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Archive for the 'Emissioni' Category

Notizie dagli USA: limiti alla CO2 delle centrali elettriche

Dopo l’imposizione di limiti alle emissioni delle auto dello scorso anno, il 2 Giugno la Environmental Protection Agency (EPA) statunitense ha reso pubblico il piano per la riduzione delle emissioni di CO2 dalle centrali elettriche chiesto dal Presidente Obama.
Il rapporto dell’EPA è un “mattone” di 700 pagine il cui obiettivo viene riassunto dai mass media nella riduzione del 30% delle emissioni di CO2 entro il 2030. Ovviamente c’è molto altro e ci vorrà tempo per “digerirlo”, ma qualche osservazione si può fare da subito.
La prima cosa da rilevare è che la riduzione prevista dal piano riguarda solo le emissioni del settore della produzione di energia elettrica. Questo è il singolo settore di maggior impatto (circa il 40% delle emissioni totali). Purtroppo i titolisti dei quotidiani e dei siti di informazione non sempre riflettono questo importante dettaglio, a scapito di una buona informazione ma anche del giornalista che ha scritto l’articolo e che riporta l’informazione correttamente nel testo (vedi ad esempio Rai News, Repubblica, Corriere).
Un altro dettaglio da sottolineare è l’anno di riferimento per la riduzione delle emissioni: in genere viene usato il 1990 mentre l’EPA usa il 2005. Se si tiene conto di questa differenza, rispetto al 1990 la riduzione delle emissioni del settore della produzione di energia elettrica risulta essere del 26. Continue Reading »

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Le “Madeleines” del negazionismo climatico

Ormai sono pressoché scomparsi sui quotidiani nazionali gli articoli che negano il riscaldamento globale in corso e l’influenza umana su di esso. Queste tesi rimangono attive sui blog, ma se si pensa alle frequenza di qualche anno fa (si veda ad esempio la rassegna del 2008, 2009 o 2010), il cambiamento è stato grande.
D’altronde, non potrebbe essere altrimenti: l’inverno 2014 è stato molto caldo, nonostante localmente ci siano state alcune anomalie fredde che hanno fatto tanto discutere i media.
Come già detto, è probabile che il prossimo arrivo di un forte El Nino, accoppiato ad una fase crescente della potenza solare, porti un nuovo record delle temperature globali, e metta la parole fine al dibattito sulla presunta “pausa” del riscaldamento globale (che ha fin troppe spiegazioni, come ha raccontato anche The Economist).
Leggere tesi negazioniste sulla carta stampata è quindi ormai qualcosa di raro; recentemente, dopo la lettura di uno di questi scritti, mi è capitato di provare non scontentezza o disappunto, ma una sorta di tenerezza, di malinconia per risentire dopo tanto tempo queste vecchie storie di tanti anni fa. Come se fossero delle Madeleines di proustiana memoria.
Il caso è stato l’articolo “Anthropogenic global warming: riflessioni sul consenso tra scienziati” del Prof. Ernesto Pedrocchi, pubblicato ne Il Giornale dell’Ingegnere, del febbraio 2014.
Il cuore dell’articolo è una critica infondata ad una ricerca di John Cook et al. del 2013, dal titolo “Quantifying the consensus on anthropogenic global warming”, pubblicata su Environmental Research Letters, che ha ribadito come ormai il consenso sul riscaldamento globale fra gli scienziati sia schiacciante. Una ricerca molto citata, anche in un tweet di Obama. Continue Reading »

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Prospettive di riduzione di gas serra dal trasporto su strada

Come già segnalato in un post precedente, una strada per ridurre le emissioni allo scarico di CO2 delle autovetture è quella di costruire auto con minori emissioni per km di strada percorso. È una strada che si sta già percorrendo in diverse zone del mondo, con diverse velocità: in Europa le emissioni specifiche di CO2 dalle autovetture di nuova omologazione sono calate dai 180 g CO2/km nel 1995 ai 132,2 gCO2/km nel 2012.

