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I risultati della COP26 fra realtà, impazienza e cancel culture

Anche quest’anno i giudizi sul risultato della Conferenza delle Parti della Convenzione sul Clima sono stati caratterizzati da un’insoddisfazione più o meno velata. Ma anche se il lento e progressivo lavoro del negoziato sul clima non è all’altezza della grande urgenza che pone il cambiamento climatico in corso, la COP26 ha prodotto diversi risultati tutt’altro che trascurabili, che in passato – in tempi meno impazienti – sarebbero stati considerati dei successi.

La COP26 che si è svolta a Glasgow dal 31 ottobre al 13 novembre è stata di gran lunga la COP più seguita: la copertura di radio e televisioni è stata eccezionale, con frequenti servizi ad hoc nei telegiornali, aperture e tante pagine nei quotidiani nazionali. Per chi segue da anni le COP, si tratta di qualcosa che va al di là delle più rosee aspettative degli anni scorsi: il negoziato sul clima è vivo, ha un ruolo centrale nell’azione globale contro il cambiamento climatico. Le forze che in passato hanno cercato di marginalizzarlo, per lasciare spazio solo ad accordi bilaterali fra gli Stati (senza un negoziato quadro multilaterale), non potevano perdere in modo più clamoroso.

I risultati della COP26 hanno tuttavia lasciato molti scontenti, per motivi anche opposti. Si va da chi ci ha visto solo un inutile esercizio retorico, a chi (il forum dei paesi esportatori di gas) si è lamentato per la presenza alla COP26 della “cancel culture” verso i combustibili fossili! (nrd: per cancel culture (in italiano cultura del boicottaggio) si intende “una forma di ostracismo nella quale qualcuno diviene oggetto di indignate proteste e di conseguenza estromesso da cerchie sociali o professionali”). Va anche sottolineato che molti degli scontenti hanno evidenziato una scarsa conoscenza del processo negoziale e dei reali risultati della conferenza.

Oltre cinquanta le decisioni formalmente approvate a valle delle due settimane di lavoro, e tante altre dichiarazioni e impegni che, pur se non adottati formalmente, ne costituiscono un supporto fondamentale. Così tanti e complessi che non è facile fare un riassunto. Chi ci ha provato ha prodotto documenti pesanti, come la dettagliata e al solito ottima analisi approfondita dell’IISD – Earth Negotiations Bulletin (ENB) (40 pagine, ma la sostanza è in particolare nelle tre pagine delle conclusioni, da 37 a 39), nonché l’analisi di dettaglio dei risultati fatta da Carbon Brief, che vista la lunghezza potrebbe in futuro cambiare nome… in Carbon Long.

Come si diceva nel precedente post (ma anche per la COP25 di Madrid), inevitabilmente la COP26 non ha soddisfatto le eccessive attese e richieste, molte delle quali incompatibili con l’agenda, la struttura e i tempi del negoziato multilaterale sul clima. Ma ci sono alcuni punti fermi sui risultati, da cui si può partire per valutare quanto questa COP26 possa davvero essere, come è stato detto, la prima stazione di partenza del “treno dell’ambizione”.  

Ne presentiamo alcuni, e rimandiamo a successivi post o all’analisi del post di Carbon Brief per altri approfondimenti importanti.

Il libro delle regole dell’Accordo di Parigi

Uno dei risultati più importanti è la finalizzazione del “Paris rulebook”, cioè i “decreti attuativi”, fondamentali per attuare l’accordo di Parigi firmato nel 2015.

