come stiamo drammaticamente osservando oggi).
Con l’aumento progressivo e rapido delle potenze di calcolo disponibili, Manabe poté passare alla modellazione globale completa nello spazio e inclusiva anche del ciclo stagionale, e puntare anche all’adozione di modelli terra-atmosfera-oceano del tutto accoppiati, applicati anche alla paleoclimatologia, con un lavoro incessante che è proseguito per decenni, ben documentato nel citato “Beyond global warming”.
Il lavoro di Klaus Hasselmann si inquadra nel contesto delineato da Manabe negli anni Sessanta e Settanta, e introduce in particolare il concetto secondo cui, benché il sistema climatico atmosferico abbia un gran numero di gradi di libertà, questo numero può essere significativamente ridotto laddove si vadano a investigare i modi dominanti della variabilità e li si mettano a confronto con quelli generati dalle simulazioni modellistiche [11].
Hasselmann si era anche in particolare concentrato sulla possibilità di trattare la relazione tra segnale (inteso come l’insieme degli stati dell’atmosfera che si intendano modellare) e rumore (che comprende tutta la rimanente variabilità) come una relazione tra due comparti separati da una parete mobile, con ciò che fin qui abbiamo considerato rumore che può diventare progressivamente segnale, all’aumentare della nostra capacità modellistica.
In questo senso, l’intuizione geniale di Hasselmann è quella di trattare la relazione tra eventi meteorologici e proiezione climatologica, ossia a maggiore scala temporale e minore dettaglio spaziale, come una relazione tra una funzione che varia velocemente e una funzione che varia lentamente, accoppiate matematicamente come è possibile accoppiare, ad esempio nel seguire il movimento di una nuvola di polvere, il moto browniano a scala molecolare e microscopica e il moto macroscopico della nuvola di polvere stessa.
Manabe e Hasselmann, in sostanza, provvedono definitivamente a consacrare le equazioni dinamiche, termodinamiche e radiative alla base delle proiezioni climatologiche, conferendo loro quella solidità matematica e fisica (da “hard science”) che era nelle aspettative di Tor Bergeron, il primo scienziato a creare delle Linee Guida per una Climatologia Dinamica e il primo a parlare apertamente, nella storia della climatologia, della ricerca di una “base fisica per la previsione del clima di lungo periodo” [12].
È importante che il comitato per il Nobel abbia finalmente riconosciuto con questo premio il ruolo fondamentale degli studi fisici su sistemi complessi applicati all’atmosfera e al clima, con una motivazione che meglio non potrebbe sottolinearne l’importanza storica per chiunque si occupi di climatologia e cambiamento climatico. Manabe e Hasselmann hanno ricevuto il Premio Nobel in Fisica “per la modellazione fisica del clima della Terra, quantificando la varietà e predicendo in modo affidabile il riscaldamento globale”.
Si può oggi sperare che la definitiva consacrazione della climatologia come scienza “hard”, e del riscaldamento globale come realtà fisica, prevista e prevedibile in modo affidabile, consacrazione avvenuta attraverso il più importante premio nella scienza, possa contribuire a rendere sempre più marginali le posizioni del negazionismo e della minimizzazione climatica che talvolta ancora sono vive, anche in Italia, nell’ambito scientifico.
Testo di Vittorio Marletto e Gianluca Lentini, con contributi di Stefano Tibaldi e Sylvie Coyaud
Riferimenti
[1] Schmidt G., 2021, A Nobel pursuit. Realclimate, 12 ottobre.
[2] Feldman T., 1990. Late Enlightenment meteorology. In The Quantifying Spirit in the 18th century. Berkeley University of California Press, pp. 94-110.
[3] Heymann M., 2010. The Evolution of climate ideas and knowledge, WIREs Climate Change della Royal Meteorological Society vol. 1, issue 4, pp. 581-597
[4] Affermazione di Milutin Milankovic, citata in Fleming, J. R., 2006, in James Croll in context: the encounter between climate dynamics and geology in the second half of the nineteenth century, in History of Meteorology, vol. 3, pp. 43-54.
[5] Benzi R., Parisi G., Sutera A., Vulpiano A., 1982. Stochastic resonance in climatic change, vol. 34, issue 1, pp. 10-16.
[7] Manabe S., Broccoli A.J., 2020. Beyond Global Warming: How Numerical Models Revealed the Secrets of Climate Change. Princeton University Press.
[8] Manabe S., Strickler R.F., 1964. On the thermal equilibrium of the atmosphere with a convective adjustment. J. Atmos. Sci 21:361–85
[9] Manabe S., Wetherald R.T., 1967. Thermal equilibrium of the atmosphere with a given distribution of relative humidity. J. Atmos. Sci. 24:241–59.
[10a] Manabe S, Wetherald RT. 1975. The effects of doubling the CO2 concentration on the climate of a general circulation model. J. Atmos Sci. 32:3–15.
[10b] Wetherald R. T., Manabe S., 1975. The Effects of Changing the Solar Constant on the Climate of a General Circulation Model. J. Atmos. Sci. 32:2044-2059.
[11] Hasselmann K., 1997. Multi-pattern fingerprint method for detection and attribution of climate change, Climate Dynamics, vol. 13, pp. 601-611, 1997.
[12] Bergeron T., 1930: Richtlinien einer dynamischen Klimatologie, Meteorologische Zeitschrift vol. 47, n. 7, pp. 246–262.
Categoria: premi, storia, modellistica,
Parisi, Manabe, Hasselmann
4 responses so far
Grazie per l’ottimo post, che condivido pienamente.
Vorrei solo sottolineare che, insieme alle motivazioni separate per i tre vincitori del Nobel, c’e’ anche una motivazione comune, cioe’ “For outbreaking contributions to our understanding of complex physical systems”.
Credo quindi sia stata riconosciuta definitivamente la metodica per studiare e analizzare sistemi complessi come il clima – la modellistica – che a volte (almeno nella realta’ italiana) non viene ancora accettata come metodo per recuperare un modo di agire “galileiano” con un sistema complesso, tramite un laboratorio virtuale.
Ne scrivo brevemente qui:
http://pasini-lescienze.blogautore.espresso.repubblica.it/2021/10/10/parisi-il-nobel-e-la-scienza-del-clima/
Grazie, Antonello.
Condivido quanto sottolinei, che una volta ancora conferma come le obiezioni alla scienza del clima come scienza in grado di analizzare e modellare sistemi complessi, e di fornire previsioni e proiezioni affidabili e quantificabili nella loro affidabilità, siano sempre più sbugiardate dai fatti.
[…] minimizzare la solidità scientifica della climatologia, anche a seguito dell’assegnazione dei Premi Nobel per la Fisica del 2021. I primi capitoli della sezione “mitigazione” del Glasgow Climate Pact riconoscono molti dei […]
[…] complessi e alla quantificazione del riscaldamento globale di origine antropica (si veda anche il post dedicato da […]