Con il fine di ridurre le emissioni del trasporto su strada, l’Unione Europea ha adottato nel 2009 un Regolamento (EC 443/2009) [1] che ha stabilito obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2 per le auto di nuova immatricolazione. Questo regolamento ha fissato in realtà due obiettivi: 130 g CO2/km, calcolato come valore medio per la flotta di ogni costruttore, da raggiungere entro il 2015, e 95 g CO2/km da raggiungere entro il 2020.

Figura 1: emissioni medie di CO2 per le nuove auto immatricolate in Europa

E l’Italia? Complice la crisi e la nostra innata propensione a dare un occhio al portafogli domestico/famigliare con anche un po’ di lungimiranza (magari tramite l’acquisto di auto bi-fuel o di bassa cilindrata e peso [2]), l’Italia nel 2011 ha già raggiunto l’obiettivo europeo previsto per il 2015 ed è ulteriormente migliorata nel 2012 attestandosi a 126,2 g CO2/km, contro una media europea pari a 132,2 g CO2/km [3]: siamo secondi di pochissimo dietro solo ai nostri sempiterni amici/rivali francesi (124,4 g CO2/km nel 2012). Continue Reading »

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I conflitti fra le politiche sul clima e sull’aria: il caso del diesel

 

L’international Energy Agency ci informa che nel 2011 il macrosettore dei trasporti è stato responsabile del 22% dell’emissione globale di CO2 da combustione [1], circa il 15% dell’emissione globale complessiva in termini di emissioni di CO2 equivalente [2]. A livello mondiale l’emissione di gas serra (greenhouse gases, GHG) dai trasporti è in continua crescita ed è principalmente guidata dal settore del trasporto su strada, le cui emissioni hanno subìto un incremento del 52% dal 1990 e pesano per circa i tre quarti delle emissioni complessive del macrosettore nel 2011 [1].

Le percentuali rilevate a livello globale trovano conferma alla scala europea, ove quasi il 20% delle emissioni di GHG al 2010 risultavano ascrivibili ai trasporti, e anche a livello nazionale, ove per l’Italia la percentuale sale a quasi il 24 % [3] (Figura 1).

Figura 1 Ripartizione percentuale delle emissioni di gas serra: Unione Europea a 27 (a sinistra) e Italia (a destra) nel 2010 Continue Reading »

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L’aumento delle emissioni di HFC e il riscaldamento globale

I presidenti di Stati Uniti e Cina si impegnano a limitare l’accumulo degli idrofluorocarburi (HFC) in atmosfera e a modificare in tal senso il protocollo di Montreal. Ma il peso di questi gas nel futuro aumenterà.

Gli studi di Rowland, Molina e Crutzen, insigniti nel 1995 del Nobel per la chimica, avevano dimostrato negli ani ’70 che gli atomi di cloro, provenienti dalla fotoscissione dei clorofluorocarburi (CFC), erano responsabili con grande efficienza della distruzione delle molecole di ozono stratosferico, più dell’acido cloridrico di origini vulcaniche e di altri composti clorurati e bromurati naturali. I CFC immessi per molti anni nell’ambiente sono infatti volatili, chimicamente stabili e non solubilizzati dalle piogge; possono così risalire fino alla stratosfera dove i raggi UV solari più energetici rompono i legami cloro-carbonio liberando quindi gli atomi di cloro, che a loro volta attaccano le molecole di ozono.
Il problema fu affrontato, come è noto, con la Convenzione di Vienna per la difesa dello strato di Ozono (1985) e con il successivo protocollo di Montreal (1987), che mise al bando i CFC, che fino ad allora erano impiegati come gas refrigeranti nei frigoriferi industriali e civili, come propellenti nelle bombolette spray e nell’industria elettronica per pulire i microchip da particolato e umidità. Continue Reading »

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Estrazione del biossido di carbonio dal sottosuolo: è una buona idea?