Nella COP26 di Glasgow:

1) sono state finalmente adottate le tabelle e i formati per il reporting ai sensi del nuovo quadro di trasparenza (ETF) dell’Accordo di Parigi, che entrerà in vigore per tutti i Paesi, sviluppati e non, entro il 2024. Tra queste le tabelle comuni (CRT) da utilizzare per la rendicontazione dei dati dell’inventario delle emissioni e degli assorbimenti dei gas serra, i formati tabulari comuni (CTF) per il monitoraggio dei progressi nell’attuazione e nel raggiungimento degli NDC e gli indici di importanti rapporti di trasparenza che i Paesi dovranno redigere e trasmettere periodicamente all’UNFCCC. Per la finalizzazione di questo lavoro, è stato necessario un accordo su come tradurre all’interno delle tabelle e dei formati le specifiche opzioni di “flessibilità” a disposizione dei paesi in via di sviluppo in caso non riescano ad applicare appieno le regole stabilite in virtù di limiti di capacità nazionali. Tali tabelle e formati, che diventeranno applicabili a tutti i Paesi entro il 2024, rappresentano una nuova era nel monitoraggio degli impegni degli Stati: garantiranno infatti informazioni più regolari e più solide sullo stato delle emissioni climalteranti e sui progressi compiuti verso l’attuazione degli NDC (contributi nazionali volontari), e tutti potranno valutare ciò che stanno facendo gli altri Stati. Il raggiungimento di un accordo su questi elementi, centrali per la credibilità dell’accordo di Parigi, costituisce un risultato davvero importante e tutt’altro che scontato alla vigilia.

2) sono state approvate le regole sul mercato globale della CO2 (art. 6 dell’Accordo di Parigi, si veda questo precedente post), che riconosce la possibilità per i Paesi di utilizzare il mercato del carbonio internazionale per l’attuazione degli impegni determinati a livello nazionale per la riduzione delle emissioni (NDC) e assicura che le riduzioni di emissioni non vengano contate due volte (ad esempio, da un’azienda che compensa le sue emissioni con un impianto eolico e dal paese dove quell’impianto è collocato).

Tali regole includono l’adozione di:

– linee guida per i cosiddetti “approcci cooperativi” che prevedano lo scambio di quote (Articolo 6.2 dell’Accordo di Parigi), incluse le informazioni da includere nell’ambito del nuovo quadro di trasparenza;

– regole, modalità e procedure per i “meccanismi di mercato” (Articolo 6.4);

– un programma di lavoro all’interno del quadro degli approcci “non di mercato” (Articolo 6.8), con avvio nel 2022.

Il raggiungimento di un accordo sull’art. 6 è un passo di grandissima importanza, che conclude quattro anni di faticosissime trattative: il testo approvato è stato giudicato dagli esperti, ma anche dalle organizzazioni ambientaliste, ottimo: senza entrare nei dettagli tecnici, si può dire che le decisioni sull’importazione dei vecchi crediti del Clean Development Mechanism (possibile in piccola quantità), le regole per evitare il doppio conteggio delle riduzioni che hanno generato crediti, o la decisione sulla tassazione dei crediti per creare fondi per l’adattamento (share of proceeds) erano questioni spinose che non era affatto scontato riuscire a dirimere.

Aumento dell’ambizione negli impegni che portano alla riduzione delle emissioni

Alla COP26 si è registrato un forte richiamo sull’importanza di “mantenere in vita” l’obiettivo di contenere l’aumento della temperatura globale entro gli 1,5°C rispetto all’epoca preindustriale, già incluso 6 anni fa, come obiettivo “aspirazionale” (fare sforzi per…), nell’accordo di Parigi. Analizzando la cosiddetta “cover decision” del Glasgow Climate Pact, risalta l’importanza di tale obiettivo e degli sforzi necessari a perseguirlo, tra cui la richiesta a tutti i Paesi di rivisitare e rafforzare i propri NDC entro il 2022 al fine di allinearli all’obiettivo di temperatura dell’Accordo. Questo è senza dubbio un risultato significativo della COP26, cui ha contribuito in maniera fondamentale l’ultimo report scientifico dell’IPCC, e le forti mobilitazioni della società civile.

Prima e dopo la COP 26 gli Stati hanno comunicato l’aggiornamento dei loro NDC: la stragrande maggioranza degli Stati (e l’Unione Europea) ha aumentato l’ambizione, ossia l’impegno di riduzione rispetto alla prima versione dell’NDC sottoposto nel 2015.

Pur se non contenuti nel Glasgow Climate Pact (e quindi non formalmente vincolanti in ambito UNFCCC), sono stati inoltre dichiarati dagli Stati numerosi ulteriori impegni volontari di riduzione delle emissioni, che si aggiungono a quelli esistenti.

Il Global Methane Pledge, un impegno di 109 Stati (fra cui l’Italia) a ridurre le proprie emissioni di metano del 30% nel periodo 2020-2030 e di passare all’utilizzo delle “migliori metodologie di inventario disponibili” per quantificare le emissioni.

Stop al finanziamento delle fonti fossili: più di 30 Stati (fra cui l’Italia) e istituzioni finanziarie hanno assunto un impegno, promosso dalla presidenza inglese della COP26, a sospendere tutti i finanziamenti per lo sviluppo dei combustibili fossili all’estero, reindirizzando i finanziamenti verso l’energia verde.

Stop al carbone. Durante la COP26 ci sono stati tanti – e confusi – annunci su diversi impegni per mettere fine o ridurre l’uso del carbone. Gli impegni di oltre 60 paesi, fra cui molti paesi ancora in via di sviluppo, a non costruire nuove centrali a carbone sono di grandissima importanza, porteranno a non costruire centrali a carbone già previste per almeno 1175 GW, una potenza superiore a quella attualmente installata in Cina.

Pur se ha fatto scalpore l’impegno dell’India a non includere nel documento Glasgow Climate Pact un impegno al phase-out (eliminazione), ma solo ad un phase-down (riduzione), quello raggiunto è comunque un grande risultato: è un’assoluta novità per le COP, ben al di sopra di quanto sperato negli anni scorsi, in cui si faceva fatica anche solo a nominare il termine “combustibili fossili” nei documenti ufficiali del negoziato. Ad esempio, i termini “combustibili fossili” o “carbone” non compaiono nel testo dell’Accordo di Parigi, e non per caso.

Transizione a veicoli a emissioni zero. Il 10 novembre molti Stati (fra cui Danimarca, Costa Rica, Germania e  Regno Unito) e Regioni (California, Baden Württemberg) hanno presentato i loro impegni per promuovere alla mobilità dei veicoli elettrici ZEV (Zero-Emission Vehicles). Presenti ministri e top manager di grandi gruppi industriali. L’Italia non ha aderito.

Glasgow leaders’ declaration on forests and land use: 130 Stati (fra cui l’Italia) e numerose istituzioni finanziarie hanno assunto un impegno, promosso dalla presidenza inglese della COP26, a “lavorare collettivamente per arrestare e invertire la perdita di foreste e il degrado del suolo entro il 2030”, supportata da più di 20 miliardi di dollari di finanziamenti.

Nel complesso, gli impegni presi – se attuati – potrebbero ridurre l’aumento delle temperature globali rispetto a quanto era da attendersi in una situazione pre-COP26. Non è facile tradurre gli impegni sottoscritti dai diversi Stati in proiezioni delle emissioni future e delle conseguenti temperature globali: l’analisi dell’agenzia Internazionale dell’Energia ha stimato un aumento a +1,8°C, il Climate Action Tracker considera un più realistico +2,1°C (e definisce +1,8°C uno scenario molto ottimistico): si tratta di un passo in avanti notevole rispetto all’attuale tendenza a 2,7°C. Perché, come ha scritto l’IPCC, ogni decimo di grado è importante per ridurre gli impatti del cambiamento climatico.

Va infine ricordata la dichiarazione di collaborazione sul clima di Cina e USA, in quanto il Patto di Glasgow è rafforzato dalla collaborazione tra le due superpotenze climalteranti mondiali.

Finanza per il clima:

L’obiettivo di raggiungere, entro il 2020, 100 miliardi di dollari annui per supportare i Paesi vulnerabili non è stato ancora raggiunto (nel 2019, si sono sfiorati gli 80 miliardi).

Nell’ambito della COP26 sono stati tuttavia molteplici gli impegni da parte di diverse istituzioni finanziarie e dei Paesi per aumentare i propri contributi e far sì che tale obiettivo sia raggiunto il prima possibile. Secondo le stime dell’OCSE, si potrebbe raggiungere quota 100 miliardi annui entro il 2023, con la prospettiva di aumentare l’impegno gli anni seguenti.