E’ in corso in questo momento un acceso dibattito sull’opportunità di autorizzare delle perforazioni esplorative a Certaldo, in Toscana, per l’estrazione di anidride carbonica (CO2) per utilizzarla come gas tecnico per fare bibite gassate e cose del genere (1, 2). Vediamo allora di riassumere i termini della questione cercando di spiegare quali sono i problemi che l’estrazione potrebbe porre.

Per prima cosa, diciamo che il pianeta Terra degassa continuamente biossido di carbonio come risultato dell’attività vulcanica del sottosuolo. Se però da una parte degassa, è anche vero che dall’altra riassorbe per precipitazione  e sequestro dei carbonati nei sedimenti marini fino ad alcune migliaia di metri di profondità. Questo meccanismo è fondamentale nel funzionamento dell’ecosfera, creando un equilibrio (più correttamente, “omeostasi”) nella concentrazione del CO2 che ha mantenuto la temperatura terrestre nei limiti compatibili con l’esistenza della vita nei passati miliardi di anni della storia del pianeta. Continue Reading »

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Esaurimento dei combustibili fossili, riscaldamento globale e innalzamento del livello del mare

Gli autori di uno studio da poco pubblicato su Global and Planetary Change spiegano come il progressivo esaurimento dei combustibili fossili convenzionali non sarà in grado di limitare l’aumento del livello del mare che, alla fine di questo secolo, sarà più alto di almeno 80 cm rispetto al livello del 2000 e alla fine del ventiduesimo secolo sarà compreso tra 150 e 230 cm, con gravissimi impatti in molte aree del pianeta.

 

Dalla fine dell’ultima glaciazione, circa 15 mila anni fa, il livello medio globale degli oceani è cresciuto di circa 130 m fino a raggiungere quello che ha caratterizzato gli ultimi 7 mila anni, un periodo dal clima relativamente stabile (si veda ad esempio questo precedente post sulla ricostruzione del livello del mare negli ultimi 2000 anni). Tuttavia, a causa del recente aumento delle temperature indotto dalle attività umane, nel corso del ventesimo secolo il livello medio globale degli oceani è aumentato di circa 17 cm (si veda figura 1), con una certa variabilità geografica tra le diverse regioni del pianeta. Sulla base di scenari “business as usual” (ovvero quelli che assumono che le future emissioni di CO2 di origine fossile continueranno ad aumentare approssimativamente con lo stesso trend attuale), l’ultimo rapporto IPCC nel 2007 ha proposto una proiezione dell’innalzamento del livello del mare nel corso del ventunesimo secolo tra 18 e 59 cm, a seconda dello scenario emissivo considerato (figura 1). Tenendo conto dei rapidi cambiamenti dinamici nelle calotte polari e nei ghiacci continentali (vedi sotto), tale innalzamento potrebbe tuttavia salire fino a 80 cm (figura 1). Di conseguenza ci si aspetta che sarà uno dei più importanti effetti del riscaldamento globale antropogenico e che i suoi impatti sugli ecosistemi terrestri e la società umana saranno tra le sue conseguenze più significative e visibili.

 

Figura 1. L’aumento del livello medio globale del mare (rispetto al 1990) osservato dal 1880 al 2009 (Church & White, 2011) e le proiezioni per il ventunesimo secolo basate sul modello semi-empirico duale (Vermeer & Rahmstorf, 2009) confrontate con quelle ottenute con i modelli climatici dell’IPCC per il rapporto del 2007 (scenari SRES). Il quarto rapporto IPCC ha anche stimato un livello massimo che include il contributo proveniente dalla fusione delle calotte polari e dei ghiacci continentali. Continue Reading »

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Limitare i cambiamenti climatici a breve termine e migliorare la qualità dell’aria

Uno studio scientifico apparso a Gennaio sulla rivista scientifica Science spiega che un numero limitato di misure di riduzione delle emissioni di agenti inquinanti puo’ sostanzialmente mitigare il riscaldamento globale e allo stesso tempo produrre benefici significativi sulla salute umana e sulla produzione di cibo.