 

Adattamento

Si è deciso di raddoppiare i fondi internazionali per le azioni di adattamento, soprattutto nei paesi più vulnerabili agli impatti dei cambiamenti climatici. E’ stato inoltre approvato un programma di lavoro per definire il “Global Goal on Adaptation”, finalizzato a definire gli indicatori per monitorare le azioni di adattamento dei Paesi.

Particolarmente accesa è stata la negoziazione sulle perdite ed i danni subiti in conseguenza dei cambiamenti climatici (“Loss and Damage”); forte la spinta negoziale per chiedere strumenti finanziari dedicati per supportare i Paesi per minimizzare le perdite ed i danni. Nelle conclusioni, è previsto l’avvio di un “dialogo” su questo tema, da concludersi entro il 2024, per l’istituzione di un fondo per sistemi di allerta e minimizzazione delle perdite e danni conseguenti ai cambiamenti climatici.

Pieno riconoscimento della scienza del clima

I lettori di Climalteranti ricordano lo sconforto della COP24, quando non si riuscì ad approvare un testo in cui si esprimeva apprezzamento per il Rapporto Speciale IPCC su 1,5°C di riscaldamento globale, e ci si limitò ad un “prendere nota”. Ora queste incertezze sono state spazzate via, grazie forse a un clima scientifico in cui è diventato sempre più risibile e pretestuoso minimizzare la solidità scientifica della climatologia, anche a seguito dell’assegnazione dei Premi Nobel per la Fisica del 2021. I primi capitoli della sezione “mitigazione” del Glasgow Climate Pact riconoscono molti dei messaggi di quel report IPCC, ad esempio “che gli impatti dei cambiamenti climatici saranno molto inferiori con un aumento della temperatura di 1,5 °C rispetto a 2 °C”, ribadisce la necessità di “proseguire gli sforzi per limitare l’aumento della temperatura a 1,5 °C” e “riconosce inoltre che limitare il riscaldamento globale a 1,5 °C richiede riduzioni rapide, profonde e sostenute delle emissioni globali di gas serra, compresa la riduzione delle emissioni globali di anidride carbonica del 45% entro il 2030 rispetto al livello del 2010, nonché profonde riduzioni di altri gas serra”.

Non sarà ancora la “cancel culture” che temono i venditori di combustibili fossili, ma il messaggio per quel mondo è forte e chiaro; e non è un caso che nei giorni successivi alla COP26 il prezzo delle quote di CO2 nel mercato dell’emission trading system europeo sia schizzato a 69 €, una cifra impensabile anche solo un anno fa.

Anche l’inclusione del riferimento a “profonde riduzioni di altri gas serra” è anche questo un passo in avanti rispetto al testo dell’Accordo di Parigi. 

La COP più partecipata

La COP26 è stata la COP col maggior numero di partecipanti, ancor più della COP15 di Copenaghen e della COP21 di Parigi.

Dall’elenco dei partecipanti e dall’analisi di Carbon Brief risultano quasi 40000 delegati, suddivisi in 21688 delegati delle Parti, oltre a 7 di stati osservatori, 11734 di osservatori delle ONG, 539 delle agenzie intergovernative, 667 del segretariato UNFCCC, 539 di altre agenzie ONU, nonché 3781 media e giornalisti.

La più folta delegazione è stata quella del Brasile, 479 delegati, seguita da Turchia (376) e Repubblica Democratica del Congo (379).

Da sottolineare poi che Russia e Cina sono state ovviamente presenti, a differenza di quel che qualche media ha riportato in modo superficiale. L’equivoco è nato dal fatto che i leader di questi due grandi emettitori, Vladimir Putin e Xi Jinping, non hanno partecipato al World Summit Leader che si è tenuto nei giorni della COP. Ma le delegazioni erano presenti: la Russia con 312 delegati, è risultata la quinta più numerosa. L’Italia è stata rappresentata da 66 delegati.

Conclusione

Pur con diverse criticità, la COP26 ha rappresentato un passo avanti. Anche se insufficiente, è innegabile che l’attenzione si stia spostando dal “prendiamo impegni” al “manteniamo gli impegni presi”. Per questo, gli sforzi futuri si concentreranno soprattutto sul chiudere l’attuale gap tra parole e azioni.

Il negoziato UNFCCC esce quindi ulteriormente rafforzato dalla COP26. Il fatto che gli scenari climatici peggiori siano meno probabili oggi rispetto a pochi anni fa dimostra che i meccanismi dell’accordo di Parigi – volti a stimolare impegni progressivamente più ambiziosi attraverso un dialogo inclusivo – stanno funzionando. Non è ancora sufficiente, occorre accelerare. Ma se nel 2015, a Parigi, ci avessero detto che nel 2021 avremmo avuto gran parte dei paesi con obiettivi di neutralità climatica, o con impegni di eliminazione del carbone o dei finanziamenti alle fonti fossili, avremmo stentato a crederci.

 

 

Testo di Stefano Caserini e Marina Vitullo, con contributi di Giacomo Grassi, Mario Grosso, Luca Lombroso, Paolo Gabrielli, Gianluca Lentini, Claudio della Volpe, Sylvie Coyaud e Federico Brocchieri.

9 responses so far

9 Responses to “I risultati della COP26 fra realtà, impazienza e cancel culture”

  1. Paolo C.on Nov 22nd 2021 at 19:08

    Troppo poco, e con tremendo ritardo, inutile girarci intorno.
    E nessuno garantisce che i pur modesti impegni verranno rispettati.

  2. Simone Casadeion Nov 24th 2021 at 13:51

    Nella grave assenza di una forte autorità sovranazionale, ad oggi l’unica via concreta per traguardare il target 1,5 C – implicitamente riconosciuta da tutte le parti del negoziato – è che il “gioco” diventi compatibile con la Crescita e il prima possibile molto profittevole nel breve periodo (che poi sono gli scopi attuali della nostra specie).

    Purtroppo temo che i limiti del pianeta (affinchè questo resti per noi vivibile) non siano compatibili con questa via.

  3. ALESSANDRO SARAGOSAon Nov 26th 2021 at 09:00

    Per me il bicchiere è mezzo pieno….ma di CO2

    Battute a parte, mi pare che il problema delle COP è che sarebbero degli eventi superspecialistici, che andrebbero riservati a tecnici e “sherpa” che fanno da collegamento con i politici. Ma sono diventati degli “eventi mediatici”, un mix fra la fiera mercato, la manifestazione di protesta, l’assemblea dell’Onu e il concerto rock.

    Le sfilate di politici dalle promesse facili e le torme di giornalisti a caccia di notizie eclatanti, fanno si che ogni anno si assista a docce scozzesi fra irrealistiche aspettative salvifiche (“entro mercoledì prossimo via il carbone dal pianeta Terra”) e risultati pragmatici che sembrano buoni solo agli esperti (“risultato fantastico l’implementazione del sottocomma B, sullo sfrucugliamento orizzontale dei depositi di CO2 nel mare di Aral”).
    E l’effetto, mi pare, è un crescente scoramento, disaffezione e sfiducia in questo strumento da parte del pubblico.

    Forse, ma so già che è Mission Impossible, sarebbe opportuno riportare le
    Cop alla loro forma originale di noiose e grige riunioni fra esperti, vietandone assolutamente l’ingresso ai leader politici, magari lasciando che intorno ci sia il consueto assedio di attivisti, tanto per fare un po’ di pressione su chi sta all’interno e dare qualcosa di cui parlare ai giornalisti.