Temperature (variazioni rispetto al periodo pre-industriale) osservate fino al 2009 e simulate per gli anni successivi secondo vari scenari del futuro (Shindell et al, 2012)

 

Finora, grande attenzione e’ stata rivolta all’anidride carbonica (CO2) poiche’ di essa e’ la maggior parte delle emissioni dovute all’attivita’ dell’uomo che sono causa del riscaldamento climatico. La CO2 e altri gas serra hanno una lunga vita media nell’atmosfera (da qualche anno a centinaia d’anni), a causa di cio’ sono necessari impegni su scala internazionale per la diminuzione delle loro emissioni e poter cosi’ avere un effetto efficace sul clima, a scala globale e a lungo termine. Continue Reading »

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Ridurre i gas serra dal ciclo dei rifiuti

Una corretta gestione dei rifiuti, finalizzata a ridurre drasticamente il ricorso alla discarica a favore del riciclo dei materiali e del recupero energetico ad alta efficienza dal rifiuto residuo può contribuire in maniera significativa alla riduzione delle emissioni di gas serra dal settore. Un recente studio dell’European Environmental Agency quantifica in 78 milioni di tonnellate di CO2 equivalente il risparmio annuale che si può conseguire in Europa nell’ipotesi di abbandonare totalmente lo smaltimento in discarica nell’anno 2020.

Balle di PET separato meccanicamente dal flusso di plastica raccolto per via differenziata pronto per il riciclo

In attesa che una foresta artificiale o una mongolfiera gigante ci vengano in soccorso nel mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici, conviene tornare con i piedi per terra e focalizzarci ancora una volta su quella che è la via maestra per affrontare seriamente il problema: la riduzione delle emissioni di gas serra.

In questo senso, una corretta ed avanzata gestione dei rifiuti può fornire un contributo tutt’altro che trascurabile, come ci illustra un recente rapporto pubblicato dall’European Environmental Agency (EEA) di Copenhagen, Agenzia il cui compito consiste nel fornire informazioni valide e indipendenti sull’ambiente. Il rapporto “Waste opportunities – Past and future climate benefits from better municipal waste management in Europe” affronta la tematica con l’approccio del “ciclo di vita”, ben noto a coloro che si occupano specificamente della gestione dei rifiuti, in contrasto con l’approccio settoriale dell’IPCC. Per quest’ultimo la gestione dei rifiuti rappresenta unicamente una sorgente di emissioni di gas serra in atmosfera, con tipologie e quantitativi differenti a seconda della tecnologia di trattamento considerata (discarica, digestione anaerobica, incenerimento senza recupero energetico). Ad esempio le emissioni dalle discariche sono costituite essenzialmente dalla quota parte di metano contenuto all’interno della frazione di biogas non captato, quelle dall’incenerimento dalla CO2 di origine fossile emessa al camino, e così via. Continue Reading »

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Calano le emissioni di gas serra; solo colpa della crisi?

L’ISPRA ha realizzato l’inventario nazionale delle emissioni in atmosfera dei gas serra per l’anno 2009, in accordo con quanto previsto nell’ambito della Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici delle Nazioni Unite (UNFCCC) del protocollo di Kyoto.

Nell’ultima comunicazione all’UNFCCC sulle emissioni di gas serra  in Italia, relativa al periodo dal 1990 al 2009, si registra per il secondo anno consecutivo una diminuzione delle emissioni nazionali totali dei sei gas serra. Nel 2009 le emissioni sono diminuite del 9,4% rispetto al 2008 e del 5,4% rispetto al 1990, anno base di riferimento per l’impegno nazionale di riduzione del 6,5% da raggiungere nel periodo 2008-2012. Continue Reading »

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L’esaurimento dei combustibili fossili e il clima… seconda parte

La produzione di petrolio e gas naturale ha ormai raggiunto o sta per raggiungere il suo picco e ciò potrebbe avere importanti conseguenze sull’ampiezza del riscaldamento globale futuro. In questa seconda parte del post sono presentate alcune proiezioni climatiche, svolte nell’ambito del Dottorato di Ricerca in Fisica all’Università di Trento, utili per valutare le conseguenze imposte dalle limitazioni geologiche alla futura disponibilità di energia di origine fossile e per stimare la probabilità che un suo esaurimento eviti un cambiamento climatico pericoloso.

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Diversi enti internazionali e compagnie petrolifere hanno proposto stime delle riserve accertate di combustibili fossili (BP, 2009; EIA, 2005-2009; USGS, 2000).
Si tratta di stime (riportata nella figura a fianco in termini di emissioni potenziali di CO2, assieme con le emissioni storiche cumulate fino alla fine del 2008) che considerano solo i quantitativi realmente accertati (ad eccezione di USGS che include anche parte delle risorse), perché se si considerano i quantitativi presunti le stime diventano assai variabili a seconda delle diverse fonti, a denotare una forte componente di soggettività e quindi inaffidabilità.
Non considerano altresì le risorse non convenzionali, quali sabbie e scisti bituminosi, greggio pesante ecc., già sfruttate o che molto probabilmente lo saranno in futuro. Continue Reading »

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L’esaurimento dei combustibili fossili ci salverà dal riscaldamento globale?

La produzione di petrolio e gas naturale ha ormai raggiunto o sta per raggiungere il suo picco e ciò potrebbe avere importanti conseguenze sull’ampiezza del riscaldamento globale futuro. In questa prima parte del post presentiamo lo stato dell’arte delle attuali proiezioni climatiche che tengono conto anche dell’esaurimento dei combustibili fossili.

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Secondo il Quarto Rapporto dell’IPCC la superficie terrestre si è scaldata in media di circa 0,8 °C dal periodo preindustriale, principalmente in seguito all’immissione in atmosfera di gas serra derivanti in gran parte dall’utilizzo estensivo dei combustibili fossili. Le proiezioni climatiche attuali indicano che alla fine del secolo la concentrazione atmosferica del principale gas serra, la CO2, potrebbe sforare le 1000 ppm, e la temperatura globale raggiungere valori compresi tra +1,8 e oltre +4 °C rispetto alla media del periodo 1980-2000. Tuttavia, l’ampiezza di tali cambiamenti dipende fortemente dallo scenario di emissioni da cui le proiezioni vengono ottenute. Continue Reading »

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Un argomento non valido contro gli impegni di riduzione delle emissioni

Se si guardano alcuni semplici principi e numeri alla base delle politiche climatiche, l’argomento “riduciamo le emissioni solo se anche Cina e India le riducono”, non regge: gli impegni di riduzione delle emissioni dei paesi industrializzati, fra cui l’Italia, sono inevitabili.

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Il dibattito sulle azioni da intraprendere per ridurre le emissioni dei gas serra è ancora occupato da un’argomentazione semplice ed efficace, che suona più o meno così: non tocca solo a noi ridurre le emissioni, anche altri devono farlo, altrimenti non dobbiamo farlo neanche noi. Gli “altri” sono generalmente “la Cina”, a volte “la Cina e l’India”. L’affermazione più frequente è: se Cina e India non accettano limiti, neanche noi dovremmo ridurle e porci dei limiti.
Sono posizioni ribadite negli scorsi mesi e settimane da rappresentanti del Governo italiano, di Confindustria e del mondo industriale.
In questo post si vuole mostrare come sono posizioni non giustificate, per cinque diversi motivi.