  4. Armandoon Nov 26th 2021 at 19:55

    Rispondendo a Simone Casadei, l’autorità sovranazionale non c’è perché non può esserci.
    Le superpotenze restano tali e decidono in base ai loro interessi, che sono notoriamente divergenti.
    E per questa ragione, Usa, Russia, Cina e India non hanno alcun desiderio di cedere sovranità.
    Vivere immersi nella propaganda europeista ci sta facendo perdere la percezione delle cose più elementari.
    Se si devono stipulare accordi commerciali, non c’è alcun problema. Si sottoscrivono e sono vincolanti. Se non li si rispetta bisogna pagare.
    Se però uno va a vedere la storia di questi accordi, sa che quando vi sono dei contrasti insanabili su una specifica questione, l’intesa semplicemente non viene raggiunta e la cosa viene semplicemente abbandonata.

  5. Stefano Caserinion Nov 27th 2021 at 08:09

    @ Alessandro Saragosa
    @ sarebbe opportuno riportare le Cop alla loro forma originale di noiose e grige riunioni fra esperti, vietandone assolutamente l’ingresso ai leader politici, magari lasciando che intorno ci sia il consueto assedio di attivisti, tanto per fare un po’ di pressione su chi sta all’interno e dare qualcosa di cui parlare ai giornalisti.

    gli “esperti” sulle decisioni chiave non possono che – ovviamente – chiedere cosa fare ai politici. Quindi lasciare fuori i politici è giustamente impossibile.
    Nei momenti critici della plenaria finale della COP26 giustamente parlavano ministri o Timmermans, non il prof. x o l’Ing. y
    A meno che non si voglia risolvere la questione climatica affidandosi solo a “tecnici”…

  6. Simone Casadeion Nov 27th 2021 at 11:17

    @ Armando

    @ Vivere immersi nella propaganda europeista ci sta facendo perdere la percezione delle cose più elementari.

    Vivere immersi nella propaganda consumista del mercato (quale sarebbe la propaganda europeista?!?), ci sta facendo perdere la percezione che attualmente gli Stati primariamente fanno gli interessi del potere economico e finanziario e il loro scopo è seguire, creare o favorire il mercato. Uno delle tante cause, per non dire “scuse”, è il ricatto della delocalizzazione fiscale e industriale e dei posti di lavoro, su cui una grande multinazionale è più forte di uno Stato. Il 15% di minimum tax è il segnale palese che gli Stati (= i cittadini), così come sono organizzati adesso, hanno perso la partita.

    Dimenticando per un attimo l’elefante nella stanza dei limiti delle risorse di cui ho già scritto sopra, in sintesi la transizione ecologica si fa se/quando conviene economicamente (magari incentivata tramite le tasse sui cittadini, non certo sulle grandi rendite e potentati economici) e se/quando dà prospettive di consumo e di crescita. E’ una leva debole, aleatoria e discontinua, non pianificata nè pianificabile o controllabile, il contrario di quanto servirebbe, data l’urgenza.

  7. Armandoon Nov 27th 2021 at 20:15

    @ Casadei

    Ha assolutamente ragione. Sottoscrivo in toto il suo ragionamento.
    Mi ero solo soffermato su un punto che, più che una critica al suo intervento, voleva porre l’accento su quanto sia fasulla la retorica del multilateralismo, cioè l’affermazione che problemi globali richiedano meccanismi decisionali sovranazionali.
    Oggi come oggi, tali meccanismi, come ha ricordato lei, sanciscono l’ingiustizia fiscale planetaria, assicurando trattamenti di favore a soggetti che operano in regime di quasi monopolio.
    Come ha ricordato giustamente, è stato detto a chiare lettere che a trainare il cambiamento sarà il settore privato e che lo Stato non interverrà con investimenti diretti, ma tutt’al più tassando i cittadini.
    Aspettiamoci una nuova stagione di conflitti sociali, con più disuguaglianze e più disoccupazione, che però verranno presentati come la giusta nemesi che colpisce i debitori.

  8. […] decine di altre decisioni prese dalla COP 26 è stato fatto con la consueta accuratezza dal sito Climalteranti. Qui ci basta ricordare che fra gli aspetti positivi più importanti c’è l’impegno […]

  9. […] I tempi di una transizione energetica in linea con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi sono estremamente rapidi: consistono nel raggiungere “emissioni nette zero” intorno al 2050, come recentemente ribadito dalle conclusioni del G20 di Roma e della COP26 di Glasgow. […]

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