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Le emissioni di metano dal permafrost artico e i pericoli per il futuro del clima

Emissioni di metano dal permafrost terrestre e dai bassi fondali delle coste artiche sono state osservate negli ultimi anni. L’ipotesi è che il riscaldamento globale provochi la decomposizione degli idrati di metano cristallini presenti a varie profondità. Ciò provocherebbe un feedback di accelerazione nel riscaldamento stesso. D’altra parte questi composti di inclusione giocano un ruolo strategico, come riserva energetica di gas naturale, molto più abbondante di tutte le fonti fossili accertate.

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Da alcuni anni scienziati svedesi, come Orjan Gustafsson, avevano segnalato l’aumento della concentrazione del metano nell’aria sovrastante i suoli della Lapponia nonché l’emissione di bolle di metano dai bassi fondali delle coste artiche.
Da alcuni anni inoltre Katey Walter (in alcuni lavori si firma come K.M.W. Anthony) e i suoi colleghi stanno lavorando sulla fusione del permafrost (il suolo gelato perenne) alaskano, canadese e siberiano: in questi casi la fusione del ghiaccio che permea gli strati superficiali del permafrost provoca la formazione di avvallamenti e depressioni nella pianura sovrastante, con la formazione di piccoli laghi e acquitrini. I sedimenti organici sul fondo di questi laghi fermentano per l’azione di microrganismi anaerobi, con la formazione di metano (K.M Walter, L.C. Smith, F.S. Chapin III, Phil. Trans. Royal Soc.).

Più di recente (marzo 2010) l’allarme è stato lanciato da ricercatori russi e svedesi (Shakova e altri, fra cui Gustafsson) che hanno osservato nel mare di Laptev (Siberia centrale) e nel mare della Siberia Orientale, un cospicuo flusso di gas proveniente dai bassi fondali della piattaforma continentale. Ugo Bardi ne ha accennato nel suo blog e io ne ho parlato con Claudio Della Volpe e con Fabio Desicot in un’intervista radiofonica. In verità dal 2008 la temperatura dei fiumi siberiani d’estate supera di ben 4 C la temperatura media degli anni precedenti; si innesca quindi un circuito vizioso: più aumenta il Global Warming più si scaldano i fiumi e i mari costieri. Sarebbe questa la causa delle emissioni di metano dai bassi fondali della piattaforma continentale. Inoltre nel 2009 erano state viste via sonar e simulate fuoriuscire di colonne di bolle di gas dai sedimenti marini ai margini continentali delle isole Spitzbergen (G. Westbrook et al. Geophys. Res. Letters) e M. Reagan, G.J. Moridis Geophys. Res. Letters (riprese anche da Realclimate e tradotto in italiano da Climalteranti). Continue Reading »

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Il riscaldamento nascosto

Fra i miti del negazionismo climatico che perdurano, incuranti delle confutazioni ricevute, uno dei più frequenti è quello dell’incapacità della comunità scientifica di spiegare il “mancato riscaldamento” del primo dopoguerra.

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Uno dei principali sostenitori di questa tesi è il Prof. Franco Battaglia, che l’ha proposta in numerosi interventi scritti e orali, l’ultimo dei quali nel numero di marzo 2010 de Chimica e L’industria.
Nel tentativo di sostenere che il “rallentamento” nell’aumento delle temperature globali registrato nel periodo 1940-1970 non possa essere attribuito all’azione “raffreddante” dei solfati,  FB ha sostenuto, contro ogni esistente evidenza scientifica, che le emissioni di solfati in quel periodo non siano state superiori a quelle dei decenni precedenti.
Le parole scritte sono “..i dati di emissioni di solfati, ad esempio americani, sono disponibili; e non si riscontra alcun aumento nel periodo 1940-75 rispetto ai valori dei 30 anni precedenti. Più precisamente, ad esempio, le emissioni americane di biossido di zolfo furono di 23,3 Gt nel 1925, di 21,5 Gt nel 1955 e di 28 Gt nel 1975 (dati USEPA tratti da National air pollutants emission trends, 1900-1996)”.
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